martedì 14 aprile 2015

LA "DIVINA SCRITTURA": #4 L'invidia - "verme roditore di tutte le virtù"

 "L’ammirazione è una felice perdita di sé, l’invidia un’infelice affermazione di sé"
Kierkegaard

Nei capitoli precedenti:
#1 il Limbo degli scrittori esordienti
#2 la Palude degli scrittori indolenti
#3 la Paura dell'ignoto

Lo sommo er’alto che vincea la vista,
e la costa superba più assai
        che da mezzo quadrante a centro lista.          

Ho imparato che uno scrittore esordiente non deve temere l'ignoto, deve provare a lanciarsi nel vuoto senza sapere dove atterrerà, ma con la consapevolezza di avere tentato ogni strada utile al raggiungimento dell'obiettivo. Così, ho lasciato uno scrittore seduto a meditare sulle proprie paure e mi sono avventurata dentro la caverna buia.

Affrontare le incertezze nascoste nell'oscurità ha reso più forte la mia volontà, così procedo spedita verso quel cerchio luminoso che si allarga sempre di più, lungo il mio cammino e quando il sole irrompe nel mio campo visivo, all'uscita dalla grotta, sono costretta  a stringere gli occhi perché la luce è accecante. Il paesaggio circostante è mutato: la foresta si è diradata, la vegetazione è meno folta e un sentiero di terra battuta finisce ai piedi di una montagna alta e ripida. Guardo la cima e penso che avventurarmi lungo l'impervio pendio di quel monte non sarà un'impresa facile, ma sono determinata, mi armo di buona volontà e comincio la mia scalata.
Affronto la salita con estrema difficoltà, aiutandomi con piedi e mani, finché raggiungo un ripiano roccioso che gira attorno alla montagna. Mi siedo a riposarmi qualche minuto.

Cos'è l'invidia?

È un sentimento umano che quasi sempre connota i rapporti fra le persone in ambito relazionale, con la sua infinità di sfumature.
Quando si palesano le stesse competenze, ma uno ha più successo dell'altro; quando un'ambizione è soffocata dalla fortuna attecchita altrove; quando il benessere altrui si affaccia beffardo sulla propria difficoltà personale, le disparità inevitabilmente inaspriscono il confronto: si vorrebbero conseguire risultati analoghi, ci si sente "vittime" di trame ordite alle spalle, si trovano giustificazioni che servono per non ammettere verità scomode.
Se siete scrittori in erba, ditemi che non avete mai digrignato i denti di fronte a tal dei tali che improvvisamente vince il premione letterario dell'anno e voi non ve ne spiegate la ragione, dopo aver letto il suo libro! Negatemi che l'invidia si sia mai insinuata nei vostri pensieri!
Io ammetto questa debolezza: ho letto romanzi di esordienti che si sono autopubblicati e svettano nelle classifiche di Amazon con decine di recensioni e commenti, senza capirne il perché; ho visitato il profilo di molti autori indie, trovando inspiegabile il raggiungimento di incredibili soglie di followers. Tutte le volte mi limito a dire "ma cosa avranno di speciale!" e provo quel fastidioso moto dell'animo che mi porta davanti ad uno specchio a ripetermi "perché io no?". Ho chiamato la mia invidia una debolezza, perché non è un vizio col quale mi scontro abitualmente e mi gioco la carta delle attenuanti, per non apparire velenosa e tagliente, ricordando una discussione fra amici, durante la quale ho affermato che credo esista un'invidia buona contrapposta ad un'invidia cattiva; alcuni di loro mi hanno risposto che l'invidia non ha connotazioni positive o negative, che non è mai conciliante ed io ho provato a rifletterci su.

Secondo la definizione di "invidia" recapitata sul web, essa è un sentimento spiacevole che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbero per sé, accompagnato spesso da avversione e rancore per colui che invece possiede tale bene o qualità.

Detto così avevano ragione i miei amici: l'invidia è sorretta da avversione e rancore verso il possessore di determinate qualità. Significa che se c'è uno scrittore più bravo di me, io gli rimprovero il fatto di avere quel talento che a me manca e non me ne do pace.
Ma se il punto di vista cambia ed io, pur riconoscendo a quell'autore una marcia in più, vorrei semplicemente essere al posto suo o godere degli stessi suoi privilegi? Non è rancore, non è avversione, è il desiderio di essere ciò che lui è diventato.

L'invidioso per così dire d.o.c. prova soddisfazione nell'assistere ad un fallimento: quello scrittore famoso ha fatto flop con il suo nuovo libro? "Ben gli stia! Così impara a non montarsi la testa"; lo scrittore esordiente di successo riceve critiche negative tali da essere confinato nello spazio effimero destinato alle meteore? "Tiè, beccati questa!", che non cambia la situazione dello scrittore invidioso ma gli regala un minuto di puro godimento.
L'invidioso sulla carta, invece, non ama vedere fallire chi ha più fortuna, ma non riesce a spiegarsi il come ed il perché, si arrovella in questi interrogativi che rimangono senza risposta finendo per dire semplicemente "beato lui!" (o lei). È un "invidioso buono", non aggressivo né rancoroso.
E la differenza fra questa e l'altra tipologia, per me, va sottolineata.

Ma ficca li occhi per l’aere ben fiso,
e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
                          e ciascuno è lungo la grotta assiso.                          

Ad un tratto sento delle voci, allora mi alzo e riprendo il cammino lungo l'orlo della montagna, seguendo la direzione dei suoni. Poco più avanti, infatti, tre persone discutono animatamente sedute con le spalle appoggiate alla parete rocciosa.
"Non è possibile - si lamenta uno - io ho scritto tre romanzi, ho bussato alla porta di non so quante case editrici senza ricavarne  nulla e poi, ecco che arriva il ragazzetto raccomandato di turno che con una storia da quattro soldi sforna il caso letterario dell'anno!"
"Chissà quanti santi conta in Paradiso!"- incalza l'altro.
"Coraggio - aggiunge il terzo - tempo un anno, nessuno più si ricorderà di lui!".
A quel punto, intervengo anch'io:
"Magari quello scrittore ha del talento! "
"IO ho talento - sbotta il primo interlocutore - ma i miei romanzi sono ignorati, mentre quello degli ultimi arrivati viene subito apprezzato dalle case editrici! Che possano fallire tutte!".
"Sì e le librerie che espongono in vetrina quel libro essere distrutte da un rogo!" - continua con impeto l'altro.
"E il suo autore cadere presto in disgrazia - conclude il terzo interlocutore.
Mi allontano presto da quel covo di vipere che guardo con distacco. Pur viaggiando sul territorio del "nulla di fatto", io non so accanirmi contro le esperienze riuscite di altri scrittori esordienti come me.

E come a li orbi non approda il sole,
così a l’ombre quivi, ond’io parlo ora,
                              luce del ciel di sé largir non vole;                                

Guardare al successo degli altri con invidia e ammirazione non è un controsenso: a me non viene spontaneo alimentare calunnie, né volere la distruzione di pregi e doti altrui; il trionfo di qualcuno nel mondo della scrittura non fa da contrappeso alle mie insoddisfazioni o al mio fallimento.
Io mi limito a prendere atto di qualcosa che vorrei mi appartenesse allo stesso modo, non desidero rubare troni o scettri, ma credere possibile un'analoga sorte anche per me.
Dunque esiste un'invidia buona, un'invidia che non cancella l'identità di chi è visto come un avversario, perché ci sono realtà in cui non ci si scontra su un ring, ma ci si confronta per arricchirsi.
L'invidia non è una malattia incurabile, ma una frustrazione che può essere orientata, così il "verme roditore" di Cervantes non deve rappresentare l'idea di un destino per forza ostile, non deve essere il presupposto di una condizione di infelicità e di inadeguatezza che accompagna un vissuto interiore irrisolto, ma dovrebbe essere solo lo sfogo dell'umile che riconosce dei limiti e vuole correre ai ripari.

Di cosa sono fatti, altrimenti, i sogni, se non di pensieri impossibili che una sana invidia fa diventare traguardi?

E i raggi ne ferien per mezzo ‘l naso,
perché per noi girato era sì ‘l monte,
  che già dritti andavamo inver’ l’occaso,

E voi avete mai provato invidia per qualcuno o qualcosa?
Di che "invidia" siete fatti?

- continua                        










19 commenti:

  1. Io penso che l'invidia sia costruttiva quando si accompagna alla consapevolezza dei propri limiti e spinge a migliorare se stessi. L'altra persona é lo specchio di ciò che a noi manca : prendere consapevolezza dei propri limiti puo' diventare uno stimolo per fare di più e meglio.
    In generale cerco di evitare l'invidia cattiva perché ne sono stata vittima. In passato non comprendevo la cattiveria altrui. Mi domandavo perché desiderassero il mio male e la loro ostinazione mi sembrava assurda. Solo in un secondo momento sono riuscita a comprendere il motivo di tale ingiustificato odio. Ho tirato un sospiro di sollievo pur senza riuscire ad accettarlo.

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    1. Che poi, l'invidia è normale quando agisce da spinta propulsiva, diventa patologica nei casi di negatività pensate e augurate. Dalle tue sei uscita indenne? In amicizia mi viene da dirti (ma non dovrei): "alla faccia di chi ti ha voluto male!" ;)

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    2. Quasi. Molte di queste persone sono uscite spontaneamente dalla mia vita, quindi non fanno più male. Con un'altra ho chiarito le cose esattamente due giorni fa, lunedì mattina, dicendole (sintetizzo quello che in realtà è stato un discorso di quasi mezz'ora) che se è una povera sfigata non mi deve rompere le palle, perché io non sono responsabile delle sue mancanze. Staremo a vedere.

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    3. I chiarimenti, se no altro, servono a questo: a lavarsi lo stomaco! Speriamo che nel tuo caso portino i frutti sperati! ;)

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  2. Io sono convinto che sia meglio un insuccesso analizzabile che un successo fortuito. Mi dispiacerebbe essere pubblicato senza sapere perché... Però l'invidia non rancorosa è il motore che ti fa muovere, con la motivazione che se l'ha fatto lui allora lo posso fare anche io. Sia l'ammirazione che il rancore, invece, ti inchiodano dove sei per motivi opposti.

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    1. Non sempre penso che ciò che fanno gli altri sia fattibile anche da me, perché di fronte all'"invidiabile" bravura altrui ho un po' di timore reverenziale, però, l'ammirazione che non sconfina nell'invidia può arrivare a mettermi il turbo per fare di più e meglio.

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  3. Proprio sabato ho condiviso una presentazione con un'autrice che stimo, Francesca Battistella. Si parlava proprio di invidia e lei ha commentato che è il più inutile dei sentimenti perché invita a giustificare le proprie mancanze, non focalizza verso uno scopo e aumenta solo l'infelicità di tutti. Mi trovo d'accordo. Un conto è quel sentimento di rivalsa che ti porta a buttar fuori il meglio al grido di "adesso ti faccio vedere quanto valgo davvero" un conto è l'invidia che ti porta a roderti per quello che gli altri hanno e che a te manca. Sicuramente il desiderio di rivalsa mi ha aiutato, però devo dire che in ambito scrittoreo non ho mai provato molta invidia. Se un testo piace vuol dire che ha un suo pubblico, forse non è il mio, ma non mi sento di giudicare né l'autore né il lettore.

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    1. Per l'invidioso le proprie mancanze sono da attribuire a fattori a sé estranei, dunque difficilmente riuscirà a colmare quel vuoto che si scava attorno! La rivalsa è un sentimento sano, è bello sentirne l'esigenza. Io, nella mia perenne insicurezza, ho spesso ammirato la narrativa di autori che scrivono le cose che scriverei io, ma ovviamente lo fanno molto meglio di me: mi piacerebbe raggiungere la loro maturità, non il loro successo. Io non invidio quello, ma le qualità che riconosco negli altri.

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  4. PS: più che altro a volte ho invidia del mondo anglosassone e del suo mercato editoriale, quello sì. Ammetto che a volte mi chiedo se, in un altro contesto, non avrei avuto più opportunità...

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  5. Sono sempre invidioso, io infatti sono una brutta persona! Ma come fai a non invidiare Dickens, Tolstoj, Dostoevskij? Poi ti rassegni, però quando leggi qualcosa di loro comprendi perché "essi" sono nell'Olimpo e tu nelle retrovie a spalare fango.
    Una volta mi deprimevo, adesso no. Vivo la loro superiorità con rassegnazione: non sono loro, non sono come loro. Pazienza.

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    1. Non ti dici tante volte "ma anche loro avranno iniziato da qualche parte"? Beh no, i fuoriclasse nascono tali o, forse, siamo noi a vederli così, a distanza di secoli e generazioni. Ma te lo immagini Tolstoj alle prese con l'invidia nei confronti di Dostojeski?

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  6. Hai messo proprio il dito nella piega con questo tuo post!
    Tendenzialmente sono poco invidiosa, più che altro sono portata a deprimermi di fronte ai successi altrui.
    Direi che l'invidia è quasi fisiologica nel mondo della scrittura, ma ha sicuramente due facce, quella buona è quando ammiriamo qualcuno e questo sentimento ci spinge a fare di meglio. L'altra faccia, quella che ti fa diventare "verde", è decisamente inutile è anche dannosa...

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    1. Sì, tendenzialmente il guardare, anche con ammirazione e non con invidia, al successo degli altri butta un po' giù, perché ti fa vedere i tuoi limiti molto più chiaramente. L'importante è che il momentaneo scoraggiamento non diventi un infruttuoso freno.

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  7. Ammiro il coraggio di questo tuo post, effettivamente hai messo il dito nella piaga.
    Ho provato anch'io una punta di invidia per esordienti che scalano le classifiche con libri che non mi hanno entusiasmato. Tuttavia siccome ritengo l'invidia un sentimento del tutto negativo cerco sempre di analizzarmi e magari trasformare quello che sento in ammirazione costruttiva. Di solito se quello che ho letto non mi è piaciuto penso che comunque ognuno ha un suo pubblico, se invece riconosco obiettivamente nell'autore la capacità di conquistarmi con la scrittura resto soprattutto ammirata, quindi mi chiedo sarò capace anch'io di scrivere così bene? La risposta che mi dò è "ci provo" solo provando e riprovando, impegnandomi e dedicando tempo e fatica posso migliorarmi.
    In questi casi il confronto con gli altri serve tantissimo. Ovviamente non mi pongo neanche il problema di confrontarmi con i grandi autori, quelli sono nel limbo degli Dei e sono li a pieno diritto e forse anche grazie a loro è nata la mia passione per le parole e li posso solo ringraziare.

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    1. Non c'è invidia più giusta e sana di quella mostrata per i grandi della letteratura! Il confronto vero nasce fra simili e gli scrittori esordienti sono una categoria perfetta per misurarsi con gelosie e invidie. È sempre giusto che ad emergere siano gli "oggettivamente" migliori, ma quando gli autori esordienti sono osannati senza particolare meriti narrativi o per via di strane congiunture astrali, allora viene fuori tutta la mia rabbia verde!

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  8. In generale non sono una persona invidiosa, ma nell'ambito della scrittura mi è capitato di diventare verde, altroché! Senza augurare nefandezze, solo arrovellandomi un po'. Se la persona degna di invidia è brava, invidia per la sua bravura (quella va giù facilmente); se non è brava, invidia per la sua fortuna o le sue conoscenze (quella brucia). Tutto dipende dal fatto che non c'è meritocrazia nell'arte in generale, perciò è facile avere la sensazione di essere penalizzati ingiustamente. In realtà nessuno ruba il posto a nessuno, a parte ai concorsi. Comunque non la debelli: l'invidia fa parte del pacchetto scrittura. ;)

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    1. Si invidia la bravura dei bravi, fa rabbia il successo mal riposto, verissimo! L'una si digerisce, l'altro mal si tollera, come negarlo!
      E mai che ci si trovi dal lato giusto della barricata!
      Il pacchetto scrittura è parecchio costoso!

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