martedì 8 novembre 2016

Parole come note

Flaubert e la "mot juste"


Se c'è una cosa su cui mi fisso quando scrivo è la ricerca delle parole giuste, quelle appropriate, soprattutto quelle che regalano musicalità alla narrazione. 

Una volta, qui o altrove, ho scritto che per me la revisione ha un solo scopo: verificare l'armonia del testo attraverso il suono delle parole, che deve arrivare alle mie orecchie senza alcuna stonatura. Non parlo di errori e refusi, quelli sono dettagli importanti che sarà l'occhio a cogliere, io mi riferisco ai vocaboli che si incastrano male, al ritmo che incespica su un lessico scoordinato, a tutto quello che non rende fluida la lettura e che impone una ricerca più accurata di ciò che riporti la voce dell'autore ancora sul rigo musicale intonato.
Rileggete ad alta voce questo mio ultimo periodo. Non avete rallentato facendo una smorfia? Ma che ho scritto?
Avrei potuto correggere subito l'orrore stilistico prodotto, ma ho voluto lasciare l'esempio per farvi capire cosa intendo. Occorre spostare qualche vocabolo, aggiungerlo o eliminarlo del tutto, cambiare espressione, forma, qualunque cosa purché non arrivi alle mie orecchie quello sgradevole suono: ... che impone una ricerca più accurata di ciò che riporti la voce dell'autore ancora sul rigo musicale intonato? 
Sembra un percorso a ostacoli:
Riporterà - ancora: un'inutile e cacofonica ripetizione.
Intonato: cos'è un rigo musicale intonato?
Assolutamente da rielaborare: 

... e che impone una ricerca più accurata di quelle parole in grado di riportare equilibrio nella voce dell'autore.

Via tutto: eccessi, ridondanza, giri a vuoto di concetti superflui.
Pulire un testo è dargli un ritmo e assecondare un dato ritmo è trovare il proprio, personale, stile narrativo.

Nella mia scrittura sto imparando a non esagerare con gli avverbi, a non strafare con l'ipotassi, a evitare l'eccesso di aggettivi. Può sembrare strano, ma qualificare troppo persone e oggetti, alla lunga crea dissonanza. Prendete questo brano (che ho tratto dal romanzo di un'esordiente):

Quel pomeriggio assolato di fine agosto dell’88 non lasciava fiato al respiro, neppure a Trieste, città misteriosa, affacciata su una striscia sottile di terra schiacciata tra il mare e l’altopiano carsico. Francesca, così presa dalle telefonate dei suoi assidui spasimanti, non si accorgeva del tempo che era passato e del sudore che, come rugiada, le scendeva fitto lungo la schiena sinuosa.

A parte qualche altra osservazione da fare, come l'espressione "non lasciava fiato al respiro", che io avrei evitato, ho anche pensato che tutte le connotazioni: pomeriggio assolato, città misteriosa, striscia sottile, assidui spasimanti, sudore fitto, schiena sinuosa appesantissero il ritmo della narrazione come tanti gradini su cui ho inciampato, leggendo.

Se questa dell'uso degli aggettivi è una scelta stilistica personale, la mia attenzione per la "parola giusta" vanta un illustre esempio: era Flaubert a sostenere che lo scrittore ha il dovere di trovare la "mot juste", l'unica parola in grado di esprimere appieno l'idea.

Tutte le suggestioni raccolte durante la giornata creano un'onda nella mente che non vediamo l'ora di riversare sulla carta. 
È facile raccontare, ma siamo sicuri che le parole che useremo abbiano il ritmo adeguato?
Una volta Guy de Maupassant fece leggere un suo racconto a Gustave Flaubert, che lui considerava un maestro, per sapere cosa ne pensasse. Flaubert ritenne da subito che fosse un capolavoro (e difatti lo divenne. Il racconto era "Baule de suif"), eppure gli fece notare che due parole, solo quelle, andavano sostituite. La sua teoria sullo stile partiva dal presupposto che ogni parola dovesse essere pensata e soppesata in modo da realizzare una perfetta armonia tra la forma e la materia, l'idea e la sua realizzazione. Così lo scrittore francese leggeva ad alta voce ed era l'orecchio a sentenziare se vocaboli e frasi garantissero questa perfezione artistica, la musicalità pretesa con tanta ostinazione. Quando le parole diventavano insostituibili, allora era sicuro di avere fatto un buon lavoro.

Mi sono scoperta inconsapevole seguace della stessa teoria. 
Io leggo e rileggo, lo faccio anch'io ad alta voce, ma mai nello stesso arco di tempo. Quando finisco di scrivere un racconto o anche un capitolo del romanzo, mi sintonizzo subito sul suono prodotto dalla lettura delle pagine. Vengono fuori le prime dissonanze da sistemare. Qualche ora dopo ci ritorno e ne trovo altre. Il giorno successivo ne scovo ancora qualcuna. Stratifico le revisioni, finché arrivo a non chiedere più niente alla mia scrittura. Allora capisco che posso mettere il punto.
Ciò non significa che sia bello il risultato conseguito, ma intanto lo è per me e questo mi pare un buon punto di partenza per credere nelle mie potenzialità.

Così penso che i manuali di scrittura dovrebbero tenere molto in considerazione il contributo offerto dalla musica e suggerire di scrivere come se le parole fossero note di una sinfonia. 
Non lasciare che una descrizione si esaurisca nell'uso di espressioni ovvie, provare a racchiudere un concetto dentro un vocabolo, rendere un termine estremamente evocativo (come già accade nella poesia), questo, per me, resta il miglior modo di essere scrittori, più che esasperarsi per non sbagliare il punto di vista, perdersi in schemi e scalette, essere ossessionati dai segni di interpunzione.

Ci si allena leggendo molto, l'esempio pratico offerto dai grandi letterati è una perenne scuola di scrittura, quello che noi impariamo dalla loro esperienza è un'esercitazione che ci migliora.
Dobbiamo essere "esordienti" preparati, competenti, abili, validi, prima che "imprenditori" scaltri ed esperti.
Scrivere bene prima di pensare a come vendere il nostro prodotto.

E sì, qui ne ho usati tanti, di aggettivi, ma ci stanno tutti.



36 commenti:

  1. Allora il piccolo esercizio di stile di domani è per te :)
    (Dopo basta, però!)

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    1. Perché basta, avevo cominciato a prenderci gusto! :)

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    2. Perché le regole per scrivere e avere successo sono solo 2:
      1. Mai dire tutto quello che sai;
      2.

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  2. Anche per me la musicalità del periodo è la caratteristica più importante di uno scritto; più importante della struttura narrativa, dell'informazione veicolata, di tutto. Scrivere narrativa non è diverso dallo scrivere musica: le parole sono prima di tutto suono.

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    1. Forse questa è la prima volta in cui siamo d'accordo d'accordo. :)

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    2. Che tristezza, bisognerà rimediare. :P

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  3. Sono assolutamente d'accordo con ciò che scrivi. Io stessa spesso sono stata rallentata dalla fissazione per la musicalità, che non è data solo dalla scelta delle parole, ma anche dalla punteggiatura: ti farà ridere, ma più volte mi sono trovata a spostare virgole avanti e indietro, quasi compulsivamente.

    Revisionando il materiale scritto lo scorso anno, anche io mi sono trovata a eliminare tantissimi aggettivi, dopo averne notati troppi in alcuni romanzi che ho letto. Infatti, come tu stessa hai detto nel messaggio di ieri, non ne ho mai abusato. Il fatto che servano o non servano, poi, può essere soggettivo: sto ancora rimuginando su quel "lucida benevolenza" che mi hai segnalato ieri, perché per me aveva un senso, in quanto volevo evidenziare che la persona in questione non è buona a prescindere, ma perfettamente consapevole di ciò che sta facendo. La frase è ora sottolineata in giallo; poi si vedrà.

    L'ipotassi, per fortuna non è mai stato un mio problema. Posso dire che i miei periodi sono piuttosto semplici. La lungaggine deriva più dal loro numero, che da quello delle subordinate. :-D

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    1. Tu lo sai perché te lo dico sempre: ogni mia riflessione è opinabile, in fondo non sono del mestiere (anche se mi piacerebbe esserlo) :-)
      Quanto al tuo personaggio, a me viene spontaneo pensare alla sua consapevolezza già dal modo in cui lo hai presentato, invece sottolinearlo con l'aggettivo mi è sembrato superfluo, anche perché il termine benevolenza ha già in sé una connotazione ben precisa che lo rende completo. Ma, anche quello, alla fine, è un dettaglio su cui, per ora, si può tranquillamente sorvolare.
      Sono convinta, tra l'altro, che tu faccia buon uso delle parole. ;)

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    2. Ma sì, questo alla fine è un cavillo. L'importante è che nel suo complesso il linguaggio fili. Tra l'altro dobbiamo ricordarci sempre che ti sto mandando delle bozze, quindi non saranno mai perfette. Certo, mi piacerebbe arrivare a un livello tecnico abbastanza elevato da poter ridurre gli interventi di revisione, ma ho ancora un po' di strada da fare. :)

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    3. La mia collaborazione in questa fase è secondaria: sono solo di supporto a un bel progetto cui tu stai dando una forma sempre più definita.
      Trovo del tutto normale che una bozza sia imprecisa. La revisione vera e propria ci aspetta a lavoro completato. Ma se costruisci bene il castello, magari, dopo, non sarà così difficile aggiustare il tiro. ;)

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  4. Concordo anch'io. La cosa che più mi ha dato fastidio, l'altro giorno, quando dopo un sacco di tempo ho iniziato un racconto nuovo, è stato non buttar giù al primo colpo frasi col giusto ritmo. È chiaro che, come tutti, revisiono, revisiono, revisiono. Ma ogni narrazione ha un suo ritmo e, almeno quello, mi piacerebbe azzeccarlo da subito. Invece no. Le frasi non erano giuste, non avevano la lunghezza e il suono che si adattasse alla narrazione. Ci ho messo una pagina intera a riprendere la mano e immagino che quella pagina dovrò riscriverla in toto...

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    1. Ti capisco e la sensazione brutta è che hai chiara l'idea in testa, ma la resa non è quella giusta. A volte mi capita il contrario: scrivo un mare di belle parole e poi mi chiedo "ma dove voglio arrivare?"
      Insomma, sono in cerca di un buon equilibrio. :)

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  5. In effetti è fondamentale. Una volta ho letto una definizione sulla differenza fra scrittura intesa in senso didattico e divulgativo e scrittura narrativa, dove veniva evidenziato che la prima ha "solo" il dovere di esporre nozioni, anche a costo di essere noiosa (quantunque sarebbe raccomandabile evitarlo) mentre la seconda deve intrigare il lettore, suscitare emozioni ed essere tutt'altro che noiosa. Quindi, giustissimo valutare addirittura l'uso di una singola parola piuttosto che di un'altra: non è una questione di trasmissione di contenuti (che resterebbero invariati) ma di bellezza della forma.

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    1. Tante volte, purtroppo, anche la scrittura narrativa pecca quando risulta noiosa pur se nell'autore c'e l'intenzione di renderla profonda e di emozionare. Il fatto di avere letto diverse opere esordienti mi ha permesso di arrivare ad alcune conclusioni e di accorgermi che, purtroppo, non tutti sono affezionati al paradigma della bellezza della forma, poi aggiungi che spesso anche i contenuti scarseggiano...

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  6. Non metto in dubbio che serve molto mettere le parole giuste al posto giusto.

    Però un conto è scrivere un testo scorrevole, piacevole ed equilibrato, un altro conto è scrivere un testo che riesca ANCHE ad essere musicalmente godibile mentre lo si legge. Certo: è consigliabile non esagerare con avverbi, aggettivi, ripetizioni. Ma da qui ad arrivare a perseguire una sorta di musicalità o a perseverare nella revisione fino a convincersi di aver trovato tutte le parole giuste al posto giusto, io modestamente non mi pongo il problema. Faccio del mio meglio. Punto.

    Il rischio che vedo io è quello di voler perseguire la perfezione. Che purtroppo non esiste perché è relativa: ciò che sarà perfetto per me non potrà mai esserlo per chi legge, o almeno non per tutti.

    Bisogna pur accettare il fatto che la tal parola, che a noi può sembrare perfettamente incastrata e insostituibile perché evoca sensazioni ed emozioni e magari pure musicalità, non è detto che abbia lo stesso effetto su chi legge.

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    1. Sì, c'è anche la possibilità che io in questo sia piuttosto maniacale. Non per niente sono abbastanza critica nei confronti dell'opera dell'esordiente che si autopubblica ed esigente con me stessa al punto da preferire non scrivere piuttosto che accontentarmi.
      La perfezione non potrà mai essere un valore assoluto, certo, ma se io non trovo questa sorta di perfezione soggettiva, non scrivo perché qualcuno mi legga, lo faccio solo per assecondare una mia esigenza.
      Al pubblico deve arrivare un prodotto che può non piacere per tanti motivi, ma almeno stilisticamente deve "suonare" come impeccabile.
      Lo so, chiamami la talebana della scrittura. :P

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  7. Sono d'accordo praticamente con tutto il post, specie con il fatto che la musicalità sia da curare specialmente in fase di revisione. Io cerco di farla in tutti i miei testi - non solo nei racconti. Forse più che la musicalità per quanto riguarda il mio stile parlerei di scorrevolezza, ma in fondo i concetti non sono poi così distanti. Dopotutto, anche io cambio le strutture delle frasi ogni volta che trovo uno spigolo, a volte anche un mucchio di volte, finché non sono del tutto soddisfatto :) .

    Concordo anche sul fatto che si può riconoscere un autore alle prime armi dal ritmo stentato e poco musicale delle parole. Sono convinto che a volte non manchi tanto il senso del ritmo, quanto proprio la capacità di una revisione efficace.

    Per esempio, ricordo che in un dialogo di un romanzo auto-prodotto letto qualche tempo si ripeteva spesso la parola "abitazione", invece che il più semplice "casa", il che stonava parecchio. Non è solo perché chi parlava veniva al contempo attaccato da dei mostri, e non è realistico che uno dica "Presto, ripariamoci nella mia abitazione" (molto meglio "In casa, presto!", e magari anche qualche parolaccia per sottolineare la drammaticità della situazione). Penso che chiunque, anche un semplice lettore, si accorga che una frase del genere stona. Ma evidentemente lo scrittore non si è accordo di questo spigolo nemmeno in fase di revisione (se poi l'ha fatta - in fondo il libro era pieno di refusi e brutture sintattiche :D ).

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    1. Mi hai fatto ricordare una mia discussione con un autoprodotto (non è che stiamo parlando dello stesso libro?) al quale ho fatto notare una serie di "orrori" trovati nel suo romanzo e lui si è offeso a morte. Ma diomio, fare gli scrittori non è solo avere buone idee, e poi, vuoi autopubblicarti? Benissimo, però almeno fai leggere il libro a qualcuno che conosce l'italiano, qualcuno da cui accetti volentieri di essere corretto, se proprio ti sta sulla pancia che lo faccia un'estranea. Sono battaglie perse, altroché musicalità delle parole e suoni che devono comporre un puzzle!
      Chi si definisce scrittore sa che le parole giuste sono al centro di tutto, l'approssimazione lasciamola a chi cerca altro, quando scrive.

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    2. Non credo sia lo stesso libro, o almeno è improbabile, visto quanti auto-prodotti escono ogni giorno. Però sono perfettamente d'accordo con le tue conclusioni :D .

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  8. Io mi rendo conto che spesso esagero con gli aggettivi, cercherò di dominarmi a favore della musicalità del periodo che mi trova d'accordo in pieno.
    Infatti in fase di revisione cerco di "asciugare" i periodi

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    1. Cercare di correggere gli errori che vediamo nella scrittura è sempre il giusto approccio. Fissare un obiettivo e fare autocritica (o ascoltare le critiche costruttive altrui) è il modo migliore per gestire ogni nostro progresso.

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  9. Pure io uso pochi avverbi (quelli in -mente non mi piacciono), e mi limito con gli aggettivi. È che sogno di essere efficace con poco...

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    1. Adesso sto provando anch'io a cercare l'efficacia anche solo con una parola. Un passo avanti l'ho fatto: riesco a evitare gli avverbi in - mente, di cui ho a lungo abusato.

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  10. Dopo aver letto tuttoti dicosolo uns cosa Marina.
    Quello che dici tu è la differenza tra scrivere e scrivere bene 😊
    Altro da aggiungere non ho. È già stato detto tutto.
    Ciaooo e complimenti

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    1. Io sto provando a inseguire tutto quello che può consentirmi di scrivere bene. Da qui a riuscirci, poi... :)

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  11. Anche per me l'acustica delle parole è molto importante nella revisione. A volte correggerle mi dà una soddisfazione tale, come se avessi messo a posto il mondo! Comunque non c'è modo migliore che riprendere in mano i propri vecchi testi per notare che si è non solo cambiati (il che è normale) ma anche diventati più bravi. Quindi il processo è inarrestabile, e non si è mai arrivati. Ottimo! ;)

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    1. È vero, rileggere qualcosa che hai scritto in passato ti fa toccare con mano il miglioramento, una bella soddisfazione. Poi c'è il rovescio della medaglia: l'acquisizione della consapevolezza. Prima scrivevo e non mi preoccupavo se non di usare un corretto italiano, adesso mi faccio paranoie su tutto. Risultato: prima camminavo spedita, ora faccio un passo avanti tre indietro.

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  12. Tutto questo discorso è valido finché non entri nel dialogo. Lì le cose potrebbero essere stravolte dal fatto che non si possa scrivere esattamente come si parli e la finzione che si utilizza subisca gli adattamenti stilistici di cui hai parlato.

    Comunque dovresti leggerti certi esordienti di cui ho ammirato dei passaggi, e ti troveresti di sicuro a commentare come il colonnello Kurtz.

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    1. Faccio una figuraccia se ammetto di non conoscere il colonnello Kurtz, dunque di non sapere come commenti?

      Il dialogo, per avere il ritmo giusto, deve risultare veritiero, o meglio possibile ancorché non reale. Se scrivessimo come parliamo non arriveremmo nemmeno al rango di aspiranti scrittori.

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  13. Sottoscrivo ogni parola, e non potrebbe essere altrimenti dopo un passato in cui ho lavorato molto sulla poesia!

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    1. La poesia è il terreno ideale per mettere la musica alle parole. Lì, addirittura, lo sforzo è maggiore: una parola deve farsi contenitore di emozioni, difficilissimo, per me.

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  14. Molto interessante. Grazie Marina ♥

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