martedì 10 ottobre 2017

L’io narrante va a ruba


È inutile girarci attorno: qua urge un sistema, un escamotage, un metodo vincente per costringere un editore a buttare gli occhi sui nostri scritti. Con le sinossi non ce la caviamo, rassegniamoci: non siamo capaci di essere incisivi, di catturare l’attenzione in poche efficaci righe; stiamo là, con la nostra storia incapsulata dentro un file pronto per essere spedito e ci incartiamo con le due pagine di descrizione del romanzo, che poi è il nostro biglietto da visita, eh, mica un banale riassuntino dell’opera.
Okay, non pensiamo alla sinossi; oggi proviamo a immaginare una strategia per portare il nostro manoscritto all’attenzione dell’“aguzzino letterario” che decide cosa pubblicare e cosa cestinare senza prova d’appello.
Allora, sempre con l’idea di condividere un pensiero con chi leggerà il post e di discuterne con qualcuno che ha a cuore il problema, ho pensato che, forse, non sono sbagliate alcune cose che sentiamo ripetere spesso, come, ad esempio, quella per cui un’opera è papabile se è socialmente impegnata, se si cala in certe realtà contemporanee, se segue le tendenze del momento, oppure se lo scrittore asseconda le linee generali di una casa editrice e, dunque, trova una storia consona al dato momento storico, invece di farsi guidare solo dall’ispirazione pura. 
L’altro giorno mi sono imbattuta in un concorso interessante bandito da una rivista letteraria, al quale mi piacerebbe partecipare con un racconto e sapete qual è stata la prima domanda che mi sono posta?
Che tipo di storie pubblica la rivista? provando, poi, a resistere alla tentazione di scrivere la tipica roba mia (che ha una struttura sempre quella, il registro linguistico sempre quello, lo stile sempre quello.) Ho pensato che, forse, per riuscire a essere presa in considerazione, dovrei capire cosa mi viene chiesto e assecondarlo.
Così, facendo un sondaggio alla carlona fra le mie letture recenti e meno recenti, ho scoperto che se c’è una tecnica narrativa che va molto, attualmente e che segna la carriera di diversi autori, soprattutto giovani e contemporanei, è la scrittura in prima persona.
Il punto di vista in prima persona va a ruba:

“Mio padre aveva il suo modo di andare in montagna.”
(Paolo Cognetti - “Le otto montagne”, Premio Strega 2017)

“Dell’infanzia di mio padre so poco.”
(Teresa Ciabatti - “La più amata”, finalista al Premio Strega 2017)

“Si accomodi, prego, - dico."
(Luca Ricci - “Mabel dice sì”)

“[…] Sbircio titolo e autore prima di impacchettarli.”
(Vins Gallico - “Final cut”, candidato al Premio Strega 2015)

“[…] Ho passato quella notte insonne… .”
(Carmine Spiga - “Lucidalabbra per Sara”, vincitore del concorso di narrativa: “Una cosa che comincia per L”.)

“Ha appena caricato il cestello dell’asciugatrice e infilato i gettoni”

“Alcune volte era semplicemente domenica, ma io me ne dimenticavo.”

“Il dottore mi ripete sempre che sono una persona molto metodica.”

(Tutti e tre i pezzi tratti dai racconti di Gian Luca Garrapa, Michele LamacchiaAlfredo Palomba, autori selezionati per essere pubblicati nella stessa raccolta, insieme al vincitore del concorso letterario di cui sopra.)

E, tanto per citare il più conosciuto:

“Che freddo. Sono raffreddato. Del resto lo sapevo.”
(Fabio Volo - “È una vita che t’aspetto”)

Sarà vero che l’”io narrante” ha più chance di essere notato rispetto agli altri punti di vista?
È perché, poi!

Forse perché se è il protagonista a narrare entriamo più facilmente nel suo mondo, nel suo terreno d’azione, mettiamo gli occhi dentro la sua anima? Dunque ci immedesimiamo di più?
Qualunque sia la ragione della scelta, intento narcisistico, ispirazione autobiografica, pur con tutti i suoi limiti (una scelta del genere comporta la rinuncia al grandangolo: la storia è solo ciò che vede, che sente, che narra chi la sta vivendo), la prima persona esprime un’immediatezza di pensieri che, probabilmente, piace.
Si direbbe che va di moda la narrativa intimistica nella sua versione ammorbidita e molto attuale che è l’autofiction. Da non confondere con la sorella letteraria, l’autobiografia: questa è la cronaca di una vita, l’autofiction pesca nei fatti personali dell’autore, però, poi,  mescola verità e finzione in modo da rendere il gioco fantasia/realtà un tutt’uno indistinguibile.

Ho provato a scrivere in prima persona e, devo dire, a me piace, tuttavia ho sempre pensato che un racconto concepito così rischia di  trasformarsi in una pagina di diario o in qualsiasi sfogo contenuto in un post, perché bisogna essere veramente bravi per narrare una storia che sembri nostra e invece non lo è, per appropriarci di pensieri, di idee, di una vita che non è una proiezione di quella che viviamo noi e non portare necessariamente a vedere il nostro nome dietro alle cose che raccontiamo.

E alla fine, presenterò al concorso un racconto in terza persona, con la struttura sempre quella, il registro linguistico sempre quello, lo stile sempre quello. 
È inutile, per quanto ragioni sulle cose, per quanto sondi strade nuove, per quanto studi possibilità diverse, mi rifugio sempre nelle mie tecniche narrative.
E le sinossi, quelle, continuano a mettermi in crisi.








37 commenti:

  1. Chi scrive ha l'obbligo di indossare i panni di tutti i personaggi: è chiaro che scrivere in prima persona facilita di molto il lavoro, lo focalizza, rende semplice evitare i salti di punto di vista e, per finire, aiuta il lettore presentandogli una pappa già premasticata.
    Ci sono solo dei pro? No. La cosa più difficile è gestire la struttura narrativa. Ci sono dei punti che non si possono illuminare. Tanto che, per ovviare, ci sono autori che cambiano punto di vista a ogni capitolo.
    Dunque che fare? Fai quello che ti viene meglio perché le mode sono fatte per essere superate. Poi, quando si diventerà più abili con le varie tecniche, allora si sceglierà la prima persona per le storie che la richiedono, oppure la seconda, la terza, ecc.

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    1. Nucci, altro finalista allo Strega, ha scritto il suo libro con questa alternanza, terza e prima persona. È un po' straniante, ma immagino che saperla gestire bene possa dare dei risultati apprezzabili.
      In genere, quando mi viene un'idea, la penso sempre in prima persona. Sono io che la trasformo in terza perche mi pare che suoni, per così dire, più narrativa. E nei fatti lo è.

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  2. La seconda persona è pure peggio, secondo me. Più difficile, ma Calvino dimostra il contrario. Leggere attraverso lui pare semplice. Scrivi come ti senti.

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    1. La seconda persona in un romanzo è un'impresa pazzesca; forse in un racconto, uno di quelli brevi, però, dove non finisca per risultare pesante.

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  3. Riccardo Burgazzi, l'editore che ho intervistato la scorsa settimana, pensa che ci sia la tendenza a scrivere storie che se non sono autobiografie lo sembrano. Secondo lui questo potrebbe dipendere dal voyeurismo a cui i social network ci hanno abituato. Forse la prima persona dipende da quello? Potrebbe essere.

    Io comunque sono una mosca bianca. Guardo molto poco mode e tendenze. Ovvio che se partecipo a un concorso rispetto il tema e le regole (che nella revisione del romanzo saranno linee guida importantissime) ma solo nella misura in cui non interferiscono con la mia vocazione. Non riuscirei a forzarmi. Sperimentare sì, ma senza violentare la mia mente. Certo, non vincerò mai il "premio progettazione", ma me ne farò una ragione. :-D

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    1. Che poi dovrebbe essere seccante dare l'impressione di avere scritto qualcosa di autobiografico quando la storia non lo è, invece si va alla ricerca proprio dell'equivoco.
      Questo concorso al quale voglio partecipare ha un tema: mi sono venute delle idee, alcune anche bizzarre, ma poi mi sono detta: "non ti appartengono, Marina, lascia perdere.", perché, in effetti, così diventa tutto più difficile. Magari non vale la pena, se lo scopo per cui scrivo non è il volere piacere a tutti i costi.

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    2. Condivido la tua scelta. Anche il concorso cui sto partecipando ha un tema (e in revisioni vedrò se c'è tutto: "ostacoli", "sfide", ecc.), che però non mi snatura. Anzi: l'idea già mi ronzava in testa, e l'ho solo elaborata in modo nuovo. Quanto al voler piacere a tutti i costi, penso che sia il modo migliore per tarpare le ali alla propria creatività. :)

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  4. Farsi notare non può ridursi all'uso della prima o terza (o più raramente ma è molto bella secondo me) seconda persona.
    Ogni storia richiede la sua voce narrante, poi va be', capire cosa vogliano gli editori è difficilissimo, si va per tentativi e si cerca soprattutto di scrivere un'opera efficace e gradevole, con qualcosa da dire sul serio.

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    1. Sono d'accordo, però ho notato questo uso molto frequente della prima persona e mi sono fatta qualche domanda. Certo, ci sono storie che sono penalizzate dall'io narrante, altre che hanno più efficacia solo se narrate in prima persona: è indubbio, a ciascuno il suo.

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  5. Io ho usato sia la terza persona che l'io narrante.
    Credo che la narrazione in prima persona riesce a convincere meglio il lettore che la storia la può intendere come "autentica", anche nel momento in cui la narrazione è surreale.
    D'altro canto, come tu dici, è sempre soggetta al rischio di sembrare uno sfogo personale, quindi va gestita bene.
    Posso dire che, facendo le proporzioni, ho usato molto più spesso la terza persona. Il racconto in prima persona è un caso raro per me.
    Però mi piace molto da lettore. I monologhi dell'io narrante dei romanzi di Michel Houellebecq mi hanno sempre "catturato" l'attenzione efficacemente.

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    1. La prima persona avvicina di più, però lascia fuori tutte le sfumature circostanti e il bello di una storia è parteciparvi a trecentosessanta gradi. Sono gusti, eh e, devo dire, ho letto anch'io bei libri che calzavano bene la prima persona. Cognetti, per esempio, è stato in grado di far parlare le montagne pur essendo il protagonista l' unica voce del romanzo.

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  6. Trovo le tue considerazioni condivisibili ma penso che sia relativo. Se penso ad alcuni dei migliori libri che ho letto, non sempre erano in prima persona. Quindi prima di dire che l'io narrante va "arruba", ci penserei un attimo. Certo: ha il suo fascino.

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    1. La mia statistica è opinabile, naturalmente perché si attesta solo su narrativa di mio gradimento.
      Comunque, tu, Darius, hai capito tutto: il mio a ruba è proprio un "arruba". 😄

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  7. Marina io non ho un manoscritto da inviare ad lettore e sinceramente non mi sono mai posta la domanda.
    I miei raccontini pubblicati sul blog non sono in prima persona Perchè? Non lo so! Vengono così.
    Poi, e spero che Michele Scarparo non mi fustighi in pubblica piazza per aver fatto copia incolla dal suo commento sopra, sono convinta che abbia detto una cosa veramente giusta e saggia.
    "Fai quello che ti viene meglio perché le mode sono fatte per essere superate."
    Ne sono convinta anch'io!
    Ciaooo

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    1. Non so inventare mode, cara Pat, però, alla fine, mi diverte pure sperimentare, non direi nemmeno cose nuove, perché, poi, la mia scrittura è nata con un "io narrante": basti pensare a tutti i diari personali che ho scritto in gioventù. Sperimento cose verso le quali sono portata meno o credo di esserlo e non so se riuscirei a scrivere un romanzo intero dicendo solo "io".

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  8. SE hai la storia dentro
    se ne percepisci il senso
    se capisci che mettendola nero su bianco ti liberi
    scrivila. Scarparo ha ragione, falla tu la moda! a tuo modo. Osa e sii sincera così sarai veramente trasgressiva: ti leggeranno. Ppi dilla tutta resteranno alluccuti.

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    1. Ahahah, alluccuti, magari! Ma cca mancu i santi smovono sti editori!
      Ma io scrivo, scrivo a modo mio, senza mode e trasgressiva o no, non mollo. 😉

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  9. Non mi aspettavo che alla fine desistessi. Perché non tentare? Tu ami scrivere, sai farlo bene, allora tenta anche questa strada, perché se solo penso ai tuoi post ispirati alla tua vita quotidiana sei forte, coinvolgente, ti si gusta come un cioccolatino che tira l'altro, ecco. :)
    Io ho scritto un romanzo tanti anni fa. Ogni tanto lo ripercorro, in questo periodo lo sto revisionando prima di passarlo a chi ne capisce davvero. Lo scrissi in prima persona, mi venne così spontaneo. Forse perché il mio romanzo preferito era "Jane Eyre" e poi c'era il grande esempio di "Paula" nel quale Isabel Allende raccontava la sua esperienza personale con la figlia morente.
    C'è sempre stato qualcosa nella narrazione in prima persona che mi ha conquistato, stregato direi.
    Un pezzettino del mio romanzo:

    "Io non mi mossi di un millimetro e continuai con il mio acquerello. Del resto, mai una volta che i discorsi delle mie compagne mi interessassero. Il soggetto che andava per la maggiore era naturalmente il matrimonio, seguito da quel tale orlo alla francese, dall’ultimo ballo di beneficenza della capitale e dalle splendide vacanze sulle spiagge di Galveston che Virginia Sue Fitzpatrick aveva fatto con la famiglia".

    Mi piaceva immedesimarmi in lei, calarmi nei suoi panni, forse per una deformazione tutta mia che poi mi avrebbe fatto scoprire il teatro, chissà. ;)

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    1. Sai cosa ho pensato di fare? Due versioni: una in terza, l'altra in prima persona della stessa storia, vediamo quale risulta più efficace, magari nessuna delle due, però è un buon allenamento.
      Tu, piuttosto, la tua famosa storia: io ho voglia di leggerla, dunque sbrigati. 😋

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    2. Uhm, facciamo fra un annetto.
      Sono ancora "a carissimo amico". :)

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  10. Qualche anno fa ho scritto un romanzo nel romanzo e non ho mai tentato di pubblicarlo. Mi sono detto che NESSUN editore pubblicherebbe un libro così arduo di un semisconosciuto ed ho atteso di pubblicare un libro che avesse successo e che aprisse la strada al mio romanzo.
    Si tratta di uno scrittore che in prima persona subisce il blocco dello scrittore mentre è arrivato alla conclusione di un suo romanzo -scritto in terza persona- dove narra di uno stupido incidente -caduta per le scale ed immobilità in un ospedale per lungo tempo con una riabilitazione finale in un ambiente di gente che si è riunita in una baita...per morire, trattandosi di malati terminali.
    Il prolifico scrittore resta bloccato fino al finale, tragico, che scriverà alla fine della sua vita normale in quanto appunto il suo nuovo stato di impotenza lo conduce alla pazzia ed al tentativo maldestro di darsi la morte.
    Come vedi un testo così o lo pubblichi con squilli di trombe e rullio di tamburi oppure rimane a giacere dove sta adesso.
    È triste, ma credo che, facendomi aiutare da una traduttrice di testi italiani perché il tedesco l'ho imparato alla Berlitzschule e non al classico, cercherò di pubblicare in Germania con un buon editore e ce ne sono almeno il mio primo romanzo, che avviene appunto a Francoforte. Come italiano residente in Germania avrei forse più successo e poi qui la gente legge. Basta salire in un treno o su un tram o andare in piscina per accorgertene. Sarebbe una sconfitta per me rinunciare a pubblicare in Italia, ma cosa vuoi che faccia?
    Mettiamocelo in testa: puoi scrivere la migliori sinossi del mondo, da nobel delle sinossi ma se non se la defecano avrai fatto una fatica di Sisifo.
    Credimi che confrontando qui e là c'è da vergognarsi. E non parlo solamente di editoria.

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    1. Almeno tu hai una chance: puoi tentare la sorte anche in Germania.
      Fai bene a sfruttarla, sarebbe un peccato tenere nel cassetto la tua fatica letteraria. Se non altro, le puoi far fare un giretto in terra straniera. 😉

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    A tutti coloro che hanno un romanzo nel cassetto: volete sapere cosa ne potrebbe pensare un lettore? Uno che legge molto, uno che a volte scrive (e magari pubblica pure)? Abbiamo quello che fa per voi! Si chiama "Sostiene l'autore" e, se volete vedere come funziona, potete dare un'occhiata qui:
    https://michelescarparo.wordpress.com/invio-di-manoscritti/sostiene-lautore/
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  12. Ciao Marina! Questo argomento mi interessa parecchio, perché mi ha toccato da vicino proprio di recente.
    Ho il caso di un racconto che avevo scritto in terza persona e suonava malissimo. Ma proprio male male male, strideva a ogni passaggio. A quel punto ho provato con la prima persona e le cose hanno iniziato a filare miracolosamente lisce. Ho altri racconti che, invece, sono fatti per essere in terza persona e perderebbero al contrario. Quindi secondo me è una caratteristica più della storia in sé che dell'autore.
    Non so se l'io narrante possa essere più interessante per le case editrici... alla fine quel racconto che ho riscritto in prima persona è stato selezionato a un concorso, ma tra i selezionati ce n'erano anche altri scritti in terza, quindi ti dico che mi pare un discorso un po' troppo generico. Lo capirei di più se si facesse una divisione "per generi letterari", forse.
    Di certo, per me scrivere vuol dire uscire dalla zona di confort. Quindi magari per il concorso a cui vuoi partecipare scrivi come ti viene meglio, ma la prova in prima persona falla comunque! Male che vada, avrai imparato qualcosa in più sulla tua scrittura :)

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    1. Secondo me sperimentare i due pov nello stesso racconto significa spostare l'intensità del tono narrativo. La terza persona mi lascia un'equidistanza che posso misurare: è una terza persona limitata, dunque il punto di vista è pur sempre di un personaggio, però ho libertà di movimento su ambientazione e qualche dinamica interna alla storia. Scrivendola in prima persona dovrei caricare le emozioni del personaggio in questione, sollevare i suoi dubbi più nascosti, mostrare i suoi pensieri e lasciare sparire tutto il resto. Proverò, ma non so se la resa sarà la stessa.

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  13. Io credo che una bella storia possa appassionare sia scritta in prima sia in terza persona. Per esempio Gianrico Carofiglio ha scritto le indagini dell'avvocato Guerrieri in prima persona, mentre un paio di romanzi sono in terza persona, un altro anche in seconda persona. Maurizio De Giovanni scrive in terza persona (di lui per ora ho letto un solo libro, ma mi piace e lo leggerò ancora ) Secondo me dipende dalla storia che si vuole raccontare, in certi casi può andar bene l'io narrante, in altri la terza persona, poi anche il pov alternato può essere usato (io non lo amo molto, ma la ragazza del treno aveva parecchi punti di vista ed è un best seller...)

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    1. Ho fatto questa considerazione solo perché ho notato una coincidenza ripetuta in tanti libri di autori conosciuti, spesso provenienti da esperienze di racconti. Ecco, forse, ho dimenticato di focalizzare il discorso sul genere racconto, perché per un romanzo la questione credo sia diversa: una storia lunga con un io narrante è una gran bella responsabilità. Infatti ci sono scrittori che alternano i punti vista per dare dinamicità al testo perché tutto in prima persona potrebbe risultare pesante. Anch'io ne ho letti scritti in questo modo, pure di autori classici (vedi Singer, per esempio)

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  14. L'io narrante è più immediato per il lettore, però più un racconto è lungo e più è difficile da gestire per l'autore. O, almeno, questa è la mia esperienza. Inoltre la prima persona vincola ad un unico punto di vista, cosa che può essere un vantaggio o uno svantaggio. Insomma, secondo me è una scelta da non fare a prescindere, ma di volta in volta a seconda di quello che si vuole raccontare. Ho scritto cose che hanno senso solo in prima persona e altre che non avrei scritto in prima persona neppure sotto tortura.

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    1. Sono d'accordo, lo dicevo anche in altri commenti: su lunghi tragitti, l'io narrante potrebbe dare non pochi problemi all'autore.
      Ci sono storie, però, che possono essere scritte in tutti e due i modi e perseguire due obiettivi diversi: la terza persona usata per dare movimento e aria al testo, la prima per stringere e far convergere l'attenzione su un punto preciso. Bisogna valutare quale delle due cose abbia la priorità nelle intenzioni di chi scrive.

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  15. Andiamo per quelli che hanno venduto parecchio (i "commerciali")? Twilight, prima persona (poi nell'ultimo s'incarta ed è costretta ad usare prima persona dell'amico lupo). I love shopping, prima persona. Fabio Volo, mi pare sempre prima persona. 50 sfumature, prima persona (e poi scatta la riscrittura in prima persona di lui). Outlander, prima persona nel primo libro, prima persona di lei e terza persona per lui, quando sono separati nei successivi libri (sembra strano, eppure si legge bene). Dan Brown, terza persona. Il trono di spade, terza persona con cambio punto di vista ad ogni capitolo. Harry Potter, terza persona mi pare in tutti i libri. Bridget Jones, prima persona, ma trattandosi di un diario, poteva essere altrimenti?
    Ricordo che feci il tuo sondaggio almeno quattro anni fa... e non ne venni a capo comunque. Alla fine raggiungevo sempre il pareggio! :D

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    1. Ma il mio sondaggio era rivolto più ai giovani autori o a quelli che hanno costruito la loro esperienza scrivendo racconti apprezzati dalle riviste o dagli editori che hanno dato anche a questo genere una chance. Sono quelli ai quali posso riferirmi se voglio cercare un percorso da seguire per provare a essere notata da qualcuno. Non che sia così semplice o automatico, ma pensavo che forse i tempi sono più maturi per esordienti a cui piace la narrativa intimistica, semi autobiografica, non so, mi interrogavo su questo, ecco.

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  16. La prima persona cala molto nei panni del personaggio, però può essere pesante e anche limitante, perché non ti permette di avere scene senza il personaggio; questo problema però si risolve facilmente con il punto di vista multiplo. Nonostante i dubbi, ho scritto diverse volte in prima persona, e anche la Nuova Storia sarà probabilmente in prima persona. Se solo la prendo in considerazione per un attimo, dopo il pensiero della terza persona mi dà una sensazione di distacco spiacevole.

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    1. Assecondare il punto di vista che ti nasce spontaneo quando hai in mente la storia che vuoi scrivere credo sia la cosa più giusta da fare. Il problema sorge quando non hai le idee così chiare e non sai se sia meglio questa o quella formula narrativa. Si finisce per tentare entrambe le strade, alla fine e poi confrontare i risultati.

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  17. Ciao Marina, oggi la tua riflessione mi risuona molto. Sto infatti lavorando alla stesura del mio nuovo romanzo e ho appena terminato un racconto che sarà pubblicato a breve in una raccolta.
    In entrambi i casi ho scelto la terza persona, perché a dire la verità è a me più congeniale.
    Il racconto è andato, alla fine ero soddisfatta.
    Sul romanzo invece sto ancora "ravanando".
    Ho tentato di riscriverlo in prima persona, perché spesso la terza stanca. Il racconto diretto, romanzato, di un solo punto di vista avvicina di più il lettore e semplifica il processo di identificazione.
    Ma bisogna averla dentro, la prima persona.
    Dopo una serie di tentativi ho desistito. Perché forzare la mano?
    Un editore non ti dirà mai che vuole una cosa in prima o seconda o terza persona. Vuole una storia che faccia emozPossiamo tentare di dargliela scrivendo e restando noi stesse...
    ionare.

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    1. "Un editore non ti dirà mai che vuole una cosa in prima o seconda o terza persona": forse. :)

      Riporto uno stralcio dell'intervista a Maurizio Torchio:
      D. Quando Cattivi era ancora in bozze, su quali aspetti si è incentrato il confronto con gli editor Paola Gallo e Marco Peano?
      R. Cattivi è nato in terza persona. Quando l’ho consegnato era già in prima ma...

      L'intervista è qui:
      https://giovannituri.wordpress.com/2015/03/18/cattivi-di-maurizio-torchio-recensione-e-intervista/

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    2. Noi consegniamo la nostra opera nel modo in cui l'abbiamo concepita, certo, ma se piace e ha delle potenzialità riconosciute, allora dobbiamo essere disposti anche a rinunciare alla nostra idea iniziale, se c'è qualcuno che ci mostra "il lato nascosto" della narrazione che può rendere di più in una forma diversa. Lasciarsi guidare da mani esperte è sempre una buona idea.
      L'articolo linkato da Michele ne è la prova.

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