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domenica 11 marzo 2018

McKee, il dialogo e Clint Eastwood



Caro signor McKee*, ho imparato dai suoi libri quante verità invisibili si celano dietro una buona scrittura, anzi per dirla con le sue parole, quante verità si celano dietro una scrittura ben fatta, pensata e volta a raggiungere un solo obiettivo: funzionare.
Il mondo dei dialoghi conserva un fascino che non avevo mai seriamente preso in considerazione, perché in un film o in un romanzo i personaggi parlano, ma il problema è che quello che dicono deve avere un significato ben preciso, muovere in avanti la storia, non farla inciampare e cadere in vuoti spiazzanti, cosa che invece capita eccome.
Lei, maestro di sceneggiature cinematografiche, considera la credibilità un elemento fondamentale in uno scambio di battute, tanto nelle scene di un film quanto nel disegno narrativo di un romanzo. Una delle prime regole che insegna è di non incorrere nell’errore di volere aggiustare i dialoghi falsi e insignificanti con il naturalismo, trasferendo il parlato quotidiano dentro un copione o un libro. Le parole che ci scambiamo normalmente in situazioni reali sono poco espressive, non usano metafore, figure retoriche, dicono tutto senza lasciare nulla all’immaginazione; in più, sono conversazioni che spesso non fanno avanzare la storia e lei lo spiega bene che una vicenda (in veste cinematografia, teatrale o narrativa), per funzionare, deve progredire attraverso una concatenazione di azioni ed eventi che passano anche attraverso un dialogo. 

E allora, caro signor McKee, sarei davvero curiosa di sapere cosa pensa del film “Ore 15:17 - Attacco al treno” diretto da un attore/regista che lei immagino stimi molto, il mitico Clint Eastwood, perché io sono andata a vederlo al cinema e per tutta la durata della proiezione ho pensato solo ed esclusivamente alle sue magistrali lezioni di scrittura (oltreché ai soldi del biglietto che avrei potuto risparmiare.)



Lo so, pensavate a un post sulla scrittura e le sue regole, a un approfondimento sull’importanza dei dialoghi nei romanzi e io, invece, ne ho fatto solo un paragrafo introduttivo per raccontarvi in verità quanto sia stato deludente un film che si annunciava come l’ennesimo capolavoro di un grande Eastwood-regista e invece è stata una solenne boiata.
Escludendo il trailer (che vale oro rispetto al film che promuove),


ciò che ho trovato veramente imbarazzante sono stati proprio i dialoghi, con l’unica nota positiva di avermi offerto l’esempio concreto di ciò che non devono mai essere: contenitori vuoti di parole.

In questo caso, la ragione è presto spiegata (non che serva a salvare il film dal mio giudizio impietoso.)

La sceneggiatura racconta un fatto vero: il fallimento di un attentato su un treno diretto a Parigi, il 21 agosto 2015, grazie all’intervento coraggioso di tre amici americani in viaggio dal Belgio verso la Francia. 
L’idea innovativa sta proprio nell’avere affidato l’interpretazione dei protagonisti ai veri “eroi per caso”, cioè il buon Clint ha saltato la fase del casting attribuendo i tre ruoli principali ai giovani che nella realtà hanno mandato a monte il progetto terroristico. 
Un’intuizione neorealista, direi, che si è tirata dietro l’intera impalcatura del film, causandone la principale debolezza: la trama ha qualcosa di inutile, i dialoghi sono traduzioni fedeli di conversazioni realmente avvenute, quanto di più antinarrativo, ma anche anticinematografico possa esserci.

Nel tentativo di raccontare la vita di questi ragazzi fino al gesto eroico sul treno, Eastwood ci guida dentro una quotidianità noiosissima, che procede lentamente in uno spaccato di società americana che non ha spessore, perché manca l’ingrediente “fiction” in grado di suscitare curiosità o interesse. Ci riporta all’infanzia dei protagonisti, alla loro amicizia nata fra i banchi di scuola che poteva essere raccontata in modo diverso, per esempio indagando meglio la psicologia di questi bambini che crescono con padri assenti, un mediocre rendimento scolastico e la passione per le armi e la vita militare. Questo allo scopo di capire come tutto ciò abbia potuto influenzare il loro carattere, che infatti non emerge. I personaggi non hanno alcuna caratterizzazione: sono piatti. Non viene in aiuto la capacità recitativa, che non si esprime al massimo anche se qui pianto un’eccezione alla mia critica e faccio i complimenti ai tre giovani prestati al cinema che hanno fatto del loro meglio davanti alle telecamere (cosa per niente semplice.)
La ricerca dell’ordinarietà a tutti i costi, nelle situazioni, nei dialoghi (terribili quelli durante il viaggio dei ragazzi in giro per l’Europa, motivo che li porterà a prendere il treno per Parigi) abbassa il livello di tutta la sceneggiatura, oscurando persino il vero motivo per cui è stata concepita; così quello che doveva essere il fulcro della storia, il momento di tensione vissuto nel treno, diventa marginale, confinato agli ultimi dieci minuti del film, trattato senza enfasi, privo di qualunque impatto emotivo in grado di fare palpitare il cuore degli spettatori. 

Ovviamente il gesto eroico è encomiabile, se si pensa che il terrorista era armato con un kalashnikov che avrebbe scaricato trecento pallottole su oltre cinquecento passeggeri e che i tre giovani d’impulso si sono buttati su di lui rischiando la vita per riuscire a renderlo inoffensivo. Eroi quotidiani, spinti dall’istinto di sopravvivenza, ma anche dal principio morale “fai sempre la cosa giusta” (che scivola dentro una battuta senza essere preceduta da una situazione che la renda indispensabile.)
Eppure, nonostante la nobile intenzione del regista, lamento la necessità di realizzarne un film, perché poteva essere l’occasione per dare più peso ad azioni e parole, per dare importanza alle nostre paure in una realtà che soffre il fenomeno del terrorismo islamico, invece non lo è stata. In Ore 15:17 - Attacco al treno tutti i possibili messaggi risultano sepolti sotto novantacinque minuti di pellicola insignificante.

Sì, signor McKee, chissà cosa pensa lei del film e del suo Ispettore Callaghan. La critica che lo premia sostiene che ogni effetto sia stato da Eastwood cercato e voluto in quel modo, ma le battute senza mordente, il tripudio di banalità spiattellato fra un gelato ai piedi del Colosseo e l’abbordaggio di una turista a Venezia sono quanto di più mediocre possa avere visto in un dialogo. E non riesco a farmene una ragione.

Neanche il Titanic poteva inabissarsi più di così.





****

*Robert McKee, scrittore statunitense, massimo esperto nell'arte della narrazione, autore di "Story. Contenuti, struttura, stile, principi per la sceneggiatura e per l'arte di scrivere storie" e "Dialoghi. L'arte di far parlare i personaggi nei film, in TV, nei romanzi, a teatro."











30 commenti:

  1. Anche i più grandi possono fallire a volte.
    Riguardo la naturalezza dei dialoghi, la mia idea è che si può anche cercare di riprodurre i dialoghi in modo simile a come avvengono nella realtà, però devono avere uno scopo nell'economia della narrazione, essere poi commentati dall'autore in modo da dargli un senso, magari aggiungendo per ogni battuta apparentemente insignificante una piccola spiegazione che riveli al lettore lo scopo nascosto del personaggio nel pronunciare quella battuta.
    Pensare che il lettore possa sostituirsi al narratore significa che il narratore non si ritiene capace di raccontare la storia :-D

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    1. I dialoghi dovrebbero camminare da soli senza spiegazione alcuna. Il dialogo è uno dei modi che l’autore ha per raccontare la sua storia, non un accessorio e diventerebbe tale se poi l’autore dovesse interviene per dare un senso alle battute dei suoi personaggi. Dovrebbe essere proprio il lettore a farsi un’idea dei personaggi e della storia attraverso i dialoghi, immaginare che ci sia “dell’altro” oltre le parole dette, se glielo suggerisce lo scrittore vuol dire che quel dialogo non è “apparentemente insignificante”, ma realmente superfluo.

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  2. Secondo me molti film americani hanno dialoghi piuttosto banali, questo film non l'ho visto, ma mi è capitato di vedere film americani dove abbondano gli effetti speciali, ma con dialoghi davvero di basso livello.

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    1. Qui l’unica giustificazione è che il regista ha voluto abbandonarsi alla realtà in tutto e per tutto e i protagonisti raccontano di avere detto sul serio quelle cose, però nel film, anche se l’intento era di rimarcare l’assoluta ordinarietà di questi ragazzi divenuti eroi per caso, il risultato è stato di togliere valore e spessore al vero significato della storia. Secondo me è stata una scelta strategica perdente.
      Ci sono fior fiori di sceneggiatori che lavorano sui testi a lungo, analizzano ogni battuta, non sottovalutano l’importanza dei copioni da recitare. Del resto rendere un dialogo cinematografico efficace necessita di studio e di competenza.

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  3. Oh che peccato, il trailer sembrava promettente. Da quello che dici non penso mi sia persa dunque nulla di che.
    Per restare invece sul tema dialoghi, molti dicono di guardare con attenzione Greys Anatomy, che siano illuminanti. Io ammetto che le serie ospedaliere non siano le mie preferite, dunque latito un po'.

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    1. Il trailer ha ingannato anche me, poi avevo la garanzia del nome: ho apprezzato molti film diretti da Clint Eastwood. Decisamente non ti sei persa nulla.
      Sento parlare spesso di Grey’s Anatomy, ma non ne ho mai vista una puntata. Latito anch’io, eppure sarebbe interessante seguire gli scambi di battute fra i personaggi, giusto per capire in cosa sono illuminanti.

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    2. Grey's Anatomy: celo! A mia discolpa, dico che è roba del 2005 (anche se ho poi seguito tutta la serie negli anni anche se sempre meno assiduamente; ha anche uno spin-off). Rispetto ad altre serie dello stesso tipo, è quella meno "medica".

      Tutto inizia con questo dialogo in un bar.

      Barista: Tequila liscia, davvero? Lo sai che te ne pentirai domani mattina?
      Meredith: Me ne pento sempre la mattina ma domani è il mio primo giorno di lavoro quindi continua pure a versare.
      Derek: Un doppio scotch al malto, per favore. E’ un buon posto per passare il tempo?
      Meredith: Non saprei, non ci ero mai venuta prima.
      Derek: Sa una cosa? Neanche io, sono nuovo qui. Non sono di Seattle, sono qui per lavoro quindi… Vuole ignorarmi.
      Meredith: Ehm… ci sto provando.
      Derek: Non dovrebbe
      Meredith: Perché no?
      Derek: Perché sono una persona che lei imparerà ad amare.
      Meredith: Davvero?
      Derek: Oh, sì.
      Meredith: Quindi se la conoscerò mi innamorerò di lei.
      Derek: Oh, sì.
      Meredith: Lei si piace molto sa.
      Derek: Non posso negarlo, mi piaccio. Qual è la sua storia?
      Meredith: Non ho nessuna storia, sono solo una ragazza in un bar.
      Derek: Mmhh e io un uomo in un bar.


      Così, se volete farvi un'idea.

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    3. Uhm, non saprei... mi lascia un po’ indifferente, anche se ci sono le premesse perché questi due personaggi siano al centro di altri sviluppi. Non so nemmeno se sono i protagonisti principali. Ora vado a informarmi. 😉

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    4. Sì, Marina, loro sono i protagonisti e tutta la storia nasce da questo incontro al bar dopo cui finiscono a letto insieme. Il mattino dopo si rincontrano in ospedale dove lei è neospecializzanda e lui neurochirurgo appena trasferito (ha beccato la moglie - noto chirurgo neonatale - a letto con il suo [di lui] migliore amico - chirurgo pure lui). Ci sono tanti personaggi e la storia è ricca e si evolve ma si può riassumere con tutti vanno a letto con tutti, tutti sono mezzi figli di tutti, gli eventi straordinari sembrano concentrarsi su questo gruppetto di ospedalieri (avremo bombe, incidenti in traghetto, aerei che cadono, varie ed eventuali), tanti muoiono (compreso Derek).

      Viola Emi (scusami, prima non mi sono firmata)

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    5. Per me, tanto, l’anonimo ormai sei tu. 😁
      Ma non era “Beautiful” quello dove tutti vanno a letto con tutti (e si sposano pure), il mucchio si allarga con figli che seguono le orme di genitori/zii/ nonni e chi più ne ha più ne metta?
      Io, nel frattempo, mi sono aggiornata: ah, questa era la serie con Patrick Dempsey! 😍

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    6. Tu pensa Viola Emi che io ho iniziato a vedere Grey dalla seconda stagione, dunque mi ero persa il fatidico incontro di cui tutti parlavano e che aveva scatenato il tutto (perché poi lei è specializzanda e lui uno dei suoi capi). Quando ho visto la prima stagione finalmente, e c'è questa scena, mi sono ritrovata a dire: "Tutto qua? E' solo questo? Ma se pareva che si fossero aperti i cieli??!"
      Comunque a Shonda Rhimes, la sceneggiatrice principali, contesto soprattutto i disastri aerei... le compagnie aeree dovrebbero farle causa: ogni volta che non sa come mandare avanti al serie, puff, incidente aereo e un pochi se ne vanno, e arrivano i nuovi attori-medici di rimpiazzo. Per carità: 14 stagioni sono davvero tante, tra i medical drama E.R. si è fermato alla 15 esima e Dottor House solo all'ottava. Quanto riusciranno ad essere ancora prolifici?

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  4. Devo dire che in questo caso alcune recensioni mi avevano fatto presagire il disastro. Di Eastwood ho amato moltissimi film, qui evidentemente qualcosa è andato storto. Non essere andata a vederlo al cinema temo mi faccia prendere la cosa con molta più filosofia.

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    1. Decisamente, Antonella.
      Secondo me la trama nasconde un inganno: vai a vedere il film convinta di seguire la storia avvincente che sfocerà nel piano terroristico sventato e invece ti trovi una lunga sequenza di eventi che non montano adrenalina, ma sprofondano in una noia mortale.
      Forse mi hanno fregato le aspettative.

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  5. E' una moda abbastanza consueta del cinema americano di oggi far parlare i personaggi con poco più che grugniti. Alcuni dialoghi cinematografici li trovo irritanti e noiosi, non fanno crescere di un briciolo la storia e spesso la impantanano nel nulla. Forse è il naturalismo di cui parla McKee, a me sembra, tanto per rimanere in tema di cinema: UNA C...A PAZZESCA! :D Bella la tua recensione, bravissima

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    1. Grazie Rosalia, come spesso mi accade, quando resto delusa per qualcosa devo liberarmene parlandone. 🙂
      Per farti capire, qui c’è una scena in cui i ragazzi sono in Italia. Sopra il battello che fa il giro di Venezia, due dei tre giovani conoscono una straniera:
      “Ciao, ci faresti una foto?”
      “Sì.”
      “Grazie”
      “Prego”
      “Vuoi venire a prendere un panino con noi?”
      “Okay”
      “Okay”

      Tutto così! 😵

      “Oh, ma questo gelato è fantastico”
      “Che gusti hai preso?”
      “Fragola e panna”
      “Buonissimo”
      “Già”

      SUICIDIO! 😣

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  6. Film più deludente rispetto alle attese che avevo anch'io. Peccato Eastwood da regista ha fatto film molto importanti e validi, con questo ha fatto un passo falso.

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    1. Sei d’accordo con me, allora. Sarà perché, appunto, in altri film di Eastwood lo spessore era diverso. Non so, qua mi pare si sia spinto su un terreno paludoso e sia rimasto inghiottito dalle sabbie mobili.

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  7. Non ho ancora visto il film, lo vedrò armandomi quindi di non troppe aspettative. Eastwood è regista di grande intelligenza, avrà voluto sperimentare qualcosa che non è nelle sue corde.
    Ci sono decine di film che invece ottengono apprezzamento pur essendo in definitiva delle docufiction. Di solito vengono girati da registi molto pratici con questo tipo di narrazione.
    Mi piacciono le riflessioni sui dialoghi e il riferimento anche al teatro. La parola in teatro è fondamentale, il rischio per chi scrive è essere ridondanti (ho a volte questo difetto) ma quello che conta in definitiva è fare della parola un'opportunità di mediazione fra lo spettatore e l'attore, o meglio la storia narrata. La parola in teatro non può essere troppo lontana dal mondo di chi guarda.

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    1. Sì, l’idea di volere fare un esperimento si nota (basti pensare che Eastwood ha fatto recitare i ragazzi “veri protagonisti” della vicenda)
      Ti consiglio la lettura di “Dialoghi” di Mckee, per te che fai teatro è rivelatorio (come per chi scrive sceneggiature e per chi si occupa di narrativa.) Le mie riflessioni nascono tutte da quel testo e ti posso dire che non c’è una sola pagina che non dica cose utili.

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    2. Me lo procurerò, grazie! :-)

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  8. Non ho visto il film, e forse lo vedrò quando uscirà in tv (devo ancora vedere Gran Torino, e sono reduce della delusione di Million dollar baby). "Story" mi è appena arrivato in cartaceo da studiare. Ma quel che mi lascia interdetta, è che sto preparando la valigia per un viaggio in treno di mille km e tutti mi tirano fuori storie interessanti come questa... dite che lo fate apposta!! :D

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    1. Dove vai, Barbara, in treno per mille chilometri? 😮
      “Story” è un pozzo senza fondo di consigli e dritte sulla scrittura.
      A me la regia di Clint Eastwood è sempre piaciuta: dà valore a determinate inquadrature che finiscono per reggere intere sequenze di film senza bisogno di altro; l’ultimo, American Sniper, l’ho visto già tre volte e dunque sono andata al cinema per Attacco al treno con un mare di aspettative al seguito. Poi fammi sapere che ne hai pensato tu del film.
      Ma, scusa, ora che ti devo augurare buon viaggio? 😁

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    2. Nel weekend vado a Parigi, da zia Diana (Gabaldon). C'è Livre Paris, la fiera dei libri francese, e lei viene dagli Stati Uniti per il suo editore francese J'ai Lu (evidentemente molto più in gamba dell'italiana Corbaccio, che con una base di 40mila fans italiane non è riuscito a farla venire a Tempo di libri e sta perdendo una marea di incassi in mancate ristampe e traduzioni...) Non potevo perdere l'occasione, zia Diana si sposta sempre meno.

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    3. In Italia siamo alle solite!
      Bellissima occasione, comunque. E poi Parigi... ❤️
      Divertiti e prendi appunti e spunti. 😉🤗

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    4. Una visita odontoiatrica di controllo, prima di partire, è il minimo.

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    5. Sperando di non perdermi in metro, dal dentista ci vado eh! Anche se danno tre giorni di pioggia! :D

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    6. Perditi pure in metro, ma stai alla larga da Montmartre. 😁

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  9. Avevo curiosità di vedere il film e credo che lo guarderò, a questo punto senza più grandi aspettative. Ma che peccato... Da quello che racconti è un'occasione sprecata.

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    1. Secondo me sì. Forse è solo una mia opinione, ma ho letto che in tanti hanno reagito con la stessa onda di delusione. Poi mi dirai tu...

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