Pagine

giovedì 28 febbraio 2019

Saper dire le cose


Donne di Algeri - Pablo Picasso

"Mi aveva sempre sorpreso l’ambigua posizione dell’opinione comune riguardo alla masturbazione femminile. Attorno a questo tema si sollevava una nebbia. C’era chi ci credeva, chi minimizzava e chi assolutamente ne negava l’esistenza. “No figurati se le donne…”, “Io no mai”, “… ma quelle sono cose bestiali, cose da maschi”, “… ma sì forse qualche volta, magari durante l’adolescenza, per ribellione”. Chissà che ribellione ci doveva poi essere nel toccarsi nel silenzio delle proprie mutande! Pure la terminologia per definirla era alquanto povera, per non dire pressoché inesistente. Niente a che vedere con quel bel concetto di “sega” o “pippa” maschile che era ormai così usato nel linguaggio quotidiano da essere diventato un concetto filosofico. E le donne niente. Le donne ce l’hanno di plastica come Barbie, diventa di carne solo davanti a un maschio. Perché il piacere in fondo è prerogativa maschile."

No, dico, non vi sarete mica chiesti se stessi facendo una prova di testo da nascondere dietro uno pseudonimo, vero? 
Sto pensando anche alle facce dei fan dell’autobiografia a tutti i costi, che avranno raccolto la mascella da terra: “anvedi Marina Guarneri!”

Ma vi pare che io possa scrivere bellamente di masturbazione femminile con la stessa nonchalance? perché ci sono cose che vanno chiamate con il loro nome senza scorciatoie, eufemismi, immagini di rimando e dirle senza dirle suona finto, allontana, distrae. Riscrivere lo stesso brano dicendo: “Mi aveva sempre sorpreso l’ambigua posizione dell’opinione comune riguardo all’autocompiacimento erotico.” non avrebbe abbellito lo stile, lo avrebbe semmai depotenziato. E comunque io no, non riuscirei a risultare spontanea coma Carla Fiorentino, autrice del paragrafo iniziale che ho trascritto, traendolo dal suo libro di esordio: “Che cosa fanno i cucù nelle mezz’ore.”


La scrittura che funziona è quella dove la mancanza di filtri non ha intenti di spettacolarizzazione. Tempo fa in un post ho riportato dei ritagli di alcuni racconti in cui le descrizioni di momenti intimi e parti anatomiche mi avevano fatto sorridere (se non ricordo male, anche strappare i capelli), forse perché erano fini a se stesse, erano un’inutile ostentazione che involgariva la storia, anziché connotarla realisticamente. 
Un linguaggio diretto cammina in un equilibrio precario dentro lo stile di uno scrittore e, forse per un esordiente è un rischio, che, se ben gestito, può trasformarsi in una carta vincente.

Mettiamo il caso che chi scrive abbia qualcosa di importante da dire (un romanzo dovrebbe sempre avere qualcosa di importante da dire) e che, per farlo, inventi un pretesto geniale che, però, non può oscillare fra detto/non detto, ma dev’essere raccontato con franchezza per provocare l’effetto voluto. A quel punto il linguaggio cerca soluzioni coerenti e se richiede di essere spudorato, chi scrive non può farsi scrupoli, deve trovare spontaneo assecondare quella esigenza narrativa. Le forzature puzzano di finzione e inficiano l’efficacia di una scrittura, invece una buona finzione, raccontata bene, non è mai una forzatura, anzi rappresenta il valore aggiunto di un testo.

Carla Fiorentino ha qualcosa di importante da dire e per farlo porta la sua protagonista, Clementina, trent’anni appena compiuti, nella mansarda dove il padre della sua migliore amica Clara, morto da poco, nasconde un grande segreto. Nel “Paese dei balocchi”, l’intellettuale estinto conserva un raffinato repertorio di oggetti hard, di cui la figlia vuole sbarazzarsi nel più totale riserbo,

“All’improvviso venni catapultata nel paradiso del porno. Ovunque mi voltassi vedevo trionfi di corpi nudi, vulve di plastica, peni di dimensioni spropositate, seni turgidi, natiche vogliose, lingue vorticanti, dildi colorati e sex toys di cui ignoravo la funzione.”

più diverse tele, tutte raffiguranti lo stesso identico soggetto, il “vero tesoro”:

“Un trionfo di vagine, fregne, vulve, fighe, patate, passere, piselle, conchigliette. Ingrandimenti di labbra, piccole e grandi, peli pubici, monti di venere, clitoridi. Alcuni appena accennati, altri ritratti nei particolari più minimi con una precisione maniacale. Una donna incinta con le gambe spalancate e la vagina pronta a fagocitare piuttosto che a espellere, un’altra di profilo con un coltello in pugno sopra l’inguine a simulare un fallo, una vecchia obesa con la schiena appoggiata al muro e le gambe aperte, un’altra ritratta per terra di spalle seduta nuda davanti a uno specchio.”

Non vi viene voglia di dire: WOW

Un espediente bizzarro, inusuale, che fa sorridere, senza provocare in chi legge alcuna smorfia di disgusto. L’autrice dice le cose come stanno, ma provoca un fastidio grottesco, la scoperta eccezionale del patrimonio artistico chiuso in soffitta è paradossale e lo è ancora di più quando diventa la personale soluzione della protagonista per elaborare un piano di fuga dalla quotidianità e realizzare un sogno condiviso con gli amici di sempre: sfruttare l’impensata fortuna per fare soldi e potere aprire un “non luogo”, un posto dove la gente avrebbe trovato rifugio e tranquillità, perché la sua più grande caratteristica sarebbe stata la rivalutazione assoluta dei momenti di solitudine.
In realtà, la cosa importante che la Fiorentino vuole raccontare supera le amenità, la scabrosità del linguaggio, le tele piene di vagine dipinte, la pornografia e si ferma sull’insoddisfazione che riempie le vite di questi giovani trentenni affamati di stabilità e concretezza, che vivono realtà precarie, con lavori inadeguati, solitudini da colmare e sono impreparati di fronte al tempo che chiede loro di diventare finalmente adulti. 

Un argomento molto serio, che si muove dentro i pensieri diretti dell’io narrante.

Questo romanzo, letto proprio all’indomani delle mie ultime riflessioni sull’uso di uno pseudonimo, da una parte ha confermato la mia incapacità di pensarmi scrittrice senza inibizioni, ma, dall’altra, mi ha anche dato modo di verificare che una scrittura schietta non è mai motivo di vergogna, se ha uno scopo raccontato in modo coerente.

E allora falla finita, Marina, con tutte 'ste paturnie su disagi, imbarazzi, oddio che penseranno, mi prenderanno per una maniaca, lo pseudonimo mi salverà e riapri quel licenziosissimo file che marcisce nel pc, dal titolo eloquente: "il romanzo che non avrò mai il coraggio di portare a termine."!



















24 commenti:

  1. Il romanzo che non avrai mai il coraggio portare a termine è autobiografico?
    ;-P
    Che dire, in realtà può sembrare una cosa stupida ma non lo è affatto. Confesso che anch'io ho tra i miei lavori mai pubblicati un manoscritto dai contenuti fortemente erotici; e il motivo per cui non è stato ancora pubblicato è che... insomma, che te lo dico a fare? Complimenti all'autrice di questo romanzo che ha saputo superare questo "imbarazzo" che a volte colpisce lo scrittore (nel mio caso scribacchino, vabbé) quando si tratta di rendere pubblico un'opera con quel tipo di contenuti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non so se il discorso è legato più a un'indole disinibita o alla capacità di fare sul serio gli scrittori che diciamo di voler essere. Non è che sia obbligatorio osare, però sarebbe bene non perdersi in mezzo agli scrupoli se l'ispirazione dovesse andare in quella direzione.
      A me questo libro è piaciuto proprio perché il linguaggio è talmente naturale da non patire l'eccesso del suo contenuto.

      Elimina
  2. Ne abbiamo discusso. Io voto per la scrittura di pancia, senza filtri, senza inibizioni, poi chi legge legge... Certo, se uno pseudonimo può servire a superare dei blocchi, ben venga. Ma poniamo che tu, Marina Guarneri, avessi scritto Che cosa fanno i cucù nelle mezz'ore firmandoti Carla Fiorentini ed il romanzo avesse effettivamente raggiunto il successo meritato, a chi avresti continuato a non rivelare mai che quella Carla eri proprio Tu? Ai familiari, ai conoscenti, agli amici blogger?... Scrivere a mio parere è anche una commistione di qualità ed essenze che ci riguardano: e chissà, chi ci conosce potrebbe anche rimanere piacevolmente stupito da alcuni aspetti che riusciamo a riversare solo nella scrittura...
    A me questa esordiente mi appare di un'intelligenza sottile e spigliata, ed hai ragione, da quel poco che hai riportato, non vi è ostentazione. Ecco, di certo è l'ostentazione che involgarisce o al contrario toglie spessore. La formula forse è sempre quella universale: per quanto possibile, rimaniamo fedeli a noi stessi, lasciamo che la nostra vera essenza traspaia dalle parole... :*

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Hai ragione: rifletterò molto su questi aspetti della scrittura. Sono davvero convinta che il saper dire bene le cose salvi da tutte quelle paure, vergogne, imbarazzi che un certo modo di narrare potrebbe comportare.
      Devo cercare il post al quale ho accennato: l'ho scritto in un periodo in cui tu ancora non frequentavi questo blog e te lo sei perso, ma devi vedere la differenza fra la prosa dei cucù e quella di certi scrittori al loro esordio, selezionati tra l'altro all'interno di un concorso: per me pessimi.

      Elimina
    2. Attendo tu me lo indichi... Pregusto già qualche sana risata :DD

      Elimina
    3. Mi sono messa d'impegno e l'ho trovato, è questo:

      http://trentunodicembre.blogspot.com/2016/11/la-carezza-in-un-pugno.html

      Elimina
  3. A me viene da dirti che mica è obbligatorio scrivere ciò che ti imbarazza. Se non è utile alla storia che vuoi narrare ne puoi fare a ameno, altrimenti potresti provare a scrivere fingendo di essere un'altra, perché credo che alla base tu provi vergogna nei tuoi stessi confronti. Cosa che torna al principio con il discorso se non ti senti a tuo agio nello scriverlo perché farlo?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Purtroppo è il contrario: io sento che vorrei scrivere delle cose, è tutto il contesto esterno che mi frena; se no, una bella soluzione ci sarebbe: se non mi imbarazza scriverle, ma solo renderle pubbliche, ecco... lì sì, che ti do ragione: dove sta scritto che io debba per forza pubblicare?

      Elimina
  4. No, ho subito pensato ad un estratto da un libro, però ho anche pensato che ha ragione: non ci sono termini per l'autoerotismo femminile (senti come suona distaccato?).
    Bravissima a scrivere, ne convengo, sono pure andata a leggermi l'estratto su Amazon e già l'incipit è da applauso. Uno stile schietto, non volgare, sapientemente ironico. Quando descrive l'inusuale tesoro di oggetti ritrovati in soffitta non c'è un giudizio negativo (quello attribuito alla figlia, ma lì il punto di vista è dell'amica), semmai c'è curiosità. E quando scoprono le tele dipinte, c'è quasi venerazione per l'artista.
    Tutt'altra cosa rispetto ai calendari poco edificanti di certe officine, lì la donna non è proprio proprio venerata.
    In quanto al caso tuo, a quel file che marcisce dentro il pc... ma tu l'hai vista la serie tv Sex and the city? Sono passati ben 19 anni dalla prima puntata e ci hanno detto che ha rivoluzionato la maniera in cui le donne parlano di sesso (o l'idea di come le donne parlino effettivamente di sesso). Non dare retta a Charlotte, lasciati trascinare da Samantha... ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Quell'incipit è una bomba, lo penso anch'io, forse, delle ultime letture, il più bello. Quando ho iniziato a leggere il libro, dopo quella pagina, mi sono fermata e ho chiamato mio marito: "senti, senti qua, come inizia questa scrittrice" (dovevo condividere il mio entusiasmo con qualcuno :))

      Sex and the city... vero! Non mi perdevo una puntata! Ora che ci penso..., i effetti...

      Elimina
  5. Scrivere storie senza pregiudizi non è semplice, ma per raccontare una storia verosimile serve una terminologia corrente non infiocchettata, bisogna liberarsi del pensiero che qualcuno potrebbe associare quello che accade nel romanzo alla vita dell'autrice, che poi qualcuno lo penserà lo stesso. In fondo siamo tutte grate a Sex and the city per aver finalmente parlato di sesso al femminile senza tabù.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Potrebbe essere il mio nuovo obiettivo, stando alle cose che sto scrivendo in questi giorni qui e altrove. ;)

      Elimina
  6. Ecco, romanzi del genere non riesco a leggerli: è più forte di me. Saranno pregiudizi, preconcetti, tabù, forma mentis: non so. Li trovo volgari. Non me ne volere, cara Marina. Il linguaggio, per quanto mi riguarda, è di fondamentale importanza: c'è troppa volgarità in giro. Gli stessi pensieri possono essere espressi in maniera più "pulita". Forse sono indietro con i tempi. Boh!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti capisco, Giuseppe e, in fondo, sono anch'io come te: lontana da tutte le manifestazioni di volgarità, ma qui provo ad astrarmi e a chiedermi se anche questa scrittura, schietta ma coerente con la storia e il personaggio, possa definirsi volgare o se, forse, la mia visione soggettiva mi condiziona e potrebbe valere la pena imparare a scrivere anche in modo più oggettivo.
      Mi interrogo, mi faccio domande: le risposte arrivano da sé, alla fine. :)

      Elimina
  7. Forse anche lei utilizza uno pseudonimo :D

    RispondiElimina
    Risposte
    1. l'ho verificato, perché, per un attimo, un dubbietto...
      Pare fosse proprio lei lei! :)

      Elimina
  8. Gli estratti che hai proposto mi sono piaciuti parecchio, anche perché non c'è autocompiacimento. Magari non sarei capace di scrivere con altrettanta disinvoltura, ma trovo molto più "pornografiche" e irritanti certe narrazioni maschiliste, dietro cui traspare, ed è chiarissima, la voce dell'autore.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Abbiamo avuto la stessa impressione: io non amo molto un certo modo di fare narrativa ed è facilissimo scadere nella volgarità vera. Di solito, non me ne vogliano i signori maschietti, ma questo genere di brutta scrittura appartiene a loro, ma quando è l'ostentazione di una donna che vuole apparire disinibita e anticonformista è anche peggio. Qui non ho trovato nulla di tutto ciò, anche perché c'era molta ironia e un grande senso dell'umorismo.

      Elimina
  9. Ho letto l'incipit: non è che mi abbia entusiasmato; invece, gli estratti che riporti mi paiono scritti meglio. Però il discorso che fai non fa una grinza (ma già lo sapevi, che la penso così).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io ho superato varie fasi, durante la lettura: a me l'incipit è piaciuto molto, non so, l'ho trovato straniante e mi ha suscitato subito curiosità; quando sono arrivata alla mansarda con il patrimonio nascosto, ho detto: "geniale!", poi... boh, ecco mi aspettavo di più viste le premesse entusiasmanti. La storia si è un po' smontata strada facendo.

      Elimina
  10. Ah, ma io certe cose non riesco a scriverle neppure sotto pseudonimo. Oddio, dei passi come quelli che hai riportato magari, alla fine le parole vanno scelte con criterio di precisione. È proprio quando i personaggi si denudano che mi blocco, non riesco mai a uscirne senza sfiorare l'involontariamente comico...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Anch'io risulto abbastanza grottesca. Forse bisogna proprio avercela nel sangue questa capacità: ma davvero, alla fine, uno scrittore deve sapere scrivere di tutto?

      Elimina
  11. Non so. È vero che in filtri possono falsare il racconto, ma sono portata a pensare che se apprezzo il passaggio dell'elenco di anatomia sessuale è perché lo trovo molto ironico, perché si percepisce che la scrittrice si stia divertendo a essere diretta, non c'è nulla di pornografico. Insomma, se la franchezza volge verso una certa ironia, il filtro è inutile.
    In altri casi, forse, dico forse, diventa necessario.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. L'ho pensato anch'io: non mi ha imbarazzato l'elenco e le altre cose collegate a questa faccenda, perché l'autrice ha saputo trasmettere ironia e l'ironia non è mai volgarità. Ho sorriso e ho apprezzato proprio questa spontaneità. Mi sono detta che, come persona, anche Carla Fiorentino debba essere spiritosa, perché nessuno che non sappia essere ironico anche nella vita sarebbe in grado di usare bene la leggerezza in contenuti scabrosi.

      Elimina