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giovedì 16 aprile 2020

Pandemia 2020 - E infine il tramonto


È trascorso il primo mese di arresti domiciliari e, facendo un bilancio, ammetto che l’abbrutimento da clausura forzata ha avuto anche i suoi aspetti positivi: la pelle del viso, senza trucco, respira; non lavo continuamente la roba dei miei figli, il che accorcia i tempi dei miei pomeriggi con in mano il ferro a vapore; non riceviamo gente in casa, dunque nessuno lamenta la presenza dell’asse da stiro in postazione fissa, ormai, piazzata in salone in modo da armonizzarsi con la libreria e la credenza; e non parliamo del tavolo trasformato in scrivania da lavoro: interamente invaso da fogli, agende, penne, ha un (dis)ordine che mio marito non vuole alterato. E chi osa metterci mano! 
Posso sfoggiare un look free, che per me significa tuta e capelli pinzati (nessuna sciatteria, però, quella è una cosa che mi fa vivere male: la tuta da fitness deve consentirmi di uscire senza farmi sembrare una casalinga afflitta); non ho l’obbligo del supermercato giornaliero: prima era un appuntamento quotidiano, adesso ho imparato che posso riempire il carrello una volta alla settimana e dare spazio ad altre cose, durante il giorno.
Non che questi siano i grandi vantaggi della super quarantena, ma, per dirla con un’espressione in uso: piango con un occhio.

Di contro, il lungo periodo, che ha imposto ritmi nuovi e trasformato le vite ordinarie in sopravvivenze straordinarie, comincia, per molti versi, a pesarmi: se non voglio rinunciare a un sorriso posso ancora raccontare della ricrescita baldanzosa dei capelli che, vista la mia quiescenza, crede di averla avuta vinta sulla mia volontà di eliminarla con un colpo di henné. 
Se, invece, metto a tacere la vena umoristica... è tutto un disastro.
Boccheggio. 
Mi mancano gli obiettivi, la progettualità, mi manca lo sguardo lungo, puntato altrove, che mi fa prendere la rincorsa e mi proietta su ciò che sarà domani in base a ciò che sto facendo oggi. 
Il futuro: non so pensare al futuro. 
A Natale sto già comprando i biglietti per la Pasqua in Sicilia; al telefono fisso appuntamenti con le mie amiche: “Qualche mese, ancora e ci rivedremo.” 
Dopo Pasqua sto già guardando il calendario per organizzare l’estate: quando partire, quando prenotare, chi coinvolgere, amici, parenti...
È un'attesa felice e all’approssimarsi delle date è un gran pullulare di preparativi: acquisti dell’ultima ora, valigie da preparare, obiettivi pronti per essere finalizzati.
La vita che ferve, nella sua banale, meravigliosa, ordinarietà: è a questo che vorrei tornare, cancellando l’intermezzo nefasto in cui siamo piombati.

Improvvisamente, si è fermato tutto, si è complicato tutto, tutto è diventato impossibile: progetti soppressi, viaggi non semplicemente rinviati, ma annullati, divieti che decretano distanze, in molti casi definitive. E l’incredulità si è cronicizzata, si è passati dall’ira contro chi viola le norme al tentativo di fraternizzare con chi fino al giorno prima ignoravamo, perché il “mal comune” è di conforto, crea solidarietà, avvicina le persone.

Ho pensato che scrivere fosse un buon modo per liberarmi dalla nebbia delle informazioni, dal peso della cronaca, coprire il brutto degli eventi in corso con il racconto di situazioni trattate volutamente con leggerezza, ma non c’è nulla di leggero nei pensieri che elaboro con ostinazione, nelle preoccupazioni che continuo ad avere, nella nostalgia della mia terra, che mi sembra ancora più lontana e irraggiungibile, ora che mi è interdetto l’esercizio della libertà di potervi tornare. 
Non mi lascio vincere dalla banalità del pessimismo, non è la convinzione che non ci sia un domani, non sono senza speranza, ma rimanere sequestrata nel qui e ora mi ha saturata. 
Non immaginavo che vivere quest’anomala piattezza mi avrebbe resa tanto insofferente: do smalto alla pazienza ogni giorno, rimanendo in balia della piaga pandemica, che si evolve senza concedere respiro; con le voci (evitabili) degli esperti che continuano a ripetere che la strada è ancora lunga e io penso che la gradualità con cui ne usciremo ci avrà, nel frattempo, messo addosso tante di quelle paure da non farci sentire più al sicuro di fronte a niente e a nessuno.

Poche cose mi distraggono dagli sfoghi malinconici: la voglia di leggere nonostante tutto, i post settimanali pubblicati nel blog, per me ancora importanti e infine il tramonto: me lo godo in silenzio, dal divano di casa mia, ogni sera, a quest'ora. È uno spettacolo irrinunciabile, l’unico in grado di trascinare il mio sguardo, e con esso tutti i pensieri, oltre questo spazio immoto e questo tempo che si è fermato.









27 commenti:

  1. Devo dire che il tramonto è uno spettacolo anche per me, l'unica visione concessa dalla mia finestra. Sono all'ultimo piano (senza ascensore, purtroppo) ma godo di una bella visuale, meno male! Fossi stata a piano terra mi sarebbe mancata l'aria...

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    1. Io ho sempre abitato nei piani alti e non mi sono mai mancati bei panorami: quando abitavo con i miei, dalla finestra della cucina, avvistavamo le Madonie, nella mia casa da sposata, vedevamo l’Etna. Adesso vediamo palazzi, ma siamo alti e vicino al cielo: il tramonto dalle finestre del salone è uno spettacolo bellissimo. Pensa che lo fotografo tutte le volte: ho una cartella piena di tramonti romani fotografati da casa mia. 🙂

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  2. Goditeli sempre questi tramonti e comincia a progettare il futuro come hai sempre fatto, ti farà bene.
    Quanto alla roba da stirare, sono una pessima casalinga se dico che non lo faccio da cinque anni?
    Accendo il ferro solo in casi estremi. Per il resto ho vietato le camicie a mio marito, ritiro la roba appena asciutta, la piego per bene ed è fatta. Odiami. 😅

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    1. Per ora non riesco proprio a progettare nulla, spero nell’estate che si avvicina: 🤞🏻
      Mio marito deve indossare la camicia a lavoro e i miei figli, nelle occasioni, non la disdegnano. Risultato: dieci camicie a settimana da stirare (quando sono puntuale e non le accumulo), per il resto anch’io da anni piego gli asciugamani così come li ritiro da fuori e delle lenzuola stiro solo il risvolto. Altroché odiarti: fai benissimo! 😜

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  3. Non sono una grande progettatrice, cerco di vivere molto il presente. Certo che adesso nel presente... è presente molto poco. Per ora reggo bene, ma speriamo che qualcosa cambi. In meglio, grazie. ;)

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    1. Non sono scoraggiata, comincio a sentire però la mancanza delle cose che sono sempre state possibili e adesso non lo sono: forse la cosa più pesante è il sapere i miei genitori soli ed io lontana. Tu mi dirai: vivendo a Roma, sono per forza lontani e soli, ma il sapere che mi basterebbe fare un biglietto aereo per stare con loro, il fatto di poterli rivedere quando voglio, accorcia qualunque distanza, psicologicamente mi salva dalla nostalgia. Adesso mi sembra di avere delle catene, cioè non è che sembra... io HO delle catene, che comincio a sentir strette.

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    2. Ti capisco bene, visto che mia madre è in ospedale al momento. E' a cinquanta chilometri da me, ma potrebbero essere mille, per quanto posso fare.

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    3. (Niente a che vedere con il COVID.)

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    4. Questo mi dispiace. Avevi accennato nel tuo post a problemi familiari... Non ci voleva, proprio no! Speriamo vada tutto bene. Coraggio!

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  4. Pensa a chi (uno a caso) abita a un primo piano circondato da altri palazzi e non vede né alba né tramonto né niente, solo... gli altri palazzi ;-)
    Io pure sto diventando insofferente, però cerco di riempire la mente continuando a progettare storie (anche il lavoro, sia pure "smart", un po' me la occupa) e inventandomi routine nuove, come il già citato "quarto d'ora di sole" sul balcone e la videochiamata serale ai miei genitori. Prima o poi lo troveranno stò cavolo di vaccino, nessun paese può permettersi un'economia in recessione...

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    1. L’altro giorno, per caso, parlavo con una vicina di casa che ha un’attività commerciale ferma. Ho letto quasi disperazione nelle sue parole: è l’unica fonte di reddito della famiglia (col marito ha un negozio di biancheria intima). Mi basta pensare a quanti vivono questa condizione per provare un’angoscia terribile: cosa lascerà questa pandemia, oltre naturalmente ai lutti che, non so in quanto tempo potranno essere superati!
      Leggo e scrivo: le giornate passano e, per fortuna, ho una bella veranda che non mi fa sentire in prigione, però non devo fermarmi a pensare e, purtroppo, ieri, quando ho scritto questo post, l’ho fatto.

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  5. La mancanza di progettualità che si unisce al ripetersi monotono delle giornate è effettivamente dura da affrontare. Io perlomeno ho mezza giornata occupata dalla didattica a distanza, una cosa abominevole finora, perché la mancanza di contatto con gli alunni falsa automaticamente ogni possibilità di insegnamento. Stiamo adempiendo a un dovere, niente di più.
    Io ho cominciato a muovermi di più, ascoltando magnifiche trasmissioni di Baricco su You Tube. È diventato un appuntamento molto piacevole.

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    1. L’insegnamento a distanza funziona, ma resta una forzatura, è inutile. Certo, necessaria, ma qualitativamente con mille pecche inevitabili.

      Il da fare, volendo, non mi manca: ho scoperto l’interesse per i podcast, ma certe volte mi sembra anche questa una forzatura, perché vivo l’ascolto come un riempitivo, qualcosa di cui, forse, farei a meno se potessi, per esempio, andare a nuotare o a fare una passeggiata al centro.
      Il mio lato positivo, poi, mi fa dire che potrebbe anche diventare una buona abitudine a prescindere dalla necessità che lo ha richiesto. E chissà che non sia davvero così. Aspettiamo gli eventi.

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  6. Il tramonto fa sempre bene all'anima, dovremmo scrutarlo ogni giorno infatti, ed ora che si può dovremmo farlo, anche perché non costa niente ;)

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    1. Dura poco, ma è di una tale intensità che sì, vale la pena goderselo ogni giorno.

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  7. Credo che l'isolamento inizi a pesare un po' a tutti. Qui siamo arrivati a "giochiamo a contare i piccioli che vediamo passare in cielo", che credo sia il fondo dell'abisso della noia. Per il resto speriamo. Purtroppo il mio infiltrato in big pharma (il marito) non ha notizie molto rassicuranti. Quindi aspettiamo, speriamo, aspettiamo, aspettiamo, aspettiamo...

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    1. Esatto, sono le notizie poco rassicuranti che aumentano il mio disagio. Non riesco a vedere una luce vera in fondo al tunnel, la vedo piccola piccolissima e dopo un mese di sacrifici collettivi mi pare una scarsissima consolazione.

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  8. Molto bello il post.
    Innanzitutto sì: stare in tuta non deve significare essere sciatti, ma stare comodi.
    Quanto al tempo, al programmarlo... eh, bel casino, vero. Nel senso che nemmeno io saprei ora pensare, al futuro. È tutto talmente assurdo che non puoi nemmeno programmare una banalissima serata in pizzeria, per dire...

    Moz-

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    1. Grazie, Miki.
      Ogni tanto provo a immaginare l’estate, che ancora è relativamente lontana, mi riempio di “forse” e mi vedo dentro l’acqua a nuotare (perché quello che mi sta mancando più di tutto, adesso, è potere andare in piscina), poi hai presente la bolla di sapone che esplode in aria? Ritorno bruscamente alla realtà mi vedo boccheggiare in veranda con i 30 gradi che a Roma sembrano 50 ed entrò in una specie di panico emotivo. Diciamo che non sono più molto ben disposta verso le aspettative.

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  9. Io ho continuato a lavorare, quindi sono riuscito a evitare la reclusione totale con relativi accenni di sconforto. Per il resto, i libri rimangono sempre un ottimo appiglio per... "viaggiare", almeno con la mente. E di questi tempi non è poco.

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    1. Sì, i libri sono una salvezza. Io, diversamente da quello che sta capitando alla maggior parte di persone, non ho mai smesso di leggere e anche con una certa alacrità. I libri restano il mio più valido diversivo.

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  10. L'idea di avere il controllo completo della nostra vita è una mera illusione. Possiamo progettare quanto vogliamo, mesi e mesi avanti a noi, ma l'imprevisto è sempre dietro l'angolo. Può essere una gamba ingessata da portare in vacanza, come ti era già capitato, può essere un parente che si ammala gravemente e necessita della nostra presenza, può essere anche una pandemia che ci obbliga in casa. E dove oltre al rischio salute c'è pure il rischio di perdere il lavoro, qualcuno anche la casa.
    Personalmente non li conto nemmeno più i progetti che mi sono saltati per questo 2020, un viaggio in Scozia di dieci giorni dove non c'era solo l'impegno del Gala di My Peak Challenge (spostato dall'organizzazione direttamente a maggio 2021, la dice lunga su quando l'Europa ne uscirà davvero), ma appuntamenti di scrittura e di amicizia oltreoceano. Senza contare il denaro perso. Ma a Pasquetta ho scoperto che stavamo per perdere un amico e l'abbiamo visto direttamente dal giornale. Un armadio di due metri, ex rugbista, in ottima salute, nessuna patologia, che è stato due settimane con la campana d'ossigeno a rischio d'intubazione. E' dimagrito 15 chili e dell'ospedale ricorda solo tanto dolore. Sentito al telefono, era più su di morale di tutti noi. Certo è un'esperienza che cambia, in meglio di sicuro. Per quanto sia difficile, e sfido chiunque a dire che non lo è stare chiusi in casa per un mese, occorre apprezzare le piccole cose. Nel nostro caso poi buttarsi nella creatività, in qualsiasi forma.

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    1. Non è tanto (o solo) il fallimento dei progetti, in fondo quando dico che mi mancano i miei che so soli giù in Sicilia non aggiungo nulla alla normalità, ora che vivo a Roma: sono comunque lontana da loro e loro restano soli, ma è l’idea di non poterli comunque raggiungere anche volendo; è un ostacolo psicologico, ma in me ha un effetto debilitante: è come se vedessi solo pareti di piombo davanti a me e rassegnarmi all’impotenza alla lunga mi ha spento.
      Anch’io, in questo momento, sono in apprensione per il marito di un’amica, ricoverato con il coronavirus, intubato, in terapia intensiva per tre settimane e ora finalmente fuori pericolo (ma ancora in ospedale per tutti gli accertamenti del caso). E non sai il mio panico quando ho avuto la notizia: la moglie, questa mia amica, è una lettrice che vedo mensilmente con il mio gruppo di lettura e io le ero stata seduta accanto all’ultimo incontro esattamente una settimana prima che si sapesse del marito. I presenti di quella sera, me compresa, si sono messi in quarantena da soli e per quindici giorni non ci siamo mossi da casa con il terrore di avere contratto la malattia. Fortunatamente stiamo tutti bene (anche la mia amica non ha mai avuto nulla). È successo un mese fa, ormai, anche di più.
      Le piccole cose, certo, è vero, si apprezzano di più e anche le nuove abitudini si consolidano: mi sono quasi abituata anche a fare la fila al supermercato, la vivo ormai come una cosa normale, so che se ne vanno due ore del mio tempo, ma mi organizzo: porto un libro e l’attesa è risolta. Penso, però, a tutte le persone che hanno attività lavorative ferme ed entro nella confusione per loro, mi immedesimo, sento la loro sofferenza. Questa immobilità fa soffrire e sai qual è la cosa che mi fa ingoiare il groppone? Che le notizie non sono mai incoraggianti: la mortalità continua a essere alta, dove sono i miglioramenti legati al lockdown? I nostri sacrifici, quelli maggiori di tanti, cosa hanno prodotto? Non ce ne stiamo uscendo e nessuno sa spiegare le ragioni. Che accade? Che accadrà?

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  11. La mortalità si sta abbassando, ma non è facile contrastare un contagio di questo tipo, soprattutto per la presenza di asintomatici, che non sviluppano la malattia ma sono contagiosi. Per quanto? 15 giorni dicevano, ma qualche contagio è arrivato a 27. Siamo chiusi in casa eppure con le attività essenziali ci sono comunque parecchi lavoratori all'opera, a rischio. Soprattutto medici. Certo ci sono paesi che sembrano più virtuosi anche senza lockdown. Dalla Germania che conta i morti di Covid solo in assenza di altre patologie ma poi non riesce a nascondere il picco di utilizzo delle terapie intensive, nè potrà nascondere tra qualche mese la curva di morti all'anagrafe (o magari la diminuzione delle utenze telefoniche mobili, che è uno degli indicatori usati per confutare i numeri della Cina). Oppure la Svezia che vive in apparenza tranquilla con negozi e scuole aperte, dimenticando che la loro densità di popolazione media abbassa la percentuale, ma nelle grandi città i numeri ci superano. Ricordiamoci che la Matematica non è un'opinione, ma la Statistica purtroppo si.
    Per le attività lavorative ferme si prevede ci sarà un picco in ripartenza. Pensa infatti a quante cose stai rimandando, a quanti acquisti sospesi che non vedi l'ora di fare. Ci sarà solo da organizzarsi con mascherina e distanza e ancora consegne a domicilio e forse orari prolungati. Ma come siamo stati i primi a chiudere, saremo i primi a riaprire e ripartire.

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    1. Speriamo bene, Barbara. C’è sempre una parte di me che me lo fa dire ogni giorno,ridottissima, ma c’è. 🤞🏻

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  12. Io venerdì sono dovuto uscire perché avevo bisogno di fare anche solo quel giretto di 10 minuti lungo il quartiere, perché stavo flippando. Oltre tutto mi aveva preso un mal di stomaco tremendo per diversi giorni, perché l'irrinunciabile passeggiata quotidiana per me era fortemente distensiva, e l'effetto stressogeno di questa situazione si fa sentire.
    Poi oggi ho preso i report degli esercizi che hanno fatto gli studenti in questi giorni, e scorrendo i nomi mi ha preso un attacco di malinconia, ché li ho dovuti abbandonare dal vivo a inizio marzo e poi definitivamente a fine marzo, e mi mancano.

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    1. Già, si flippa sempre più spesso ormai, a chi lo dici! Per me era irrinunciabile l’appuntamento con la piscina, che, credo, rimarrà interdetto fino a dopo l’estate, trattandosi di un impianto comunale.
      Tu sei un insegnante, capisco il tuo senso di mancanza: mi hai fatto pensare alla professoressa di italiano di mio figlio, che, a fine video lezione, tutte le volte, non fa che dire ai suoi ragazzi quanto sia dispiaciuta di non potere più rivedere la classe: giusto questo era il suo ultimo anno prima del pensionamento. Pensa che tristezza!

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