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giovedì 9 luglio 2020

HACCA EDIZIONI: "La solitudine del riporto" di Daniele Zito

Per la rubrica “Il vino buono sta nelle botti piccole”, oggi vi presento la casa editrice indipendente: 


Oserei dire che questo libro ha un incipit che inganna il lettore. Le mie parole, che sembrano essere un deterrente alla lettura, nascondono, al contrario, la pretesa di mostrarne l’elemento vincente.

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“La solitudine del riporto” di Daniele Zito, ha un inizio comico, con l’attenzione tutta concentrata sull’agghiacciante riporto che un libraio ogni mattina prova a domare davanti allo specchio del bagno:

Trascorreva ore a pettinarlo, a spostarlo ora da un lato ora dall’altro, a ungerlo, a bagnarlo, a impiastricciarlo con un gel molto potente, quasi un mastice senza ottenere il benché minimo risultato.

La scena è ridicola e mi concentro su questo aspetto, ignorando una serie di particolari disseminati già nel prologo che mi stanno dicendo esattamente chi è questo libraio: un uomo desolatamente solo, che trascorre la maggior parte del suo tempo dentro una libreria, circondato da libri verso cui nutre uno schietto sentimento di repulsione che sovente si trasformava in limpida rabbia che andava a digradare verso le sfaccettature più cupe dell’odio cristallino.
Un libraio che odia i libri è un’inedita rappresentazione di una figura che, invece, in genere, fa del libro il centro della propria esistenza. E quando leggo la sequenza della cliente che cerca un’edizione di Anna Karenina con le osservazioni che ne conseguono, rido e rileggo il passo ad altri perché ho proprio voglia di condividere una scena così esilarante:


Penso: che storia sto leggendo? Sarà qualcosa di leggero e divertente, con sfumature ironiche e pennellate di scrittura comica.
L’ironia è presente, ma la comicità no.

Conoscete la differenza che fa Pirandello tra l’”avvertimento del contrario”, proprio della comicità e il “sentimento del contrario”, proprio dell’umorismo? La vecchia imbellettata in modo grossolano, con i capelli malamente tinti e conciata con abiti giovanili “avverte”, a prima vista e in modo superficiale, che lei è tutto il contrario della figura rispettabile che una signora di quell’età dovrebbe incarnare e per questo suscita una risata spontanea. Mentre se accompagniamo alle apparenze una riflessione sui motivi che potrebbero avere indotto l’anziana donna a fare quella scelta (perché così nasconde le rughe e può sperare di non perdere l’amore del marito più giovane), allora passiamo al “sentimento del contrario” che dona comprensione e fa sorridere a denti stretti, alimentando non la spiccia risibilità, bensì una sentita compassione. 
Mi è venuta subito in mente la teoria pirandelliana perché qui c’è un uomo, tale Antonio Torrecamonica, che fa il libraio senza averne la vocazione, non di bell’aspetto, scorbutico con tutti i clienti, (soprattutto con quelli esigenti), costretto a fare una vita che non si è scelto, che diverte il lettore quando racconta di usare taluni testi come carta igienica, ma in realtà immalinconisce, via via che la sua storia si dipana fra le pagine del libro. E non si lascia disprezzare per la schiettezza con cui odia i libri, ma compatire per le ragioni che hanno alimentato nel tempo questa sua repulsione.

Quello che ho notato e mi è subito piaciuto è stata la capacità dell’autore di gestire molto bene la backstory del personaggio: c’è un passato che non si vede, ma emerge nel corso della narrazione anche grazie all'importanza attribuita a certi oggetti, come un vecchio telefono, utilizzato per mettersi in contatto con la mamma e il fratello, protagonisti principali di un’esistenza ferma a quel momento in cui qualcosa interviene a trasformare le loro vite: trascorrere qualche anno chiusi in un manicomio lascia tracce indelebili e Antonio Torrecamonica ne sa qualcosa.
Un vecchio telefono e un libro: “L’amore ai tempi del colera” di Gabriel Garcìa Màrquez.
Erano passati vent’anni dall’ultima volta che il libraio ne aveva letto uno e aveva promesso a se stesso che non lo avrebbe più fatto. 
Invece, quando il destino gli rimette in mano il romanzo e lui butta lo sguardo alla copertina con il vascello che squarciava le tenebre di un mare caraibico, si inebria, sente di nuovo il peso delle parole tra le dita, che rabbia e oblio gli avevano fatto dimenticare e ripensa alla storia di un uomo che aspetta cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni per dichiararsi ancora innamorato della donna che ha amato per una vita intera.

“Invecchiare aspettando, il peggior modo di invecchiare”.

Nulla, nella vita del libraio, è mai cambiato. 

La sua esistenza era piena solo di persone morte. Persone morte e fantasmi. Era troppo vecchio per prendere in considerazione anche l'idea di farla finita. I giovani suicidi sono belli e tragici, i vecchi che si suicidano sono brutti e ridicoli, semplicemente brutti e ridicoli.

Così, infrange la promessa, ricomincia a leggere e la sua miseria diventa improvvisamente chiara: come aveva fatto a ridursi così? 
Nel giorno del suo cinquantottesimo compleanno decide di regalarsi la libertà negata: libertà da chi lo aveva chiuso in un’altra gabbia. La libreria era il suo lavoro, la sua casa, ma anche la sua prigione. Don Pietrino, capo della malavita organizzata, aveva stretto un patto con lui: lo avrebbe fatto uscire dal manicomio, ma in cambio lo obbligava a gestire una libreria, luogo usato per nascondere loschi scambi di cui il libraio si era reso, suo malgrado, complice.

La storia ha un intreccio che funziona, con personaggi che si interfacciano con il libraio ora direttamente ora indirettamente: c’è un commissario che cerca di ricostruire la dinamica di taluni fatti, il Vice dello spietato boss della malavita (quest’ultimo, uomo volutamente descritto come privo di ogni scrupolo) che muove qualche pedina; una donna, Irene, fulcro di una vicenda paradossale, che esaspera la condizione umana e mentale del libraio fino a un’uscita di scena davvero spettacolare: l’ultimo capitolo è una indovinata prova di immedesimazione che non lascia indifferenti.

Non si ride, oltre le prime pagine: nel racconto si percepisce un’ironia sottile che, però, incontra il dramma delle verità distribuite lungo la narrazione. E non mancano gli omaggi alla grande letteratura, i rimandi letterari e le citazioni che rendono ancora più pregevoli le intenzioni espresse nell'opera dall'autore.

Del resto, il titolo contiene il senso di tutta la storia e, come dice il libraio al questore, durante un interrogatorio che lo mette alle strette:

“la vita è una barzelletta troppo arguta. La capisci sempre troppo tardi, quando ormai non fa più ridere”.

*****

HACCA Edizioni nasce nel 2006 e si sviluppa nella direzione della narrativa contemporanea, puntando alla scoperta di nuove voci di qualità. Nello specifico, con la collana “Novecento.0", stampa e ristampa quello che di novecentesco è ancora in grado di produrre visioni. 

Per approfondire la conoscenza di questa casa editrice, visitate il sito: Hacca.it

8 commenti:

  1. Sembra davvero interessante, molto pirandelliano (e non lo dico solo per assonanza con la tua applicazione del suo teorema riguardo il tipo di comicità di questo libro).
    Mi annoto casa editrice e autore ;-)

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  2. La solitudine di un riporto in un mondo di calvi riscattati dall'attore di Montalbano...meravigliosa la frase del librario al questore.

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  3. Non ci crederai, ma mi hanno appena consegnato una copia di Anna Karenina... immagina la mia faccia ora a leggere quell'estratto!! E ti dirò, con 1110 pagine, dove due pagine (1 foglio) potrebbero equivalere a due strappi, pagina profumate e morbide per giunta, magari è pure conveniente, rispetto alla carta igienica! Che delirio!! :D :D :D
    Scherzi a parte, se ho ben capito, questo romanzo parte con un velo di ironia che alla fine diventa molto amara. Una lettura comunque profonda, quasi quasi mi segno anche questo.

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    1. Casomai, all’occorrenza, se proprio proprio...strappa le pagine che parlano di quello str*** di Vronskij 😂😂
      Il romanzo (Anna Karenina) è un capolavoro: carta igienica per culi d’oro, al limite! 😂😂

      Per quanto riguarda il nostro libraio sì, questa è una storia bella e triste.

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  4. Questo tuo post mi ha fatto venire in mentre tre personaggi.
    Il primo è Giulio Cesare. Pensa che si fa risalire a lui l'invenzione del riporto. Sembra che all'epoca in cui era comandante dell'esercito fosse noto per passare molto tempo nella propria tenda ad acconciarsi per cercare di nascondere la calvizie.
    Il secondo è uno dei personaggi della serie di libri di Alice Basso, un consulente editoriale che lavora per una casa editrice e non ama, fino quasi a disprezzare, i libri, che per lui sono solo un modo per fare soldi. Alla fine della serie, come al protagonista di questo libro, sarà costretto a cambiare idea.
    Il terzo è uno dei personaggi del mio libro che, non avendo trovato successo coi libri che ha scritto, lo ottiene con una serie di romanzi rosa, verso i quali prova un grandissimo imbarazzo, al punto da nascondersi dietro uno pseudonimo femminile.

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    1. Ah, quella di Giulio Cesare non la conoscevo, ma pensa, pure lui ad aggiustarsi il riporto!
      CI sono scrittori che hanno fatto davvero la fortuna con romanzi rosa: un genere che non tramonta mai. 🙂

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