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martedì 31 gennaio 2023

Cosmopolis: dal nulla, un’opportunità

Io e mio figlio abbiamo un piccolo scambio su whatsapp: lui è di ritorno dal Conservatorio, io sono a casa. Il bip mi annuncia il suo messaggio: 


Riporta lo stralcio di un libro letto in metro da qualcuno. Mi dice: Ma chi è che scrive così.


Chiamata in causa da un’osservazione tanto assertiva, metto più attenzione nel considerare il frammento. Intanto la prima domanda che mi pongo è: ma come ha fatto mio figlio a leggere quelle righe dal libro di una persona seduta davanti a lui? Immagino che questa sia una di quelle incoerenze che correggerei in un eventuale editing, poi scendo più nel pratico: mio figlio non è scrittore e ha semplificato (infatti, come mi spiegherà al ritorno, lui stava in piedi davanti alla ragazza seduta, poi, spinto dalla curiosità, aveva ruotato attorno al palo di sostegno e si era posto accanto a lei). Mi concentro sul periodo virgolettato:


La sua bellezza aveva una componente di distacco. Questa era una cosa affascinante, o forse no?


Non mi piace e, sulle prime, assecondo quel ma chi è che scrive così di mio figlio: penso a qualche esordio poco riuscito, a una storia condivisa su wattpad, a un ebook autopubblicato, in pratica mi si attiva l’”alert bias”, nel mio caso molto forte (che novità!), poi, però, dopo un passaggio neutro in cui gli chiedo se sta tornando, lui sollecita ancora il mio giudizio: 



Concordi che è una frase devastante o sono io troppo nazista, scrive.

Non concordo del tutto, non mi pare devastante. Mi si illumina l’area possibilista del cervello e rispondo: 



perché, letto così okay, è un pensiero diciamo privo di appeal, ma chissà cosa lo precede, chissà cosa lo segue, chissà di cosa parla, in breve: andrebbe contestualizzato. È importante inserirlo in un contesto se vogliamo avere tutti gli elementi per un giudizio: caliamo ciò che è stato scritto dentro la storia raccontata e vediamo cosa quella storia ha da dirci. In fondo è contestualizzando un concetto, un’affermazione, un comportamento che riusciamo a chiarirne meglio il senso, a darne un’adeguata interpretazione.

Se vogliamo generalizzare il fenomeno, estrapolare tre righe dal capitolo di un romanzo non ci dice granché del romanzo, tranne se le citiamo a ragione, nel presupposto di cogliere la chiave di lettura in grado di catturare l’attenzione del lettore. Un po’ come accade quando nelle quarte di copertina viene riportato un frammento contenuto nel testo: la frase che non ne colga l’essenza oppure che non fornisca un indizio per intuire il genere o lo stile della narrazione non comunica nulla e certe volte può persino fuorviare. Chiaramente questo è un caso diverso: mio figlio ha solo letto uno spunto a caso, capitatogli sotto gli occhi giusto in quella frazione di tempo, durante lo spostamento in metro. E proprio per tale ragione, il pezzo così acontestualizzato meriterebbe una chance.



Il giudice intransigente con cui sto messaggiando ribadisce che Questa era una cosa affascinante non si scrive in nessun contesto e rido perché per farmi capire quanto di scarso livello gli appaia la frase, mi cita una persona che conosciamo bene entrambi e che conoscete anche voi: Mi sembra..., dice (qui cancello ovviamente il suo nome). Trattasi dell’amica di cui una volta ho parlato nei due post Controverse verità e Allora, ti è piaciuto il mio romanzo? 

Per me suona meno la locuzione la componente di distacco: chissà cosa voleva dire chi ha scritto il libro! La curiosità sorge spontanea, ancorché non immediata: Ma hai letto chi l’ha scritto, chiedo.

Il cellulare resta muto e riapriamo la discussione, più tardi, al suo ritorno.


Non capisco bene perché a mio figlio paia del tutto sbagliato scrivere: “Questa era una cosa affascinante”, io non sono così drastica, ma il senso della frase non mi porta a niente, com’è giusto che sia, estrapolata dal suo contesto, appunto.

Se fosse stato un incipit, avrei concordato: partire col piede giusto è un vantaggio, lo abbiamo detto tante volte, ma questa frase non è l’inizio di un libro, è parte di un qualcosa che non conosciamo e ciò richiede una sorta di rispettosa sospensione del giudizio. Per farla breve, mi lancio nella strenua difesa della contestualizzazione di una frase che in apparenza non dice nulla e sembra pure poco accurata e propongo di verificare chi l’ha scritta, copiaincollandola nel motore di ricerca. 

A quel punto resto basita.


Smentita, nel mio iniziale pregiudizio, spiego a mio figlio che chi ha scritto il libro è uno dei più noti scrittori americani contemporanei.

Di lui ho letto un romanzo, qualche anno fa, che non mi è piaciuto, ma riconosco che il mio giudizio soggettivo non aveva, allora, trovato granché riscontro nelle piattaforme in cui le recensioni erano positive. E ora quest’altra sua opera attira la mia curiosità, un po’ per la discussione con mio figlio, un po’ per la trama: 


“Un giovanissimo miliardario vive in un attico su tre piani, colleziona quadri e squali, ha una moglie di prestigio e patrimonio adeguati. Una splendida mattina, spinto da una strana inquietudine, sale in limousine e dice all'autista di portarlo dall'altra parte di Manhattan, nel West Side per "tagliarsi i capelli". Inizia così un viaggio che è una metafora, un attraversamento da est a ovest del cuore del mondo in una sola giornata, un percorso alla ricerca della proprie radici e della morte.”


Ho lanciato una nuova sfida a me stessa, che è una doppia sfida: voglio offrirmi l’occasione di contestualizzare la controversa frase carpita da una lettura altrui (che poi, bisognerebbe pure non trascurare la faccenda "traduzione"), in più vorrei (eventualmente) riabilitare l’autore, dopo la scarsa esperienza fatta con la sua penultima pubblicazione.

Dal nulla un’opportunità, insomma.









6 commenti:

  1. Non ho letto nulla di lui e quindi non dovrei esprimermi, ma da quanto ho capito da quel che si dice delle sue opere è quel che io definisco uno scrittore "astratto" e quindi non mi sento motivato a provare la lettura.
    Attendo con curiosità la tua opinione.

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    1. Ne finirò a breve uno che mi sta piacendo molto (non di DeLillo), speriamo non debba rimpiangere, dopo, questa bella lettura! :)

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  2. Sai cosa ti dico? Che avrei risposto a tuo figlio nello stesso identico modo, difendendo quella frase e cercandone una contestualizzazione. Potrebbe anche essere un dialogo interno, un narratore in prima persona. E allora potrebbe essere la frase giusta. Ma aspetterò la tua lettura e le tue considerazioni. :)

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    1. Lui sosteneva che dire "Questa è una cosa affascinante" non è corretto o meglio non suona bene. Che poi, vai a vedere com'è scritto in originale, al solito! Comunque me ne farò un'idea il più oggettiva possibile.

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  3. Finalmente riesco a commentare. Non c'è niente da fare, una frase estrapolata dal contesto a volte può sconvolgere. Ci può sembrare sgrammaticata, strana, chissà come messa in quel rigo specifico, ecc. Estrapolare e trarne un giudizio non è mai la cosa giusta da fare. Se penso a tantissimi passaggi di Saramago, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli - pare che la traduttrice sia oltremodo attendibile, quindi non sono errori ma una trasposizione fedele dello stile - ma anche McCarthy, che adoro, può farci cadere nell'errore di pensare "ma che razza di scrittore sarebbe?". C'è un tipo di linguaggio vicino alla fluidità del pensiero, magari anche legato allo slang, che rende quello specifico romanzo esattamente "quel che è".
    Puoi tranquillizzare Enrico, chissà quante volte anche lui si sarà imbattuto in espressioni strane e non se n'è accorto perché totalmente immerso nella narrazione. :)

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    1. La penso anch'io così, ma - devo dire - Edoardo (era lui: il nostro prof.) ha argomentato bene le sue ragioni. Adesso l'ultima parola spetterà a me: dopo la nostra lettura condivisa, voglio vedere che storia sarà questa di DeLillo.

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