Il mio viaggio nel mondo di Proust continua con un post che stavolta lo mette a nudo, esponendolo, probabilmente, al giudizio poco lusinghiero di chi si soffermerà a leggerne il contenuto. Sì, perché dello scrittore si tramanda l’idea “romantica” di un uomo fragile, afflitto da una malattia invalidante; colto, spiritoso, con numerosi interessi: arte, musica, religione, filosofia; attentissimo esaminatore della bellezza della natura e degli oggetti che antropomorfizza per coglierne l’essenza. Tutta la sua opera attinge a un patrimonio smisurato di conoscenze e risponde a una pregevole indagine introspettiva densa di significati. Non vi ho mai tenuto nascosto il mio amore per la Recherche, letta due volte proprio per penetrarne il mistero, eppure ogni approfondimento che ne ho fatto ha svelato piccoli tasselli di una vita, quella del suo autore, che mai mi sarei aspettata di attribuirgli.
Esiste un Marcel Proust pervertito, voyeur, sadomasochista, che si affaccia nel romanzo attraverso la narrazione di taluni episodi emblematici, anche in quelli in cui il Narratore non è il diretto protagonista. Lo studio delle esaustive note contenute nell’edizione dell’opera in mio possesso (I Meridiani, Mondadori) mi è stato molto di aiuto: sono ricchissime, articolate, piene di rimandi, riferimenti, informazioni ad ampio spettro. Così, tali note e la lettura di due interessanti libri, il saggio “La colomba pugnalata” di Pietro Citati e “Il vento attraversa le nostre anime” di Lorenza Foschini, hanno svelato un Marcel Proust inedito e non certo per via del suo orientamento sessuale, eluso ma mai trascurato, bensì delle derive cui le passioni lo hanno trascinato lungo l’arco della sua vita.
Qui proverò a raccogliere quelle che mi hanno più colpita, precisando che nulla di ciò che ho scoperto intacca il mio giudizio sulla grandezza dell’opera di Proust. Non cambio opinione nemmeno sullo scrittore-Proust e verso l’uomo-Proust mantengo una curiosità distaccata, che nonostante tutto mi intriga e mi attrae, un po’ come tutto ciò che è del tutto distante da me.
A parte alcuni disegni visionari, creati durante le lunghe notti d’insonnia, nei quali, nei cappelli delle dame o nei nasi pronunciati dei cavalieri si colgono chiari riferimenti a simboli fallici, Proust ha una predilezione per l’arte medievale e destina alcuni schizzi (che prendono spunto da un’opera di Émile Mâle sull’iconografia religiosa nelle cattedrali francesi) alla celebrazione di Reynaldo Hahn, con cui ha una relazione. In tali illustrazioni lo scrittore esprime la propria vocazione dissacratoria e intreccia sacro e profano, mettendo al posto di Cristo la figura dell’amante. Hahn è “il dio unico della religione personale di Marcel” e in effetti questi si diverte a pervertire gli spazi sacri, le chiese diventano bordelli, lui si raffigura sotto sembianze animali (un piccolo pony) che si fa strigliare, scudisciare, cavalcare dal padrone Reynaldo che lo domina, circondato da vetrate e sculture religiose. Scopriamo un Marcel Proust sadomaso che riversa questo aspetto della sua persona nella Recherche: lo fa nel primo volume, quando racconta la profanazione operata dalla figlia del musicista Vinteuil, la quale sputa sulla foto del padre defunto mentre abbraccia la sua amante (che non fa mistero di disprezzarlo) e nell’ultimo libro, nella scena grottesca della seduta sadomaso del barone di Charlus, ospite di riguardo di un bordello parigino. E con taluni “posti proibiti” Proust ha una certa dimestichezza: secondo un rapporto redatto dalla polizia nel 1918, a seguito dell’irruzione in una pensione adibita a “luogo di incontri di pederasti maggiorenni e minorenni”, tra gli avventori rinvenuti si registra la presenza di “Proust Marcel, 46 anni, benestante, 102, bld Haussmann”. La pensione appartiene ad Albert Le Cuziat, valletto nell’alta società parigina, poi divenuto tenutario della casa di tolleranza, arredata con alcuni mobili dismessi, dono dello scrittore. Proust lo definisce “il mio Gotha vivente”, perché gli fornisce notizie di varia natura e soprattutto lo rende edotto dei vizi della clientela. Ma lo asseconda anche in un’altra crudele ossessione: Proust è conosciuto, nell’antro più recondito della sua vita, come "l’uomo dei topi”, perché si compiace nel torturare le sfortunate creature, che lui fa bastonare o trafiggere con lunghi spilloni da giovanotti in tenuta adamitica lì, nel bordello di Le Cuziat da lui frequentato.
Un atto di puro sadismo che non rende onore alla memoria del grande scrittore francese.
Individuiamo nell’atto sadico “un nodo tra la fantasia di aggressione anale e i contraddittori sentimenti di colpa, ribellione e rivendicazione che nutriva nei confronti dei genitori morti” (lo leggo nella nota introduttiva del Tempo ritrovato a cura di Daria Galateria) e se in talune fantasie perverse riscontriamo un modo per raggiungere le massime vette di piacere erotico, non viene difficile immaginare un'analoga motivazione nel gusto del Narratore di spiare e penetrare, non visto, l’intimità altrui. Accade nell’episodio sopra descritto dell’incontro segreto tra Mademoiselle Vinteuil e l’amica:
“La finestra era socchiusa, la lampada accesa, vedevo tutti i suoi movimenti senza che lei mi vedesse [...] Poi Mademoiselle Vinteuil si lasciò cadere sul divano, coperta dal corpo dell’amica [...]”
e quando il Narratore, in Sodoma e Gomorra, segue di nascosto il gioco di sguardi e ammiccamenti tra il barone di Charlus e Jupien (il farsettaio dei Guermantes). Dopo avere intercettato i “suoni inarticolati” provenienti da una stanza dove, cauti, si appartano, scopre che entrambi sono degli “invertiti”:
“[...] ero salito a passi felpati sulla mia scala per guardare – senza per altro aprirlo – attraverso il vasistas [...]”
In altre due occasioni, all’interno dell’opera, Proust manifesta il proprio voyeurismo. Stavolta siamo nel sesto volume, Albertine scomparsa, quando il Narratore rielabora la conversazione avuta con Andrée, una delle fanciulle in fiore, amica (e, per lui, probabile amante) di Albertine:
“Dissi ad Andrée che sarebbe stato per me di estremo interesse se mi avesse consentito di assistere (lei magari limitandosi a semplici carezze che non la mettessero troppo in imbarazzo davanti a me) mentre faceva quelle cose con qualche amica di Albertine che avesse gli stessi gusti.”
e, poche pagine dopo, quando rievoca l’idea che ebbe per smascherare ancora una volta le bugie di Albertine circa la sua presunta natura lesbica:
“In una casa d’appuntamenti avevo fatto venire due piccole lavandaie di un quartiere dove spesso si recava Albertine. Sotto le carezze dell’altra, una di loro cominciò di colpo a far udire qualcosa di cui sulle prime non riuscii ad afferrare cosa fosse [...] mi ci volle del tempo per capire come quel rumore esprimesse qualcosa cui – sempre per analogia con quanto io stesso, assai diversamente, avevo provato – diedi il nome di piacere.”
L’episodio in cui il Narratore si porta in casa una bambina povera, pagandole un biglietto da cinquecento franchi, per cullarla un po’ sulle ginocchia (con la conseguente denuncia dei genitori per sottrazione di minori), non fa di Marcel (nella realtà o nella finzione) un pedofilo, al contrario del Commissario, al quale piacevano le ragazzine, che gli consiglia di essere più accorto:
“Diamine, non si fanno approcci così bruschi, si rischia di sciupare tutto. D’altronde, ragazzine meglio di quella potete trovarne dappertutto, e per meno.”
Eppure, subito dopo avere congedato la piccola, Marcel ha un ripensamento:
“...il pensiero d’avere accanto a me qualche altra bambina, di non restare mai solo senza il soccorso d’una presenza innocente, fu la sola fantasia che mi permise di sopportare l’idea che Albertine, forse, sarebbe rimasta qualche tempo senza tornare.”
e questo sì, effonde il lezzo, latente, della pedofilia.
Marcel è ossessionato dall’ambigua sessualità di Albertine, così nella sua opera Proust fa frequenti allusioni, usa metafore, si appella ai doppi sensi che gli consentono di trasmettere, velate, le proprie fissazioni.
C’è tutta una parte, ne “La prigioniera”, dove lo scrittore si dilunga nel descrivere l’incanto dei vecchi quartieri aristocratici che al mattino si fanno “popolari” grazie alla “musica della folla”, quelle cantilene intonate da artigiani e venditori ambulanti che “strillano” per la strada la merce esposta: “Ah, le bigorneaux, deux sous le bigorneaux”... Il Narratore le ascolta dal suo appartamento e quelle voci gli sembrano come il segnale gioioso del risveglio di Albertine, che adesso vive in casa sua. E qua viene il bello: tutto ciò che appare nelle pagine del libro non è altro che il mercanteggiare quotidiano dei bottegai del quartiere, eppure c’è un sottobosco dove pullula il non detto di Marcel, che riflette ogni suo timore e il disprezzo per ciò che crede gli nasconda la sua amata. Così noi leggiamo la traduzione dal francese e diciamo okay: “ah, le conchiglie, a due soldi le conchiglie” (i molluschi tanto amati da Albertine), ma nella lingua originale, i termini francesi presentano tutti un doppio senso dall’inequivocabile richiamo sessuale: la bigorneau, in quanto conchiglia, può significare “vagina”.
“Tosacani, pelagatti...?”: “Tond les chiens, coupe les chats,...” merce che alle orecchie del Narratore hanno un suono diverso: si dice “chienne” di una donna impudica e “chat”, in senso stretto, è la peluria del pube. Per estensione, i termini “queue” e “coteau”, “poireau” , “carotte” celano il significato di “pene”; “orange” indica un piccolo seno; “fond” è la vagina, come i secondi significati di “huître” (ostrica), “crevette” (gambero),”moule”, “laitue” o “raie” (che può essere anche il solco fra i due glutei). “Maquereau”, in francese, significa correntemente “sgombro”, ma anche “magnaccia” e poi ci sono tutta una serie di frasi idiomatiche, che un attento interprete della Recherche non può non notare: “gober le merlan” è la fellatio, mentre “avoir les yeux de merlan frit”, specialmente parlando di una donna, sottintende il raggiungimento dell’orgasmo; “aux asperges” designa un tipo particolare di rapporto orale, “botte florentine” è un coito anale. E gli esempi sono tanti (tre pagine di note fitte e molto dettagliate): ce n’è per tutti i gusti!
Ora che Proust si sia in qualche modo divertito a sottintendere molti significati trasversali, citando la fauna marina e il mondo ortofrutticolo decantati dai venditori ambulanti, è probabile, di sicuro l’intero brano nasconde diverse chiavi di lettura e una di esse ha a che fare con la sessualità e le complesse implicazioni che da essa discendono nella vita dello scrittore francese.
Adesso ho tra le mani un altro libro che volevo fortemente leggere: “Monsieur Proust” che raccoglie le testimonianze di chi conosceva Marcel Proust meglio di chiunque altro: la sua governante, Céleste Albaret (presente accanto a lui negli ultimi otto, decisivi, anni della sua vita). Chissà cosa madame Albaret mi racconterà, se smonterà l’opinione che mi sono fatta dello scrittore, se riuscirà a farmi conoscere il vero Proust, come nella promessa fatta (e mantenuta) al traduttore, allorché si decise a parlare di lui, dopo cinquant’anni dalla morte.
Gli artisti, i letterati, sono esseri umani come noi con le loro debolezze, meschinità e peccatucci morali. Noi ammiriamo la sublimità della loro arte creativa, però (cito Yukio Mishima) "per uno scrittore accumulare libri equivale ad accumulare escrementi". La sublimità della loro ars scrittoria non è necessariamente la sublimità dell'anima.
RispondiEliminaE sono pienamente d'accordo con te. Infatti leggere e scoprire certi aspetti della vita di Proust non ha spostato di nulla la mia ammirazione per la sua opera e per tutta la costruzione che c'è dietro a essa. Un po' come la storia della Munro, no? I suoi racconti sono straordinari punto, minimamente intaccati dai suoi trascorsi né dalle sue vicende personali. Un bene, riuscire a separare le due cose.
EliminaInteressanti queste notizie biografiche che non mi aspettavo davvero. Però mi chiedo se per apprezzare davvero un autore si debba cercare di sapere tutto della sua vita o se al contrario lo si debba lasciare avvolto nel mistero.
RispondiEliminamassimolegnani
A parte che sono curiosa di natura: se sono interessata a qualcosa o qualcuno cerco di scoprire TUTTO su quel qualcosa o di quel qualcuno: una mia deformazione :) Comunque, in questo caso, l'opera e l'autore sono intrinsecamente collegati, avendo la Recherche connotazioni autobiografiche, per cui ogni nota al testo contiene una spiegazione o un approfondimento riferiti al mondo di Proust. impossibile sottrarvisi. :)
EliminaDevo dire che mi ha molto colpito il modo in cui hai scavato nelle sfaccettature più nascoste di Proust, quelle che spesso rimangono in ombra rispetto alla sua immagine conosciuta dai più. È affascinante vedere come la sua vita e le sue ossessioni si riflettano così vividamente nella sua opera, senza però sminuirne la grandezza. La tua passione per la Recherche è evidente e anche questo sguardo più critico e curioso verso l'uomo Proust rende il tutto ancora più interessante. :) Un saluto
RispondiEliminaMio figlio mi ha vista con il libro di Celeste Albaret (la governante di Proust) in mano e mi ha detto: "ma ancora non ti sei stancata di sto Proust?" Uhm, no, non mi stanco: leggerei qualsiasi cosa riguardo all'opera e al suo autore.Grazie a questa mia fissa ho fatto scoperte interessantissime, che mi hanno fatto penetrare ancora di più e meglio nel mondo della Recherche e di conseguenza di Proust. E mi piace raccontarlo il mio entusiasmo; se poi riesco pure a trasmetterlo sono ancora più contenta :)
EliminaE’ sempre difficile, se non impossibile, per un grande scrittore tracciare una linea netta di demarcazione tra la sua arte e la sua vita privata e intima. E neanche Proust sfuggì a questa separazione, sebbene avesse cercato in tutti i modi di renderla possibile. Le sue passioni, i suoi sentimenti, le sue pulsioni sessuali, le sue ossessioni – non sempre raccontate da altre persone a lui vicine – sono ben presenti tra le righe della sua monumentale opera che, pur non avendo letto due volte come hai fatto tu – cara Marina - ce la sto mettendo tutta per portarla a termine, perché non si può ignorare questo capolavoro, considerato tra i più grandi della letteratura di tutti i tempi. E la Recherche, con le sue tremila pagine (circa) è forse l’unico libro che ti fa soffrire (per la difficoltà che si incontra nel leggerlo) e godere, nello stesso tempo, per certi pensieri lunghissimi che nessuno, meglio del suo autore, ha saputo mettere in prosa con tanta facilità, con tanta armonia e con tanta musicalità. Non solo attraverso queste pagine, ma anche attraverso le sue lettere che scriveva in grande quantità ad amici, familiari (soprattutto alla mamma), conoscenti, abbiamo saputo di lui tante sue debolezze, tante sue sofferenze, tanti suoi desideri che ce lo rendono più vicino a noi, perché ognuno di noi soffre delle sue stesse pene. La gelosia, l’omosessualità, l’amore, i rapporti umani furono per Proust sempre difficili e complessi. Io credo che lui abbia cercato la felicità non in vita, ma nella scrittura, consapevole dell’interesse che avrebbe suscitato ciò che raccontava. E, chissà, forse voleva rendere felici i propri lettori, costringendoli a soffrire… ad amare…a sorridere…e perchè no...ad annoiarsi, anche, per farli sentire piccoli piccoli dinanzi a quelle pagine che scorrono senza fine. E ad umiliarli. Perché – diciamocelo – nessuno oggi sa scrivere come Marcel Proust.
RispondiEliminaCiao Marina :)
Ha rinunciato a tutto, Marcel, alla carriera in altri ambiti, al guadagno facile, per inseguire il suo vero sogno: la letteratura. Ha sacrificato un'intera parte della propria vita per raggiungere il suo scopo e ciò rimane l'emblema di certe vite di autori che ricorderemo per sempre. Lui, alla fine, ha ottenuto ciò che più desiderava: è morto consegnando alla storia la più grande opera che sia stata mai scritta. Sai, a parte il mio trasporto verso certa letteratura (anche lenta e lunga: "La montagna incantata" di Mann docet), nella Recherche ho amato tantissimi spunti utili per approfondire ambiti su cui sono poco esperta. Io, per esempio, mi sono fatta una cultura in campo artistico e musicale e, anche se non ho avuto difficoltà ad amare i cavilli narrativi in cui si imbatte Proust nel descrivere pure un fiore, capisco bene che quella della Recherche è una lettura che piace solo se guardi oltre, ai significati, alle emozioni trasmesse, al modo di raccontare un'esperienza. Tutto diventa un viaggio e non nella vita di Proust (come vuole il dato oggettivo) ma in quella propria personale (come invece richiede una spontanea adesione soggettiva). E su una cosa sono particolarmente d'accordo con te: la musicalità della prosa, una caratteristica dello stile di Proust che ho subito notato e apprezzato. Trovare il modo per fare rivivere i ricordi, attraverso quella prosa unica, dotare la memoria del passato di una vita autonoma e trasferirvi gran parte del proprio essere, con pregi e difetti, è una cosa che vorrei riuscisse anche a me. Ma Proust resta inimitabile (e direi oggi, anche incollocabile nella narrativa contemporanea).
EliminaGrazie, Pino, per il tuo corposo commento :D
Abbiamo un’idea degli scrittori molto alta in generale, soprattutto quelli che hanno scritto opere famose e ormai vivono nell’Olimpo dei grandi. Tuttavia gli scrittori sono persone con pregi e difetti. Spesso lo scrittore esula dalla cosiddetta “normalità”, anzi magari con la scrittura hanno sublimato la loro ansia o sofferenza, la paura di mostrarsi per quello che sono davvero e che non ritenevano socialmente accettabile. Per esempio certe poesie struggenti di Leopardi sarebbero nate senza i problemi di salute che il poeta aveva? Possiamo domandarcelo per Leopardi, ma anche per tanti altri.
RispondiEliminaScusa Giulia, il ritardo, ero certa di avere risposto... mah! [Quanto mi fa arrabbiare certe volte questo account! :(]
EliminaIo non guardo mai alla vita e alle vicende personali degli scrittori, soprattutto di quelli che amo: per me è sufficiente che parlino attraverso le loro opere. Che poi è vero che il mondo nascosto di poeti e scrittori passa nelle loro produzioni: è bello e giusto che sia così.
Proust è un monumento enorme, puoi passarci una vita a visitarlo e non basta mai. Ho aperto come ultima chance per il sottoscritto un blog fatto dai miei appunti personali sulle centinaia di libri letti nei miei ultimi sessantanni....di Proust non ho ancora scritto nulla ma se vuoi puoi venire a trovarmi con altri libri in mano.
RispondiEliminaVerrò... come minimo! :D
EliminaGrazie per essere passato. Sarà un piacere conoscere le tue spigolature: già quella di marzo su un libro che ho molto amato ("Nato in Sicilia") mi ha aperto il cuore.
Non mi stupisce il fatto che avesse le sue perversioni, perché in fondo in quella Francia proustiana le pratiche sessuali di vario tipo erano largamente accettate, sebbene ovviamente tenute in debito segreto o fintamente ignorate. Mi piace come abbia inserito nei vari capitoli della Recherche richiami e rimandi a tanta parte della sua personalità. Questi ambienti, l'atteggiamento dei gaudenti all'interno di essi, mi ricordano le atmosfere che ho visto a Parigi nei musei e gli allestimenti rievocanti la Parigi della Bella Epoca, quelle mode così fantasiose e innovative. Certo la Francia era decisamente più libertina dell'austera Inghilterra, ragion per cui Oscar Wilde dovette beccarsi una bella condanna per pratiche di sodomia.
RispondiEliminaInvece riguardo alla faccenda dei topi resto basita. Estendere la propria perversione a una forma di violenza nasconde certe turbe psichiche. Però, Proustaccio! :D
Sì, in Inghilterra, Proust non se la sarebbe passata bene! Avevo una mezza intenzione di scrivere un articolo anche sulla pederastia che Proust tiene lontana dal suo alter ego nella Recherche, ma su cui fa tutta una disquisizione che merita uno studio a parte. Ora sto leggendo "Monsieur Proust" e la sua governante Celeste Albaret racconta con amore e dedizione verso il suo adorato datore di lavoro di come questi sia fissato con le caratterizzazioni dei personaggi e che anche le macchiette nascono dall'osservazione attenta della realtà: ogni tanto è riuscito a fare passare qualcosa di sé, come la curiosità verso le persone e le situazioni, ma in genere pure le frequentazioni più strane erano finalizzate a tratteggiare personaggi mitici. Certo, questa cosa dei topi era scritta in una lunga nota: chissà quanto di vero c'è. Ha impressionato anche me, però tendo a non dare all'informazione una grande credibilità (lo faccio, forse, per salvare la mia elevata ammirazione verso lo scrittore francese)
EliminaNon posso dire che questi aspetti personali di Proust mi stupiscano davvero. Sebbene io non l'abbia ancora letto, ma lo stia conoscendo tramite le tue parole, i tuoi post qui approfonditi, mi rendo conto che la sua opera è monumentale, complessa, faraonica oserei dire. Gli ha dedicato una vita, direi con una certa ossessione (perché solo così puoi raggiungere un risultato di tale portata). Come per altri autori, in altre epoche (non so, mi viene in mente quell'Infinite Jest di David Foster Wallace, che ho scoperto sempre qui da te), dietro a tanta dedizione c'è sempre tanta sofferenza, seppure con diverse motivazioni. A volte scrivere è una cura, a volte è un effetto, spero mai una causa.
RispondiEliminaE proprio leggendo "Monsieur Proust" della sua governante Celeste Albaret mi sto rendendo conto di quanto sia vera l'impressione che ne hai tratto tu e quanti hanno letto la Recherche: la dedizione, ai limiti dell'ossessione, con cui Proust ha scritto la sua opera. Gli dedicava intere nottate e la ricerca dei particolari, dei personaggi, di ogni cosa, era quasi spasmodica. Tutto doveva confluire nella sua "cattedrale" letteraria. L'aveva chiamata così proprio lui. Quanto lavoro, quanta abnegazione! Però il prodotto è e resterà unico per sempre. Capisco la difficoltà a intraprendere una siffatta lettura, ma se strada facendo te ne innamori, finisci per volerne parlare ogni volta che se ne presenta l'occasione. Esattamente quello che capita a me! :)
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