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martedì 25 luglio 2017

#CitazioniEstive: Il blocco dello scrittore ne “La grande sera” di Giuseppe Pontiggia



«A che punto è il libro?»
«A un punto morto» rispose, guardando gli scaffali. 
«Devo sbloccarmi.»
«Ti lascio lavorare» disse lei, staccandosi dalla porta e ritornando in corridoio.
Rimasto solo, gli occhi socchiusi verso la finestra aperta, Mario posò le palme sulla tastiera della macchina, come un pianista prima del concerto. Poi le spinse davanti a sé, nell’unico spazio sgombro della immensa scrivania e collocò al suo posto una cartella gialla, raccolta da terra, piena di ritagli, fogli, appunti. Vi immerse le mani, sollevando fino all’altezza degli occhi un pacco di carte che scivolavano ai lati. Provava vergogna e angoscia. Non poteva, ancora una volta, fare ordine: perché altrimenti non avrebbe scritto neanche quella mattina.
Allora afferrò il foglio cominciato il giorno prima e lasciò cadere la cartella vicino alla scrivania, con un tonfo sordo cui seguì la voce di lei dalla cucina:
«Ḕ successo qualcosa?»
«No.»
Rimase qualche secondo immobile nel timore che si affacciasse.
Poi riavvicinò la macchina e, inserendo il foglio, cercò di ricordare le ultime parole che vi aveva scritto il giorno prima. Non le ricordava.
Lesse:
“Accettare di girare quel film fu per lui.”
Accettare di girare. Due infiniti in are.
“Ḕ Più difficile, a distanza di anni, giudicare il valore di quel film.”
Ma che cosa stava dicendo. A distanza di anni? Perché più difficile?
Lesse il seguito:
“Ma non è questo il punto che ci interessa veramente. L’importante è che il film conservi la sua attualità.”
Ma quale attualità. Chiuse gli occhi.
A chi interessava “veramente” quel film, a parte qualche idiota che è sempre presente, a evocare l’assenza degli altri?
Aveva una nausea crescente delle sue parole. Rispondevano sempre meno a quell’interrogativo, tra elementare e illuminante, che il suo insegnante di ginnasio consigliava di porsi dopo – o possibilmente prima - di ogni frase: “Ma è vero?”. E il suo linguaggio gli appariva un’immensa spiaggia di gusci vuoti.
Un tempo le parole avevano racchiuso la vita, l’avevano celata e protetta prima di erompere all’aperto. Ora vedeva soltanto conchiglie fossili e uova schiacciate dalle zampe dei predatori e perforate dai loro becchi. E lui si sentiva ormai come un predatore attardato, arrivato alla fine del saccheggio, quando la vita aveva abbandonato quegli involucri ed era emigrata altrove.

Cancellò le due frasi sovrapponendo il segno della x e poi quello della m. L’unico momento in cui si sentiva sicuro. A cancellare non si sbaglia mai, aveva detto in un dibattito suscitando ilarità.
Scrivere era diventato cancellare, ma cancellare era diventato il fine dello scrivere.

Non poteva continuare così.

18 commenti:

  1. "Cancellò le due frasi sovrapponendo il segno della x e poi quello della m": un gesto banale che già adesso in molti faticheranno a decifrare e che, tra altri vent'anni, avrà bisogno di uno storico esperto in strumenti di lavoro del XX secolo per essere compreso.

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    1. Io sono fra quelli che ha fatto fatica: l'ho letto e ho solo immaginato cosa potesse significare, perché in realtà non lo so.
      La x convenzionalmente è un segno di taglio, ma la m?

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    2. Con la macchina da scrivere, per cancellare in modo che non fosse possibile rileggere, prima sovrascrivi il testo con tante "x". Questo cancella, ma non abbastanza: per offuscare ancora di più il testo originale, allora, ci passi sopra una fila di "m".
      L'alternativa - più per chi scriveva sotto dettatura che non per gli scrittori, era ribattere il testo da cancellare mettendo nel carrello un foglio di "scolorina". Però serviva tanta mira :D

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    3. x e m, metodi antichi del tempo delle Olivetti, Remington e affini. Oggi premi un tasto e parte il testo da cancellare...oplà, cancellato, anzi mai esistito, mai scritto.
      Quale scrittore non sa cosa sia il "blocco dello scrittore"? È il braccino corto del tennista che ha tre mach boll alla quinta partita a Wimbledon e la battuta. Inizia a battere e fa net quattro volte e va a 6 a 6.
      Io ho scritto un romanzo, ancora inedito, basato sul blocco. Perché so di cosa parlo, di cosa scrivo.
      Bueno: come va il gambone?

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    4. Grazie Michele, per la spiegazione: così sembro più giovane, senza dire che io con una macchina da scrivere ho scritto la tesi. Ma lì, niente blocchi dello scrittore: a ricopiare norme e sentenze non ci vuole molta fantasia. 🙂

      @Vincenzo, chi scrive conosce il blocco sì, anch'io lo incontro spesso, anche se cerco di tenerlo alla larga oppure di sopportarlo quando proprio non ci riesco.
      Il gambone è un po' stufo di impigrirsi sul divano e vorrebbe liberarsi del peso che si porta addosso. Ancora dieci giorni... forza!
      Grazie. 🤗

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    5. Non mi ricordo cosa volevo dire. Mi sono persa nei commenti di Michele e Vincenzo. :)

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  2. "Scrivere era diventato cancellare, ma cancellare era diventato il fine dello scrivere".
    Straordinariamente significativa. Quando si arriva a questa fase, la cosa migliore è smettere di scrivere per un po' (qualche mese) e poi ripartire a mente fresca.

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    1. L'ho trovata illuminante anch'io: contiene il nucleo del blocco che tanto ci affanna.

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  3. Dopo aver letto "Ricordi nella notte" il mio amico prof. sentenziò: adesso sono proprio curioso di sapere se riuscirai a scrivere ancora. Sembrava una provocazione, ma con il passare del tempo ho compreso a pieno il senso di quelle parole. Arriva un tempo in cui le parole che scrivi ti sembrano vuote, o meglio inconsistenti. Magari hai una storia da raccontare ma ti sembra inutile scriverla, oppure ti soffermi così tanto sulle parole da perdere, quasi senza accorgertene, la semplicità della frase. In questi giorni ho terminato la lettura di un romanzo di Glenn Cooper -ogni tanto faccio di queste follie- e non ho potuto fare altro che riflettere sulla potenza delle parole che in questa storia era completamente assente. Ho riflettuto sul fatto che una storia banale se proprio deve essere scritta, pubblicata e stampata in milioni di copie... cavolo ma almeno non potete impegnarvi? sprecatevi un pochino sulla ricchezza delle parole, dipingete frasi, costruite periodi e cattedrali di capitoli... mi sono dovuto disintossicare con "L'educazione sentimentale" di Flaubert dove l'illusione romantica e la pochezza morale dei personaggi viene portata all'immortalità letteraria dalla ricchezza infinita delle parole e dalla visione pittorica, quasi cinematografica, dei capitoli che compongono il romanzo. Sinceramente non so come si possa gestire questa fase, alcuni dicono di continuare a scrivere, anche stupidaggini, boh! forse è meglio fermarsi, magari tenendo sempre il fedele taccuino in tasca, e aspettare tempi migliori.

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    1. Riconoscere la potenza delle parole è la vera molla che dovrebbe spingere uno scrittore a scrivere. I miei blocchi nascono tutti dalla consapevolezza di partire depotenziata rispetto alla complessità e alla bellezza di cui parli tu. I classici, in questo, sono maestri. Purtroppo oggi prevale l'istinto di mostrare a tutti i costi la storia, c'è poca modestia, forse, o ci si rende poco conto di quanto importante sia scrivere cose che valga la pena, poi, leggere.

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  4. Neanche io avevo capito, Michele le sa tutte! Anch'io ho usato la macchina da scrivere per scrivere la tesi 😬 ma non avevo problemi di blocco. Quando ho riletto La grande sera ho provato sensazioni diverse alla prima volta, non so se rallegrarmi o sentirmi vecchia...

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    1. Come ti dicevo anche altrove è una lettura che solo in apparenza può sembrare semplice, invece non lo è. È un libro pieno di spunti di riflessione: la storia ruota attorno a un unico evento, ma percorri un mondo di strade per arrivare a una verità. Adesso, che sensazioni hai provato, rileggendolo?

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    2. La prima volta mi sono concentrata sull'evento della scomparsa e sulle sensazioni dei vari personaggi che ruotano intorno alla persona, la seconda volta ho scoperto proprio gli spunti di riflessione di cui parli, come se nella prima lettura certi aspetti non li avessi rilevati e che, invece, nella seconda lettura mi apparivano molto evidenti.

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    3. Io raramente rileggo i libri, anche se in effetti alcuni meritano un ritorno. Chissà, non subito ovviamente, ma fra qualche anno, potrei provare un nuovo piacere a leggere di nuovo questo libro.

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  5. Il blocco è la conseguenza, non è la causa del foglio bianco. Il foglio bianco, per uno scrittore «onesto», nasce dal non riuscire a rispondere sì alla domanda Ma è vero? Se la risposta è no, il linguaggio diventa un guscio vuoto, privo di vita. Allora non riesce più a scrivere.

    Il blocco non viene mai a quegli scrittori che non si pongono la domanda se sia vero quello che scrivono. Quando leggo una pagina mi pongo la domanda anch'io, come se l'è posta lo scrittore prima di me. Alcuni libri risultano per me veri, altri no. Sono stati scritti, saranno anche pieni di parole, ma io ci vedo comunque un blocco, solo pagine bianche.
    Però sono un estremista, come ben sai.

    Helgaldo

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    1. È vero. Spesso diciamo di essere "bloccati" e dunque non riusciamo a scrivere nemmeno un pensiero che abbia il senso che cerchiamo, invece è proprio questa assenza di senso che frena ogni entusiasmo. Quando mi chiedo: perché scrivere questa cosa? e la risposta è solo una ricerca di soluzioni banali, mollo tutto, non so andare oltre. Il mio blocco si manifesta così.
      Avverto anche la responsabilità di arrivare alle persone come te con qualcosa da dire, con una pagina scritta e non con tante vuote.
      Il blocco diventa una voragine.

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  6. Parole che invece di esprimere i concetti li mettono in crisi. E' un sabitaggio vero e proprio. Io però vado più soggetta al blocco a monte, nel momento in cui si formano le idee... o non si formano. ;)

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    1. Io li vivo entrambi: un disastro! Parto dalla mancanza di idee, poi l'idea arriva e le parole non sono quelle giuste.
      Quando sento puzza di blocco, preferisco non affrontarlo. Volto le spalle alla scrittura aspettando tempi e ispirazioni migliori.

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