Chi doveva dirmelo che, alla mia età, mi sarei ancora imbattuta in novità linguistiche alle quali abituarmi gioco forza, per non sembrare una barbosa conservatrice, poco aperta al cambiamento.
Basta avere due figli adolescenti e non c’è scampo: si viene risucchiati in una quotidianità fatta di termini brutti a sentirsi, ma efficaci nella resa, che hanno trasformato il linguaggio dei giovani in un codice e quello di noi vecchi in una decontestualizzata e desueta prova dialettica.
Ormai, in casa mia, come mi muovo mi muovo, agisco da “boomer”; non vi dico le filippiche di mio figlio, seguite dall'ovvio sfottò, quando gli mando un messaggio col cellulare, con tutti i segni d’interpunzione al loro posto e in un italiano da Accademia dell’Arcadia: il messaggio si finisce senza punto fermo e non ci sono virgole e le abbreviazioni sono consentite. Il messaggio dev’essere diretto, breve e percepito, non è un tema d’italiano.
Quando scopro che pure un’esperta lessicologa editoriale dà ragione a queste giovani generazioni entro in crisi.