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martedì 14 febbraio 2023

L’eco di San Valentino


Inventare mondi con la mente e poi trasferirli in una finzione scenica per renderli concreti: a dodici anni non ero soltanto una sognatrice, ero anche una sceneggiatrice, una costumista, un’attrice, con la fissa di materializzare ogni storia partorita dalla fantasia. Che divertimento, quei pomeriggi chiusi nella mia camera, ad allestire il “set” di film immaginari: spostavo mobili, creavo atmosfere con le luci, gestivo la colonna sonora, scegliendo con cura i brani più rappresentativi. 

Non scrivevo ancora nulla, solo annotazioni su un quaderno che mi servivano per avere dei punti fermi da cui partire: brevi trame, ambientazioni, personaggi, i dialoghi erano improvvisati, ma i nomi rimanevano quelli della realtà, così, nella finzione, mi facevo protagonista di una piccola porzione di verità che, per me, era importante. Mi travestivo, perché potevo fare finta di avere abiti che mai mi sarei sognata di indossare: accorciavo le gonne arrotolandole in vita, mi annodavo la camicia appena sotto il seno (a quell’età già pronunciato), salivo sulle scarpe col tacco di mia madre (aperte, perché avevo un piedone e lei, invece, era Cenerentola, col suo 36). Nel mio film ci vedevo benissimo, dunque toglievo gli occhiali; mi creavo la parrucca di boccoli ricci e lunghissimi attaccando con lo scotch su un cerchietto le stelle filanti di carnevale srotolate. Recitavo tutti i ruoli: ero me stessa, ero la mia amica, ero l’antagonista, ero il ragazzo dei miei sogni e tutte le storie avevano sempre la stessa matrice: la cotta per qualcuno che, nella vita reale, non mi filava nemmeno di striscio. Poiché non ero ricambiata, trasferivo nella finzione i miei desideri impossibili. 

Oggi onoro un ricordo, un’eco che arriva da molto lontano. Torno nella mia “stanza azzurra” per raccontarvi il “film” recitato un giorno di febbraio.


*****


Rientrando a casa dalla scuola non avevo salutato nessuno, mi ero infilata in camera mia, avevo mollato sulla scrivania i libri tenuti stretti dalla cinghia elastica e scostato le tende della finestra per osservare da lontano il rettangolo, grande quanto un quaderno, che vedevo da quella distanza: era il palazzo in cui abitava Massimo. Quel martedì mi aveva indirizzato un sorriso, mentre mi restituiva una penna e il mio viso aveva preso il colore del gilet di maglia rosso che indossavo: mi ero portata a casa l’emozione di quel momento, ma non volevo condividerla con nessuno, così l’avevo chiusa con me nella stanza. 

Che fosse martedì lo ricordo per un motivo soltanto: era il giorno di San Valentino. Mia madre aveva una riunione a scuola, mio padre tornava sempre il mercoledì dai suoi viaggi di lavoro, mio fratello correva all’allenamento di pallacanestro e io rimanevo sola: era il pomeriggio ideale per dedicarmi alla mia “fiction” (altrimenti, sai le male figure se qualcuno, aprendo la porta della stanza, mi avesse sorpresa con i nastri carnevaleschi alloggiati sulla testa!) Avevo degli elementi nuovi per il copione: un sorriso da piazzare in una trama che rendesse reale ciò che rimaneva solo un sogno. Quale migliore occasione, quella della festa degli innamorati: ah, il romanticismo di quell’età! 

"Ciak si gira" e il mio film aveva inizio.

Lui e lei frequentavano la stessa classe dove tutti i ragazzi andavano in deliquio per la compagna dagli occhi celesti, quella che indossava jeans stretti ed era l’unica a mettere il rossetto sulle labbra. La più carina, la più estroversa, la più invidiata. Lei, invece, non aveva gli occhi celesti, non portava i jeans attillati, non si truccava, e, anche se raccoglieva le confidenze di molte compagne, era la più timida: le compagne a parlare dei loro amori, lei a tacere del suo. E dunque valeva la pena andare alla festa dove nessuno l’avrebbe considerata? dove lui l’avrebbe ignorata e l’altra avrebbe ricevuto le attenzioni di tutti? Il campionario di frivolezze in mano alle amiche e lei silenziosa e a disagio in un angolo della stanza... Ma una voce da dentro, una sorta di Fata madrina della coscienza, la incoraggiava ad andare, così lei indossava il vestito più bello (lo prendevo in prestito dall’armadio di mia madre: un tubino con le bretelline in tessuto lamè e paillettes, che a me stava lungo e largo, ma mi faceva sentire una diva) e si recava al party.

“Amoureux solitaires” di Lio accoglieva il suo ingresso:


Eh toi, dis-moi que tu m'aimes 

Même si c'est un mensonge 

Et qu'on n'a pas une chance 

La vie est si triste…


Se solo lei avesse avuto le chances della compagna amata da tutti! E invece lui, proprio lui, in modo del tutto imprevedibile, le rivolgeva un sorriso e la invitava a ballare. “Il Tempo delle mele” era l’inconscia citazione cinematografica. A quel punto, abbassavo le serrande della finestra e puntavo la lampada della scrivania al centro della stanza in penombra: la luce formava un alone azzurro che faceva brillare le paillettes dell’abito e “L’aria del sabato sera” di Loretta Goggi riempiva di note la nuova scena. Lei si chiamava, naturalmente, Marina, lui Massimo... per qualche ora, da sola, dentro la camera, il mio desiderio si avverava. E tanto mi bastava.


*****


Con la fine delle scuole medie, ho perso di vista Massimo; quella è l’età in cui con facilità ci s’innamora e con altrettanta facilità si dimentica: anche la mia cotta è passata presto e io non ho saputo più niente di lui.

Dopo quarant’anni, ricevo una notifica su Facebook con una richiesta di amicizia: la sua. Così l’ho rivisto: stessi occhi, stessa voce, ma con tutto il resto trasformato dal tempo. Sapesse dei miei film, forse, ne riderebbe; sapesse della mia parrucca di carta, invece... probabilmente si pentirebbe di avermi ritrovata.


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Se volete conoscere le ragioni della nascita di questa rubrica leggete l'#Eco 1

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14 commenti:

  1. Ma che bello e tenero questo ricordo! Tutti abbiamo avuto sogni, diari segreti e ci siamo fatti film mentali che vivevamo da protagonisti in modo quasi più intenso che la realtà! Hai reso proprio bene l'idea.
    Grazie!

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    1. Per questo mi diverte raccontarmi, perché so che le esperienze spesso sono patrimonio condiviso da molti e mi piace sottolineare questa comunione. Certe volte sorrido di cose che adesso risulterebbero sciocche agli occhi delle nuove generazioni, ma penso ancora che la genuinità di quell'epoca sia stata, in qualche modo, anche maestra di vita.

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  2. In fondo io facevo lo stesso, ma con le Barbie e il povero Ken. Mi era più comodo, non essendo mai da sola, non potevo permettermi di più. Però ricreavo anch'io le vicissitudini del quotidiano, dandogli ovviamente un finale diverso.
    Ho rivisto anch'io qualche cotta delle elementari e delle medie e... "Caspita, come sta messo male!! I capelli... ha perso tutti i capelli... e la pancia... ma non era quello atletico lui?!" :D :D :D

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    1. Ah, le Barbie! Con quelle aprirei una maglia ampissima, accidenti, quanto erano belle. Io avevo anche Lisa Jeans, fighissima, ma rubavo Ken a Barbie per farle avere un fidanzato :)
      Adesso, non vorrei aggiungere altro all'accenno fatto nel post, ma quanto a "come sta messo male!"... rimprovero al tempo di essere stato proprio e decisamente inclemente! :D

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  3. Avevi il tuo modo di "inventare storie" (che è un istinto naturale e congenito per chi ce l'ha, come la passione smodata per i vestiti o per lo sport che hanno altri) prima ancora di scriverle. Io pure le creavo coi giocattoli quando ero bambino, ma poi ho scoperto la macchina da scrivere di mio padre e ho virato precocemente verso le storie inventate tramite parole trascritte sul foglio.
    Mi hai fatto venire in mente qualche ricordo del genere.

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    1. Qualche volta anche tu dovresti raccontare qualcuno di questi ricordi: sono curiosa io, è vero, ma penso anche che per noi, che amiamo scrivere storie, attingere da quelle vere, servircene come spunto, insomma non dimenticarle del tutto sia importante.

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  4. Che bel ricordo Marina, mi hai fatto ripensare ai film che mi facevo anch’io ai tempi della scuola. C’era un mio compagno di classe - in prima superiore - che si chiamava Angelo che per me era bellissimo, ma ero invisibile ai suoi occhi, ogni tanto però mi donava un sorriso e quello mi bastava per immaginarmi un intero romanzo. Dopo il primo anno di scuola ci fu una specie di riorganizzazione delle classi e Angelo non lo vidi più...non ricordo neanche più il cognome per cercarlo su Facebook. In realtà in seconda superiore me lo dimesticai dopo pochi giorni, come tutti gli amori “immaginari” dell’adolescenza...

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    1. Il bello dell'adolescenza sono proprio questi grandi amori di cui rimane solo una traccia tenera... Poi, forse, sarebbe meglio conservare quei ricordi piuttosto che verificare il lavoro del tempo sulle persone tanto amate! :D :D

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  5. Davvero tenevi i libri stretti da una cinghia elastica? :-O

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    1. Oh sì, si usava! Io ne avevo una blu con la fibbia metallica su cui con i colori a smalto avevo disegnato dei fiorellini. Era fighissima!

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    2. Pensavo esistesse solo nel cartone animato Cuore XD

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    3. E io di quell'epoca sono! :D :D

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  6. Anche in questo tuo ricordo risuona qualcosa del mio passato. E confermo che la tua scrittura è davvero emozionante, ci sai fare, Marì. Pensa a quanto sarebbe bello attingere a un passato che conosci e da lì tessere una trama, farci un libro.
    Amavo quella canzone francese!

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    1. Grazie, Luana, i tuoi suggerimenti scavano... Chissà che qualcosa non torni a stuzzicare la mia ispirazione.

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