Oggi, intenzionalmente, ho aperto uno dei miei taccuini e ho riletto un’annotazione di non molto tempo fa, avente per oggetto una cabina telefonica.
Camminando per le vie del mio quartiere, una mattina, ne ho vista una, non so nemmeno se ancora funzionante, malridotta com'era; metteva quasi malinconia, nel suo vano tentativo di resistere a un mondo dove, ormai, non è più utile a nessuno. Allora mi è venuto in mente un episodio risalente agli anni dell'università e quel ricordo giace ancora in uno dei notes tascabili che porto sempre nella borsa.
Di annotazioni casuali ne conservo tante: alcune sono spunti occasionali, certe volte solo frasi di rimando, che fissano sensazioni provate in una data circostanza; talvolta sono piccole storie legate a fatti inediti, parentesi senza un finale, senza nemmeno un inizio, per la verità. Momenti. Sono solo momenti scritti, che avrebbero le potenzialità per diventare dei racconti, forse, se volessi approfondirli e dare loro maggiore spessore.
Camminando per le vie del mio quartiere, una mattina, ne ho vista una, non so nemmeno se ancora funzionante, malridotta com'era; metteva quasi malinconia, nel suo vano tentativo di resistere a un mondo dove, ormai, non è più utile a nessuno. Allora mi è venuto in mente un episodio risalente agli anni dell'università e quel ricordo giace ancora in uno dei notes tascabili che porto sempre nella borsa.
Di annotazioni casuali ne conservo tante: alcune sono spunti occasionali, certe volte solo frasi di rimando, che fissano sensazioni provate in una data circostanza; talvolta sono piccole storie legate a fatti inediti, parentesi senza un finale, senza nemmeno un inizio, per la verità. Momenti. Sono solo momenti scritti, che avrebbero le potenzialità per diventare dei racconti, forse, se volessi approfondirli e dare loro maggiore spessore.
Adesso che ho sotto gli occhi queste pagine, come un’eco che rimbomba nella mia mente, ho ripensato agli “equilibri precari” di cui qualcuno aveva parlato, un paio di anni fa, ideando un modo per salvare dall’oblio tutte le “osservazioni attente di fatti nudi e crudi”.
Così, mi è venuta l'idea di fare rivivere quella nobile intenzione, facendovi conoscere le mie "osservazioni attente": trascriverò qui, senza scadenze prestabilite, quando ne avrò voglia, un pensiero, una situazione vissuta, un’immagine che mi è rimasta impressa, un pezzo di vita inscritto dentro una cornice e mi piacerebbe coinvolgervi, invitandovi a fare altrettanto nei commenti: depositare “ritagli” essenziali, che raccontino qualcosa di vero.
Non necessariamente prosa ricercata, anche solo annotazioni grezze ma cariche di senso, come richiedeva l’esercizio originario, sebbene chiamarlo così lo faccia sembrare quasi meccanico e io, invece, vorrei fosse un processo spontaneo, come quello che spinge ogni scrittore a scrivere.
Abbiamo tutti un mondo di suggestioni, di ricordi archiviati, che potrebbe essere bello (pure fruttuoso, perché no) condividere, anche solo con una frase.
Abbiamo tutti un mondo di suggestioni, di ricordi archiviati, che potrebbe essere bello (pure fruttuoso, perché no) condividere, anche solo con una frase.
Così, oggi lascio questa mia testimonianza autobiografica, ricopiata così com'era dal mio taccuino, in equilibrio precario con ciò che la scrittura dovrebbe essere: il riflesso narrato della meravigliosa, eterogenea, commedia umana.
*****
Giovedì, 26 ottobre 1989. Io e Fausta siamo appena tornate dalla nostra capatina alla cabina telefonica, nella piazzetta del bar della picciona*. L’aria stasera pizzicava parecchio e io mi sono lamentata tutto il tempo di essere scesa con il cardigan. La solita attesa. C’era un tizio, dentro, con un sacchetto di gettoni in mano, li inseriva uno dopo l’altro nella fessura dell’apparecchio, noncurante della fila che nel frattempo si era formata alle sue spalle. Si è avvicinato un ragazzo che te lo raccomando: era l’ultimo della coda, dopo di noi. Si guardava attorno come se stesse evitando di essere scoperto da qualcuno. Mamma, che tipo! Si sbilanciava spostando il peso continuamente da una gamba all’altra e teneva le braccia ora conserte, ora ciondoloni, lungo i fianchi. Non stava fermo un attimo. Ghigno da mastino napoletano, sovrappeso, calvo, con un pizzetto gesuita: vabbè, dai, non sembrava tanto delinquente! No no, quella sigaretta spenta tenuta così, di punta, fra le labbra gliela restituiva tutta quell’aria da appena uscito di galera. In maniche di camicia? Questo se ne stava in maniche di camicia con il freddo che fa! Dita tozze piene di anelli e ho buttato un occhio attento al suo lobo sinistro: gli penzolava un orecchino con una croce e un teschio. Cercando di non attirare la sua attenzione, che mannaggia, che masochista che sono! ho finto casualità per osservarlo ancora: aveva la cintura dei pantaloni piena di borchie metalliche e gli anfibi ai piedi erano sformati, con i lacci tenuti larghi alle caviglie. Nel frattempo, io e Fausta siamo rimaste le uniche, insieme a questo tizio, ad aspettare fuori dalla cabina. Oh, finalmente, il nostro turno: ci siamo infilate insieme dentro e prima io, poi lei, abbiamo telefonato a casa; per la durata dei gettoni che avevamo ci siamo garantite qualche minuto ciascuno di conversazione. Alla fine, a passi svelti, senza nemmeno fare un cenno a chi sarebbe entrato dopo di noi, ci siamo avviate verso casa, che è in fondo alla via. Durante il tragitto, ci ha raggiunto un “ehi!”, urlato da lontano, ci siamo spaventate. “Dice a noi?” - ho chiesto a Fausta. Voltandomi rapidamente ho visto quel losco figuro che procedeva a passi concitati. Mi è venuta l’ansia. Da lì in poi è stato tutto un susseguirsi di: “allunga il passo”, “ehi, voi due…”, “cammina, svelta”, “ehiiii...”, “che vuole ‘sto maniaco, non ti fermare.” “Avete dimenticato queste dentro la cabina.”
Ci siamo fermate di botto e lentamente girate, mentre quel mastino napoletano di cento chili ci veniva incontro con un'andatura goffa e qualcosa che gli tintinnava tra pollice e indice. D’istinto mi sono toccata la tasca del cardigan. Cacchio, le chiavi!
Il nostro "grazie" ha nascosto un evidente imbarazzo. Il suo "di niente" a fiato corto e denti stretti ci ha restituito un amabile “vaffa”.
Ci siamo fermate di botto e lentamente girate, mentre quel mastino napoletano di cento chili ci veniva incontro con un'andatura goffa e qualcosa che gli tintinnava tra pollice e indice. D’istinto mi sono toccata la tasca del cardigan. Cacchio, le chiavi!
Il nostro "grazie" ha nascosto un evidente imbarazzo. Il suo "di niente" a fiato corto e denti stretti ci ha restituito un amabile “vaffa”.
* Questo era il bar dove andavamo a scambiare i gettoni: lo chiamavamo così, perché alla cassa c'era una signora che aveva il viso come quello di un piccione, ma non mi chiedete in cosa si somigliassero esattamente! 😁
Ma povero metallaro, dai!!!!
RispondiEliminaQuello vi ha pure restituito le chiavi. Io le avrei gettate in un tombino. Ahahaha
Scherzi a parte, son belli questi ritagli dei tuoi diari. Ma la Fausta è ancora tua amica? Spero proprio di sì. ;)
E lo sai che, poi, lo abbiamo rivisto altre volte in zona e abbiamo preso a salutarci? Evidentemente ci ha perdonate: ma che figura, però, poverino! :D
EliminaFausta è la mia migliore amica, è la sorella che non ho. :)
Che bello. L'amico più di vecchia data che ho lo conobbi a 13 anni.
EliminaMi ha fatto da testimone di nozze.
Gli altri vanno e vengono. Difficile mantenere rapporti ventennali.
Brave tu e Fausta!
Io e Fausta siamo state compagne di Liceo, poi colleghe di università, abbiamo vissuto per quattro anni nella stessa casa, condividendo ogni cosa: con lei ho passato gli anni più belli della mia vita, davvero, soprattutto all'università. Adesso siamo lontane, ma questo non ha mai intaccato il nostro rapporto.
EliminaAnche tu sei stata fortunata ad avere trovato un caro amico che sia rimasto tale negli anni. Teniamocele strette ste fortune, va! ;)
Alla fine pare non fosse un maniaco... visto?
RispondiEliminaA giudicare gli altri solo dall'aspetto esteriore quasi sempre si toppa.
Infatti, questa storiella ha una involontaria morale: i pregiudizi sono errori. Questo tizio poteva essere chiunque, ma noi abbiamo dato per scontato che fosse un poco di buono.
EliminaEra una sorta di esercizio letterario che facevi, se capisco bene. Anche a me capitava, all'università, di scrivere cose che erano tutto tranne che appunti.
RispondiEliminaNel caso specifico un'esperienza che conferma il detto che non è l'abito a fare il monaco...
Non un vero esercizio letterario, in verità: quando mi succedeva qualcosa che mi colpiva sentivo il bisogno di raccontarla e allora buttavo giù due righe o anche di più per non perdere quelle sensazioni. Un po' ciò che facevo con i diari personali; poi sono cresciuta e i diari sono diventati taccuini, in una sorta di proporzione inversa. :)
EliminaComunque sì, il nostro è stato un giudizio implacabile, solo perché questo tizio era tutto un programma, però eravamo giovani, per la prima volta a vivere sole in una città sconosciuta: un pizzico di suggestione era quasi lecita! :P
Le cabine telefoniche le ricordo bene anche se non sono mai andata a spenderci un sacchetto di gettoni, credo di aver sempre fatto telefonate super veloci, forse perché sono sempre stata con le tasche vuote.
RispondiEliminaCarina la morale del racconto, purtroppo molto vera, sempre più spesso l'aspetto non corrisponde alla verità e sono felice che non sia capitato il contrario, e cioè un signore in giacca e cravatta che...
Eh, vero! Magari un uomo dall'aria rassicurante, un sorriso benevolo e poi... Come faceva mia madre a stare tranquilla, sapendo che l'unico momento in cui potevamo sentirci era la sera (e nemmeno tutte le sere) solo quando la chiamavo io (in casa, a Palermo, non avevamo il telefono). Oggi sarebbe impensabile! Com'è cambiato tutto! E quei gettoni che scambiavamo al bar! Non so quando abbiamo cominciato a usare la scheda telefonica: certo, erano davvero altri tempi!
Eliminaper me che sono proiettata nel passato..le cabine..le associo a un dolce ricordo...
RispondiEliminama purtroppo c'è da considerare che quando una cosa finisce,finisce per sempre..
i tuoi racconti sono come film.mi hai fatto rivivere ogni azione ogni situazione!!e riesci a rendere "mitici"i tuoi personaggi..
un saluto
Grazie, mi fa sempre piacere avere un tuo riscontro. Mi ha colpito ciò che hai detto: quando una cosa finisce, finisce per sempre. Vero, da questa consapevolezza nasce la nostalgia per tutto ciò che rimane chiuso nel passato ed è quella che spesso mi spinge a mantenere vivi certi ricordi. L'unico modo in cui riesco a farlo è scrivendo.
EliminaPuoi capirmi. :)
Fresca fresca di giornata...
RispondiEliminaSabato mattina assolato in centro città, con tutti i patavini che si riversano tra la pedonale e le piazze per lo shopping di primavera. Entro in un negozio di borse, che finalmente mi sono decisa di acquistare una valigia rigida per il bagaglio a mano. Perché quella che mi hanno regalato sei Natali fa col cavolo che è una valigia da bagaglio a mano, devono aver confuso centimetri con pollici o che so io. Reparto valigie occupato, attendo in un angolo il mio turno. Un'altra commessa mi scorge e inizia a darmi qualche indicazione, per poi avvicinarsi a mostrarmi i vari prodotti quando gli altri acquirenti se ne vanno a mani vuote. Sono lì che sto parlando, ed entra una di quelle signore Lei-non-sa-chi-sono-io e col suo biondo platino finto mi interrompe, guardando direttamente solo la commessa. "Scusi, solo una domanda." Non dovrebbe chiedere scusa a me, invece che alla ragazza?! "Ma la valigia quella con la tartaruga non c'è più?"
La signorina le sorride gentile "Quella col guscio? No, mi sembra sia fuori produzione da quattro anni."
"Ma a mia figlia gliel'hanno regalata l'anno scorso. Volevo prenderle quella più grande e fare il set." Il tono è abbastanza piccato.
La commessa cerca di essere gentile. "Mi spiace, ma davvero sono quattro anni che qui non le teniamo più."
"Ah, ma voi lo fate apposta! Così uno o si fa il set completo subito oppure niente...bravi bravi." La bionda improbabile, con i suoi occhiali griffati, un paio di litri di profumo e una tintarella sospetta a metà marzo, imbocca l'uscita senza nemmeno salutare.
La ragazza ci rimane male. Io rido, pensando all'ignoranza di certa gente, che se la prende facilmente col più debole, l'ultimo anello della catena, ma mai con l'amministratore delegato o la direzione marketing. Guardo la commessa, ancora scossa. "Dai su, capitano anche a me i clienti stronzi. Sorridi. La tua giornata non sarà mai triste come la loro intera vita..."
PS. Ho una bellissima valigia color acquamarina che mi spiacerà usare tanto è bella... ;)
Quotidianità (che poi sono storie di vita), raccolta in brevi ritagli raccontati. Vengono fuori spontaneamente personaggi che non hai bisogno di inventarti: sono là, con quelle caratteristiche, che devi solo osservare e memorizzare.
EliminaPensavo se anche la ragazza avesse descritto questo episodio: che bel personaggio saresti tu! :)
Grazie per questa parentesi condivisa.
Non per rovinare il momento romantico "acquamarina": mi avevano regalato una valigia gialla che io adoravo, non ti voglio dire come si è ridotta già dopo il primo volo!
Bello questo ritaglio di vita anni ottanta, ricordo che anch'io passavo parecchio tempo in attesa di usare la cabina telefonica, oggi sembra fantascienza e vi ricordate le schede telefoniche che, da un certo momento in poi, sono diventate oggetto di collezione?
RispondiEliminaPovero metallaro! in fondo era una persona gentile, quando si dice l'apparenza inganna...
Io ricordo anche la SIP, si trovava in via Principe di Belmonte: era un edificio bellissimo a due piani e noi, quando ci trovavamo dalle parti del centro, andavamo a telefonare da lì. E poi le schede telefoniche con gli apparecchi arancioni: la cabina di cui parlo io aveva ancora quello verde caccola oblungo con la ghiera a numeri. Mamma, che ricordi!
EliminaE ti dico di più: non mi ricordo bene il volto di quel tizio, ma la sua espressione quando ci ha allungato le chiavi è rimasta memorabile; ogni tanto, con la mia amica, lo ricordiamo ancora.
Cabine telefoniche? Le ho sempre odiate (in realtà non mi piace il telefono in generale :D )
RispondiEliminaBello però rivangare nei vecchi taccuini, quando mi capita finisce che mi stupisco di quello che ci scrivevo XD
Io ho trovato cose che non ricordavo di avere mai visto, detto o fatto. E sono stata contenta, perché vuol dire che il taccuino ha assolto al suo reale compito: non lasciare che il passato si dimentichi per sempre. :)
EliminaMa che bel post, Marina! E che bella iniziativa. Arrivo tardi, che ho avuto giornate senza precedenti, ma il tuo estratto mi ha fatto troppo sorridere e sopratutto, avendoti adesso bene in mente in carne ed ossa, sono riuscita ad immaginare la tua faccia e le tue occhiate al borchiato della vicenda :D
RispondiEliminaIo ho scritto sempre dei diari, sin da piccolina, ma ho sempre avuto la mania dell'epistolario: quindi, dalla quarta elementare circa fino alle scuole medie, i miei diari sono stati sotto forma di lettere indirizzate niente popò di meno che ad Anna Frank - eheheheheh stavo messa bene di testa :P
Successivamente, in adolescenza, le mie memorie hanno preso più una virata sullo struggente-romantico ed ho dato il via a lunghe lettere in cui raccontavo la mia vita ed i miei sentimenti alle cotte di turno.
Solo quando ho smesso di scrivere a mano ed ho incominciato a scrivere assiduamente al pc, dunque ero già all'università, mi sono dedicata ad una stesura più neutra ma, devo ammettere, meno dettagliata. Adesso ho delle cartelle intitolate Frammenti per ciascuno anno: Frammenti 2018, Frammenti 2019 e via così.
Ho ritrovato un frammento meno frammento risalente al 2006. Ricordavo di aver fissato in quel periodo con maggiore cura degli avvenimenti. E' agli esordi del mio lavoro in ambito turismo. Facevo la pendolare.
17 ottobre 2006 - Martedì
EliminaCi sono giorni in cui compirei volentieri un omicidio di massa. Come, ad esempio, oggi in cui il gruppo di clienti arrivato ieri sera ha intasato il centralino adducendo un urgente problema di ratti ed il capo non fa che urlare paonazzo e spompato che la sua nave affonda per colpa di una manciata di incompetenti "donnucole" piazzate a festa per celebrare la sua disgrazia.
Le "donnucole piazzate a festa" saremmo io, Alessia e Luisa. Come se fosse una nostra scelta andare in ufficio agghindate come pinguine in equilibrio su un tacco 80.
[seguono dichiarazioni confidenziali e non "diffondibili":D]
Oggi compirei dunque il consueto omicidio di massa, ma non è tutto sommato un giorno come tutti gli altri. Poteva esserlo questa mattina quando, giunta alla stazione dei treni, il tabellone degli orari segnava un ritardo di trentacinque minuti ed i ratti erano già nei miei pensieri segnalati a forza dagli sms dei receptionist del Garden. Poteva esserlo anche dopo, quando il treno è finalmente arrivato e sgomitando mi sono beccata i soliti improperi dai colleghi pendolari già fomentati e stizziti per la lunga attesa. E poteva infine esserlo quando sono riuscita a conquistare un posto a sedere lato finestrino, terzo vagone a destra, ed ho permesso che i sensi di colpa mi schiacciassero presa dal rimorso per le novecentonovantanove anime rimaste in piedi e conficcate in ogni interstizio del corridoio centrale e delle pedane esterne.
Poco prima della terza fermata, tuttavia, qualcosa è cambiato. Dalla mia borsa semiaperta penzolava uno strano foglietto per nulla familiare. Un pezzo di carta comune ripiegato su se stesso e dai bordi frastagliati. L’ho stretto in mano e l’ho osservato a lungo. Non era mio. Non ricordavo nessun foglio di quelle dimensioni e forma tra il beato popolo di bollette, volantini e appunti che mi porto sempre dietro. Mi sono decisa ad aprirlo. Una bella grafia agevolata da un inchiostro nero e spesso recitava:
Cara Signorina Irene Sole,
Almeno ci provi ad essere felice.
Se non altro per dare il buon esempio.
Mister F.
Il messaggio era indirizzato a me, non c’erano dubbi. La Signorina Irene ero io. Certo, il cognome era interamente di fantasia ma quell’associazione al Sole non mi dispiaceva affatto.
Ma che cosa significava che dovevo almeno provare ad essere felice? E chi l’aveva scritto? Chi era Mister F.? E come faceva a conoscere il mio nome?
Mi sono guardata affannosamente intorno. I pendolari della terza fermata erano già quasi tutti scesi. Ho buttato un occhio al finestrino e proprio mentre il treno ripartiva, gorgogliante e pieno come un enorme mostro di metallo che ha fatto indigestione, ho visto Lui ammiccarmi dalla banchina affollata. Lui, lo stesso ragazzo che mi era stato seduto accanto fino a quel momento e che mi sorrideva sparendo all’orizzonte.
Come faccio a ritrovarlo? Ci ho pensato tutto il giorno. Domani stesso treno stessa ora, ti pare che becco l'uomo romantico che ho sempre cercato e me lo lascio sfuggire così.
Promettimi, Irene... vabbè dai, niente promesse, solo un piccolo impegno: che tutte le volte che verrò a trascrivere qui una pagina tratta da un ricordo o da un pregresso raccontato a "spizzicu e muddica" in un pezzo di carta, tu aggiungerai un tuo magico contributo, quello che vuoi. Mi piace l'idea di ospitare nel mio taccuino i tuoi racconti: un ricordo, una lettera, una frase... Ci stai? *_*
EliminaChe poi, con Mister F com'è finita!
A proposito di lettere, mi hai ricordato che io, nel mio diario, le indirizzavo a me stessa: era una Marina di qua che parlava con una Marina di là e io dicevo all'altra delle cose incredibili, come se la persona allo specchio fosse un'interlocutrice estranea e io le stessi spiegando la mia vita. Venivano fuori delle pagine epiche, ma quelle non sono condivisibili. Tutte conservate, eh! Noi, afficionados di diari personali e sfoghi sentimentali... :)
Non ti ho detto che per me sei un mito... ah sì, te l'ho detto un sacco di volte. ;)
Bè, posso anche promettertelo Marina ^_^ Per me è un vero piacere. Magari a Pasqua cerco di riportarmi su anche i quaderni dedicati alla Frank, chissà cosa ci ritrovo. Ricordo solo che spesso le scrivevo: Anna, credimi, è andata meglio a te che a me, fidati, almeno tu ti sei fatta un paio d'anni in grazia di dio chiusa dietro la libreria, io invece... ahahahahahahahhahaha
EliminaNiente, Mister F. l'ho cercato in lungo e in largo. Ho fatto le poste per mesi e mesi a tutte le fermate dei treni, calcolando tempi di ritardo di quella prima mattina, ipotetica stazione di partenza, ipotetica stazione di arrivo... Alla fine ci ho rinunciato. Mano a mano mi si è anche sfaldato il ricordo vago dei lineamenti, del profilo. Suppongo, tuttavia, che quel biglietto fosse il frutto di una mia telefonata avvenuta durante la corsa. E' probabile che rispondendo dal tel aziendale ad uno dei colleghi appanicati di quel giorno, io abbia detto: Sono Irene... E poi sia seguito un panegirico sul fatto che neppure io fossi felice di tutta la situazione ratti, ma che se dal tevere sbucavano le pantecane non era colpa mia, così come non era colpa mia se il treno era in ritardo, concludendo come da mio solito: e smettetela di chiamare me, non sono l'ufficio reclami.
Ma a Roma, a quanto pare, è difficile incontrare la stessa persona per caso due volte di seguito. O quasi, negli anni a venire mi è accaduto. Sarà destino (???)
Però pure lui cretino, scusa! E lasciamelo un numero di telefono, una mail, un luogo e un orario...! Gli UOMINI. Ci saremmo potuti sposare... XD
Non sa che s'è perso, sto scimunito! Ahahahaha!
EliminaE comunque, le lettere ad Anna Frank... ti prego, quelle devono essere pazzesche! :D :D
(Mi raccomando, non te le scordare giù!)