Edward Loevy, La disinvoltura del dandy, 1901, olio su tela |
Di Gabriele D’Annunzio ho una conoscenza scolastica, le sue opere studiate solo come parte del programma di terzo liceo, la sua personalità associata a una ricca biografia e alla corrente del decadentismo.
Qualche settimana fa, la bella pensata (suggeritami inconsciamente da una discussione con un’amica su certa letteratura classica ignorata): riprovare a leggere “Il piacere”.
La professoressa d’italiano ci diceva che questo è il romanzo in cui confluisce tutta l’esperienza mondana e letteraria del “vate”: “fare la propria vita come si fa un’opera d’arte” mi sembrava un ideale grandioso. Tuttavia, ho lasciato lì, fra i banchi di scuola, l’interesse per la maschera dell’esteta, per l’individuo che inorridisce di fronte alla mediocrità borghese, che disprezza la morale, amante della bellezza assoluta, del lusso e delle avventure galanti. E Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta è rimasto solo un lontano ricordo di gioventù.
In realtà avevo iniziato a leggere “Il piacere”, ma non sono arrivata nemmeno a finire il primo capitolo. Lo stile del romanzo era troppo ricercato: va bene che il commento sui singoli estratti, inseriti nell’antologia, era facilitato dalle note e dalle spiegazioni dell’insegnante, ma addormentarsi la sera, dopo il faticoso approccio alle poche pagine del libro, con il pensiero di non avere afferrato il senso di interi periodi infarciti di vocaboli desueti, latinismi, figure retoriche, allusioni simboliche, m’innervosiva e una lettura che spazientisce non lascia un buon ricordo.
Ho archiviato l’esperienza, dicendomi che forse un giorno...
Direi che circa trent’anni sono stati un buon tempo d’attesa.
Rivalutare l’opera di D’Annunzio è un impegno che mi sono assunta, quando, ripreso in mano il libro, ho superato quel primo capitolo e, in men che non si dica, sono arrivata all’ultima pagina, senza avvertire il peso di una lettura comunque peculiare e stilisticamente sempre molto complessa. C’è una ricchezza che non avrei mai potuto apprezzare a diciassette anni, che non emerge solo dalla struttura, dai contenuti, dallo sfoggio di numerose citazioni culturali (approfondite nelle note a fine testo), ma dall’atmosfera decadente di tutto il romanzo. Adesso interpreto chiaramente il proposito di D’Annunzio di mostrare la miseria del piacere, il fallimento del godimento materiale fine a se stesso, che non dà felicità, ma causa solitudine e vuoto esistenziale, pur riconoscendo il compiacimento del narratore nel descrivere, nonostante tutto, la dissolutezza e la falsità del protagonista, segno che il culto dell’esteta non viene del tutto rinnegato dall’autore. Tutte cose dette e studiate, ma mai riscontrate direttamente. A maggior ragione, mi ha sorpreso riuscire a convertire il mio giudizio sull’opera: la maturità serve anche a questo.
Una conferma immediata è la mia antipatia per Elena Muti, l’amante spregiudicata e libertina di Andrea Sperelli, che prima intrattiene una voluttuosa relazione con il giovane e poi lo sostituisce senza farsi alcuno scrupolo con un ricco inglese, un pervertito che lei sposa per far fronte a un dissesto economico.
Ella copriva di fiamme eteree i bisogni erotici della sua carne e sapeva trasformare in alto sentimento un basso appetito.
Elena è una donna lussuriosa, di cui il narratore fa un ritratto spietato, analizzando in lei aspetti che ricalca anche nella personalità di Andrea, tanta era l’affinità fra le due nature: entrambi diffidenti nel gestire le regole della seduzione, incapaci di riconoscere e vivere l’autenticità dell’abbandono sentimentale. Del resto, habere non haberi (possedere, non essere posseduti) era il motto del giovane esteta, il quale mirava solo al possesso strumentale di oggetti e persone, senza mai farsi coinvolgere emotivamente. Questa era la regola dell’uomo d’intelletto, ereditata dal padre, che lo aveva avviato a una straordinaria educazione estetica. E questo era anche il principio che permetteva ad Andrea di essere indulgente verso l’analogo spirito avido di commozioni appartenente alla bella amante.
Dopo essere stato, dunque, abbandonato da Elena, Andrea scivola nella dissolutezza, vive di piaceri effimeri, intreccia rapporti superficiali con altre donne, che seduce con estrema leggerezza, tessendo una gran trama d’inganni, di finzioni, di menzogne, d’insidie, per raccogliere il maggior numero di prede. Tutto ciò finché un duello non lo mette fuori gioco, costringendolo a una lunga convalescenza, che gli cambia la vita. In casa della cugina Francesca di Ateleta, presso cui è ospite, conosce Donna Maria Ferres y Capdevila, moglie del ministro plenipotenziario di Guatemala, ospite anche lei nella stessa villa.
E qui scatta, in automatico, il paragone fra le due donne, del tutto antitetiche: una è una sciupa-uomini, l’archetipo del desiderio sfrenato, del gaudio carnale; l’altra una timorata di Dio, schiva, la madre pudica e tenera che richiama le virtù della Madonna.
L’atteggiamento di Elena ti porta a fare il tifo per l’eterea Maria, ma hai voglia di ben sperare che una creatura così angelica possa fare redimere il giovane esteta! Una storia d’amore in grado di riscattarlo dalla superficialità sarebbe stato un bel modo di riabilitare la figura del nobile, vacuo, Andrea Sperelli. A un certo punto credi che ciò sia possibile, quando lui si dichiara innamorato e, a sua volta, riesce a fare innamorare perdutamente Maria attraverso il potere seduttivo delle sue parole e dei suoi gesti sempre molto ispirati, che finiscono per penetrare nei pensieri, nel cuore e nella vita di chi non ha altro da amare se non una figlia, la musica e la poesia. Ma la menzogna viene disvelata nel momento in cui Andrea, al suo ritorno a Roma, rivede Elena, allorché cede ancora alla sua vecchia, mai dimenticata, attrazione fatale e Maria, anche lei a Roma per via di un incarico affidato al marito, diventa l’oggetto di un gioco sottile e perverso. Le immagini delle due donne si sovrappongono nella mente del giovane Andrea e, complice il timbro di voce dell’una che richiama l’accento dell’altra, la sua fantasia morbosa si accende: mentre Elena rappresenta lo sfogo dei sensi, in Maria assapora la profanazione dell’amore virtuoso.
Eh, ma chi troppo vuole nulla stringe: l’inganno della doppiezza ha le ore contate e in un momento d’intimità, Andrea si lascia sfuggire il nome di Elena:
Quel nome! Quel nome! Ella aveva udito quel nome!
Un gran silenzio le vuotò l’anima. Le si aprì, dentro, un di quegli abissi in cui tutto il mondo sembra scomparire all’urto d’un pensiero unico.
Ella non udiva più altro; ella non udiva più nulla.
Andrea gridava, supplicava, si disperava invano.
Ella non udiva. Una specie d’istinto la guidò negli atti. Ella trovò gli abiti; si vestì.
Andrea singhiozzava sul letto, demente.
S’accorse ch’ella usciva dalla stanza.
– Maria! Maria!
Ascoltò.
– Maria!
Gli giunse il romore della porta che si richiuse.
Ben ti stia, mio caro Andrea Sperelli, demente, eccentrico, snob, narcisista: adesso, sconfitto, sei condannato alla solitudine.
Ciò che mi è piaciuto molto, nel romanzo, è il modo in cui D’Annunzio struttura la storia: l’incontro e la nascita della relazione con Elena viene raccontato attraverso la tecnica del flashback, con rimandi dal presente al passato, mentre la vicenda sentimentale con Maria è ricostruita attraverso le pagine del diario personale della donna: c’è, dunque, la voce di un narratore interno che si armonizza con quella del narratore esterno e crea un diversivo nel ritmo, risolvendo il pregiudizio di uno svolgimento spesso criticato come lento e pesante.
“Il piacere” è un romanzo in cui l’indagine introspettiva è curata nel dettaglio; all’intreccio di fatti oggettivi si affianca l’interiorità del personaggio, il che conferisce profondità a una trama tutto sommato semplice.
C’è un moderno uso della paratassi. Proprio il lessico arcaico, unitamente al rimando continuo alla raffinatezza di oggetti, al pregio del mobilio, all’eleganza delle vesti, nobilitati dal confronto con celebri opere d’arte, finiscono per impreziosire la mia lettura, anziché renderla stucchevole e noiosa.
Concentro sul finale tutti i miei pensieri migliori: lo splendore rossastro del tramonto, la luce cruda della strada, Roma immensa... Rallento il passo mentre seguo, piano piano, di gradino in gradino, Andrea Sperelli fin dentro casa.
Anch'io l'ho letto ai tempi del liceo, e ne ho un ricordo molto confuso.
RispondiEliminaSo solo che all'epoca lo apprezzai, sebbene la lettura non fosse propriamente scorrevole.
No, non credo che lo rileggerei da adulta. Sia per lo stile ricercato e sia perché, come sai, ho un blocco psicologico verso i libri che superano le 150 pagine, e questo ne ha più del doppio.
Insomma, brava tu, ma io passo.
Ti faccio ridere: l’ho letto in ebook e, controllando lo stato di avanzamento che va a percentuale, ero arrivata a circa il 60% sul totale, dunque ero tranquilla di essere ancora a poco più della metà. E invece, a un tratto, la storia è finita e non me lo aspettavo affatto. Forse mi è piaciuta anche di più la sorpresa, poi ho pensato che il restante 40% era tutto di note e mi sono resa conto di quanto esse siano fondamentali, per coprire quasi lo stesso numero di pagine dell’intera storia.
EliminaComunque bello bello bello (per tutto il suo significato.)
Non l'ho mai letto, è uno di quegli autori che non mi ha mai attirato.
RispondiEliminaD’Annunzio non è uno che piace a tutti, è vero. Non ho mai formulato un giudizio su di lui, l’ho sempre collocato là, nell’Italia del decadentismo, dentro il mito dell’eroe esteta, che poi diventa super-uomo.... Mi è piaciuto, però, fare una scoperta positiva e, forse, mi avventurerò pure a leggere “Le vergini delle rocce”.
EliminaCome scrivi bene
RispondiElimina🤗
EliminaLetto tanti anni fa per esigenze scolastiche, ma è tanto che non lo riprendo in mano. Ricordo una prosa raffinatissima, come del resto anche la poesia dannunziana, e una struttura avvincente che hai descritto benissimo. Ed è proprio l'uso del linguaggio che lo rende affascinante.
RispondiEliminaGrazie!
Sì, alla fine, quello che allora mi era sembrato il limite principale, il linguaggio così ricercato e arcaico, oggi è ciò che mi ha affascinata di più: le allitterazioni, ma anche l’onomatopea (che già a me piaceva ne “La pioggia nel pineto”), persino la descrizione di ambienti e oggetti (ma io vengo dal mio amore dichiarato per Proust, figurati!) mi hanno, stranamente, e direi anche inaspettatamente, attirata dentro la storia. Che poi non è che la trama prevedesse un intreccio pazzesco, ma mi ha lasciato dentro una tale malinconia! E io adoro provare certe sensazioni, a fine lettura.
EliminaFacendo riferimento al titolo del post, nel mio caso non è stato un piacere ;-)
RispondiEliminaE ti dico che pure io l'ho provato a leggere da adulto, quindi senza il blocco psicologico che può avere uno studente delle superiori. Però... niente, la prosa di D'Annunzio mi risulta proprio indigesta. La trovo pomposa, aulica, e sul piano comunicativo mi pesa parecchio anche la "falsità ideologica" alla quale tu stessa accennavi nel post, ovvero quando il narratore esprime giudizi negativi su condotte che invece racconta con un compiacimento così profondo da fare realmente venir da ridere di fronte alla pretesa condanna morale che in realtà non c'è. Se il narratore fosse stato moralmente più onesto lo avrei apprezzato un po' di più (ma non sarebbe servito per la prosa: quella mi stronca a prescindere).
Insomma, niente: non sono un dannunziano ;-)
Conosco più detrattori dannunziani che amanti e, in effetti, capisco che possa non piacere affatto.
EliminaDirei che in questo mio nuovo approccio, mi colloco non certo fra quelli che lo amano, ma fra quelli che, forse, lo hanno riscoperto, dopo averne coltivato un pregiudizio forte. E io sono sempre contenta quando posso cambiare un’opinione che pensavo consolidata.
Poi, continuo a rimanere a distanza, come allora, quando non la condividevo, dalla figura dell’esteta: il culto della bellezza fine a se stessa non m’ha mai affascinata e, a fronte di tante infatuazioni delle mie amiche per il bell’Andrea Sperelli, io lo avrei sempre e solo preso a calci nel sedere. :)
Io rimando da sempre questa lettura. Avevo deciso di riprendere Il piacere dopo aver letto Le lettere d'amore ad Eleonora Duse (bellissime! appassionate, eleganti, di spessore...); però, nulla, alle prime pagine mi blocco: lo stile non mi aggrada, non riesco a penetrarlo... Dal tuo articolo intuisco, tuttavia, che è una lettura che vale la pena fare. Chissà... (che poi da poco ho scoperto gli audiolibri, scettica come mai, eppure eppure...)
RispondiEliminaUn grande abbraccio, Marina
Sì, un audiolibro, forse, consentirebbe di superare l’approccio astruso con la scrittura. Parto anch’io scettica, ma ne sento parlare tanto e prima o poi devo provare.
EliminaIn effetti, ti devi un po’ forzare almeno per il primo capitolo, poi entri, come si dice, nel mood dannunziano. 😁😉
Ti confesso che , da prof, è l’unico romanzo di D’Annunzio che mi è piaciuto
RispondiEliminaQuesto è il suo romanzo d’esordio. So che fa parte di una trilogia: i romanzi della Rosa, insieme a “L’innocente e il “Trionfo della morte”. Chissà gli altri due!
EliminaDi D’Annunzio conosco soltanto La pioggia nel pineto (che peraltro trovo bellissima), non ho mai pensato di leggere un suo romanzo, ma mai dire mai. Ho una serie di classici che vorrei leggere, ma questo non è contemplato, confesso che ho un pregiudizio nei confronti di D’Annunzio...lo associo a Mussolini
RispondiEliminaIl pregiudizio di molti. Io, invece, sto imparando a vedere, in genere, uno scrittore in veste di autore di un libro e basta, senza indagare su ideologie o farmi condizionare dalla biografia. Mi piace l’idea di potere scindere la persona da ciò che scrive (quando le due cose non sono strettamente connesse.)
EliminaCredo che a liceo sia impossibile prendere sul serio D'Annunzio... quando vieni a sapere delle due leggende metropolitane che lo vedono protagonista, ormai è fatta.
RispondiEliminaIo personalmente ricordo unicamente alcuni suoi componimenti poetici, temo che come romanzi siano al di là dei miei gusti. E poi per aver inventato la parola tramezzino, il sandwich creato a Torino.
Ma lo sai che questa del tramezzino mi mancava? Mentre una delle famosissime leggende dannunziane, quella delle costole intendo, mi ha perseguitato per anni! 😂
EliminaHai fatto benissimo a leggere D'Annunzio, secondo me alcuni autori si apprezzano meglio più avanti nel tempo. Con alcuni invece non c'è proprio speranza! :D Ai tempi liceali avevo letto sia "Il piacere" sia "L'innocente" e mi erano piaciuti molto entrambi, come anche le sue poesie studiate per dovere scolastico. La prosa è davvero molto ricca e lussuosa, in alcuni punti addirittura virtuosistica. Peraltro ricordavo a malapena la trama de "Il piacere", mentre ho un ricordo più nitido de "L'innocente" di cui avevo visto anche il film di Luchino Visconti. Comunque leggere il tuo post mi ha fatto venire in mente la trama de "Le relazioni pericolose" che è molto simile, anche lì c'è un triangolo amoroso con una donna intrigante e dissoluta e un'altra dolce, religiosa e pudica.
RispondiEliminaPenso che nel tempo leggerò altre cose di D’Annunzio. Quando un autore non mi piace, in genere, non gli concedo altre opportunità, D’Annunzio, invece, a modo suo, mi ha conquistata.
EliminaIl film che citi, mi ricordo benissimo di averlo visto e apprezzato, però la trama completa mi sfugge. Sarebbe da rivedere: hai riacceso la mia curiosità. 😉
"Il piacere" l'ho letto ai tempi dell'università, quando avevo 30-40 minuti di andare e altrettanti di ritorno in treno (e non avevo voglia di rimettermi sulle materie viste in aula). Mi è costato ben 3000 lire, edizione gialla della BUR, adesso un po' ingiallita dal tempo, ma ho letto tanti bei classici con quella collana. Però di questo romanzo ho un solo ricordo, il "Tutto qui?" quando l'ho terminato. L'ho letto con piacere (!!), in effetti uno stile ricco, mai però noioso quanto i miei libri universitari. Però la trama non mi ha coinvolto così tanto, tanto che non la ricordavo finché non ho letto il tuo post. :)
RispondiEliminaIn effetti, la trama è semplice, non c’è nemmeno un grande intreccio: lui ossessionato da questa donna che è il suo specchio (per questo, secondo me, ne è così attratto), ma a modo suo preso anche dall’altra, totalmente all’opposto per indole e comportamenti. Ma il vero gusto nel seguire questa vicenda è stato capire, forse anche sperare (almeno io l’ho sperato) che Andrea Sperelli rimanesse fregato dal suo stesso inganno. Poi, a me è piaciuto in particolare la descrizione di una Roma che ormai conosco, quindi riuscivo a visualizzare strade, palazzi e a vivere più da vicino la storia. Comunque, a dirla tutta, del mio approccio liceale era rimasto solo un vaghissimo ricordo delle due donne: contestualizzare le loro azioni e le loro personalità mi ha dato soddisfazione.
EliminaAnch'io lo abbandonai, proprio intorno ai 16-17 anni, quando insomma, a meno che tu non sia un intelletto di rara sensibilità, competenza e intelligenza, non puoi afferrare pienamente "la maschera dell’esteta, per l’individuo che inorridisce di fronte alla mediocrità borghese, che disprezza la morale, amante della bellezza assoluta, del lusso e delle avventure galanti".
RispondiEliminaÈ la pecca di tanti percorsi scolastici. Ragazzi molto giovani non sono in grado di cogliere certi contenuti, perché sono complessi, perché si attagliano a periodi storici pieni di orizzonti differenti, tutti complessi come possono esserlo gli anni del decadentismo.
E quindi non stupisce, Mari', che si torni a questi classici, e si sia pronti ad apprezzarli. Riguardo alla storia, mi intriga quel doppio piano narrativo. Per il resto, ho amato e amo il D'Annunzio poeta, non tutto, ma il vate narratore proprio non è mai riuscito a conquistarmi.
Il vate non mette d’accordo tutti: mi ricordo che anche in famiglia, mia madre, insegnante di lettere, non lo amava; l’unica cosa che citava spesso era “La pioggia nel pineto” e qualche altra poesia, ma io ricordo quella che a me ha sempre colpito molto (nonostante, come ben sai, la mia distanza dal mondo dei versi). In questo caso, sono riuscita a leggere un libro che non avrei mai pensato di prendere ancora in mano, dopo così tanti anni, senza pentirmi di averlo fatto. Il che è già, di suo, una gran cosa. 🙂
EliminaIl D'Annunzio più bello non si trova nei romanzi, ma leggendo *Le Novelle della Pescara* che segnano la prima conquista di D'Annunzio narratore. La collana di diciotto grani e in ognuno cosparge un succo asprigno e vivificante.
RispondiEliminaCaspita, sono andata a cercare: sono sei volumi, una bella mole! 😅 Sai che non mi ricordavo di quest’opera?
EliminaAh, intanto benvenuto, Gus! 🙂
La pioggia nel pineto è una celebre poesia scritta dal poeta abruzzese Gabriele D'Annunzio nel 1902 presso la sua celebre abitazione in Versilia. La lirica fa parte della raccolta di poesie nota come Alcyone: questa raccolta contiene le liriche composte dal poeta nel periodo di tempo compreso tra il 1902 e il 1912.
RispondiEliminaNel testo poetico La pioggia nel pineto ciò che colpisce più di ogni altra cosa è l'utilizzo delle parole che rendono un'idea di musicalità e di sonoro: per esempio vengono riprodotti i rumori che rendono meglio l'idea dello scròscio della pioggia, viene anche riprodotto abilmente il canto delle cicale per esempio, il verso della rana nel momento stesso che ha smesso di piovere. Molto importante è anche la resa del colore della vegetazione circostante attraverso l'utilizzo di parole molto vivide, precise e dettagliate che rendono l'idea di come sia la vegetazione circostante. Molto ricorrente è per esempio l'uso del verde come colore per rendere l'idea delle piante che sono presenti nel luogo descritto. Questa è una delle liriche più conosciute di Gabriele D'Annunzio e una delle più apprezzate.
QUI
RispondiEliminaGrazie per la disquisizione su “La pioggia nel pineto” e per il link ancora più chiarificatore. Nonostante io non ami particolarmente la poesia, ce ne sono alcune che mi hanno sempre lasciato una bella sensazione (da quando le ho studiate a scuola) e che mi sono rimaste nel cuore: questa di D’Annunzio è una di esse, uno degli esempi più riusciti di onomatopea (una figura retorica che amo molto). Ti sembra proprio di sentirla questa pioggia in mezzo agli alberi e ti fai quasi un tutt’uno con la vegetazione. Questa era anche la poesia più citata in casa mia, perché a mia madre piaceva moltissimo e trovava sempre un’occasione per parlarne, lei che non amava altrimenti D’Annunzio.
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