Vi siete mai imbattuti nelle famose classifiche letterarie, quelle che stilano una graduatoria dei libri in relazione alle vendite o ai giudizi di qualità espressi da critici, scrittori, giornalisti, lettori? Io diverse volte, anche se devo dire, tolti i primi slanci di curiosità, non ho mai trovato veramente utile spulciare fra i vari titoli suggeriti, avendo già una lista mia di testi da leggere, redatta con criteri soggettivi.
Ogni anno circolano in rete le Top 10 o le Top 100 di case editrici e librerie: laFeltrinelli proporne “la classifica dei libri più venduti”, Mondadori Store quella dei “libri best seller”, IBS esplora l’andamento settimanale delle vendite...
Tutte queste valutazioni hanno un comune denominatore, le pubblicazioni andate a buon fine, il che porta al solito ragionamento relativo alle esigenze legate agli obiettivi primari delle case editrici e agli interessi delle librerie: entrambe vogliono trarre un profitto dalle reciproche attività, com’è giusto che sia. Ragion per cui, nelle prime postazioni di queste classifiche troviamo i libri che hanno maggiore successo di pubblico: la mappazza di giornalisti e politici sui soliti intrugli potere/politica (laFeltrinelli al secondo posto inserisce l’intervista di Alessandro Sallusti a Luca Palamara); i memoir di personaggi famosi (i racconti di Carlo Verdone, l’odissea di Barak Obama, Bill Gates prestato alle tematiche ambientali e davvero sentivamo il bisogno di conoscere la storia di Rocco Casalino, spin doctor dell’ex presidente del Consiglio Conte); Gianrico Carofiglio e Donato Carrisi, buoni per ogni stagione; il libro di ricette di Benedetta Rossi (e qui taccio perché tutti i dolci che preparo vengono da lei, ma a me basta seguirla sui social). Al quinto posto della sua classifica, Mondadori colloca “365 giorni senza di te”, che a me è venuto un colpo, dopo l’ultima esperienza con il numero 365: non ho voluto nemmeno vedere di cosa parla, poi, però, gli ho dato una sbirciata e ho scoperto che si tratta di una fanfiction ispirata alla serie tv Day Dreamer.
Libri vendutissimi (ma dov’è finito Fabio Volo? non ne sento parlare da un po’), che, piazzati dentro una classifica accreditata, dovrebbero indurre alla loro lettura e spingere all’acquisto.
Classifiche di vendita, appunto. Questa è la giusta stima delle case editrici che non vogliono fallire, perché i libri sono merce, si sa e la loro qualità dipende dal modo in cui rispondono alle logiche di mercato.
Ma esiste anche una “classifica di qualità” in senso stretto, stilata da una rivista letteraria, L’indiscreto, che con cadenza quadrimestrale, ogni anno, pubblica un elenco di testi, votati sulla base di un giudizio espresso da un pool di 600 “grandi lettori”, formato da critici, librai, editor, traduttori, giornalisti, scrittori, con riguardo alle varie categorie: narrativa, poesia, saggistica, fumetto. Quella di febbraio 2021 annovera, in pole position, nella sezione narrativa: 1) Nicola Lagioia, "La città dei vivi", 2) Giulio Mozzi, "Le ripetizioni", 3) Filippo Tuena, "Ultimo parallelo".
Fino a che punto è attendibile l’opinione dei giurati? Possiamo fidarci del loro giudizio?
La qualità certificata da questi “lettori speciali” assolve a criteri di oggettività, tali per cui un testo possa definirsi qualitativamente valido per tutti?
Se pensiamo al Premio Strega, per esempio, come percepiamo le candidature accolte sulla base del parere positivo di un solo “amico della domenica”?
Demetrio Paolin, avviando un interessante dibattito sul problema dei premi letterari e dei giudizi di qualità, all’interno dello spazio on line curato da Romano Luperini, laletteraturaenoi, lancia una provocazione che condivido: le candidature al premio più famoso d’Italia, adesso sono aperte anche alla piccola e media editoria, così non è un caso che in lizza si vedano piccole case editrici (spesso con più produzioni), che, alla fine, approfittano di questa importante occasione per farsi pubblicità a basso costo. In libreria i testi arrivano con la fascetta che li presenta come “Candidati al Premio Strega”:
“Non è, forse, anche questo un mero tentativo di prendere un bollino di qualità?”, dice Paolin.
La qualità, in tal modo, arriva grazie a un piano di marketing, che sfrutta la nomea del concorso. Non ci facciamo caso o, in effetti, la notorietà del Premio ci influenza, in qualche modo?
Mi domando: può, allora, un critico letterario assegnare il bollino blu a un libro, almeno finché il suo giudizio è affidato a competenze acquisite, preparazione, cultura, capacità di analisi e di sintesi?
Mi rispondo che, forse, attualmente, tutte queste qualità sono più al servizio di opere di nicchia, perché, oggi, la realtà editoriale riduce lo spazio di intervento del critico letterario a qualche articolo su pagine culturali o supplementi letterari di riviste e giornali, prediligendo uno smercio inarrestabile di opere, che non cede a istanze di approfondimento. Così le case editrici influenzano il mercato, quand’anche sacrificano la qualità a favore di ciò che è vendibile e i meccanismi di selezione dei libri hanno poco a che fare con l’esercizio della critica: basti pensare ai blog che si occupano di recensioni e agevolano la diffusione e il successo di taluni romanzi, al passaparola sui social e al contributo dei book influencer che consigliano, raccontano i libri (letti o non letti, non si sa) a un pubblico di persone che comprerebbe pure un libretto d'istruzioni, se suggerito dalla persona giusta.
Un romanzo diventa di qualità quando le opinioni della maggior parte di lettori è positiva? Quando chi ne parla è bravo e sa essere convincente, anche se il giudizio si ferma alle impressioni personali, senza affrontare quell’attività di ricerca che il critico intraprende, per trovare il valore intrinseco dello scritto?
Che poi, a dirla tutta, io non amo le recensioni d.o.c. dei critici letterari, perché, al di là della loro compiutezza e delle argomentazioni articolate con cui interpretano la funzione dell’opera, a me non arriva, se non raramente, il trasporto emotivo che, invece, mi piace percepire in chi vuole convincermi che il libro ha una sua bellezza oggettiva.
Ma insomma, questa qualità da cosa dipende?
E le “classifiche di qualità” secondo quali criteri sono dette di qualità?
Le domande restano, le risposte, invece, sono rimaste intrappolate dentro l'ultimo bollino blu.
La qualità di un libro è soggettiva. Io concorsi e classifiche di vendita li uso esclusivamente per sapere quali libri NON comprare. Non voglio leggere i libri che leggono tutti come mi propose la newsletter di Feltrinelli. Voglio leggere i libri che voglio leggere io.
RispondiEliminaNon bastano nemmeno le recensioni dei blog o dei booktubers. Alcuni di loro vengono sponsorizzati da case editrici, fanno quello di professione, non comprano nemmeno un solo libro, ma leggono quelli che una o più case editrici mandano loro magari facendogli la cortesia di sceglierlo dal loro catalogo, oppure gli propongono una certa lista.
Le recensioni che si trovano su Amazon hanno fatto il loro tempo, oramai è spuntata la moda di lasciare un voto da 1 a 5 senza una sola parola. Lo puoi assegnare e sarà visibile dopo qualche giorno solo se hai comprato l'e-book (credo valga anche per acquisto di cartaceo). Però poi uno mi deve spiegare cosa vuol dire 1 stella, 2 stelle senza una sola riga di commento, come anche 4 e 5 stelle senza parole. Il 3 più lo capisco. Non ti va di dire nulla, ma il libro non era un capolavoro, ma nemmeno robaccia. Una lettura spicciola, senza lode e senza infamia.
Sono molto poche le recensioni di lettori che leggono tanto e che ti fanno capire davvero se un libro è piaciuto loro o meno e perché. Il resto è un grande rumore di sottofondo, un caos sparato a tutto volume a colpi di marketing. Chi si può permettere il più bravo esperto di una campagna di vendita, pagata magari anche molto, allora arriva nella classifica dei 10 più venduti ovunque, non solo su Amazon.
La qualità resta a sé alla propria idea di qualità. Non sono gli esperti a farmi cambiare idea su cosa leggere o comitati di lettori. A volte posso anche lasciarmi influenzare, ma devo sempre leggere l'anteprima di un libro e se non mi convince può aver vinto anche il nobel per la letteratura. Non lo leggo. :)
Una volta ho letto un libro che aveva una sola recensione muta a 2 stelle. La trama mi interessava. Scarico l’anteprima e mi piace, procedo l’acquisto e, a fine lettura, mi ritengo molto soddisfatto. Ho dato un 5, proprio per bilanciare il 2 muto, altrimenti mi sarei mantenuto su un 4.
Forse, più che parlare di qualità riconosciuta bisognerebbe parlare di capacità di influenzare il pubblico, perché, alla fine, classifiche, newsletter, contatti con le case editrici, non fanno che proporre la lettura di un libro nella speranza che venga letto da più persone possibili. Dietro ai premi, si sa, c’è tutto un giro che nemmeno sto a dire: quello resta per me il peggior modo di decretare la qualità di un libro.
EliminaMi sono imbattuta in case editrici che mi hanno chiesto di leggere dei testi da recensire nel blog, ma ho rifiutato perché non è questo lo scopo per cui ho aperto il mio Taccuino. Del resto, penso sempre al fatto che, di fronte al sovraffollamento editoriale cui stiamo assistendo, sia impossibile occuparsi di “qualità”.
Le stelline di Amazon sono un modo spiccio per dare un’opinione, ma questo rientra nell’ambito di un giudizio di gradimento del lettore, che non dovrebbe essere interpretato come affermazione o negazione della qualità di un libro.
Allora, se parliamo di libri di qualità in senso stretto, il discorso dei lettori "esperti" ha una sua logica. É evidente che una persona che in un libro cerca solo intrattenimento, se le viene sottoposto un romanzo, che so, di Kundera o Houellebecq, lo giudicherà un mattone. Il critico letterario che ha già letto (e studiato) i grandi classici letterari sarà invece in grado di cogliere maggiormente la profondità di certe intuizioni, la capacità di esporle trasfigurate nella trama, la densità della prosa, i simbolismi e le allegorie nascoste nella narrazione, le citazioni intellettuali. Insomma, il parere di un esperto è certamente più "pesante" di quello del lettore comune.
RispondiEliminaPremesso ciò, questo non implica che un libro giudicato "di qualità" risulti pesante solo al lettore di serie c... Magari risulterà indigesto anche a un lettore abituato a leggere (e apprezzare) classici voluminosi di Dostoevskj e Tolstoj.
Esiste un elemento fondamentale, non solo per la lettura, che si chiama "individualità". Ognuno di noi ha la sua personalità e anche i suoi gusti peculiari, pertanto non si possono fare equazioni del genere: "best seller = lettore superficiale / libro da premio Nobel = lettore profondo". In linea di massima è un principio attendibile, ma non la regola. E la famosa eccezione che la conferma in questo settore è assai frequente, talmente frequente da essere assai più di un'eccezione.
Ed è questo che mi chiedo: la “qualità” non potrà mai affrancarsi dalla sfera soggettiva, perché l’unico arbitro di una lettura può essere solo chi l’affronta con il proprio bagaglio culturale, i propri gusti, le proprie necessità. Ma perché, allora, nell’arte, nonostante la ricezione personale, è più facile parlare di un capolavoro oggettivamente riconosciuto? E, in effetti, un critico letterario dovrebbe assolvere a questa funzione: possiede gli strumenti per “vedere” e riconoscere la qualità di un’opera. Poi leggo l’articolo, che ho citato, di Paolin e lui mi convince di un’altra cosa. Lo scrittore sostiene che per il critico ciò che conta non è la qualità di un testo, perché non è un “misuratore” del campo letterario: il critico studia il modo in cui un testo entra in comunicazione con chi legge, dunque non può dipendere nemmeno da lui l’attendibilità di una classifica.
EliminaRisolvo pensando semplicemente che non esiste un elenco che decreti la qualità di un libro, che la qualità è un elemento misurabile solo nella capacità di un testo di superare le leggi del tempo e rimanere sempre attuale e godibile in ogni epoca. Insomma per me l’unica qualità riscontrabile in un testo appartiene ai classici.
Non so se sia possibile utilizzare criteri generali e paradigmatici per valutare la qualità di un libro. Forse lo si può fare fino a un certo punto e limitatamente ad alcuni aspetti ("Sesso? Fai da te!" di Giobbe Covatta, giusto per fare il primo esempio che mi viene in mente, difficilmente lo inserirei nella categoria letteratura di qualità). Questo perché, in generale, si tratta di valutazioni soggettive, come hanno già fatto notare i commenti precedenti.
RispondiEliminaSotto questa luce, le varie classifiche e i vari suggerimenti propinati dalla stampa lasciano il tempo che trovano. Mi è capitato di leggere libri in cima alle classifiche che mi hanno lasciato sostanzialmente indifferente e libri sconosciuti, magari trovati per caso su una bancarella dell'usato, che mi hanno entusiasmato.
Sì, credo che le recensioni, a qualunque livello, siano solo un modo per coinvolgere il pubblico, interessarlo alla lettura di un testo. Servono a muovere le vendite, fanno il gioco di case editrici e di librerie, ma la qualità è un concetto che rimane astratto. Giobbe Covatta vende, ma vendere tanto ti porta a essere il primo nelle classifiche di vendita, il che sposta il ragionamento su un piano diverso. Difficilmente un critico letterario si occupa di analizzare un testo di puro intrattenimento. Allora, penso che quello della “qualità” non sia un concetto “democratico”: non è applicabile a qualunque scritto e allora esiste davvero una letteratura di serie A e una di serie B, tale per cui solo all’una si possa attribuire un bollino blu, mentre all’altra si lascia la soddisfazione di scalare, in un dato anno, solo una classifica di vendite?
EliminaIo penso che come per i film, anche per i libri sia possibile fare una recensione che abbia dei parametri oggettivi. Magari non saranno la verità assoluta, però penso sia possibile sganciarsi dal soggettivo dei propri gusti. Anche cercare di "descrivere" le qualità (in ogni accezione) di modo che un lettore riesca a farsi un'idea, per capire se può essere di suo gusto.
RispondiEliminaE questi parametri a cosa corrispondono? Si ragiona su stile,lingua, trama... , puoi estrapolare il meglio da un testo, ma basta a rendere di qualità un prodotto? Sì, diciamo che un buon giudizio, condotto bene, può dare un indirizzo, ma appunto, aiuta il lettore a capire se quella lettura può fare al caso suo, cioè il fine si soggettivizza, per così dire. E torno al punto di partenza.
Eliminaprendiamo ad esempio un romanzo, che magari altri generi richiedono analisi diverse. E' possibile valutare in maniera abbastanza oggettiva ad esempio la coerenza della trama, esistenza o meno di buchi logici o di elementi non particolarmente significativi, costruzione dei personaggi, dialoghi coerenti coi personaggi e altro. Non dico che due persone debbano dare due giudizi perfettamente omogenei, però a parte opere veramente estreme o sperimentali, credo che cercando di togliere il proprio gusto personale quanto possibile, sia possibile stabilire in misura di massima la qualità di un'opera. Non dovrebbe succedere che un critico valuti come schifezza emerita un libro che qualcun altro definisce capolavoro.
EliminaPoi, in un giudizio, si possono inserire elementi personali che motivano la propria preferenza.
tutto questo al netto di strategie di marketing, perché appunto se parliamo di classifiche e di vendite, le logiche sono avulse dall'effettiva qualità dell'opera.
Sono d’accordo, ma quello che volevo evidenziare è come qualcuno possa ritenersi in grado di attribuire la qualità a un testo, immaginando di stabilire un risultato valevole per tutti. Cioè, alla fine, una classifica di qualità stilata da tot lettori forti perché dovrebbe far credere a tutti che si tratti di testi effettivamente di qualità? Solo perché c’è una percentuale alta di gradimento relativo a quel dato libro rispetto a un altro. Ed è chiaro, come, a livello ordinario, se nove persone su dieci giudicano un libro di qualità, quel libro qualcosa di buono ce l’ha. Ma, per me, rimane sempre tutto sul piano della soggettività.
EliminaIl critico letterario ha un ruolo importante, perché è quello cui è affidato il compito di trarre un significato dal testo, di rendere chiaro ciò che esso produce. È nella misura e nel modo in cui un testo può influenzare un’epoca, quella attuale o avere dei riflessi in quella futura che, secondo me, va intercettata la qualità, non sui singoli elementi, personaggi, dialoghi, trama, che formano un libro. Parlo di “qualità universale”, che nessuno, a quel punto, può mettere in dubbio, nemmeno se soggettivamente preferisce altro.
Che l'editoria sia veicolata da tutta una serie di strategie di marketing, è evidente. Proprio di recente ascoltavo da You Tube un intervento di Baricco sulla legittimità della strategia anche in un campo così delicato, che si regge esclusivamente sul favore dei lettori. I lettori, esattamente come lo spettatore televisivo, vengono veicolati verso certe scelte, influenzati, è vero, da mille input circolanti sui mezzi di comunicazione di massa.
RispondiEliminaSospetto comunque che si sia costretti a investire su narrativa, saggi e quant'altro veramente validi, perché per quanto si cerchi di influenzare il lettore, se il libro non è all'altezza del favore del grande pubblico, sarà destinato all'oblio. Un po' quello che è successo per La ragazza con la Leika, credo. Libri dimenticato, benché vincitore del massimo riconoscimento.
Allora è inutile parlare di qualità in una classifica che la decreta solo sulla base di una statistica: 600 lettori che giudicano fanno un bel numero di giudizi, ma restano solo opinioni personali. Ancora di più mi rinforzo nell’idea che premi, elenchi, classifiche non servano a nulla, se non a smerciare il prodotto libro. Per carità, La ragazza con la Leika... e chi se la scorda la fine che ho fatto fare a quel romanzo! Adesso leggo senza cedere alle lusinghe dei bollini blu... e in molti casi ho guadagnato letture bellissime.
EliminaCredo che in ogni forma artistica ci sia lo stesso problema. Nella narrativa, come nella musica, nell'arte o nel cinema, è sempre difficile definire che cosa sia un capolavoro o anche solo quali opere abbiamo più valore. Al netto dell'interesse economico, ed è innegabile che spesso ci sia, è pur vero che spesso il valore di un'opera viene fuori proprio grazie alla sua sopravvivenza nel tempo. Non credo che Fabio Volo, per quanto di successo, verrà inserito nella storia della letteratura italiana.
RispondiEliminaPer il resto, ci possono essere molti criteri per valutare un libro. Io per esempio non amo molto i libri che usano un linguaggio comprensibile a pochi: la grandezza di un'opera, a parere mio, sta nel poter portare il suo messaggio o il suo intrattenimento a chiunque voglia avvicinarsi ad esso. La letteratura non dovrebbe essere d'elite. Ma questo è un solo il mio criterio di giudizio e come tale può benissimo non essere condivisibile. Esistono molti altri criteri e ognuno valuta in base a quello che ritiene più vicino alla propria sensibilità.
Sono totalmente d’accordo sul fatto che la qualità si misuri nel tempo, lo dicevo ad Ariano. I classici sono tali perché il tempo ha decretato la loro qualità e dunque anche per la narrativa contemporanea bisognerà aspettare qualche anno, perché si capisca cosa diventerà: se sarà una meteora, che, nel tempo che è durata la sua fortuna, ha fatto guadagnare le case editrici o se rimarrà un punto di riferimento nella letteratura, universalizzandosi. Qualcosa, già, di attuale, sembra prendere questa strada, sto pensando a Foster Wallace di Infinite Jest, un romanzo che non tutti “soggettivamente” amano, ma che sembra staccarsi da ogni contesto e possedere “oggettivamente” una qualità destinata a durare nel tempo.
EliminaIl criterio soggettivo non può e non deve considerarsi sbagliato, perché, come dici, chiunque ha dei parametri personali in base ai quali scegliere cosa leggere, ma la qualità non potrà mai dipendere da questo. In buona sostanza, mi sono convinta che non esista persona (lettore comune, lettore forte,critico) che possa stabilire cosa sia di qualità e cosa no. L’unico vero arbitro resta il tempo.
Esatto. Qualsiasi criterio "umano" è comunque soggettivo e non universale. Il tempo ha sempre ragione.
EliminaUna volta, quando leggevo poco, compravo sempre l’ultimo premio Strega e, di solito, erano libri che mi piacevano e mi lasciavano soddisfatta, erano gli anni prima del 2000, un’altra vita. In generale comunque compravo i libri in base alla mia intuizione, lèggevo la quarta di copertina oppure l’incipit (oppure sfogliavo a casa e leggevo l’interno) se mi piaceva compravo, spesso ho scoperto degli autori che ho amato a lungo.
RispondiEliminaLa qualità di un libro, probabilmente un critico esperto sa il fatto suo, però è anche vero che il grande pubblico lo raggiungi con le storie semplici, quelle in cui tutti possono riconoscersi, mi viene in mente il grande successo di Susanna Tamaro con “Va dove ti porta il cuore” molto criticato perché non era alta letteratura, però è un romanzo che conservo ancora.
Anch’io ero fissata con i premi: i Premi Strega, i Premi Campiello, tutti letti, perché ecco, i titoli in testa alle classifiche, i libri vincitori o in pole position mi attiravano come le api con il miele. Ma ne sono uscita più delusa che compiaciuta e ho smesso. Ho capito come funzionano certe dinamiche e le scelte che faccio seguono criteri diversi, qualche volta rimango incartata dietro qualche romanzo di cui si parla tanto, ma in genere, mi sono affrancata da questo sistema. Sai che c’è, però, che non mi fido: quando la pagina culturale di un giornale espone la recensione del grande critico letterario su un libro, la leggo con molto distacco, perché penso che quella recensione sia stat “comprata”, che anche i critici si lasciano guidare dalla compiacenza con le case editrici. Ovviamente, è un mio pregiudizio, ma non riesco a smontarlo e in più, come dicevo nell’articolo, spesso anche l’analisi perfetta dell’esperto la trovo asettica, priva di appeal.
EliminaI libri che restano nel cuore sono tanti, ma difficilmente riesco a parlare di vera e indubbia qualità di essi (qualità in senso alto, perché di questo si parla.)
Non so quale sia il criterio di assegnazione del Premio Strega (e preferisco non saperlo); posso solo dire che ne ho letti due che lo hanno vinto e non ne leggerò altri. Per il resto sono abbastanza d'accordo con quel che ha scritto Giovanni ne suo commento.
RispondiEliminaIo ne ho letti diversi, che hanno vinto e sono rimasta più delusa che soddisfatta. I criteri di assegnazione del Premio Strega dovrebbero portare il lettore a non dare più alcun credito a tale concorso, invece, rimaniamo attratti dai titoli che hanno meritato la candidatura, facciamo il tifo, magari, per il libro che abbiamo letto e ci è piaciuto. Meccanismi ai quali siamo ormai abituati ma che con la “qualità” non hanno proprio nulla a che vedere.
EliminaPer darti una risposta, devo distinguere i due periodi a.b. (avanti blog) e d.b. (dopo blog)... :D
RispondiEliminaOvvero: prima di avere il blog e immergermi nel fantastiglioso mondo editoriale (o sporarmi l'innocenza da lettore), effettivamente potevo cadere preda delle fascette: se è candidato al Premio Strega quelli più intelligenti di me ci hanno visto notevoli qualità degne di premiazione. E forse potevo anche cadere preda di questo o quel personaggio televisivo, radiofonico, di spettacolo. Più o meno ricordo belle letture in anni molto antichi, come Giulia.
Adesso che sono nel 6 d.b. scanso le fascette come le merendine confezionate piene di grassi e guardo con molto sospetto ai premi letterari, da dove sembrano uscire sempre un certo tipo di romanzi, non come trama o stile, ma come "percorso" di lavorazione. Non guardo assolutamente i profili dei book influencer, perché o leggono troppo in fretta (e la qualità come si assimila?) o nella vita leggono e basta (e quindi quando hanno avuto tempo per il marketing dell'influencer?). Preferisco la "qualità" del lettore comune, che legge, anche se non troppo, che legge di tutto, fuori dalle classifiche, e che se mi dice che quel romanzo è notevole, non c'è bisogno del bollino per capire che quel romanzo è davvero notevole. Anche se quel romanzo ha venduto poco.
Sono arrivata alla stessa conclusione: avere un blog mi ha consentito di vedere “dall’interno” alcuni fenomeni, che mi hanno fatto ricredere su talune mie certezze. È stato comunque un bene approfondire, studiare, indagare mondi che “da fuori” mi sembravano così perfetti! Ora direi che anch’io cerco una “qualità” mia, consapevole dell’impossibilità di trovarne una assoluta. Riconosco il piacere di certe letture, la bellezza di autori sconosciuti, esordienti che spero abbiano fortuna visto il talento. Ecco, forse una cosa che si può universalizzare è il talento di una persona: può non essere nelle mie corde ciò che scrive, ma se la stoffa c’è e si vede io non la nego.
EliminaChe domandone Marina! Sono abbastanza d'accordo con @Barbara dunque non torno sull'argomento premi. I lettori esperti danno un'opinione tecnica che credo ci aiuti a valutare la qualità di un romanzo. Per me, oltre a una buona tecnica, serve anche un'idea originale per raccontare le mille storie che in fondo già conosciamo. Poi sappiamo bene che oltre e dopo la qualità ciò che conta davvero è la sponsorship. Ormai l'editoria è questo. Mozzi lo sa bene e lo sanno bene anche gli altri
RispondiEliminaIo non credo nella qualità in senso stretto di un testo, credo nella sua forza, nella sua capacità di avere un pubblico di lettori numeroso, alla fine sono costretta ad ammettere che il marketing editoriale produce risultati, ma ribadisco che, per come la vedo io (come dicevo in altri commenti), il vero esperto e giudice supremo in grado di decretare la qualità di un libro è il tempo. Intanto, certo, sono diversi i romanzi che mi piacciono e che considero soggettivamente ottime letture, anche da consigliare, ma hanno “qualità”, per così dire, con scadenza, se non sono capaci di rimanere indimenticabili e di non passare di moda.
EliminaPer rispondere adeguatamente, è bene partire da cosa viene definita "qualità". Riportando ciò che dico a lezione, "la qualità è l'insieme delle proprietà e delle caratteristiche del prodotto tali da conferirgli l'attitudine a soddisfare i bisogni espressi o impliciti dei clienti."
RispondiEliminaVedi, i bisogni impliciti sono quelli facili, essendo le cose che ci aspettiamo senza doverle specificare: direi che un libro ci piaccia, ci diverta e non ci annoi, possono essere una serie di validi requisiti. Per lo più sono di carattere oggettivo.
I bisogni espressi invece sono più complicati, perché qui entra spesso in ballo la soggettività. Si vuole che ci siano determinate cose, che il libro rientri in determinati schemi (oppure che non ci rientri), che tratti di particolari argomenti (o che li eviti), che sia scritto in un certo modo (oppure no), persino che sia scritto da un certo autore (o che non sia scritto da quell'autore).
Il senso comunque è che se il lettore non è soddisfatto delle caratteristiche possedute dal prodotto-libro, allora questo non è di qualità.
Invece io volevo affrancarmi proprio da questa facile deduzione: se il libro possiede determinate caratteristiche (che gli fanno incontrare il favore del pubblico o che lo rendono speciale per una qualsiasi ragione), allora è di qualità. Secondo me, soddisfare un bisogno del cliente, che sia esplicito o implicito, rientra sempre in parametri di soggettività, anche se il testo possiede elementi oggettivamente buoni, facilmente riconoscibili. Come ho detto qua e là, per me la qualità è un concetto non quantificabile nel momento in cui affrontiamo una lettura: lì possiamo attribuire alla qualità del testo un valore soggettivo (anche se siamo fra quei 99 su 100 che lo hanno apprezzato), che è pur sempre una”qualità”, ma non quella che può rendere un libro veramente unico e degno di rimanere tale per sempre.
EliminaPraticamente stai rimandando alla distinzione tra narrativa e letteratura.
EliminaSe comunque vuoi un qualcosa di più personale, per me un libro è di qualità se ti lascia qualcosa dentro, però qualcosa di positivo, un qualcosa che puoi fare tuo e sei contento che sia divenuto anche tuo.
La narrativa che può diventare letteratura.
EliminaLa mia “qualità” personale invece risponde a un solo parametro: deve rendere indimenticabile ciò che leggo, che non significa ricordare alla perfezione ogni cosa (purtroppo sono di memoria scarsissima), ma ritrovare intatto quello stesso trasporto e quella stessa emozione fatti miei durante la lettura.
Non mi interesso mai delle classifiche, così come non leggo le recensioni, a meno che non si parli di libri che ho già letto, o eventualmente di libri che non leggerò mai, ma di cui parla qualcuno che ho voglia di leggere. La mia impressione sul libro, se l'ho letto, per me vale di più delle opinioni blasonate dei critici; se invece non ho letto il libro, le idee altrui tenderanno a modificare le mie impressioni spontanee, perciò vade retro!
RispondiEliminaSono come te: niente recensioni (se non dopo la lettura, eventualmente) e niente classifiche: mi condizionano poco. Forse, l’unica cosa che ancora mi muove e, spesso, mi fa prendere cantonate è la curiosità e il desiderio di capire perché un certo libro, per esempio, è stato premiato a un concorso importante o perché la maggior parte delle persone ne parli tanto. In questi casi, spesso, mi è capitato di leggere cose che poi non ho apprezzato. Adesso, quel tipo di curiosità si è notevolmente ridotta. 😉
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