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martedì 6 febbraio 2024

“Filtro d’amore” - La bellezza (e l’utilità) delle esercitazioni letterarie


Era ormai tutto finito. Sembrava che anche il futuro appartenesse al passato. Si erano andati contro tutta la vita. Mai una tregua. Cos'altro poteva succedere adesso? 

Fino allora, i vaticini di Madame Tricheur si erano rivelati ingannevoli, i tarocchi poco azzeccati, i rituali del tutto inefficaci: tempo e denaro buttati in formule e pozioni di scarsa utilità. Va bene, Samantha aveva usato lo zenzero al posto del cardamomo e cinque baccelli di coriandolo anziché sette, ma riempire un sacchetto portafortuna con quella roba, per recuperare il rapporto con Calogero, dopo l’ennesimo litigio, richiedeva così tanta precisione? E quel pastrocchio a base di papaya, con semi di finocchio e anice stellato, chiamato “filtro d’amore”, era servito a legarli per sempre? per non parlare dell’unguento ottenuto mescolando l’olio essenziale di ylang ylang con gocce di patchouli e salvia sclarea, che lei si era spalmata sul corpo prima di indossare la lingerie tutta pizzo e trasparenze: se questo era l’incantesimo vincente per ravvivare la passione, l’unico successo che aveva conseguito era stato lo sguardo di anguilla e un applauso smorto di lui al suo tentativo di imitare Kim Basinger in “Nove settimane e mezzo”. 

Eppure, forse, non era tutto perduto: il dispendio di denaro, energie e fiducia, a qualcosa era servito, se quel giorno, inatteso, insperato, finalmente arrivò.

Le note dell’organo risuonarono dentro la chiesa, mentre gli ultimi invitati si disponevano nelle panche. Era presente anche Madame Tricheur, che, incorniciata da una parrucca di boccoli rossi, manteneva inamidato il sorriso, frutto di un ambizioso lifting più che della sua fierezza di navigata cartomante. I fiori profumavano l’altare, ai piedi dell’ambone splendeva un vaso pieno di tulipani bianchi, peonie e fiori d’arancio. Il testimone dello sposo, accanto alla moglie, si stirava ogni secondo il ciuffo ingellato e con la stessa frequenza si muoveva sul posto, come colto da una qualche impellenza. 

La cerimonia ebbe inizio. 

Nel silenzio smorzato appena dalle note di un violino, l’impegno solenne contenuto nelle due formule recitate davanti al celebrante fu una pietra lanciata contro i vetri di una finestra:

«Vuoi tu, Samantha, prendere il qui presente Calogero come tuo legittimo sposo?»

«Lo voglio»

«E tu, Calogero, vuoi prendere la qui presente Samantha come tua legittima sposa?»

«...»

«Calogero?»

«...»

Gli sguardi degli astanti si sovrapposero come voci in una piazza affollata; il prete sollecitò la risposta, i volti paonazzi di parenti e amici stemperarono tutto quel bianco intorno a loro. Calogero si voltò verso il testimone della sposa, il testimone della sposa fece un balzello in avanti. Samantha sgranò gli occhi e si afflosciò sul marmo del presbiterio, quando vide i due uomini prendersi per mano e correre lungo la navata centrale, congedandosi con un laconico “Bye!”.

Madame Tricheur, dal fondo della chiesa, ebbe un sussulto: forse era il caso di riconsiderare ingredienti e dosi della coulis di papaya.


*****


Questo mio raccontino, dal titolo “Filtro d’amore” è contenuto nell’antologia “Mai una tregua” per il marchio “L’Erudita” di Giulio Perrone Editore, assieme ad altri racconti di autori vari, che come me hanno raccolto l’invito di continuare un incipit di Romana Petri, utilizzando solo 3000 battute.



Le esercitazioni letterarie m’intrigano sempre per tre buone ragioni: sono un utile allenamento, non assecondano pretese ambiziose e sono sfide, tutto sommato, compatibili con i miei interessi alternativi alla scrittura.

Non mi tiro indietro, in particolare quando la competizione si gioca nel rispetto di un vincolo, perché, come diciamo sempre, è facile scrivere a briglie sciolte, più difficile centrifugare concetti e parole per ottenere il succo del discorso.

Quando scrivo lo faccio senza tenere conto di spazi e limiti, poi, però, leggo e aggiusto, rileggo e aggiusto ancora e lo faccio finché non arrivo a un testo che penso non debba più essere sfrondato. Sistemabile in chissà quanti altri modi sì (non si finisce mai di imparare), ma perlomeno coerente con la regola imposta da un regolamento.

Tremila caratteri sono appena due paginette di libro: sfruttando i margini di tollerabilità consentiti, in questo caso, ho ridotto un racconto che era lungo quasi il doppio e sono rimasta contenta del risultato ottenuto (la pubblicazione nel libro citato è un’altra bella soddisfazione).


Ho sfruttato occasioni simili in passato, la rubrica “La mia palestra di narrazione”, presente in questo blog, raccoglie il risultato del desiderio di assecondare ogni occasione per allenarmi nella scrittura, con prove di varia natura proposte da blogger non più in esercizio (i followers della prima ora ricorderanno senz’altro “Da dove sto scrivendo" e “Scrivere per caso”). Come non citare il “Thriller parattatico” o “Insieme raccontiamo”, tutte esperienze bellissime e costruttive, di cui ho lasciato traccia anche nel mio Taccuino con le apposite etichette, in elenco fra i contenuti del blog.

Sono una fan dei racconti che prevedono un tema, dove si è costretti a immaginare una storia che abbia a che fare con un argomento in particolare (“Killer vegano”, scritto per partecipare al contest “Regalami un racconto”, ne è un esempio), perché bisogna sforzarsi di fare quadrare la trama in quello stretto ambito e certe volte la fantasia fa salti pazzeschi, anche fuori dai propri canoni classici.

Poi, magari, mi dico: ma tutto sto allenamento sfocerà in cosa? E chissà, intanto mi tengo in esercizio! Entro in modalità babba priata (scema contenta) e non perdo lo slancio creativo.

È così, tra una cosa e l’altra, il contatto con la scrittura non mi manca: piccole occasioni, ma utili, che non smettono di insegnarmi qualcosa. Prima di tutto il divertimento, perché scrivere è faticoso, vero, ma l’aspetto ludico di questa attività è da salvaguardare, rappresentando il giusto compromesso fra la vanità (scrivere per essere letti) e il puro autocompiacimento (scrivere per se stessi). 

Con buona pace di tutte le intenzioni e delle intenzioni di tutti.


31 commenti:

  1. Mai sottovalutare le piccole occasioni perché aiutano a tenere la fiamma accesa. Tieni duro, continua.

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    1. Una fiamma che non si spegne nemmeno nei periodi meno creativi!

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  2. Avevo sempre creduto che in tutto il mondo solo un uomo aveva un nome stranissimo: Calogero, mio padre, che per pudore si faceva chiamare *Peppino* che poi è il diminutivo di Giuseppe. Miracolo, nel tuo straordinario racconto c'è un Calogero che tra la futura moglie imbellettata e il testimone preferisce dare il suo amore all'amico.

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    1. Ahahah, in Sicilia siamo pieni di "Calogeri", che poi il diminutivo sarebbe Lillo. Si direbbe, nel racconto, un lieto fine! :D

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  3. Ben fatto!! :)
    Ci sono dei momenti in cui rimpiango il Thriller paratattico, ma ancora di più La biblioteca Scarparo, per cui dovevamo inventarci delle trame sui dei titoli inventati, storpiati da romanzi conosciuti. Non a caso mi dicono che uno dei miei racconti migliori in tema natalizio è proprio quel La fabbrica di acciottolato.
    Però adesso le mie "esercitazioni" sono le storie vere che raccolgo, dove ho paletti di lunghezza, un editor severissimo (la protagonista stessa che mi racconta la storia) e uno stile che deve entrare in contatto con il pubblico femminile a cui si rivolge. Infatti non scrivo tantissime storie vere perché sono una faticaccia. :)

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    1. Oh sì, è vero, tu hai un bel da fare con le tue storie vere: quella è una bella sfida, che tra l'altro, frutta la bella soddisfazione di finire su una rivista molto letta. Lo sai che attingo spesso anch'io da tutti quegli spunti proposti da Michele Scarparo? Questa stessa storia del post di oggi è una rivisitazione di un breve testo scritto per una delle sue esercitazioni ;)

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  4. In questo tuo post mi divido fra diverse cose: il gusto di leggere il delizioso racconto, il piacere che l'abbiano pubblicato in quella antologia, ma anche questi ricordi di un tempo fervidissimo. Ricordo i tanti post dedicati alla scrittura creativa, e il tuo Thriller paratattico fu un grande successo (non partecipai mai e forse ricorderai perché, non riuscivo in quegli anni a inventare qualcosa attorno a un delitto). I commenti sotto ai post si sprecavano, ed erano i tempi di blogger davvero geniali che hanno smesso, ahimè, di scrivere.
    Uno dei segnali irrefutabili della vita: nulla resta lo stesso, piuttosto col tempo si trasforma. Sarà l'età, ma tutto questo mi immalinconisce sempre più e bisogna ricorrere a tante risorse per reagire.

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    1. Sì, come ogni periodo della vita, anche l'era di quel tipo di blogging è cessata per dare seguito a un'altra impostazione, pure soddisfacente, solo molto diversa. Ho nostalgia di quei vecchi tempi, anche perché si era non solo più giovani, ma anche con uno spirito più frizzante, quanto a idee di scrittura e conseguente realizzazione.
      Ti avevo già parlato di queste iniziative di Giulio Perrone in cui, con mio grande piacere, vengo coinvolta. Pensavo anche di averti fatto leggere questo contributo, invece ricordavo male! :)

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  5. Barbara, saper scrivere è innato come suonare il pianoforte?
    Esiste una vocazione, oppure è frutto di studio?

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    1. Io, intanto, ti dico la mia: credo nel talento, chi ci è nato, col talento, parte, è indubbio, con un vantaggio, ma lo studio può portare a grandi livelli anche chi non ha l'innata vocazione e la scopre strada facendo, nella vita. Lo studio serve sempre: il talentuoso può perfezionarsi, chi ama scrivere impara molto e se lo fa bene non ha nulla da invidiare al talentuoso puro.

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  6. A volte l'utilità di ciò che facciamo si rivela nei momenti e nei modi più impensati...!

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    1. Già. Quest'ultima è stata davvero una bella occasione e non è stata l'unica con questa casa editrice! ;)

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  7. Sono risalito al Paratattico del 2017!! Che carine queste cose.. leggendo mi ha ricordato Esercizi di stile di Queneau.. intrigante la cosa.. magari si potrebbe riproporre.. ha ragione Luz, tanti hanno mollato, ma in giro c'è ancora voglia di proporsi e mettersi in gioco! ;)

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    1. Ci divertivamo molto, anche perché occasioni semplici come queste ci aiutavano, per non dire ci "costringevano" a lavorare sulla nostra fantasia ed era bello, dopo, partecipare tutti del risultato altrui (venivano fuori anche delle belle discussioni e degli ottimi consigli).
      Sarebbe ancora lo stesso spirito a muoverci oggi, se riproponessimo una rubrica del genere? Chissà! Col Thriller, poi, ci siamo proprio sbizzarriti. Tu, secondo me, ti saresti divertito molto: questo era un esercizio fatto apposta per te!

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    2. Marì, sull'onda di quanto scrive Franco, perché non ti metti all'opera e proponi un altro di questi progetti di scrittura? Secondo me parteciperemmo in tanti, magari con altro genere. Dai, io ci sono. :) Vale alla fin fine tutto quello in cui si sente coinvolto chi legge e partecipa attivamente.

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    3. Sì, dai, ci penso: ritroveremmo un nuovo spirito, ma magari riusciremmo ancora a divertirci! ;)

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  8. Complimenti ovviamente, e questa è anche la prova definitiva che lo "scrittore per vocazione" che è dentro di noi irrimediabilmente ammalati di tale sindrome non può essere messo a tacere: prima o poi riemerge e riprende il controllo.

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    1. E tu, tra l'altro, ne sai qualcosa, essendo fra quelli che tante volte non si è fatto sfuggire l'occasione di partecipare a questi giochini letterari (anche tu eri un afficionados di "Insieme raccontiamo" di Myrtilla's house, ti ricordi? :D

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    2. Ecco ...'sta cosa mi ha ricordato proprio Myrtilla's house, che spero torni presto!!! ☺️

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  9. Marina, anche io ho scritto una novella:

    Si svegliò di soprassalto. Aveva sentito dei rumori strani in casa. Tese l'orecchio e i colpi si ripeterono. Tonfi, più che colpi. Come se qualcosa di grande fosse caduto per terra.
    Cercò il cellulare per chiedere aiuto ma si ricordò di averlo dimenticato in cucina. Prese allora la torcia, si fece coraggio e si alzò. Perlustrò l'alloggio ma niente era fuori posto. Le finestre chiuse, i vetri integri, l'uscio chiuso a doppia mandata... mistero!
    O forse no. Forse aveva solo sognato.
    Per calmarsi bevve un bicchiere di acqua fresca e tornò a dormire. Giunta sulla soglia della camera da letto si bloccò impietrita.
    Abitare in una villetta nel Parco Nazionale d'Abruzzo è bello, ma si può incontrare l'orso marsicano. Ora stava lì, ai piedi del letto, e la situazione non era per niente tranquilla. Accanto a lei c'era un armadietto con una scatola di compresse di un sonnifero che prendeva causa la sua insonnia. Idea! Vuotò tutta scatola, frantumò le pasticche e insieme al miele formando un impasto molto invitante. Mise il tutto in un piatto e lo fece arrivare vicino all'orso. Il bestione ingoiò tutto e dopo un'ora si accasciò per terra russando. Lei prese il cellulare, chiamò la guardia forestale e l'orso venne trasportato nel vicino Ospedale di Avezzano dove i medici praticarono una potente lavanda gastrica.

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    1. Complimenti Marina per il racconto, è sempre bello poter sperimentare, anch’io ricordo gli esperimenti di scrittura nel blog di Michele Scarparo, erano interessanti. Giulia Mancini

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    2. @ Gus
      Bello, grazie del tuo contributo. Quanto amo queste sorprese!
      Il racconto mi ha fatto venire in mente i recenti fatti legati alla presenza di orsi nei boschi di talune località del nostro Paese e mi sono immalinconita al pensiero che, purtroppo, non sarebbe la lavanda gastrica a essere praticata sul temibile orso! :(

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    3. @Giulia
      Grazie, Giulia, quanto ci divertivamo!

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    4. Ma povero orso..dovresti dirci da dove é entrato però visto che era tutto perfettamente chiuso..

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  10. Grazie Filippo per il gradimento.
    Allen non sbaglia: nella lunghezza puoi trovare più modi per dire le cose, quando devi essere succinta ti concentri di più per non disperdere il contenuto centrale. Anch'io penso non sia facile.
    In quanto a riscrittura dello stesso racconto, sono una maestra: anche tremila caratteri mi danno il filo da torcere. Aggiungici che sono una dannata perfezionista! :)

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  11. Muito bonito o seu blog. Vou te seguir. Se você gostar do meu pode seguir também.
    Um beijo.

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