Seduta su una panchina del parco, che frequento ormai quasi ogni giorno, osservo il mondo che mi circonda. La pianura che ho davanti è un palcoscenico involontario, dove non ci sono attori, ma gente comune che recita la quotidianità.
Una donna spinge una carrozzina per neonati su una strada sterrata, è così giovane! la mia mente elabora subito un pensiero e in quel pensiero mi rivedo alle prese con pappe, pannolini, talco profumato e passeggiate per fare addormentare un diavoletto dagli occhi azzurrissimi, che mi teneva sveglia fino alle sei del mattino (sono passati venti anni, da allora). Il passo di questa mamma è accorto, come se volesse evitare che ogni minimo avvallamento del terreno, un dosso o i solchi formati dal fango indurito possano interrompere il sonno del piccolo.
Le ultime piogge hanno lasciato una mini palude ai margini del prato, che il sole non farà fatica a prosciugare. Gli alberi non hanno ancora fronde, sono un groviglio artistico di rami spogli; quello sotto il quale mi trovo io non fa ombra, ma è grande e in primavera, quando fiorirà, formerà un angolo di paradiso.
Lascio dentro la borsa il libro che ho portato con me, perché per ora preferisco osservare ciò che ho sotto gli occhi: una ragazza si ferma a riannodare il laccio di una scarpa e riprende la corsa; due anziani in tenuta ginnica si tengono per mano e nella sollecitudine del loro incedere dimostrano quanto sia importante per loro mantenersi in forma; sulla destra, poco distante da me, un gruppo di scolaretti, in età di scuola materna, cala la testa alle ultime raccomandazioni delle maestre, ma un bambino rompe le righe e si sottrae alle regole, allontanandosi dal cerchio. Lo seguo con lo sguardo, pronta a colmare la distrazione di chi ne ha la responsabilità.
Mi piacciono i suoni della natura, peccato che, dietro una siepe, dove è allestita una palestra attrezzata, qualcuno fatica con i pesi, suda sopra muscoli gonfi e ripete gli esercizi a ritmo di rap. Questa musica si diffonde rovinando un po’ l’atmosfera bucolica che assorbo, mentre la vita, altrove, scorre diversamente.
E se tutto si fermasse qui, adesso, se esistesse un tasto che invece di dare input bellici stoppasse il tempo? Semplicemente una pausa tra un minuto di vita e il successivo, un timeout per riprendere fiato, riorganizzare i pensieri, dare le priorità giuste ad azioni e intenzioni. Se io immaginassi di bloccare in questo istante la giornata di oggi, i fotogrammi mi mostrerebbero gli occhi mielosi di una madre puntati sul figlio che dorme beato dentro il passeggino; le ali spiegate di un uccello, che si solleva in volo da una palude di acqua piovana; il sorriso appagato di un uomo, che stringe la mano della donna accanto a lui; tante testoline ordinate, disposte in circolo e il balzo di un furbetto, colto in aria, nello slancio della sua fuga. Il silenzio attorno amplificherebbe questi secondi di atemporalità, niente suoni della natura, niente musica da una cassa bluetooth. Dentro questo fermo immagine io sarei l’unica a potermi muovere: osserverei le nuvole nel cielo, girerei attorno alle persone con le espressioni congelate e l'immobilità delle statue, guadagnerei tempo prima di ripiombare nella realtà, che fa andare avanti i miei pensieri; una realtà in cui immagino madri con gli occhi pieni di lacrime, ali, non di uccelli in volo, bensì di aerei che portano distruzione, bambini che seguono le regole di giochi improvvisati in cantine senza luce. E sento il fragore di una bomba solo attraverso la descrizione piena di effetti speciali, in una pagina di giornale.
Da qualsiasi parte del mondo arrivino le notizie, qualunque conflitto si stia combattendo, io rifletto sempre su quanto malvagio e ingrato sia l’uomo per rinunciare a un bene infinitamente prezioso qual è la pace.
Non si può fermare il tempo, nemmeno la guerra, a quanto pare e questo è solo un altro giorno che scorre: di preghiere occasionali, perché Dio esiste solo quando c’è bisogno di qualcuno cui scaricare la responsabilità dei fatti sulla terra; di coscienze da ripulire, anche se gli specchi non riflettono ciò che siamo, ma solo quello che amiamo essere; di vane proteste contro i diritti violati, tanto a fronte di una catastrofe incombente taluni problemi preesistenti diventano piccoli, piccolissimi, invisibili. Un altro giorno di attese: che cessi l’incubo eterno della pandemia? che i signori del potere smettano di giocare a Risiko? che siano folgorati da buon senso e saggezza sulla via di Damasco? Magari! ma la conversione è solo il proposito di chi tiene le mani giunte davanti a una croce, cosa vuoi chiedere a chi le usa per impugnare armi!
Che strana traiettoria seguono, oggi, i miei pensieri! Se alzo gli occhi si ingarbugliano dentro i rami intrecciati di questo albero non ancora pronto ad accogliere la primavera: una trama fitta che scarabocchia il cielo, ma lascia spazi di azzurro in cui proiettare, nonostante tutto, ancora la speranza.
In questo tuo fermo immagine vorrei potesse esserci, perché possa fermarsi ed essere custodita per sempre, tutta la bellezza vera. La bellezza della pace, che tu descrivi come infinitamente preziosa, la bellezza della generosità, della comprensione altrui, la bellezza della vita. Le stagioni scorrono, il tempo scorre come fosse indifferente, e questa dimensione che noi percepiamo lo è davvero. Non si cura di queste nostre miserie, del disimparare che è proprio dell'uomo. La primavera rifiorisce e l'ombra, sì, sarà generosa. Piedi che si trascinano verso l'ignoto, vite spezzate, affetti divisi, rumori terribili che falcidiano il cielo azzurro, il boato dell'odio su cui si posano occhi innocenti. Loro, assieme a tutti, nessuno escluso, tutti i fuggiaschi, i disperati di ogni dove, genti a cui non è data la nostra fortuna. In quel fermo immagine deve poterci essere tutto perché la bellezza diventi anche cura dell'altro. Voglio portare qui l'esempio di un uomo giusto. Il mio carissimo amico Roberto questo lo sapeva, era un costruttore di pace, uno che si sporcava le mani, che era sempre sempre dalla parte del fragile, che credeva fermamente nella bontà umana (mi disse che fra tutte, queste erano le parole di Anne Frank che lo avevano sempre colpito). Lui che era una concrescenza di generosità, in ogni sua fibra, ogni muscolo, ossa. Uno spilungone dai capelli ricci, che dopo l'estate usava non tagliare più la barba fino a tutte le vacanze natalizie, perché chissà dove potesse incarnare il suo Babbo Natale e spargere doni e sorrisi. Ah, Roberto, potessero avere questi uomini di potere un briciolo della tua umanità. Cosa sarebbe questo mondo. In quel fermo immagine c'è anche il mio caro amico e collega, il nostro faro di solidarietà, il dispensatore di buone parole e il sostenitore del "sì". Il nostro ponte verso le cose buone.
RispondiEliminaGrazie per questo meraviglioso fermo immagine, Mari'...
Grazie a te per questo pensiero così profondo, che continua in modo ideale la mia riflessione e per avervi messo dentro il tuo caro e prezioso collega. Lui adesso, conosce la pace che noi rifiutiamo: chissà, nella sua infinita generosità, che non possa fare qualcosa da lassù! 🌹
Elimina... E in questo fermo immagine che descrivi il sole scaldi la tua possente umanità
RispondiEliminaGrazie, Elena 😘
EliminaInfatti il principale artefice di questa guerra - Putin - secondo quanto ha fatto sapere Navalny ha un mega-palazzo sul Mar Nero di 800 mq, svariate centinaia di milioni di euro in conti offshore e ai festeggiamenti per l'annessione della Crimea indossava un giaccone che costa 12.000 euro... Sicuramente lui non si accontenta di fare una passeggiata al parco. Lui, ha bisogno di cose più... colossali. Come la sua ambizione e il suo menefreghismo per la vita altrui.
RispondiEliminaÈ impossibile, per me, in situazioni come queste, fare ricadere la responsabilità in capo a una sola parte in causa. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, diceva qualcuno. L’unica cosa che mi fa veramente soffrire è sapere che chi vuole la guerra, alla fine, decide da palazzi blindati e manda a morire persone che avrebbero chiesto altro alla propria vita. È vedere che, come sempre, l’unica a farne le spese è la popolazione inerme di innocenti, uomini, donne, bambini costretti a stringere una valigia e fuggire dalla cattiveria umana. La guerra è spregevole ovunque la si combatta, l’uomo che vuole la guerra è spregevole. È il potere, quasi sempre, rende l’uomo spregevole.
EliminaNiente da aggiungere a questo bellissimo post, cara Marina, che vede la pace nella contemplazione delle cose quotidiane che tutti abbiamo sotto gli occhi, in particolari che non ti sono sfuggiti e che sono...la vita!
RispondiEliminaGrazie di questo meraviglioso fermo immagine che cova lo stupore e la speranza!!!
Grazie a te per avere colto il senso e il significato di questo mio sfogo occasionale.
EliminaGià, il cuore delle persone!
RispondiEliminaGrazie, Valeria, per i minuti che mi hai dedicato.
In questo tuo fermo immagine, la mamma con il carrozzino è l’immagine che più mi colpisce, perché vorrei immaginare un futuro di pace per quell’ignaro bambino, oltre che per tutti noi.
RispondiEliminaÈ vero, già, quando penso al mondo in cui i miei figli stanno diventando adulti, mi riempio di preoccupazioni (quando non sono vere e proprie angosce), che ne sarà di questi neonati? Cosa stiamo lasciando loro? O forse, semplicemente, si adatteranno a tutti i cambiamenti in corso... purché ci sia modo e tempo di viverli!
EliminaCiao Marina, mi sono fermata a leggere con piacere questo tuo post, bella l'idea di un fermo immagine per riuscire cogliere tutte le sfumature della vita.
RispondiEliminaBuona giornata Ester
Ciao Ester, ben arrivata! Grazie, ogni tanto mi vengono i momenti in cui l’immaginazione corre più veloce della realtà che vivo e allora sento proprio il bisogno di condividere i miei pensieri.
EliminaPoesia, poesia pura questa.
RispondiEliminaForse il problema di quei potenti là è che gli occhi al cielo non li alzano mai. Sono troppo abituati a guardare le persone dall'alto, credendosi onnipotenti. Sto leggendo Guerra e pace, un po' a rilento ma gustandomelo. Nonostante le differenze delle epoche, il carattere è lo stesso. Dopo una battaglia i morti sul campo contribuiscono al valore della stelletta del comandante che li guidava da lontano, senza manco conoscerli...
La Storia si ripete sempre, diceva la mia professoressa delle medie.
E sarà sempre così: i potenti a decidere della sorte del mondo “senza sporcarsi le mani”, comandanti che guidano da lontano e il mondo appeso a un filo, che guarda, discute inutilmente, aspetta. Tanto chi ci va di mezzo è poca cosa, si sa, fa parte del gioco sporco della guerra. La guerra! No, la Storia non insegna proprio niente.
Elimina