Al ritorno dalle ferie estive mi acchiappa sempre la fregola di fare ordine nei luoghi che la quotidianità incasina: armadi, cassetti, pensili della cucina, mobiletti del bagno... Mi piace rinnovare gli spazi, ricollocare oggetti e vestiti, fare piazza pulita di cose che non ho ancora avuto il coraggio di mettere via. Approfittando di questo raro momento di compulsione domestica, tutte le volte ritrovo cose dimenticate, che riconservo oppure butto senza concedere agli scrupoli il tempo del ripensamento. Così, indecisa se liberarmi o meno di una vecchia agendina che non raccoglie pensieri, ma solo appuntamenti datati e note su ricette, libri da leggere, vecchi numeri di telefono con nomi di persone che non riconoscerei più, dalle pagine centrali plana sul pavimento un ritaglio di giornale.
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La prima cosa che faccio, al rientro in casa, è buttarmi sul letto, prendere le cuffie e ascoltare una canzone dei Cure che adoro: “Cold”, contenuta nell’album “Pornography”, registrato su una delle musicassette che tengo dentro una valigetta. Il repertorio musicale, in questa fase della mia vita, è direi monotematico: dentro le sonorità dark/punk aggrego ogni mio pensiero, i sogni, le aspettative che nutro da quando ho iniziato l’università. Sono al secondo anno. Stamattina ho incrociato lo sguardo di un ragazzo, che adesso butto nel flusso di note rimbombanti dentro le orecchie: “Ice in my eyes and eyes like ice don’t move”, canta Robert Smith e io penso e ripenso a quegli occhi scuri: in un attimo hanno attraversato il mio campo visivo incastrandosi ai miei, che avevano l'unico obiettivo di avvistare una sedia libera nella prima fila dell’aula n. 3, dove si tengono le lezioni di Filosofia del Diritto. Non so bene cosa mi abbia colpito di questo ragazzo, forse l’espressione severa, il naso affilato sul viso spigoloso, gli occhi, quegli occhi... hanno qualcosa di magnetico, fatto sta che l’inaspettato aggancio di sguardi (che in un film sarebbe avvenuto al rallentatore) ha ritardato la mia ricerca, così ho dovuto accontentarmi di un posto centrale nella penultima fila, mentre lui si è, nel frattempo, seduto dietro, vicino alla parete di destra. Con la coda dell’occhio percepivo la sua presenza e mi sono sorpresa a immaginarmi oggetto delle sue attenzioni, cioè volevo fortemente essere lungo la traiettoria dei suoi sguardi e pensarmi un suo interesse. Ice in my eyes: sì, quegli occhi non avevano nulla di docile, ma erano così magnetici e così pieni di parole! Mi hanno conquistata subito.
Lo incontro ogni giorno, stessa aula, stessa ora e ormai, fra noi, è tutto un gioco di sguardi, di finta indifferenza, di studiato contegno per non svelare il desiderio di conoscersi (con qualche magheggio sui fogli delle presenze scopro come si chiama). Che fosse solo mio, il desiderio? Però lui continua a guardarmi, a parlarmi con gli occhi... accidenti, non è nemmeno il mio tipo!
In genere mi attraggono i ragazzi di carnagione chiara, i capelli chiari, gli occhi chiari e lui è così scuro: ha i capelli nerissimi, gli occhi due chiodi di ossidiana... e mi piace, porca miseria, ma com’è possibile!
Una mattina la sua sagoma si staglia sotto un’arcata nel lato opposto all’aula di lezione. Ci guardiamo da lontano: mi sento protetta da quella piccola distanza e più coraggiosa nel sostenere il suo sguardo. Ma quando ci troviamo seduti una di fronte all’altro nella biblioteca (dove ci rifuggiamo per coprire l’ora di buco fra la lezione di filosofia di diritto e quella di diritto privato), il coraggio si ritira come una chiocciola dentro la conchiglia, vinto dalla timidezza che fa di entrambi due eterni indecisi. Alzo un occhio sopra il bordo dal testo giuridico che tengo poggiato in verticale sul tavolo e lo colgo mentre, seduto di fronte a me, giochicchia con un burro cacao e, richiamato da un’intuizione vincente, solleva lo sguardo su di me più velocemente di quanto io impieghi a riabbassarlo. Passiamo il tempo in biblioteca così, a sbirciarci, senza mandare avanti lo studio della materia cui fingiamo di dedicare l’ora di attesa né intraprendere iniziative volte a un approccio concreto. E a casa, la sera, è tutto un divagare, immaginare, sognare di potere almeno sentire la sua voce. Quando il “miracolo” avviene mi coglie del tutto impreparata: accade una mattina, mentre guardo gli appelli degli esami affissi dentro una bacheca. Mi volto, perché un “ciao” mi giunge alle spalle ed è lui. Non so a cosa aggrappare prima gli occhi per non fermarli sui suoi; seguo traiettorie scomposte, ora a destra ora a sinistra, ma poi è lui che mi costringe alla resa: “volevo chiederti una cosa” - mi dice - così, a distanza ravvicinata, senza presentazioni, senza preamboli (i suoi occhi scuri, gli zigomi appuntiti e quella bocca che si concede poco al sorriso, non sono fatti per i convenevoli). Io, impacciata, rammollita dalla sorpresa, con il sound nichilista di “Cold” che si riverbera nella testa, sfodero un “sì?” che sa di meccanica interlocuzione da centralinista, ma non lo scoraggia (intanto, muoio dentro). Mi chiede se voglio studiare con lui il diritto privato. Non so se ho capito bene: vedersi per ripetere la materia? tante volte fino all’esame? In casa mia o sua, magari! E poi conoscersi meglio, parlare a lungo, innamorarsi... Cavalco verso possibili svolte, proiettando nella mia mente film nei quali - non ci credo! - sono la protagonista, mentre lo lascio appeso a una risposta che si prende il suo tempo: un altro “sì”, stavolta corposo, convinto, felice, che lui completa con un “... allora ci organizziamo in questi giorni”.
Mi faccio portare a casa da una nuvola sotto ai piedi e racconto tutto alla mia migliore amica, che conosce ogni sviluppo di questa infatuazione.
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Preferisco chiudere la parentesi “ricordo” qui, perché il resto parla solo di un grande rimpianto: neanche qualche giorno dopo la facoltà di Giurisprudenza venne occupata (la Pantera, il movimento studentesco di protesta, era in corso), non vidi più quel ragazzo, se non in foto (quella ritagliata e conservata in occasione della grande manifestazione degli studenti di Palermo del 20 dicembre) e allora non esistevano cellulari, whatsapp, social network, grazie ai quali rimanere in contatto.
Quando lo incontrai di nuovo il diritto privato era il mio primo voto alto sul libretto universitario.
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Bello e avvincente, cara Marina, il tuo ricordo di questo incontro all'università. Era capitato anche a me un evento simile il.primo anno. Il contesto non era la biblioteca ma la mensa universitaria. La mia timidezza di allora però mi aveva impedito di andare al di là di due banali chiacchiere. in ogni caso sono cose che non si dimenticano !
RispondiEliminaIo credo di non avere mai dimenticato questo ragazzo proprio perché tutto è rimasto incompiuto: mi era sembrato di avere toccato il cielo con un dito e poi è svanito tutto! Che strano, non averlo proprio più visto dopo l'occupazione, nemmeno di sfuggita! Destino. :)
EliminaSono quei ricordi che ti restano appiccicati proprio, perché si portano dietro una tremenda domanda. "E se...?"
RispondiEliminaNon so cosa di questo tuo, me ne ha sbloccati altri miei. Uno scatto rubato a un cameriere giovane e carino, biondo occhi azzurri straniero, in centro ad Asiago. Quel tipo carino che si è infilato sotto il mio ombrello in un giorno di pioggia mentre correvo a prendere il treno. Un altro che al mare mi ha chiesto l'ora ma aveva l'orologio - uno Swatch colorato, te li ricordi gli Swatch?! - al polso. Solo che io avevo la testa altrove e gli ho risposto proprio con l'ora e tanti saluti. XD
Esatto, quel "E se..." ha creato un rimpianto enorme in me. Poi mi è capitato molto altro negli anni universitari, però quel tipo mi è rimasto proprio qua!
EliminaGli approcci anni '80 ahahah, ora i ragazzi, senza lo Swatch al polso, come farebbero! (io ne avevo uno arancione fosforescente che rivelava la mia presenza a un chilometro di distanza! :D)
Io sono stato più fortunato, su facebook ho potuto rintracciare diversi ex compagni di studi all'università. Però, per varie ragioni, non me la sono sentita di ricontattarli, troppi anni erano passati. Nel caso di uno l'ho incontrato di persona nel modo più improbabile: lui è di Roma, eppure l'ho beccato che faceva il receptionist nell'albergo di un paesino toscano, albergo in cui io non ero alloggiato ma dove sono entrato solo perché mio suocero voleva chiedere informazioni su prezzi e camere per un eventuale soggiorno futuro (poi mai avvenuto). Mi riconobbe subito pure lui, fu un incontro a sorpresa molto gradevole.
RispondiEliminaPensa che coincidenza! Queste sono piacevoli sorprese.
EliminaQualche vecchia conoscenza l'ho ribeccata anch'io tramite facebook, ma si tratta di persone che conoscevo bene e che non ho più rivisto. A questo ragazzo (uomo, ormai) qua non chiederei mai l'amicizia: non si è trattata nemmeno di una vera conoscenza, forse manco si ricorderebbe...
Se fossi un regista prenderei come spunto quello che hai scritto per imbastire una trama di un film sentimentale. Nel film vi farei rincontrare in modo casuale in qualche luogo pubblico per darvi modo di conoscervi meglio ..... :) È sempre un piacere leggere i tuoi racconti, come ti ho già detto sei molto abile nell'uso delle parole.
RispondiEliminaGrazie :)
EliminaUn film di Moccia, dove però la protagonista non sia sposata :D
Rimpianto palpabile e ricordi ancora vivi.. tutto un poteva essere che invece non è stato, tutto un castello di carte rovinato da una semplice agitazione studentesca che ha scavallato la tua, di agitazione, mossa da tutt'altri fremiti.. ;)
RispondiEliminaTraduzione poetica che mi piace molto :)
Eliminache buono il sapore delle cose sfiorate dalla vita e dalla vita lasciate incompiute.
RispondiEliminabellissima narrazione. complimenti
massimolegnani
(orearovescio.wp)
Un sapore che il tempo non fa svanire. Non sempre, ma spesso questo è un bel regalo lasciato dai ricordi.
EliminaGrazie, Massimo e benvenuto.
È un po' come quello "sliding door" cui ci capita di pensare. E se...
RispondiEliminaSecondo me ci è data la possibilità di vivere decine di vite diverse da come poi va a finire. Siamo in certo senso incastrati in circostanze anche fortuite, come quell'occupazione che fece finire lì la cosa. Mi capita di pensare a un'altra me da qualche altra parte, che fa cose diverse, frequenta persone diverse. In potenza potrebbero essercene tantissime, in atto ce n'è solo una. :)
Gran bel racconto, Marina cara, come sempre.
Ci penso spesso anch'io e quel film è illuminante. Il "chissà cosa sarebbe accaduto se..." accompagna la mia vita da sempre: non è come cullare un rimpianto; è la curiosità di sapere come sarebbe andata la mia vita se fosse accaduto altro o avessi fatto scelte diverse. Non è difficile essere in sintonia con la tua stessa sensazione.
EliminaCerti incontri sono fugaci ed intensi, racchiudono dentro di sé un mondo in potenza. Persone che sfioriamo solo per qualche breve istante, eppure quel breve instante si fa ricordare così intensamente.
RispondiEliminaMolto bello il tuo ricordo e bello il modo in cui lo hai raccontato.
P.s. Mi unisco anche io alla curiosità per le "sliding doors".
Grazie. Della scrittura amo la capacità che offre di raccontare pensieri che altrimenti rimarrebbero chiusi nella mente. A me piace, ogni tanto, portarne a spasso qualcuno, soprattutto se si tratta di bei ricordi!
EliminaAh, se potessimo vivere anche l'alternativa mancata e poi scegliere quale risulta essere la migliore per la nostra vita!