Tutto quello che osserviamo passa attraverso il filtro delle esperienze, delle sensazioni: un tramonto è lo spettacolo più bello della natura, ma questa sera, di fronte al groviglio di nuvole grigie screziate di rosso che irrompe nell’azzurro del cielo, penso a una telefonata ricevuta, alla mia lontananza in un momento difficile, a quello che devo fare per coprire questa distanza ed essere di aiuto, in qualche modo. Proietto nel maestoso spettacolo che osservo dalla finestra il carico di apprensione che vivo: se dovessi descriverlo adesso, senz’altro gli darei una connotazione negativa.
Ho fatto questa premessa per introdurre una sorta di parallelismo fra due letture portate avanti in contemporanea, che mi hanno proiettato in un binario doppio, idealmente sopra un treno che affronta due viaggi differenti. Straniante vivere nel privilegio delle matinée in casa delle famiglie più blasonate, nella mondanità di soggiorni in alberghi lussuosi, nella luce di albe e tramonti su viali alberati e giardini pieni di fiori incantevoli e poi, chiuso un libro e aperto l’altro, strisciare nella povertà delle borgate romane dimenticate da Dio, in mezzo a fame e povertà, delinquenza e speranze finite nel fango o nei cumuli di rifiuti che contendono lo spazio a baraccopoli fatiscenti.
Benvenuti nel fatuo mondo di Marcel Proust e nell’universo, spietato, degli “ultimi” di Pier Paolo Pasolini.
Sto rileggendo la Recherche (una rilettura preziosa, perché mi sta offrendo l’opportunità di legarmi ancora di più a un autore che amo) e ho deciso di approcciare uno scrittore controverso, mai letto, a me noto solo per la fama e per tutto ciò che rappresenta nel panorama italiano letterario (e non solo). Pier Paolo Pasolini, ai miei occhi, è sempre stato l’intellettuale eclettico che ha abbracciato tutti i campi della creatività: poeta, scrittore, regista, pittore, saggista, traduttore..., cosa non è stato Pasolini nella sua vita, tragicamente finita in quella fatidica notte di novembre avvolta ancora nel mistero! Eppure, soltanto quest’anno la curiosità mi ha indotta a leggere due suoi romanzi, che seguono una stessa linea d’intenti, uno stile analogo e, nella sostanza, sono complementari: “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta” e l’ho fatto proprio mentre il tempo perduto di Proust innaffiava ancora una volta di bellezza le mie pause mattutine.
E, alla fine, Pasolini mi ha conquistata. Non ho mai letto storie raccontate in questo modo, con un’aderenza alla realtà così concreta da risultare disarmante e la capacità, attraverso il linguaggio (una vera e propria lingua, in realtà: il romanesco stretto, con termini definiti in un apposito glossario, inserito a fine libro), di farti indossare i panni (sporchi) dei protagonisti, del “Riccetto”, ragazzo di vita dell’omonimo romanzo e di Tommaso, il primo nome, perché il più importante fra gli altri, che appare nell’incipit di “Una vita violenta”.
Mi è venuto spontaneo, allora, notare la stridente diversità nel descrivere certi paesaggi e gli elementi della natura: gli affreschi di Proust contro le pennellate sferzanti di Pasolini; una realtà dorata, nell’un caso, imbrattata di carbone, nell’altro. Un confronto che lascia il segno: come maneggiare assieme un oggetto di cristallo e uno di pietra lavica; accarezzare con gli occhi la rugiada del mattino e tenere a mani nude una palla di neve.
Alcuni esempi che mostrano ciò che intendo.
Questa è l’alba di Proust:
Nel riquadro del finestrino, al di sopra del boschetto nero, vidi delle nubi concave la cui dolce lanugine era di un rosa fisso, morto, immutabile, come quello che tinge le piume dell’ala che se n’è imbevuto o il pastello dove l’ha collocato la fantasia del pittore.
Questa, quella narrata da Pasolini:
Incontrarono una nottola che rincasava, poi un operaio bianco per il sonno che se ne andava alle ferrovie laziali, poi un vecchietto con la barba, che spingeva una carrozzella piena di stracci bagnati e altri impicci che puzzavano.
Il tramonto di Proust è il romantico finire del giorno:
La sua luce, che s’abbassava lambendo le finestre, s’impigliava fra le grandi tende e i loro sostegni, era divisa, ramificata, filtrata, e incrostando di particelle d’oro il legno di limone del comò illuminava obliquamente la stanza con la dolcezza che la luce assume in un sottobosco.
Quello di Pasolini è una porta che apre l’inferno:
[...] forse il mondo s’era rovesciato e in alto si vedeva la buca dell’inferno, da dove venivano giù le fiamme. Era tutto nero intorno ma nel mezzo c’era come uno sprofondamento fra le nuvole, che dava in un po’ di turchino, e da lì, come le pareti di un pozzo, le nuvole erano illuminate da una luce arancione, che si spargeva intorno. Ma un vapore scuro stava passando davanti a tutta quell’illuminazione [...] Ben presto quel fumo nero divenne una vera nuvola, che filtrava la luce che cadeva come sangue dal centro del cielo, e la smorzava, spargendola su Pietralata come la cenere della morte. Così in quattro e quattr’otto venne buio, e fu notte.
La pioggia di Proust è un suono che segue un ritmo placido:
Un piccolo colpo sui vetri, come se qualcosa li avesse urtati, seguito da un’ampia caduta leggera come di granelli di sabbia che qualcuno avesse gettato da una finestra del piano di sopra, poi la caduta che s’estende, si normalizza, trova un ritmo, diviene fluida, sonora, musicale, innumerevole, universale: era la pioggia.
Pasolini la descrive come la peggiore delle catastrofi:
Venne giù un temporale come la notte precedente, coi fulmini e la grandine. La gente fece appena in tempo a scappare a casa sotto i primi goccioloni, con un buio che pareva notte.
Il temporale diventa un diluvio che provoca disastri e vittime:
[...] lo tirarono su ch’era mezzo spirato con l’acqua che gli aveva squagliato la bava nella bocca, e la bava gli schiumava giù, nera di melma...
con baracche completamente spiantate e la corrente del fiume che faceva un rintrono, filando via, rasa, piena di ribolli, che sembrava facesse tremare la terra che c’era intorno.
I fiumi della Recherche sono quadri impressionistici di paradisi terrestri:
[...] se c’era bel tempo io correvo laggiù a vedere il fiume che già se ne andava, vestito d’azzurro cielo, tra le rive ancora nude e nere, accompagnato solo da una banda di cuculi arrivati troppo presto e da una manciata di primule precoci, mentre a tratti una viola dalla boccuccia blu piegava lo stelo sotto il peso della goccia di profumo racchiusa nel suo minuscolo cartoccio.
Pasolini mostra lo squallore di corsi d’acqua inquinati:
In quel silenzio, tra i muraglioni che al calore del sole puzzavano come pisciatoi, il Tevere scorreva giallo come se lo spingessero i rifiuti di cui veniva giù pieno.
e le rive non sono lambite da fiori profumati, ma sopra gli scoglietti neri, coperti di due dita di grasso, crescevano sterpaglie e piccoli rovi verdi.
Proust passa in rassegna le qualità più svariate di fiori, lillà, nasturzi, miosotis, gladioli, pervinche..., a Pasolini tocca descrivere le canne secche:
Secchi erano pure i manici dei fiori, alti più di un metro, ammucchiati come una piantagione, dall’altra parte, verso l’acqua: erano neri, arruzzoniti, si sfrangevano a toccarli, come cenere, come cartocci bruciati.
Da una parte la vita nobile del Narratore della Recherche (ancorché funestata dalla salute cagionevole e dalle sfortunate vicende amorose) imprime all’opera quella raffinatezza e quelle tinte garbate ispirate al modo in cui egli vive la quotidianità (la scelta dei termini, gli aggettivi positivi, i verbi vibranti lo dimostrano).
Dall’altra, l’interesse verso una classe sociale ai margini della società non lascia a Pasolini altra scelta che calarsi nei personaggi “brutti sporchi e cattivi” del sottoproletariato romano, nelle loro vite mangiate dalla miseria e sceglie un’ambientazione che è lo specchio di tutto ciò. Anche qui la struttura stilistica, la lingua sperimentale, gli aggettivi e i verbi declinati al negativo, sottolineano la drammaturgia delle vicende narrate.
Leggo i due autori e la mia mente si affaccia su universi paralleli, che hanno in comune solo il fatto di essere entrambi lontanissimi da me: non mi appartengono l’ambiente snob, la mondanità, le conoscenze aristocratiche, ma nemmeno le brutture della vita arrancata fra disagi e drammi. Eppure, in modi diversi e attraverso suggestioni differenti, Proust e Pasolini hanno saputo rendere uniche le mie letture.
Che è quello che chiedo ai romanzi che tengo nella mia libreria.
Il tuo scritto è altrettanto bello e straordinario nell'ansia di condividere con noi le tue impressioni e le tue sensazioni.
RispondiEliminaGrazie :)
EliminaAnalisi impeccabile con l'accurato confronto testuale a evidenziarla.
RispondiEliminaLa diversità nel vedere il mondo si vede anche nelle loro vicende esistenziali: Proust ha sempre coltivato l'elevazione dello spirito, Pasolini non è mai riuscito a a liberarsi dalla tirannia del corpo e dei suoi desideri materiali. Anche questo li ha portati ad avere un approccio così diverso alla vita e alla letteratura.
Due personalità opposte, senza dubbio, con un unico punto in comune: l'orientamento sessuale. Non solo vicende esistenziali differenti, ma anche epoche differenti, con differenti approcci alla vita. Immedesimarmi nei loro punti di vista mi ha arricchita.
EliminaBello. No c'è nulla mi meglio che una lettura che ci appare unica, necessaria, come quelle che hai descritto tu. Ti lascio un'immagine che si è palesata a me mentre ti leggevo: il cielo, l'immateriale e l'infinito, Proust, la terra, la materialità e le viscere Paolini. Forse è una forzatura
RispondiEliminaNon è affatto una forzatura, anzi, è proprio questa netta opposizione che ho voluto sottolineare: la spiritualità di Proust (come ha notato bene Ariano) contro la carnalità di Pasolini e le tue immagini ne sono una perfetta rappresentazione.
EliminaBello il confronto di testi che hai fatto, Marina! Io ho sempre preferito Pasolini poeta e in qualche caso anche regista. Ha descritto con realismo insuperabile lo squallore delle periferie, ma leggendovi anche uno spessore di sacralità, simile a un bisogno implicito di riscatto.
RispondiEliminaTi riporto le sue parole a proposito del film "Accattone" :
“In Accattone ho voluto rappresentare la degradazione e l'umile condizione umana di un personaggio che vive nel fango e nella polvere delle borgate di Roma. Io sentivo, sapevo, che dentro questa degradazione c'era qualcosa di sacro, qualcosa di religioso in senso vago e generale della parola, e allora questo aggettivo, 'sacro', l'ho aggiunto con la musica. Ho detto, cioè, che la degradazione di Accattone è, sì, una degradazione, ma una degradazione in qualche modo sacra, e Bach mi è servito a far capire ai vasti pubblici queste mie intenzioni”.
Grazie!
Ho visto "Accattone", che è un po' la summa dei due romanzi che ho letto. Credo che Pasolini, pur essendo anticlericale e ateo, abbia nutrito un profondo interesse verso il concetto di sacralità; una sua personale interpretazione che emerge anche dal modo in cui rappresenta questi "ultimi" della società, al punto che pur davanti allo spettacolo degradante della miseria che porta ad agire in modo sconsiderato e delinquenziale, lo spettatore del film o il lettore dei libri prova una naturale pena verso i personaggi, quasi li giustifica e li perdona.
EliminaNon ho ancora indagato il Pasolini poeta, ma lo farò.
Sì, è vero, i frammenti di un'opera o qualche commento a riguardo possono fare capire molto di un autore, sicuramente il suo stile o le sue principali tematiche. Posso dirti che leggere Proust è stata per me un'esperienza straordinaria: il suo modo di disquisire, il suo linguaggio, l'attenzione verso il flusso "parlante" dell'anima, mi hanno conquistata. Pasolini mi ha sorpresa (una sensazione diversa dalla placida lentezza in cui sono scivolata con la Recherche) e sicuramente la visione della vita che ha voluto mettere sotto il riflettore risulta più carnale, tangibile, meno affettata. Due mondi diversi, che vale la pena approcciare.
RispondiEliminaMi piace moltissimo questa analisi. Come sai, sto vivendo le pagine di Proust (a piccole dosi, data la complessità delle pagine, dopo una mattina di lavoro non posso fare di meglio, spero nell'estate per andare più speditamente). Quasi al termine del secondo libro, il maestoso All'ombra delle fanciulle in fiore, che contiene pagine di grande bellezza e maestria linguistica - ma avrò modo di procedere con le mie analisi a suo tempo - sento in me la conferma di quanto ho pensato col primo volume. Attraversare la Recherche è doveroso per ogni ottimo lettore, mi piace essere tranchant, amarlo invece è tutta altra questione.
RispondiEliminaMa non mi dilungo oltre a riguardo. Invece tornando alla tua comparazione, ecco, si sente tutta l'immane differenza di due stili, due spiriti, due epoche, due ambientazioni che percepisci opposte. Io amo il grande romanzo verista, quindi Pasolini mi strega, mentre Proust, pur dalla sua altissima levatura sintattica, non mi pare avere la stessa forza. È come trovarsi a due opere d'arte supreme eppure dalle quali ricevi sensazioni differenti. Il fatuo mondo proustiano a volte mi risulta insopportabile nelle mille elucubrazioni della voce narrante in "problemi" che non sono tali, in mille tentativi di occupare un tempo (ma anche di ritrovarlo in tutta la sua vacuità) borghese e colmo di sciocche abitudini (quante volte mi ritrovo a pensare che, mentre quelli se la spassano in passeggiate a Balbec e vivono "problemi" come ricordare dove si trovi il neo di una ragazza di nome Albertine, in altri mondi la vita appare greve, ruvida e pesante come una coperta gelida che non sa e non può scaldarti). Il concreto mondo pasoliniano ci catapulta in una realtà che lascia sgomenti, senza fiato, e dona l'opportunità di guardare dentro l'abisso. E non è che non ci fossero riusciti anche i grandi classici, mi viene in mente un altro francese, Hugo, del quale non vedo l'ora di leggere I miserabili dopo la splendida esperienza di Notre-Dame de Paris. Per non dire dei russi, Delitto e castigo su tutti. Le piume e i profumi di Proust non riusciranno mai a conquistarmi. Salverò le pagine stillanti di bellezza descritta come fosse pura arte, tutto il tempo impiegato a leggerlo non sarà perduto, anzi. Imparo che si può apprezzare pur non amando.
Esatto, sono due opere d'arte supreme che emozionano in modo del tutto differente. E non potrebbe essere diversamente per stile, momento storico, personalità, vicende private degli autori... Sorrido a pensarti a scalare questo Everest letterario che è la Recherche: mi fai morire quando dici che apprezzarne la grandiosità e la bellezza non vuol dire amarla. :D Ma è comprensibile: si può riconoscerne l'immensità (non solo in termini di lunghezza) pur non vivendone la sintonia. Io, per esempio, trovo che ci sia estremismo in entrambe le opere: in quella di Proust, così smaltata, dettagliata, rifinita, merlettata e in quella di Pasolini, realisticamente brutta, sporca, malata, terribilmente ingiusta. Sono due realtà che non conosco (e direi per fortuna, anche per il mondo di Proust, che non sopporto manco io), ma averle viste per come sono attraverso la perfezione delle due scritture mi ha regalato una bellissima esperienza, per questo ne sono rimasta così colpita. Tra parentesi, ho visto anche il film "Accattone" di Pasolini, ma la sua scrittura è più sferzante rispetto alla sua arte cinematografica. La preferisco.
EliminaDue cose: intanto sono sollevata dal passaggio "...anche per il mondo di Proust, che non sopporto manco io". Da amica e sodale, non mi sarei capacitata se anche tu non vi avessi visto qualcosa di profondamente stucchevole. :) Riguardo a Pasolini regista, ricordo un film che è davvero terribilmente sferzante, "Le 120 giornate di Sodoma e Gomorra", visto durante un corso monografico universitario, esperienza scioccante (che non ti consiglio).
EliminaA onor del vero, Il Pasolini regista mi ispira meno: "Accattone" mi è piaciuto, ma perché richiama i due libri che ho letto. Ho visto anche "Uccellacci e uccellini": da spararsi nei... ahahah! Mi ero documentata pure su Sodoma e Gomorra, ma non ho avuto nessuna curiosità di esplorare la storia. Insomma, penso che per ora mi faccio bastare lo splendido Paolini che si è rivelato con questi due romanzi.
EliminaBrava a trovare quei punti d'incontro opposti! E coraggiosa (folle? :D ) a rileggere Proust!
RispondiEliminaDirei entrambe le cose! :D
EliminaNon avevo mai letto un paragone del genere tra due autori, mi ha affascinato. Quando leggo mi interessa vivere storie che non potrei mai vivere nella realtà quindi sia Proust che Pasolini potrebbero piacermi.
RispondiEliminaUn libro che mostra il lato migliore della vita permette uno svago meraviglioso nei momenti più difficili mentre lo stile di Pasolini spinge a riflettere e ad aprire gli occhi sulla realtà che viene sicuramente raccontata meno.
Non ho letto nulla né dell'uno né dell'altro autore sebbene, ovviamente, li conosca entrambi per via della scuola. Potresti consigliarmi un libro di uno e dell'altro? Vedo che, in qualche modo, ci assomigliamo quindi mi fido di un tuo suggerimento e lo metto in lista per le prossime letture!
Buona serata.
Grazie per la fiducia. Leggere Proust è un'esperienza davvero particolare: molti prendono il largo dalla Recherche perché è un'opera poco dinamica, lo stile è tutto ciò che non troveremmo mai in un romanzo moderno, eppure se, attraversando l'opera, senti che vorresti vivere dentro quelle atmosfere, camminare allo stesso ritmo dell'autore, soffermarti come fa lui su ogni cosa e stupirtene o partecipare della bellezza e della profondità di ogni parola, allora Proust diventa il tuo scrittore preferito, che non teme il confronto con nessuno. Penso tu abbia capito che il lo amo, dunque mi viene facile consigliarti la lettura del primo dei sette libri che compongono la Recherche: "Dalla parte di Swann". Poi, in genere, a me capita di amare le letture che mi lasciano dentro qualcosa, non solo lo spunto per una riflessione, ma proprio più banalmente una sensazione o uno stato d'animo che non mi lasciano in pace se non dopo tempo. Ecco Pasolini ha avuto questo effetto su di me, da subito leggendo il primo dei due romanzi di cui ho parlato, che è quello da cui ti suggerisco di partire per avere un approccio con questo scrittore : "Ragazzi di vita". Qualcosa mi dice che vorrai leggere pure "Una vita violenta", mentre non ho la stessa certezza per il prosieguo di "Alla ricerca del tempo perduto" di Proust. :)
EliminaGrazie mille.
EliminaBello questo confronto parallelo, non ho letto nessuno dei due, però mi piacerebbe leggere Pasolini, perché ogni suo scritto che mi è capitato di leggere mi ha sempre colpito per la grande profondità (a Bologna - città dove è nato e studiato fino all’università - hanno celebrato con molti eventi il centenario della nascita).
RispondiEliminaNon lo conoscevo nemmeno io, ma cominciare da questi due libri è valsa la pena. Anche a Roma, lo scorso anno, hanno celebrato il centenario con un sacco di iniziative. Da lì è nata la mia curiosità su Pasolini, anche se non ho approfittato di nessuna delle occasioni offerte.
EliminaAmo Pasolini soprattutto per il suo film sul Vangelo. Nessuno è entrato nel cuore del Nuovo Testamento come lui.
RispondiEliminaHo visto Accattone e Uccellacci e Uccellini; avevo già intenzione di visionare Il Vangelo secondo Matteo, sono molto curiosa di vedere in che modo Pasolini abbia approcciato un tema a lui così lontano.
EliminaPer arrivare all'eremo di Sant'Alberto di Butrio occorre lasciare l'automobile qualche chilometro prima ed incamminarsi tra i monti dell'Oltrepò pavese. E' la primavera del 1963 quando Pier Paolo Pasolini intraprende anch'egli la lunga passeggiata per l'eremo Sta lavorando al "Vangelo secondo Matteo" , e non è la prima volta che cerca ispirazioni in colloqui con uomini di fede o visitando luoghi di preghiera. Pasolini parla in particolare con Cesare Pisano e rimane stupito per l'attenzione che gli dedica il frate. Era un colloquio straordinario, diceva Pasolini, perché quel frate dialogava con naturalezza, pur nel suo linguaggio religioso, da risultare non solo rispettoso, ma affascinante. Non si stupiva dello scetticismo dell'intellettuale e aveva parole di conforto consapevole che Gesù ama i più lontani che i vicini, che non si scandalizza di niente, e che solo Lui conosce il cuore umano. Pier Paolo, di fronte al frate, un originale come lui e creativo, si sentiva a casa sua. Definiva Cesare Pisano un figlio d'arte perché riusciva a trasformare in bella e straordinaria una vita che, analizzata razionalmente, è la morte civile. Quasi una follia. Di quell'incontro restano questi versi: " E questa fu la via per cui da uomo senza umanità, da inconscio succube, o spia, o torbido cacciatore di benevolenza, ebbi tentazione di santità".
RispondiEliminaQuesto è Pasolini.
Bellissima questa testimonianza. Grazie per averla condivisa: sto cominciando da poco a conoscere Pasolini, una figura così controversa verso cui ho ancora un'ammirazione trattenuta, che però ha tutti i presupposti per diventare aperta e totale.
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