Quando le tende del sipario si chiudono, lo scroscio degli applausi risponde al gradimento del pubblico. Il finale drammatico di “Notre-dame de Paris” ha commosso tutti, ma l’ovazione della platea è soprattutto la manifestazione della gioia per la riuscita dello spettacolo teatrale di Luana M. Petrucci. L’ennesimo successo di Luz del blog Io, la letteratura e Chaplin.
Non ne sbaglia una! C’è poco da fare: questo si chiama talento.
Aspetto che la gente sfolli un po’, per correre ad abbracciarla: la intercetto, mentre con un mazzo di fiori in mano - e con gli occhi, che l’adrenalina ancora fa brillare - saluta, risponde ai complimenti, ringrazia chi si avvicina per salutarla. La mia frase, quando la raggiungo è: “Mamma mia, Luà, ma che hai fatto!”, lo dico a bocca aperta, col tono che svela stupore e ammirazione, perché portare in scena un’opera magistrale come il capolavoro di Victor Hugo è un’impresa che chiede rispetto, ma riuscirci, ancora di più, significa ottenere il plauso pieno. E questo spettacolo lo ha meritato.
Domenica scorsa sono andata a vedere “Ananke - Notre-Dame de Paris”, adattamento teatrale ideato e scritto da Luana per il suo Laboratorio di ragazzi, fervido giardino dove sbocciano i talenti più giovani, quelli che sanno di avere una vocazione per la recitazione e quelli che la trovano, dopo averne fatto esperienza anche solo occasionale. Lei li chiama “ciurma”, un appellativo calzante, perché rappresentano l’equipaggio di una nave guidata da una “capitana” d’eccezione, che sa riconoscere le potenzialità di ognuno di essi e ne tira fuori tutta la forza espressiva.
Ho approfittato di questa occasione per invitare Luana a fare quattro chiacchiere. Stavolta il caffè lo offro io.
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Marina: Cara Luana, mi viene di nuovo spontaneo dirti “ma che capolavoro hai realizzato!”
Notre-dame de Paris, uno dei romanzi più memorabili della letteratura classica, dove la potenza della narrazione sfiora vette sublimi, le descrizioni sono memorabili e la storia con i suoi personaggi riecheggia in una moltitudine di trasposizioni cinematografiche, teatrali e in altri ambiti. La vicenda ambientata nella Parigi di fine ‘400 è complessa, chi conosce l’opera di Hugo lo sa (ho un ricordo lontano di questa lettura, fatta da adolescente e adesso mi è venuta voglia di rileggere il libro), immagino quanto arduo sia riuscire a portare in scena l’intera vicenda, sottolineare le parti fondamentali e tralasciare quelle meno influenti ai fini della resa sul palco. Ammiro come tu sia stata in grado di compendiare tutto il bello della storia. Ma partiamo dal titolo: perché hai scelto di chiamare la tua opera teatrale “Ananke”?
Luz: Ciao, Marina! Grazie per questo invito graditissimo e per le tue parole importanti. Il mio laboratorio ragazzi è ormai una fucina di esperienze perlopiù memorabili. Ma se vorrai te ne parlerò più compiutamente. Vengo alla tua domanda. Victor Hugo scrive una sorta di premessa al romanzo, nella quale finge, creando una sorta di "cornice", di essersi imbattuto in una scritta proprio all'interno della cattedrale: ananke. Ciò rende suggestivo quell'inizio per diversi motivi. Innanzitutto si lega a un uso corrente dell'epoca, lo stesso fa Manzoni per fare un esempio, e perfino Umberto Eco nel suo romanzo maggiore. Poi per la parola in sé, che in greco significa, anche, "destino". Il cuore di questo straordinario romanzo sta nel destino assegnato a Quasimodo ed Esmeralda, due destini incrociati, l'uno che prende il posto dell'altra, e poi destinati a ricongiungersi ma in circostanze eccezionali. Avrei voluto utilizzare direttamente il titolo originale, ma in Siae ci hanno detto che non sarebbe stato possibile, benché non si trattasse del musical. Praticamente la produzione del famoso spettacolo detiene i diritti anche sul titolo dell'opera (evidentemente un abuso). Comunque non era poi così male, ananke è una bella parola ed è il titolo che calza alla perfezione con il tema centrale dell'opera.
Marina: Sì, di fronte a una giustizia cieca, che, direi, adempie male alla propria missione, il destino dei protagonisti è una forza cui è impossibile sottrarsi e non parlo solo di quello riservato a Quasimodo ed Esmeralda, pensavo alla sorte toccata alla povera Gudule, la donna detenuta che manifesta tutto il suo odio per la comunità zingara colpevole, quindici anni prima, di averle rapito la figlia appena nata.
Che interpretazione quella di Victoria Hilger!
Ecco, una cosa che mi sorprende sempre, nei tuoi spettacoli, è la bravura dei giovani attori. Dimostrano tutte le volte una capacità straordinaria d’immedesimazione: la disperazione di una madre addolorata nella recitazione del personaggio di Gudule, per non parlare della sensualità mostrata da Camilla D’Andreamatteo nei panni di Esmeralda. Quando appare sul palcoscenico con quelle movenze gitane, la sua presenza scenica è notevole e Quasimodo? Lorenzo Scialdone in un ruolo difficile, eppure così perfettamente centrato, è eccezionale, nella posa, nella gestualità: interpreta il gobbo di Notre-dame con una credibilità assoluta.
Dimmi di più.
Luz: Anzitutto, ti ringrazio per il tuo apprezzamento. Il riscontro del pubblico è la sostanza stessa del fare teatro. Fare teatro, nell'aspetto della messa in scena, significa fare un atto generoso nei riguardi del pubblico. Quest'anno festeggio il ventennale del mio teatro, un'attività che corse fin da subito di pari passo con i laboratori ragazzi. Fare teatro assieme ai ragazzi, ad adolescenti in particolare, è un atto dirompente, ogni maestro di laboratorio lo sa. Oggi è un atto persino sovversivo, perché sovverte i canoni nei quali oggi gli adolescenti sono stritolati. I ragazzi che scelgono di fare teatro, che sentono quella spinta, quella curiosità, i ragazzi che avvertono nel teatro un'attrazione che emoziona già di per sé, sono dei privilegiati. Ecco, io prendo questi ragazzi e li porto in un "dove" che ogni volta si concretizza da loro stessi. Sono loro, con tutta la parte propedeutica fino a dicembre, a rivelarmi cosa possono fare, fin dove posso spingerli. Vero è che per un progetto come Notre-Dame de Paris devi sentirti pronta già prima, devi sentire che il momento è "maturo". Questa certezza è arrivata un anno fa, dopo l'esperienza su Shakespeare. La parte della ciurma che avrebbe affrontato il terzo anno di laboratorio era pronta per salpare per quei mari. Avrebbero potuto rivelarsi insidiosi, ma il mio istinto non sbaglia. Ci sono diverse tecniche per mettere in scena un testo drammaturgico, ma io punto essenzialmente sull'aspetto emozionale. Victoria, per esempio, ha attinto al suo vissuto, una sua esperienza di perdita dolorosa. Ecco perché la follia di Gudule è in certo senso "esplosiva", Camilla ha fatto un grandissimo lavoro di conquista di quella seduzione, scendendo spesso a compromessi con la sua timidezza, Lorenzo ha messo in atto quel tanto che ha già di suo e ha affinato postura, voce, intensità. E tutto il resto della ciurma ha fatto da controcanto.
Marina: Già, il prezioso controcanto: gli zingari della Corte dei Miracoli, con il loro fare gradasso e sfrontato, interpreti di ruoli azzeccatissimi; i due gargoyle, con la battuta pronta, in grado di suscitare nel pubblico una grande simpatia; Frollo, arcidiacono della Cattedrale, con la sua imperiosità portata in scena in modo impeccabile, e poi tutti gli altri, Gringoire, poeta squattrinato, Febo, affascinante capo degli arcieri del re, la sua fidanzata Fleur-de-lys, la mite Odette, personaggio di tua felice invenzione, Trouillefou, “sovrano” carismatico della comunità zingara. Che dire, una grande squadra. Ci credo che tu ne vada fiera! Il filmato del backstage, a fine spettacolo, dimostra quanto lavoro ci sia dietro, quanto dispendio di energie, quanta esercitazione, ma anche quanta goliardia, quanto entusiasmo, quanta voglia di dare il meglio di sé.
Mi racconteresti un aneddoto, un episodio, qualcosa che mi faccia capire il valore del percorso didattico, che, durante le lezioni, proponi ai tuoi ragazzi?
Luz: Ce ne sarebbero a decine, ma scelgo di citartene uno molto particolare. Credo sia l'esercizio più forte e finora più significativo che mi sono inventata. In tutta la prima parte di laboratorio, fra settembre e dicembre, si susseguono molte prove diverse. Attingo spesso alla Commedia dell'Arte, al mimo, alle regole fondamentali dell'improvvisazione, ma c'è anche tanto altro ed è parte della "messa in gioco" dell'aspetto emotivo/emozionale. Ci sono esercizi che riguardano la persona, il proprio vissuto, il racconto del Sé. Il più intenso di tutti diventa ogni anno di laboratorio quello aneddotico, in particolare quando emergono storie anche molto intime. L'ho chiamato l'Oggetto parlante. Ciascuno porta un oggetto appartenente alla propria vita personale, un oggetto caro, del passato o del presente, hanno massima libertà, può essere davvero qualunque cosa. Anni fa, un'allieva - molto particolare, avida lettrice - portò un sasso, una specie di scheggia di media grandezza, pareva una di quelle brecce raccolte lungo il greto di un fiume. Al suo turno lo mise al centro della sala, io lo illuminai con una luce. L'allieva si nasconde (questo l'esercizio) e fa parlare il sasso. Ebbene, l'oggetto racconta di essere stato scagliato contro una ragazzina di nome B. durante un pomeriggio al parco da un altro ragazzino, mentre il resto del "branco" la prendeva in giro definendola in modi molto crudi, e il sasso dà la sua voce pure a quelli. È un sasso molto leale, dice esclusivamente la verità. Il racconto si fa sempre più incalzante, siamo muti, facciamo perfino fatica a respirare, siamo senza fiato. Quel sasso, che descrive nei dettagli come si sente B., dice alla fine di essere stato preso e conservato da lei, posto su una mensola della sua cameretta a ricordo di quel momento, perché da quella terribile esperienza B. ha imparato come difendersi, tale fu l'umiliazione. B. scelse di non reagire con la violenza, ma con le parole, disse al "branco" quello che le ispirò il suo coraggio e la sua bravura nel saperle usare. E B., raccontò il sasso, imparò dall'esperienza che le parole hanno un potere molto grande, a dispetto di qualsiasi forma di violenza. Così il "branco" smise da quel giorno di darle fastidio.
Ecco, se immagino un momento in cui in tanti anni di laboratorio ragazzi ho capito che quello poteva essere il metodo perfetto per loro, è stato il venerdì in cui il sasso raccontò la storia di B. Non so se ci sia una ricetta per questo metodo, so di agire spesso impulsivamente, sulla scia di quanto i ragazzi stessi mi suggeriscono, è una specie di effetto a catena. Lo stesso Oggetto parlante è un esercizio ispirato da un venerdì in cui un burattinaio fece parlare un burattino e ne raccontò la storia.
Marina: Bellissimo, questo esercizio. Immagino quanta empatia esso susciti e quanta intimità si crei all’interno del gruppo grazie a momenti del genere. Non è facile esprimere le proprie emozioni e trovare dei modi per tirarle fuori significa aiutare la piena identificazione con il personaggio che, poi, sarà da interpretare. Ti faccio i complimenti, capitana!
Voglio farti un’ultima domanda. Torno alla parola chiave che dà il titolo alla rappresentazione: “Ananke”. Il concetto di ineluttabilità, che investe i destini dei personaggi dell’opera nasconde anche un altro importantissimo significato; rappresenta, in qualche modo, una sorta di reclusione nella gabbia dei pregiudizi: il “diverso” visto con sospetto o “bullizzato” (Quasimodo, il campanaro deforme di Notre-Dame), le apparenze divenute responsabili di false convinzioni (Esmeralda accusata di omicidio e di stregoneria).
Tu ci hai sempre abituati alla riflessione: ogni storia che hai portato in scena è stata un invito a guardare alla realtà contemporanea e proprio questo è uno dei maggiori pregi del tuo fare teatro. Dunque, quando hai concepito il testo di questa complessa vicenda, quali altri temi hai messo in campo? quali messaggi hai voluto trasmettere?
Luz: Penso che tu abbia rilevato i due aspetti portanti attraverso i personaggi-chiave: Quasimodo ed Esmeralda. Potrei aggiungerne altri due non troppo nascosti: la legge (e di conseguenza l'autorità) non sempre garante di giustizia e poi l'odio del popolo, la sua indifferenza dinanzi al dolore degli ultimi. Hugo crea un grande affresco non solo della sua epoca ma di tutte le epoche possibili. Che poi è il grande successo del romanzo, la sua trasversalità.
Marina: ... e voglio sottolineare anche l’attenzione verso i particolari, scenografia e costumi curati nel dettaglio e il trucco affidato alla bravura di una make up artist di comprovata esperienza. Tutto perfetto. Pure il servizio fotografico, a opera di Alessandro Borgogno, fotografo ufficiale (si può dire?) dei tuoi spettacoli, dal cui album attingo, come tutte le volte, per mostrare quanto racconto per iscritto.
Insomma, lo dico senza piaggeria, con questa opera, cara Luana, ti sei proprio superata.
Luz: Aver messo in scena un caposaldo della letteratura è stato un onore e una grandissima esperienza, della quale ringrazio tutti coloro che l'hanno resa possibile. Il pubblico poi ha coronato tutti i nostri sforzi nel renderla godibile e apprezzabile mediante i tanti applausi a scena aperta, il lungo applauso finale, i messaggi, gli abbracci, il grande dono dell'incontro che avviene nel "dopo".
Grazie per questo "viaggio" dentro il mio spettacolo e per avermi ospitata nel tuo blog.
Marina: Grazie a te e ai tuoi splendidi ragazzi.
Auguri per i tuoi vent’anni di teatro, un traguardo ragguardevole. Oggi, li festeggiamo insieme.
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Sono di nuovo spettatrice commossa in mezzo al pubblico.
Il finale, corredato da un suggestivo filmato sugli ultimi momenti di Esmeralda, prima dell’esecuzione della condannata alla forca, è il cameo dell’intera rappresentazione e quando la voce narrante fuori campo completa la sequenza dell’ultima scena...:
“La notte seguente alla morte di Esmeralda, qualcuno ne prese il corpo e lo portò alla grotta di Montfacon. Qualche anno dopo gli avvenimenti coi quali termina questa storia, furono trovati nella grotta due scheletri, uno dei quali teneva l’altro fortemente abbracciato. Quando si tentò di staccarli, caddero in polvere.”
... si ha voglia di rimanere ad applaudire a lungo, a sipario calato e luci accese in platea.
La storia del sasso che "parla" tramite la voce della ragazza mi ha fatto pensare che forse se ai tempi della scuola avessi potuto far parte di un gruppo di teatro sarei riuscito in qualche modo a essere più aperto, a raccontare me stesso senza reticenze, limite che invece non ho mai superato.
RispondiEliminaHai ragione, credo che questo esercizio possa fare bene a tante persone, ma forse è proprio quella l'età giusta per superare certi limiti personali che, purtroppo, nel tempo, si radicalizzano. Chissà che oggetto avresti fatto parlare tu! :)
EliminaAriano, la penso come te. Guardo a questi allievi e paradossalmente mi dico "magari avessi fatto la stessa esperienza alla loro età!" Incarnare in fondo il maestro che avrei voluto avere io, che segretamente nutrivo un desiderio verso il teatro, una specie di fascinazione fin da piccolissima...
EliminaFosse stato per me avrei continuato a parlarne, ma lo faremo ancora in altre occasioni. Per me è sempre una sorpresa vedere come questi ragazzi crescano di anno in anno ed è bello vederli impegnati in un'attività così nobile. Tu, poi, sei maestra di recitazione, ma anche di vita per loro e questo è il valore aggiunto. Spero di assistere a tante altre belle rappresentazioni: mi sento come a casa mia nei teatri che ospitano te e la tua compagnia. :)
RispondiElimina"...mi sento come a casa mia nei teatri che ospitano te e la tua compagnia. :)"
RispondiEliminaGrazie, è una cosa bellissima. :)
Il racconto del sasso che parla mi ha molto colpita, ciò dimostra che fai davvero una cosa grande per i tuoi allievi, grazie a te scoprono i loro veri talenti (che sia per il teatro o per altre importanti inclinazioni) un grande fattore di crescita
RispondiEliminaVero, è un esercizio incredibile. Sono rimasta colpita anch'io.
EliminaGrazie, Giulia. Spero che rappresenti per loro un tassello del percorso di educazione alla scoperta di sé.
EliminaGrazie per questo post perché ci sono diverse chicche, oltre alle foto magnifiche e al racconto dal vivo. Per esempio, questa cosa che non si può usare il titolo originale dell'opera, che a me, assolutamente profana nel campo, pare persino assurdo. Poi la provenienza di "Ananke" che non conoscevo, non avendo ancora letto il libro (mi incute un certo timore, perché conosco la storia e non finisce proprio bene… dovrò trovare il momento giusto per leggerlo e ancora non è arrivato). E infine sì, quell'esercizio dell'oggetto parlante (che si usa anche per la scrittura creativa) e la scelta di quel sasso, con tutto il monologo che si porta dietro. Notevole davvero. :)
RispondiEliminaCi tengo sempre a raccontare gli spettacoli di Luana. Trovo sempre qualcosa di nuovo da dire. Lei me ne dà ogni volta una felice occasione
EliminaNon mi ha stupito particolarmente il dictat della Siae, ci siamo incappati tante volte in questi anni. Meno male che non hanno battuto ciglio con la serie Il mago di Oz, Alice nel Paese delle meraviglie (entrambe le storie), Peter Pan e Pinocchio! Un vero miracolo, ma non hanno potuto sollevare questioni, vale la semplice regola dell'autore morto da almeno 70 anni.
EliminaTi consiglio di leggere il romanzo di Hugo, è un classico che non dimenticherai, spero arrivi il suo momento. :)
Complimenti Marina per questo caffè e naturalmente a Luz per la sua bravura. Prima o poi riuscirò a vedere anche io una sua opera dal vivo, ma intanto felice di aver potuto leggere questo racconto . Non ho letto il libro, conosco sommariamente la storia; le ultime parole sono struggenti, mettono ben in evidenza l'arte mirabile di Hugo. Come poter accettare la sfida di portare in scena un capolavoro già tanto rappresentato? Cambiando il nome, anche se e per un artifizio necessario, e facendo "lavorare" giovani attori capaci di tirare fuori cosa portano dentro di sé, che è poi l'arte e il suo significato. Anche io sono stata colpita dall'esercizio che hai inventato dell' Oggetto parlante. Quel sasso ha fatto molto di più che raccontare una storia. L'ha sublimata. Un lavoro enorme con questi ragazzi cara Luz, bravissima. lo dico con il cuore
RispondiEliminaGrazie Elena, per me è sempre bello essere presente agli spettacoli di Luana e poi parlarne. Lei mi stupisce sempre.
EliminaGrazie, Elena, e ancora grazie, Marina. Sarebbe bellissimo sapervi tutti in quella platea lì davanti quando si apre il sipario. Al momento sto preparando L'attimo fuggente in versione femminile, andremo in scena a novembre, ma avrò modo di parlarne.
EliminaMeraviglioso. Sei grande! Marina dobbiamo accontentarla!
RispondiEliminaSempre prontissima 😉
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