martedì 17 settembre 2024

N’allez pas trop vite - Una scusa per parlare ancora di Proust


Della narrativa dei giorni d’oggi non riesco a farmi piacere l’eccessivo uso della prima persona e del tempo verbale al presente e questo può corrispondere a un certo mio gusto letterario orientato verso altri stili, forse più classici o, forse, semplicemente diversi. La ricerca della paratassi sfrenata, con frasi brevi, continuamente interrotte dal punto fermo è un’altra connotazione della narrazione odierna che mi conquista poco:

Il fiume puzza del mondo intero e io ci sto affogando dentro. L’acqua è scura, è verde, è viola, sta bruciando, è cattiva. Sento i rumori, sento le voci, sento le risate della città che se ne sta là fuori a vivere. Mentre io sto per crepare, qui, adesso. Io so nuotare bene, ma ora si mette male.


Questo romanzo (“Gli annegati” di Lorenzo Monfregola) ha un incipit che sembra un telegramma. Leggerlo ad alta voce produce un effetto simile alla sincope, nella teoria musicale: un'interruzione, un singhiozzo che se, in musica, ha il suo perché, nella narrativa crea solo un disturbo (ovviamente lo crea a me).

Un romanzo del ventunesimo secolo riflette i tempi che corrono e le scelte stilistiche di uno scrittore forgiano un’architettura narrativa con ritmi, tematiche e linguaggio coerenti con la realtà contemporanea: un romanzo bollato come anacronistico è scartato senza prova d’appello da un eventuale editore o, se si è fortunati, si trova quello nostalgico, ancora affezionato a uno stile in disuso, ma se l’editore vende poco, sai che fine fa la sua vena nostalgica! So bene che questo è un limite che frena molto la mia scrittura, me ne sono fatta una ragione, ma almeno, quando scelgo cosa leggere vado sul sicuro, pescando nella letteratura del passato, che mi regala maggiori soddisfazioni. 


La brevità può avere il suo fascino, ma io preferisco il lungo periodare, la struttura sintattica con diversi piani di subordinazione; è poco incisiva, toglie rapidità al ritmo della narrazione, ma culla con meno frenesia i pensieri: scrivo e leggo come se stessi affrontando una passeggiata e non una corsa che mi lascerà col fiatone.

Come potevo non trovare in Proust l’universo narrativo più congeniale alle mie inclinazioni! Certo, lui rappresenta l’esasperazione di uno stile votato alla prolissità (per i detrattori evitabile), ma se guardo alle ragioni da cui nasce la sua spontanea necessità di spaziare anche su territori in apparenza poco percorribili, non posso che sposare questa filosofia e trarne insegnamento.


Ancora una volta mi viene in soccorso un prezioso libro da cui traggo sempre utili spunti di riflessione, quel Come Proust può cambiarti la vita” di Alain de Botton spesso citato nei miei post, allorché colgo l’occasione per tenere vivo l’interesse attorno a un autore non sempre (e non da tutti) compreso: appunto Proust.

Questi diceva che la grandezza delle opere d’arte non ha niente a che fare con la maggiore o minore originalità del soggetto, ma dipende interamente da come quel soggetto viene trattato. Di conseguenza, tutto è potenzialmente un soggetto adatto per l’arte. 

Pure i trafiletti di cronaca dei quotidiani.


Quante storie si nascondono dietro lo spazio striminzito di una colonna di giornale! Lucien Daudet (amico, scrittore, di Proust) racconta che Marcel leggeva i giornali con grande attenzione, non trascurava neanche i fatti di cronaca. Un fatto di cronaca raccontato da lui poteva diventare un romanzo a sfondo tragico o comico grazie alla sua immaginazione e alla sua fantasia. 

Raccoglieva ogni spunto, un cavillo descrittivo, una connotazione meticolosa, per ricamarci attorno una storia che non si fermasse alle apparenze: “n’allez pas trop vite”, diceva a un giovane diplomatico incontrato a una festa al quale aveva chiesto in cosa consistesse esattamente il suo compito, invitandolo a non andare troppo di fretta nel descriverglielo. 

L’esperienza umana merita più attenzione di quanto spesso le concediamo.


Con questo spirito Proust se la prende molto comoda quando racconta lo stato d’insonnia del Narratore, nell’incipit del primo libro della Recherche, una scelta che nessun editore gli perdonò mai, tanto da non avere tenuto in alcuna considerazione la possibilità di dare alle stampe il romanzo (e Proust, fu costretto a pagare di tasca propria la pubblicazione del volume).

Alfredo Humblot, editore della casa editrice Ollendorff, non si capacitava di come qualcuno avesse bisogno di trenta pagine per descrivere lo stato di agitazione prima di prendere sonno. E non fu meno caustico Jacques Madeleine, lettore per la casa editrice Fasquelle, che si chiedeva, dopo essere annegati innumerevoli volte in quel mare di eventi insondabili, irritati per non essere mai riusciti a risalire in superficie, quale fosse lo scopo di tutto ciò. Diciassette pagine di paturnie - di una meravigliosa divagazione - correggerei io, che hanno reso unica al mondo la prosa di Proust. E lui non divagava solo sul sonno, ma su feste, viaggi in treno, gelosie, anche su singoli oggetti, perfettamente trascurabili.


Tornando a quell’atto abominevole e voluttuoso definito leggere il giornale,  Proust aveva la capacità di andare oltre la notizia in sé, per cui anche il dramma della pazzia (come titolava un trafiletto su Le Figaro) di un matricida, sotto la sua attenta analisi, abbracciava quegli aspetti tragici legati alla natura umana, che avevano ispirato molte delle grandi opere della letteratura occidentale e dell’epoca greca. Ne aveva scritto un lungo articolo in cui, per giustificare il gesto criminale di un figlio che uccide la madre e poi tenta il suicidio, era risalito all’Edipo di Sofocle e citato il Re Lear di Shakespeare. Così, una vicenda relegata a breve notizia di cronaca nera si era, per così dire, universalizzata. 


Se dovessi rispondere alla domanda di quel Madeleine, direi che è proprio questo lo scopo della Recherche: fare di un’esperienza personale l’esperienza di tutti; generalizzare una sensazione, creare un’aderenza fra il vissuto personale e quello altrui, in una partecipazione corale che perderebbe il suo fascino se fosse affidata a una narrazione schematica.


Ecco, certe volte leggere anche un bravo autore contemporaneo mi lascia con la sensazione di avere viaggiato a grande velocità dentro storie abbreviate dallo stile, con tanta immediatezza, ma poco respiro. E non ne faccio una questione di lunghezza di pagine, quello che dico non vuole essere l’elogio della prolissità (che, anzi, trovo insulsa, quando è fine a se stessa). È solo una dichiarazione di preferenze letterarie, il modo migliore che conosco per sentirmi a mio agio con quanto leggo (e, di conseguenza, con quanto mi piace scrivere).


Trovo brillante la provocazione lanciata da Alain de Botton, il quale dice che forse molta letteratura non sarebbe stata così avvincente se l’argomento trattato fosse stato solo una breve notizia di cronaca all’interno di un giornale:


Tragica fine di due innamorati veronesi: credendo che la fidanzata fosse morta, un giovane si è tolto la vita. Scoperta la sorte del suo amante, la donna si è uccisa a sua volta. 


Russia: Problemi familiari inducono una giovane madre a gettarsi sotto un treno. 


Francia: Giovane madre si avvelena con l’arsenico e muore in una cittadina di provincia per problemi familiari. 


Shakespeare, Tolstoj e Flaubert sarebbero d’accordo.



16 commenti:

  1. Spesso accade il contrario invece, storielle che dovrebbero limitarsi ad articoletto di quarta pagina, assurgono al successo in forma di romanzo epico (per chi lo scrive) e un marketing articolato lo decreta opera del secolo. E così andiamo rimpiendo librerie e biblioteche per un mese, e per secoli a venire scantinati e depositi e bancarelle di lungomare sconosciuti. Detto questo continuo a leggermi Carver, Manganelli o Gaiman e i loro microcosmi densi di righe non scritte e lasciate alla perspicacia del lettore curioso e appassionato. Paratattici quanto te pare ma stimolanti come pochi altri.

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    1. Beh, ma Carver, Manganelli (Gaiman non l'ho mai letto) sono unici nel loro genere, non posso che essere d'accordo con te. Qui parlo di paratassi "giovane", quella che oggi va di moda, perché è così che bisogna scrivere per essere al passo coi tempi. Hai mai letto scrittori contemporanei, intendo anche esordienti? Hanno una scrittura omologata, come se fosse una moda (e credo pure che lo sia) scrivere con i parametri fissati da nuove regole. Ecco, queste nuove regole a me conquistano poco: non le evito del tutto, ma alla lunga mi stancano. E poi anche la prolissità, attenzione, deve essere gestita con maestria: puoi scrivere anche un romanzo paratattico prolisso; le due cose non si escludono.

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  2. Personalmente sono per una prosa più essenziale, meno vasta (se non ho ho mai letto né la "Recherche" né i romanzi oceanici di Tolstoi il motivo è proprio la mia incapacità come lettore di perdermi in una narrazione prolissa), però condivido il concetto di poter espandere il significato di un evento apparentemente cliché e neppure troppo originale. In modo molto diverso da come tu hai adorato Proust (ma forse simile a livello concettuale) io ho letto con estremo piacere il saggio di Tanizaki "Elogio dell'ombra" (comunque abbastanza breve, eh ;-) che partendo da un argomento apparentemente frivolo quale la diffusione dell'illuminazione sempre più potente nelle strade e nelle case, ne trae una serie di riflessioni sul rapporto tra la cultura orientale e l'ombra. Un saggio che pur essendo apparentemente un mero "pour parler" assume pagina dopo pagina un'ampiezza paragonabile a quella di un trattato specialistico di un professore universitario (ma meno noioso ;-)

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    1. Esattamente quello che voglio dire: mi piacciono i romanzi che dietro ogni descrizione apparentemente lunga e cavillosa nascondono un mondo di riflessioni e sentimenti e che mostrano la profondità di chi narra una storia. Devi saperlo scrivere un libro così, però, perché perdersi in lungaggini futili è un attimo, se non sei un bravo scrittore. Spesso la via più facile diventa il racconto in prima persona, dove l'azione è tutto e lo spazio per le riflessioni è affidato alla narrazione monocorde. Negli ultimi tempi mi sono imbattuta in letture tutte con questo stesso schema: prima persona/tempo presente/paratassi e non sai quanto abbia rimpianto Proust, Tolstoj o ddu beddu Thomas Mann :D

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  3. Non ho letto Proust, non ancora, quindi non posso esprimermi sul suo stile. Non sono per una prosa essenziale, come non sono nemmeno per una narrazione prolissa. Tutto va relazionato alla storia che si sta raccontando. Ho letto Tolstoj, sia Anna Karenina (non gli toglierei una virgola!), sia Guerra e Pace (toglierei le ultime 100 pagine di pippone dell'autore, solo un'inutile ripetizione di quanto già profondamente espresso). Quei lunghi periodi erano parte dei tempi storici sia della trama sia della vita dell'autore. Si esprimevano così anche nelle comunicazioni meno formali, nelle lunghe lettere spedite ad amici e parenti. Una scrittura che talvolta - non sempre ma capita - lascia poco spazio all'immaginazione del lettore e si gonfia un po' troppo dell'arte del componimento, a discapito della storia.
    La narrativa contemporanea, con i suoi periodi stretti, esprime anche la velocità del nostro quotidiano. Specie se la scrittura è in prima persona e in un momento di panico, come l'incipit che hai riportato, il protagonista che affoga. Quel ritmo veloce e ansiogeno porta il lettore subito sul luogo e sull'emozione giusta. Dipende sempre dal contesto. Non ho letto nemmeno quel romanzo, ma ritrovo lo stesso schema in altri, specie thriller psicologici o romanzi d'azione, e per la verità in alcuni momenti delle mie storie anch'io scrivo così.
    Nei romanzi della serie Outlander, romance storici con un elemento fantasy, l'autrice Diana Gabaldon si lascia andare spesso a lunghe descrizioni, sia dell'ambientazione (pura poesia!) che dell'evento storico citato e dei suoi protagonisti, così che il lettore possa comunque inserirsi bene nella trama. Non cambierei una virgola di ogni suo libro, eppure una bella fetta delle lettrici italiane lamenta la sua prolissità, qualcuna salta le pagine solo per infilarsi sotto le lenzuola con il bel highlander scozzese... Eh, peccato che quei momenti hanno un senso compiuto solo se consideri anche tutto il resto. Oltre a ridurre così una serie storica ben scritta a un romanzetto rosa da pochi soldi. Che sacrilegio.

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    1. Ecco la chiave di lettura è quel "ritrovo lo stesso schema in altri libri", perché oggi scrivono tutti (o quasi) così, come se fosse una regola che si sono dati gli scrittori per riuscire ad arrivare a un pubblico più numeroso. E forse è così e io sono un'eccezione, ancorata ad altri schemi letterari, che nel mio caso funzionano di più. Vero, l'azione la gestisci meglio se la fai vivere, però in un racconto, in una narrazione breve; un romanzo diventa pesante. Il libro di Monfregola non è brutto: lo abbiamo letto tempo fa con il mio gruppo di lettura e io l'ho criticato, ma per altri motivi: lo stile, alla fine, era ciò che meno mi aveva colpito (ma entriamo in un altro campo).
      La prolissità non mi piace, se serve solo ad allungare il brodo; io, per esempio, ho trovato prolissa la quadrilogia dell'amica geniale: in tre libri avrebbe potuto raccontare tutto, ma alla Ferrante si perdona tutto visto che comunque ha narrato una bellissima storia.
      Prima o poi farò la pazzia di cominciare questo Outlander: del resto ho letto "Il trono di spade" e l'ho amato. Chissà che non diventi anch'io una Diana Gabaldon addicted! :D

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  4. Ho letto ad alta voce e penso che potrei leggere la lettura di Monfregola per qualche pagina, forse un capitolo, e poi dovrei fermarmi. MI stanca e, se riescoa rendere l'idea, mi mette ansia. Però mi piace. E' strana questa ambivalenza ma è quello che percepisco. Molto meno amo la prolissità, anche se apprezzo la caratteristica di Proust che descrivi nell'essere attendo ad approfondire. Ecco , questo sì che mi pare un contributo a una società che corre e non pesa e soppesa quasi più nulla, divorando tutto in fretta

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    1. Appunto, la scrittura odierna è lo specchio della società che descrivi tu: sempre di corsa e con poco interesse ad approfondire (tutto, anche i rapporti umani).
      Io penso che se lo scopo di una scrittura paratattica come quella che ho trascritto sia creare un senso di agitazione, di ansia, allora uno stile del genere fa centro, ma scrivere così solo perché sono i parametri della narrazione contemporanea, in qualche modo, a imporlo, genera disaffezione. Non so, a me accade questo.

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  5. Sono totalmente d’accordo con te, Marina.
    Diceva Raffaele La Capria che oggi si vende la “falsa buona letteratura”, ossia una produzione letteraria artificiosa, buona per sollecitare certe morbosità o per soddisfare la moda del momento, che dura il tempo di uno spot pubblicitario e poi muore. Senza lasciare alcuna memoria, perché è una letteratura senz’anima. In linea con i ritmi frenetici dei tempi che viviamo, sempre alla ricerca di novità. Le grandi storie le possiamo trovare solo nella letteratura del passato. Anche perchè le storie del presente (la vita del condominio direbbe Sebastiano Vassalli), sono già ampiamente sviluppate in tutte le salse dai mass media. Sappiamo bene che oggi il mondo editoriale è influenzato non tanto da logiche culturali e letterarie quanto di mercato. Certi scrittori, che a volte vengono esaltati dalla stampa e legittimati dai lettori, spesso non fanno che assecondare i gusti di una società omologata, realizzando molto spesso prodotti di indubbia qualità letteraria in linea con le mode del momento. Prendiamo Ken Follett, tanto per fare un nome: è un uomo ricchissimo che sta sempre in viaggio per promuovere i suoi libri, tiene conferenze e interviste in ogni parte del mondo. Ma dove trova il tempo per scrivere un libro di ottocento pagine, quasi ogni anno? Proust ha impiegato una vita per scrivere la sua Recherche. E con il libro “Come Proust può cambiarvi la vita” (che anch’io trovo delizioso, a cui ho dedicato un post nel mio blog), Alain de Botton ci invita a non avere timore reverenziale per il grande scrittore francese. Anzi, ci consiglia fortemente di leggerlo e di trarre profitto dalla sua sofferta esperienza di vita, perché, come scrive lo stesso Proust, leggendo le parole “di un uomo di genio, vi troviamo con piacere tutte le nostre riflessioni che avevamo disprezzate, le allegrie, le tristezze che avevamo contenute, tutto un mondo di sentimenti da noi disdegnati e di cui il libro dove le ravvisiamo ci rivela istantaneamente il valore”. Ciao Marina. Evviva Proust!

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    1. Società omologata e mode: ecco le chiavi di lettura principali. Si procede a comparti: questo è il tempo dell'autobiografia, meglio se autofiction, è il tempo del politically correct declinato in tutte le salse e la narrazione deve seguire questo trand, perché è anche quello più richiesto. Ho letto belle storie, ma sai di cosa mi rammarico? Di non ricordare nulla di esse, vuol dire che non mi resta dentro niente di indimenticabile e dunque che non posso portare con me quelle storie per sempre, cosa che invece mi è accaduto leggendo Proust, ma anche Dostoevskij, Thomas Mann... Come dimenticare Hans Castorp chiuso in quel sanatorio sulle Alpi svizzere! Ovviamente tutto il carrozzone odierno va dietro alle nuove chiamiamole esigenze: la stampa esalta chi deve vendere; chi deve vendere sa come rendere famoso Tal de'tali (e non dico che siano scrittori scarsi, magari sono anche bravi, ma non hanno nulla di originale, nulla che li renda appunto indimenticabili).
      Anche tu, dunque, hai letto Alain de Botton? Devo recuperare quel tuo post; mi fa un grande piacere condividere l'ammirazione per Proust e la sua Recherche con qualcuno che sappia e capisca di cosa parlo. Evviva Proust! :)

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  6. Ciao Marina. Passavo per salutarti, anche perché è da un bel po' di tempo. Vedo che sei ancora innamorata di Proust. A presto.

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    1. Ciao Giuseppe. Che fine hai fatto?
      Sì, sono una donna dagli amori profondi! :)

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  7. Che meraviglia veder Pino e Marina condividere con entusiasmo ,il valore della vera letteratura,sentivo che avevate in comune qualcosa di bello:)

    C'è da dire che io però devo recuperare molto rispetto a voi e "la ricerca" è la sola e unica parola chiave che mi accomuna con uno dei più grandi esponenti di un tempo passato.
    Se non fosse stato per il cercare non avrei scoperto due persone speciali come voi,capaci di dare il giusto valore a quel tempo perduto che oggi si cerca di rimpiazzare con l' acquisto e le vendite di libri ,come vestiti ,perché fanno moda o perché stampato c'è il nome di Totti ,Vespa o l'autobiografia del principe Harry.Non me ne vogliate ,ma è una triste realtà.

    Siamo noi però a decidere che tipo di arricchimento scegliere ,ma credo che
    con l'omologazione alle mode si vada di pari passo verso un impoverimento spirituale più che evidente.

    Grazie e buona serata

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    1. Mi fa piacere che qualcuno la pensi esattamente come me e quando scopro affinità con pensieri altrui e persone mi sento fortunata :)
      Forse noi, io, tu, Pino e qualche altro, viviamo fuori dal tempo (direbbe qualcuno), ma a me piace pensare che, invece, viviamo perfettamente il nostro tempo saggiandone ogni limite e questo ci offre un vantaggio ;)

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  8. Proust può darsi la mano con Hugo quanto a lunghe, lunghissime descrizioni. Proprio ne I miserabili i lunghissimi capitoli che narrano la vita del vescovo salvifico per Valjean sono come un romanzo nel romanzo. Gli ho perdonato altre digressioni, come la narrazione della battaglia di Waterloo e delle barricate. Riguardo a Proust, sai come la penso. Grandissimo narratore ma purtroppo di temi e contenuti che non suscitano il mio interesse (cercarsi un neo o ricordarsi la forma di una fibbia, per non dire il bla bla e le fisime mentali di borghesucci di cui, purtroppo, non mi frega nulla, e dico purtroppo). Viva i classici. Queste meravigliose opere eterne che ci incantano sempre.

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    1. I miserabili mi aspettano, mia cara, ho idea che lo amerò molto. I classici parlano molte lingue e conquistano in modo e per motivi diversi. Io ho un'amica alla quale non devi parlare di Dostoevskij perché ti manda a quel paese :D Con Proust capisco che è più facile, ahahah!

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