martedì 9 giugno 2015

Raccontarsi, scrivendo


Scrivere è raccontare e nel raccontare raccontarsi: uno scioglilingua che ho scelto per sintetizzare le mie esigenze nella scrittura.
L'ho inserito come didascalia che accompagna la mia immagine in questo blog, e, con parole diverse, l'ho ribadito qualche giorno fa, parlando del mio ritrovato equilibrio nella scrittura, quando ho detto che noi siamo ciò che scriviamo (un'espressione che Helgaldo ha rilanciato in un suo post, con esiti, nei commenti, direi molto bizzarri).
Questa è una riflessione con la quale, credo, ogni scrittore possa confrontarsi: scriviamo per raccontare qualcosa di noi, non necessariamente qualcosa che appartiene al nostro vissuto - non parlo di narrazione autobiografica - ma qualcosa che identifica il nostro modo di essere tra le righe di un foglio. 
Avere una voce nella scrittura significa riuscire a rendersi riconoscibili fra tanti che sanno scrivere, è come una firma che lasciamo per essere ritrovati nell'universo letterario.
Cosa parla meglio di noi, quando scriviamo? 
Il nostro stile. 

Quasi sempre operiamo una scelta inconscia quando preferiamo un tipo di linguaggio o un certo ritmo sintattico; lo facciamo perché proiettiamo nelle parole, nelle pause, nei tempi narrativi, la parte di noi che parla e pensa in quel modo. Tutto, personaggi, ambientazione, atmosfera, nasce dalla ricostruzione mentale che operiamo condizionati dal nostro modo di essere, di agire, di ragionare. Questa naturale spinta verso il tipo di scrittura che rispecchia il modo in cui siamo fatti misura lo stile, l'aspetto individuale che diamo alla nostra opera.

Fase dell'immersione nelle letture 
Com'è ovvio, nessuno nasce con uno stile già definito, lo stile è un traguardo sempre soggetto a modifiche e rivisitazioni. Lo stile non si impara, lo stile si assorbe. E sono le letture fatte che, nel tempo, rilasciano quell'essenza che va a configurare la forma e il contenuto di ciò che scriviamo. Leggere serve, dunque, anche a capire quale diventerà il nostro orientamento narrativo. E ci condiziona, esercita su di noi un'influenza che poi trasferiamo nei nostri scritti.
Sono cresciuta a pane e Kafka per parecchi anni e i miei primi racconti erano una fotografia ritoccata delle situazioni ai limiti del paradosso che avevo assimilato leggendo "La metamorfosi" e "Il processo". Poi è venuto il tempo della letteratura giapponese e quella sottile indagine psicologica che mi aveva colpito in Mishima o Kawabata divenne una costante del mio modo di scrivere di allora.
La letteratura latinoamericana mi ha svelato un mondo nel quale sono rimasta immersa a lungo: Allende, di cui ho letto tutta la bibliografia e Gabriel Garcia Marquez hanno colorato di realismo magico il mio stile narrativo ancora acerbo e in formazione; sono approdata ai grandi della letteratura russa, Tolstoj e Dostoevskij e ne ho ammirato la maestria nelle descrizioni storiche e ambientali, il linguaggio pieno, la modernità dei temi e ancora una volta scrivevo portando con me caratteristiche assimilate e modi di scrivere ancora poco filtrati dalla mia personalità.

Fase della rielaborazione dei dati
Poi, a un certo punto, tutto quello che leggendo ho assimilato, ha trovato un suo spazio e la mia scrittura ha cominciato ad avere quelle connotazioni che la caratterizzano ancora adesso.
L'arte del raccontarsi scrivendo, nel mio caso, si esprime principalmente in due modi: 
- trasferisco nelle storie che concepisco, e di conseguenza nei personaggi, tutta la complessità del mio essere (è come se attraverso la finzione io scoprissi cose vere sul mio conto e sulla mia vita);
- uso un linguaggio spesso forbito, che certe volte sono costretta a semplificare (perché penso di capirmi soltanto io). 
Apprezzo poco la narrativa semplicistica stile Moccia e quella che fotografa la realtà così com'è, senza quelle dinamiche o quegli intrecci che invece rendono più lungo e spesso più interessante il viaggio nella lettura.
Ciò che racconto tende a esaltare la parte irrazionale dell'animo, esaspero le figure (in eccesso o in difetto) per stimolare empatia nel lettore e cerco il colpo di scena, l'elemento che può sovvertire un'idea o ribaltare le apparenze.
Del passato mi è rimasta la fascinazione per i drammi della vita e l'attrazione irresistibile verso i personaggi forti.
In questa combinazione di forma e contenuti, io ho trovato la mia voce.

Pregi e difetti ne riconosco tanti e leggere a oltranza mi consente di puntare una lente di ingrandimento su ognuno di essi per provare a contenere l'entusiasmo verso i primi (ed evitare, così, il rischio di  autoreferenzialità) e a correggere i secondi a favore di quell'equilibrio di cui, appunto, parlavo.

Vi va, a questo punto, di saggiare (ma solo in parte) il mio stile?
Posterò l'inizio di un racconto che meglio rappresenta la mia complessità dichiarata. Ha partecipato a un concorso, diversi anni fa, ricevendo delle critiche (non specificherò se positive o negative per non influenzarvi).
Vorrei che mi diceste cosa ne pensate voi, per verificare se le critiche raccolte su di esso appartengono a un giudizio collettivo oppure rispondono a canoni assolutamente soggettivi (non guardate al contenuto, ma solo alla scelta stilistica).
Il racconto si chiama:

"L'ultimo tango"
Un soffio gelido attraversa il cielo, si inabissa nel caos di una strada gremita di persone, ne sfiora il volto con una carezza sfuggente; nessuno si accorge della sua essenza nell’aria, inafferrabile ma pesante: sta cercando qualcuno. Corre rapido trapassando i corpi, noncurante del movimento vitale che lo circonda; corre con l’unico obiettivo di bussare a una porta, quella di una donna sola che lo sta aspettando.
Il soffio entra nel silenzio di una casa ordinata, fa freddo. Lei è immobile su un letto, con gli occhi fissi alla parete di fronte a sé; le sue labbra accennano un sorriso: “Eccoti, finalmente! Lo so, era impossibile rimandare ancora il nostro appuntamento, ora sono pronta e non mi ribellerò più! Quando ho scoperto che, prima o poi, nel mio cammino ti avrei incontrato avevo poco più di trentacinque anni e ho lottato per rubare al tempo piccole frazioni di apparente atemporalità che mi regalassero l’illusione di poterti tenere alla larga, almeno per un po'. Ci sono riuscita, ma sapevo bene che avresti comunque vinto tu e quel momento è giunto, adesso tocca a me. Quasi mi affascina la tua tempestività e la tua imperturbabilità nel portarmi via per sempre. Sento che le forze mi scivolano addosso, ma la mia mente è ancora vigile e vuole sentire la tua presenza, vivere l’inevitabile passaggio senza paura, solo con il coraggio della rassegnazione cui ho ceduto consapevole dei limiti che, nonostante tutto, la speranza cela. Ti chiedo solo una cosa: esaudisci un mio desiderio, ancora uno, solo questo, poi ti seguirò – promesso - senza dire niente, in silenzio, come tu hai sempre voluto.
Ti prego, signora Morte, lasciami ballare… l’ultimo tango.”

(Da qui in poi, alla descrizione dei passi di danza si alternano i flashback legati alla vita della donna: vuole ricordarne i momenti più importanti prima di affidarli all’eternità.
Forse è anche giusto precisare che "L'ultimo tango" è contenuto in una raccolta che prevede una concatenazione fra le varie storie narrate e l'espediente stilistico in questo racconto, in particolare, mi è servito per mostrare i precedenti vissuti dalla protagonista e motivare alcune sue scelte senza doverne fare un'ordinaria trattazione).



26 commenti:

  1. Uno stile che ha qualcosa del realismo magico (ma forse sono stato influenzato dalla tua rivelazione che leggevi Kafka, la Allende e Marquez).
    Però ci percepisco qualcosa di realismo magico, per quel poco che si può afferrare da un incipit.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Diciamo che è un'interpretazione visionaria: ho solo descritto una scena che ho fortemente immaginato, ma certo, come sempre diciamo, la collocazione in un contesto è importante.

      Elimina
  2. Io trovo il tuo stile piuttosto colto, classico, e sicuramente coinvolgente. Mi piace l'atmosfera che impregna il racconto, al contempo delicata e noir. Solo una cosa non capisco: perché all'inizio parli al maschile, identificando un visitatore misterioso in procinto di arrivare, e poi usi il termine "signora morte"? è solo una curiosità. Il racconto mi è piaciuto! :)

    P.S. Volevo farti una sorpresa a lettura ultimata, ma in pausa pranzo ho iniziato trentun dicembre. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie per gli aggettivi che hai usato: hanno fatto centro!
      Il soggetto, all'inizio, è il soffio gelido, poi la donna gli si rivolge dandogli il suo ossequioso nome: "signora Morte" .

      Ommamma, il mio libro! Da questo momento in poi mi sentirò sotto esame! ;)
      Grazie per la gradita sorpresa!

      Elimina
    2. Ahahahahah. si ribaltano i ruoli! :-D
      Scherzi a parte, ci tenevo molto a leggerlo, dal momento che mi stai aiutando e che mi hai detto che abbiamo un approccio simile. Finora ho letto solo i primi capitoli quindi è un po' presto per esprimere un'opinione....

      Elimina
  3. Pensavo, chissà che un giorno non mi venga in mente di postare il racconto per intero! È un po' lunghetto, però!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi hai dato un'idea per l'estate, quando le idee si frullano sotto l'ombrellone e non hai granché materiale da condividere sul blog! ;)

      Elimina
    2. Anch'io lo voglio per intero a puntate!

      Elimina
  4. Stile evocativo e suggestivo. Per un attimo ho sentito il "soffio gelido" passarmi nella schiena...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Suggestivo è uno degli aggettivi usati dal comitato dei giudici del concorso! Un'altra espressione l'ha beccata Chiara: prosa delicata!
      Grazie, poi scriverò la versione intera del giudizio! ;)

      Elimina
  5. Direi denso, malinconico. E complesso.
    Quanto a stile io e te siamo agli antipodi. ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sei solo in lista d'attesa. Vi leggerò tutti!
      E non è una minaccia! :D

      Elimina
    2. Aiuto.
      Marina, non ti piacerà. Sappilo. :D

      Elimina
    3. Pregiudizi mai, è la mia regola di vita! :)

      Elimina
  6. Concordo con chi ha scritto che è uno stile colto. Non me lo aspettavo però. Non so cosa mi aspettassi, in realtà. Mi sembra però che la scrittura del blog e della storia siano differenti.
    Adesso mi tocca, dopo che avrò finito di leggere il libro corposo che sto affrontando, dedicarmi al tuo "31 dicembre" per capire meglio il tuo stile :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Appunto, a dimostrazione che esprimo nella scrittura la mia complessità! ;)
      E dunque che stile uso nel blog?

      Elimina
  7. Risposte
    1. Se ripassi da queste parti mi piacerebbe che tu mi dicessi di più ! :)

      Elimina
  8. Dico sempre che scrivere è raccontarsi, anche se vogliamo nasconderci. Tu, come tutti, ti racconti scrivendo. Il racconto però non sta nella forma, ma nella scelta di cosa raccontare. La forma può essere cambiata, nel blog scrivi diversamente da quando fai letteratura. Però i temi sono gli stessi e soprattutto è il modo di vedere il mondo che non cambia. Nel racconto parli di vita e morte, nostalgia e felicità... questa è Marina che si racconta in parte tramite i pensieri e il punto di vista dei suoi personaggi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Tutto ciò che non riesco a dire è detto dai miei personaggi, tutto ciò di cui vorrei parlare è dentro ogni mia storia: nel blog esprimo la parte di me che presenterei anche al di fuori del web, quando faccio letteratura apro porte che normalmente restano chiuse, il cui accesso è dato a pochi. Lì, sono profondamente me stessa.

      Elimina
  9. Ciao! Premetto che, oltre questo post, non ho mai letto nulla di tuo.
    Condivido il tuo pensiero, sono sempre stata affascinata da chi scrive storie perché trovo che immaginare una realtà diversa dalla propria e riuscire allo stesso tempo a renderla credibile per il lettore, sia molto complicato.
    E comunque penso che, per quanto la realtà scritta nel libro sia distante da quella reale, uno scrittore metta sempre se stesso e i suoi pensieri in ciò che racconta e nei suoi personaggi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao, Muriomu! Infatti è così: le storie raccontate sono sempre delle piccole proiezioni dello scrittore che le narra; poi ci sono sfumature di intensità: chi prende spunto da vicende personali, chi le filtra e le fa passare tra le righe. L'autenticità conosce diverse vie per venire fuori.
      Hai tutto il tempo che vuoi per aggiornarti, leggendo altri articoli. Sei la benvenuta! :)

      Elimina
  10. molto bello!. Sarebbe bello leggerlo tutto mi incuriosisce molto. Secondo me hai lo stile per il quale un lettore , dopo le prime righe, rimane incollato e vuole continuare a leggere

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie! Questo è quello che ogni scrittore vorrebbe sentirsi dire! :)
      Mi sta balenando l'idea di pubblicare, a puntate, la raccolta che contiene questo racconto.

      Elimina