Berlino est, il Muro e la Stasi, nel saggio di Anna Funder
"Il Muro è stato cancellato così in fretta che nelle strade non ce n’è quasi più traccia. Solo una piccola parte della sezione più pittoresca rimane, come una sgargiante pietra tombale."
Nel 1989 ero al secondo anno di università e la pagina del mio diario datata 9 novembre racconta di un litigio con le amiche con cui condividevo l'appartamento a Palermo. Noi alzavamo la voce per delle inezie, mentre una folla di gente, la notte dello stesso giorno, si riversava nelle strade di una città divisa in due da un muro, per festeggiare la libertà, ritrovata dopo quarant’anni di dittatura comunista.
Me le ricordo, le edizioni speciali dei telegiornali, tutti con i riflettori puntati su quell’evento epocale e i giornalisti con le voci emozionate a commentare le immagini delle migliaia di persone ammassate ai checkpoint: uomini e donne in preda all’euforia che si abbracciavano e piangevano di fronte a una realtà alla quale faticavano ancora a credere. Il muro di Berlino non sarebbe più stato il simbolo della divisione ideologica motivata dalla Guerra fredda. Il 9 novembre 1989, “libertà” fu la parola più gridata tra lacrime ed esaltazione e il mondo fuori partecipava commosso a quella svolta storica, senza sapere bene cosa avesse realmente significato per i tedeschi di Berlino est vivere l’incubo della dittatura comunista della Repubblica Democratica Tedesca.
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C’era una volta una città, Berlino, che gli alleati vincitori si erano divisi, all'indomani della seconda guerra mondiale, come già avevano fatto con l’intera Germania: nella parte ovest America, Regno Unito e Francia avevano costituito la Repubblica Federale Tedesca, in quella est, i russi avevano fondato la Repubblica Democratica Tedesca come stato satellite dell’Urss.
In nome di una retorica “fratellanza comunista”, i russi pretesero che i tedeschi orientali, salvati dal fascismo, negassero di essere responsabili del regime di Hitler e dell’Olocausto, piantando gradualmente il seme dell’odio verso un solo nemico: “Fermate il parassita americano”, recitavano gli slogan della propaganda contro l’imperialismo capitalista di Berlino ovest.
Quando centinaia di tedeschi orientali cominciarono a spostarsi per lavoro e per convenienza nella zona opposta e il mercato nero iniziò a dissanguare la Germania est, allora si rese necessario ricorrere a una “misura protettiva antifascista”, per evitare il contagio del vacuo materialismo occidentale.
L’assurda logica del rinchiudere la gente per bene per tenerla al sicuro dai criminali portò, la notte del 12 agosto 1961, all’avvio dei lavori per la costruzione di un muro che dividesse i due settori della città e impedisse il passaggio da una parte all’altra se non a seguito di controlli e lasciapassare appositamente autorizzati. Prima solo un groviglio di filo spinato piazzato lungo una linea tratteggiata per chilometri, poi un muro di cemento armato rinforzato che si inoltrava nel cuore della città, passando attraverso campi e in mezzo ai palazzi. Ogni tentativo di fuga era neutralizzato dalla polizia armata, che sparava a chiunque oltrepassasse il confine: le sentinelle dell’Est vegliavano giorno e notte affinché nessuno si ribellasse alla dittatura della Ddr.
C’era una volta la Stasi, un’organizzazione di spie staliniste, plagiate da un regime che le voleva asservite al grande potere socialista. Addestrate a una esasperante sorveglianza sulle vite dei cittadini, “la ditta” era una “burocrazia metastatizzata” nella società tedesco orientale, con diverse divisioni e sottodipartimenti sparsi in tutto il territorio. Nella Ddr c’era un informatore del servizio di sicurezza ogni sessantatré persone; questi, ossessionato dai dettagli, raccoglieva tutto il materiale in fascicoli rigorosamente archiviati (disposti uno accanto all’altro, essi avrebbero formato una fila di centottanta chilometri): esaminava la corrispondenza, intercettava le telefonate, piazzava microspie ovunque, riferendo su ogni attività. Un Grande Fratello in carne e ossa, invisibile, privo di scrupoli e onnipotente. La Stasi, in alcuni casi, ricattava i comuni cittadini e li costringeva, sotto la minaccia di ritorsioni, a diventare a loro volta spie al servizio del Governo. La Ddr era come una religione, un articolo di fede in cui si era obbligati a credere. Chi tradiva la causa, chi non collaborava, i dissidenti, venivano arrestati e imprigionati nel penitenziario per detenuti politici dove i ricordi di molti sopravvissuti si fermano dinnanzi all’orrore vissuto, mai dimenticato.
Persino la giustizia era manipolata dal Partito e i giudici erano corrotti. Le informazioni giravano in un circuito chiuso tra agenzie di stampa e Governo e questo controllava giornali, riviste, televisione; la censura esercitava una pressione costante su musicisti e scrittori.
Nella Germania est, fino al 1989, è così che si viveva. Senza respiro e senza via di uscita.
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“Buona fortuna con il tuo viaggio in Stasiland”, dice Uwe Schmidt rivolgendosi alla collega giornalista, tornata in Germania per cercare di rintracciare persone disposte a ricordare la Berlino est prima della caduta del muro.
“Hai poi seguito qualcuna di quelle storie di gente dell’Est di cui parlavi?”
“Sì, mi sento come Alice in Stasiland, tra le meraviglie del paese della Stasi.”
Leggo il saggio di Anna Funder, ma in realtà ascolto le vicende che lei sta raccontando dalle pagine del libro, con una narrazione in prima persona che ricostruisce i passaggi, documentati da testimonianze dirette, di un idillio che diventa orrore: l’idillio del sogno di un mondo migliore, costruito dai comunisti tedeschi sulle ceneri del loro passato nazista, che si trasforma nell’orrore di ciò che essi hanno fatto in nome di quel sogno.
La Germania Est è sparita, ma i suoi resti sono ancora sul posto.
Riscoprirli attraverso i ricordi dei protagonisti della storia, che la Germania si è lasciata alle spalle, è stata un’esperienza di lettura che ho vissuto con stati d’animo contrastanti.
Se solo per un attimo, uno solo, riusciste a immedesimarvi nel clima che si respirava a Berlino est (e questo praticamente fino all’altro ieri), con l’incubo di vivere sotto una dittatura incomprensibile, vi assicuro che non dormireste sonni tranquilli. Non dopo avere immaginato una ragazzina di appena sedici anni, Miriam, sfidare la morte per raggiungere la parte di territorio al di là del muro, che riesce a varcare fino all’inevitabile arresto: mani e gambe ferite dal fil di ferro, un carcere femminile in cui è solo la detenuta minorile numero X, lei, considerata una Nemica dello Stato, interrogata per ore, tenuta sveglia giorno e notte e sottoposta a un trattamento inumano. A sedici anni.
La vasca era piena di acqua fredda. Una guardia le teneva i piedi e l’altra i capelli. Le spingevano la testa sotto a lungo, poi la tiravano su per i capelli, urlandole addosso. Poi la cacciavano di nuovo giù. E su: “Pezzo di immondizia. Piccola opportunista. Stupida traditrice, stronzetta”. E giù. Quando risaliva, quello che respirava erano gli insulti. Pensò che l’avrebbero ammazzata.
Con i brividi addosso guardo mio figlio che frequenta la scuola, suona al Conservatorio, esce con gli amici e va dovunque voglia andare. Ha sedici anni anche lui, come Miriam.
La bambina, diventata donna troppo in fretta, si sposa e un giorno gli agenti della Stasi la informano che il marito, rinchiuso in una cella di sicurezza, è morto, facendole credere che si sia suicidato. Ingannata, depistata, ignorata, lei continuerà tutta la vita a chiedere conto di quella morte misteriosa e di tanta immeritata sofferenza.
E i miei occhi restano aperti nel buio della stanza, la notte, prima di addormentarmi, mentre penso a Frau Paul, il cui dramma personale mi lascia un vuoto profondo dentro: una madre alla quale il Ministero della salute nega l’accesso nella Germania ovest per comprare latte e medicine necessari al figlio affetto da una grave patologia. L’indifferenza con cui le viene reiterato il divieto e la rabbia per tanto cinismo mi sconvolgono:
Ricorda come implorò il funzionario, parlandogli del bambino ammalato, che senza quelle sostanze poteva morire. “Se suo figlio è così malato,” le disse il funzionario, “sarebbe meglio che morisse.”
E anche quando, per miracolo, il bambino viene trasferito in un ospedale della Germania ovest e messo in salvo, i permessi per visitare il figlio sono sempre negati alla donna, le preghiere lasciate morire tra le lacrime e, come se non fosse abbastanza già tutto questo, Frau Paul, implicata nell'organizzazione di un piano di fuga, viene arrestata e messa di fronte alla più disumana delle scelte: tradire un giovane studente, di sua conoscenza, che aiutava i berlinesi a passare in Occidente, in cambio della possibilità di rivedere il figlio.
C’è la storia di Julia che fa capire quanto sia ingiusto un sistema, al contrario, giudicato legittimo; quanto impossibile sia mantenere una relazione con un ragazzo occidentale senza averne l’approvazione e senza finire sotto gli occhi di spie pronte a sacrificare la privacy pur di avere sempre sotto mano gli strumenti con cui esercitare il controllo totale sulle persone.
C’era una pila delle lettere di lui a lei. Quell’uomo sapeva tutto. Poteva vedere quando lei aveva avuto dei dubbi, poteva vedere con quali parole dolci lei si era lasciata tranquillizzare. Poteva vedere messo a nudo il desiderio del ragazzo italiano, le invenzioni che per suo piacere costruiva della sua ragazza lontana.
Il ricatto rimane il metodo migliore per ottenere i risultati voluti senza ricorrere alla costrizione fisica: informazioni in cambio di un lavoro; informazioni in cambio di una dignità; informazioni in cambio di una vita. Il rifiuto è una strada sbarrata per sempre, un sogno infranto, un’esistenza spezzata.
Tutte queste storie e molte altre mi restano appiccicate addosso come un odore sgradevole che ho bisogno di eliminare, come un indumento sporco che voglio strapparmi di dosso. Provo orrore per l'assurdità cui l'estremizzazione di un'ideologia può arrivare. Provo rabbia, dolore per le storie reali che nessuno conosce, per l'insensibilità, per l’orribile sensazione di sapere che c’è qualcuno che esamina quanto vali interiormente, per la violenza della convinzione che quel valore possa essere in qualche modo misurato.
Se sorrido, lo faccio con amarezza, pensando ai campioni olfattivi dell’intera opposizione politica, raccolti in appositi barattoli di vetro con tanto di etichetta; lo faccio immaginando le trasmissioni mandate in onda dal canale nero, considerato l’antidoto per la televisione occidentale oppure cercando su YouTube dei video sul lipsi, tentativo del regime di confezionare una tendenza per le masse con un ballo che prevedeva movimenti asessuati.
Finalmente esco dal cielo plumbeo della vecchia Berlino est e mi libero delle tristi costruzioni in cemento, dei prefabbricati e di un materiale che ricorre spesso nella narrazione, il linoleum, presente nelle abitazioni, negli edifici, grigio o marrone, scrostato, slavato, privo di fascino. È la misura di quanto tetro fosse stato il contributo del comunismo all’ambiente, in una città che dal 1989 rinasce.
Nel gennaio del 1990 furono ritrovati quindicimila sacchi contenenti frammenti, lacerati con le macchine distruggidocumenti o strappati a mano, di fascicoli, schede, foto, nastri, pellicole: sono le vite “sotto controllo” dei tedeschi di Berlino est, che la Stasi non ha fatto in tempo a bruciare o a mandare al macero, prima di essere travolta dalla rivoluzione pacifica contro la dittatura comunista.
C’è un comitato di persone (costituito prevalentemente da donne) che dal 1995 si occupa di mettere insieme minuziosamente i pezzi del puzzle infinito di quei dossier, allo scopo di restituire vite e verità.
Il tempo stimato per la ricostruzione, in base a un calcolo che tiene conto del numero di addetti, della quantità di materiale e del lavoro svolto, è di 375 anni.
"Nessuno può sommare gli eventi di una vita e calcolare i danni; una tabella di invalidità per l’anima."
Ottimo articolo, veramente ottimo. Mi sono sempre interessato e ho letto molto, sopratutto in gioventù, in merito alle vicende della "guerra fredda". Questo saggio mi manca, forse, proprio adesso che son vecchietto, lontano dalle spinte ideologiche che animavano la mia gioventù, potrebbe essere un giusto corollario. Quelli furono anni di dolente partecipazione per ciò che capitava ai tedeschi dell'est, partecipazione frammista a una neanche tanto velata voglia di veder soffrire un popolo che tanto orrore aveva portato in tutta Europa. Come spesso accade, la realtà oggettiva non è mai compresa e capita appieno se non dopo il giusto filtro che il tempo e la necessaria analisi storica dei fenomeni offrono a posteriori. Le analisi socio politiche vanno sempre a farsi fottere quando ci si scontra (o si incontra) con l'esperienza dei singoli individui che la Storia, l'hanno vissuta, subita, attraversata.
RispondiEliminaBella lettura interessante quella che proponi, brava Marina.
Il tempo, giusto filtro di eventi storici: hai ragione, Max, io ho dovuto aspettare questa lettura per entrare veramente dentro una storia che ho sempre sfiorato. Non ho mai approfondito gli aspetti di una dittatura esercitata attraverso dei limiti fisici: ho sempre conosciuto Berlino con il muro e non ho mai veramente capito la nefandezza di una scelta così estrema. Un muro in mezzo a una città, un giorno sei cittadino della capitale, il giorno dopo ti svegli e sei prigioniero in una parte di essa, separato da amici e parenti. Ho vissuto la portata di quel dramma quando ho assistito al crollo del muro, quei martelli sbattuti con rabbia e gioia sui mattoni di cemento, la gente in lacrime. I servizi in tv erano tanti e non me ne perdevo uno, ma tutto il trascorso di intere famiglie, la sofferenza per la libertà rubata, mi è saltata addosso solo dopo avere letto il libro.
EliminaConoscere queste storie è stato importante. Siamo fortunati, Max, noi, i nostri figli e ci rendiamo conto di esserlo veramente solo quando paragoniamo le nostre vite a quelle di chi ha avuto ben altri destini.
Grazie per avere apprezzato.
Una realtà spaventosa, che contrasta in modo stridente con l'immagine di una DDR alla quale i suoi cittadini sono in fondo affezionati che si vede nel film "Good bye Lenin" o nei sondaggi secondo i quali circa il 30% dei tedeschi orientali prova un po' di nostalgia per il passato...
RispondiEliminaLa cosa ancora più spaventosa è pensare che una cosa simile esiste ancora in alcune nazioni, tipo la Corea del Nord, l'Iran o l'Arabia Saudita...
Nel libro c'è la testimonianza del conduttore del programma televisivo del "canale nero" che sproloquia sul perché e il percome di tante cose: il Muro era considerato qualcosa di assolutamente necessario, perché impediva all'imperialismo di contaminare l'est. E il popolo non era "imprigionato." Poteva muoversi, andare in Ungheria o in Polonia; gli era vietato solo recarsi nei paesi della Nato, semplicemente perché non si va in viaggio in un paese nemico. Le fughe erano "messe in scena", per sottolineare come fossero orchestrate apposta per mettere in cattiva luce il regime. Gente invasata. Aggiungi che fin da bambini, ancora in età scolare, il Governo perpetrava un sistema di indottrinamento caparbio, inculcava alle giovani menti ancora in formazione che il miglioramento era possibile solo grazie al comunismo, dunque, crescendo, non era difficile credere di vivere sul serio in un Paradiso. Solo chi viveva sulla propria pelle le tragedie era disposto a rischiare il tutto per tutto pur di mettersi in salvo da tanta follia.
EliminaE perché, vogliamo parlare del muro americano al confine con il Messico? :(
Grazie per questa recensione, un libro che bisognerebbe davvero leggere. Per combinazione proprio ieri si parlava del bellissimo film "Le vite degli altri" di cui ti consiglio la visione, se non l'hai già visto perché tra l'altro parla di uno scrittore nella DDR. Mio marito raccontava di un suo collega che aveva conosciuto una tedesca della Germania Est: lui poteva andare a trovarla, lei no, così si incontravano in Cecoslovacchia. A ogni modo la prima volta che era riuscito a recarsi in Germania Est, era partito dall'Italia come un comunista convinto, ma era rimasto talmente traumatizzato da cambiare opinione. Diceva che gli si raccomandava di non esprimere a voce alta le sue opinioni, e di stare attento a questa o quella persona perché erano della polizia; nell'ambito delle famiglie, come dice il libro stesso, c'erano delle spie del regime.
RispondiEliminaEbbi modo di visitare Berlino qualche anno fa, e i resti del muro, nonché l'interessantissimo Museo del Muro. E' una città bella e molto vivibile, ma piena di cicatrici.
Ho visto quel film anni fa, ma ho intenzione di rivederlo, ora che ho fresco tutto il sistema di controllo della Stasi; lo guarderei con un occhio più consapevole.
EliminaNon ho difficoltà a credere che si possa cambiare ideologia dopo avere toccato con mano l'orrore di un estremismo; per questo non riesco mai a giustificare nessuna delle scelte fanatiche operate dalla Destra o dalla Sinistra: hanno molto, troppo da farsi perdonare entrambe dalla storia.
Vorrei visitare Berlino anch'io, adesso più che mai.
Massi (Riccardi) racconta meraviglie di te. Sono venuta a sbirciare e ho trovato un articolo "perfetto" su di un libro che ho in wish list da tempo. Berlino è ancora,in parte, una città ferita e amara. A me piacque moltissimo , la visitai in inverno ma vorrei rivederla d'estate. A presto Marina, felice di fare la tua conoscenza.
RispondiEliminaMolto lieta, Mariella, di questo tuo passaggio nel mio blog. Anch'io ti conosco de relato, ti leggo spesso anche da Irene. :)
EliminaNon sono mai stata a Berlino, ma tutti mi dicono che è una città molto bella: pensa che quest'anno, mio figlio è andato in gita proprio lì, mentre io stavo leggendo il libro. Gli ho ordinato di fotografare l'impossibile, ma sò ragazzi e, alla fine, mi ha mostrato un reportage di foto inservibile per il mio scopo. :D
Quando leggerai il libro, mi dirai cosa ne hai pensato.
Io ci sono stata a Natale, 3 anni fa. E nonostante un freddo allucinante, abbiamo avuto la fortuna di giornate terse che ci hanno dato la possibilità di girarla per bene. Ho fotografato l'impossibile, cercando di cogliere ogni angolo, e allo stesso tempo, i volti delle persone. Soprattutto i ragazzi, la gioventù berlinese è proiettata verso il futuro. Amara perché ci sono stata qualche giorno dopo l'attentato e negli occhi delle persone(gli adulti), individuavi quella paura che striscia nell'ombra, che mina ogni tua certezza. Nei ragazzi però non l'ho vista. Questo mi ha rassicurato un po'. Vedrai che tornerà entusiasta e con un reportage da fare invidia a McCurry ahahah.
EliminaSì, dopo la lettura ti dirò le mie impressioni.
A presto!
Niente, Mariella, è tornato, ma le foto sono quelle che sono. :D Ne ha fatte diverse e molto suggestive nel cimitero ebraico, però, con tutti quei parallelepipedi in pietra divisi da corsie strette. Prima o poi andrò io a Berlino. :)
EliminaCredo che sia più facile trovare adulti con espressioni del viso segnate da un passato che per quanto ti venga naturale dimenticare, non potrà mai esserlo del tutto; i giovani sono figli di altre epoche, per fortuna, possono solo condividere i ricordi di genitori o nonni, e sì, per loro è un'autentica fortuna!
Ah, allora ti tocca andare. No, io mi riferivo alla tragedia appena vissuta, non facevo un discorso generale. Quello credo, come te, che sia normale.
Elimina:)
EliminaSono stata a Berlino, qualche anno fa, e devo dire che mi ha colpito positivamente. E' una città ordinata, funzionale che offre un sacco di opportunità. Andando in visita ai resti del muro, ho provato ad immaginare come si stesse in quel lontano pre-'89... Ho tremato, nonostante non abbia mai approfondito sulle questioni politiche e storiche di quell'evento che ha in qualche modo cambiato il mondo.
RispondiEliminaUn'occasione per conoscere di più, questa.
Io mi inchino davanti al tuo sapere ed alla capacità tua di recensire: mi ricorderò di questo titolo. Sai che al momento viaggio su altri pianeti... :P
No, non so fare recensioni vere. Le mie sono più impressioni a caldo, tirate fuori mentre mi ribollono ancora dentro. Se quel trambusto interiore si placa, non riesco più a parlare di qualcosa che mi ha colpito dritto al cuore (infatti non scrivo di ogni libro che leggo, ma solo di quelli di cui, in qualche modo, ho bisogno di liberarmi.)
EliminaI tuoi pianeti sono una boccata d'aria fresca, cara Irene. Io sono masochista e a me i libri che mi provocano sofferenza interiore mi piacciono un sacco (masochista allo stadio ultimo proprio), però, onestamente, dopo una lettura così, ci vuole leggerezza, tanta leggerezza. ;)
Ricordo che all'epoca non capivo...e continuavo a chiedere: perché un muro in mezzo alla città? Non potevano far cambio con un'altra città?! Non capivo nemmeno la cattiveria che si raccontava, dei controlli, degli arresti e no, non sapevo nulla della Stasi. Non capivo... e poi c'è qualcuno che sta costruendo un altro muro e l'unica motivazione sembra spostare l'attenzione, far credere che i colpevoli della povertà... siano i poveri stessi!
RispondiEliminaTrovo anch'io assurdo il muro che un certo presidente sta costruendo al confine con il Messico; assurdo, insensato, privo di ogni logica. Come lo era quello costruito a Berlino e parliamo di cinquant'anni fa. La storia non insegna niente, poi ci commuoviamo quando leggiamo i libri che la raccontano!
EliminaRicordo i giorni della caduta del muro, allora pensavo che fosse un cambiamento epocale, una definitiva affermazione della libertà e dei diritti umani. Una rinnovata speranza e fiducia nel mondo. Con i nuovi eventi di oggi non sembra proprio che sia così.
RispondiEliminaC'è un bellissimo film del 2006 che parla della Stasi si intitola "Le vite degli altri"
Ho visto quel film, ma tanti anni fa, quando avevo scarse informazioni sul regime comunista a Berlino est e sull'esistenza di un servizio segreto preposto al controllo dei cittadini. Lo rivedrei volentieri adesso, con la consapevolezza di quanto nefando fosse stato tutto questo sistema. Fra qualche anno faranno qualche film anche sul muro che sta dividendo altre persone... nel 2019. :(
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