Facoltà di Giurisprudenza - Palermo
Ho un ricordo che si rinnova ogni aprile. Tutti gli anni, dal lontanissimo 1990. Fiorisce come la primavera, ma ha i colori dell'autunno.
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Dall’inizio: da un’aula sovraffollata, dove ci incontravamo il lunedì mattina.
Non rammento ogni lezione frequentata all’università, ma le ore di filosofia del diritto sì, le rammento bene: Alessandro è il segnalibro fermo dentro quelle pagine di memoria.
Dei ricordi che di lui conservo ho trattenuto il più bello: il sorriso. È come una fotografia che non ho sotto gli occhi, ma custodisco dentro il cuore e tutte le volte che mi tornano in mente quel viso, dove il sole poggiava i suoi raggi e quella bocca, schiusa nella più grande espressione di giovialità che io abbia mai visto, non riesco a fare altro che sfiorare la sua immagine con parole scritte e mille fantasie su come sarebbe stato vivere il tempo che, invece, non abbiamo avuto.
Comincio, dunque, proprio da lì, dall’aula sovraffollata di filosofia del diritto, dove il suo sorriso speciale era l’unica cosa che catturasse la mia attenzione ogni volta che entravo e, schivando i quaderni lanciati per arrivare a occupare le file migliori, vedevo la sua mano farmi un cenno: mi conservava sempre un posto, accanto a sé, lo faceva tutti i lunedì, anche se lo snobbavo perché un collega trovava spazio dietro e io seguivo lui, anziché accettare la carineria di uno sconosciuto.
Ma un giorno decisi di assecondare la sua insistenza per nulla fastidiosa: l’ipnosi esercitata su di me da quel modo di farsi notare, mi indusse a sedermi accanto a lui e formò, da quel momento, una certezza: avrei trovato sempre una sedia vuota nell’aula 2 della facoltà, per seguire le lezioni della professoressa Urso.
Lo conobbi così, Ale.
Aveva la luce negli occhi, azzurri come una colata di cielo su una tela e il viso con le lentiggini: sentivo il calore dell’estate, quando parlavo con lui e la leggerezza del prato calpestato a piedi scalzi. Era un ragazzo che alitava gioia di vivere e la contagiava: un untore di allegria.
Lo conobbi così, Ale.
Aveva la luce negli occhi, azzurri come una colata di cielo su una tela e il viso con le lentiggini: sentivo il calore dell’estate, quando parlavo con lui e la leggerezza del prato calpestato a piedi scalzi. Era un ragazzo che alitava gioia di vivere e la contagiava: un untore di allegria.
Poi una mattina passai il foglio delle presenze alla mia destra e Alessandro, che era seduto al mio fianco, dopo averlo fatto scivolare sotto la sua penna pronta per la firma, si voltò con uno scatto e disse: “nooo”, distraendo la docente che aveva appena iniziato la lezione. Come dimenticare quel momento! La sua espressione era quella di una persona cui è stato svelato un segreto e non sa se prendere la notizia come buona o cattiva; non si curò nemmeno del fatto che fosse stato redarguito per la sua lieve intemperanza: l’omonimia dei nostri cognomi gli tolse l’illusione di avere avvicinato “la ragazza più bella del corso” e gli restituì la conoscenza di una cugina lontana.
Ci provo sempre, a raccontare di lui, ma mi fermo. Mi fermo davanti alla portiera dell’autobus in via Roma, che si chiude dopo che sono salita. Mi fermo a guardare dal finestrino una sagoma farsi sempre più piccola. Mi fermo. Con una promessa concordata, la data di un incontro e un numero di telefono infilato nei jeans.
Perché poteva cominciare tutto allora, invece è proprio allora che tutto è finito.
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Se volete conoscere le ragioni della nascita di questa rubrica leggete l'#Eco 1
Bella sta storia, porcaccia vacca. Straordinaria come finisce, cioè come la fai finire, cioè come l'avete fatta finire.
RispondiEliminaNostalgia? Rammarico? di quel che avevate nelle dita, leggerissimo, ancora non nato, nemmeno svezzato ma l'avevate intravista la felicità e le avete dati un calcio, cioè niente "avete", "HAI".
Un autobus che se ne va e lascia sul marciapiedi quella che poteva essere il grande -grandissimo- amore e tu, cioè io, hai perduto il foglietto col suo numero di telefono, l'ultimo giorno del quarto anno, poi lei il giorno dopo in ferie in Spagna, io nemmeno partito per via dell'aggravarsi della situazione di papà che poi finì per morirne ed io smisi di andare all'Università della Sapienza.
Se papà non si fosse aggravato, se lei non fosse partita, se quello non fosse stato l'ultimo giorno, se, se, se....
Oggi sarei un medico, magari un primario, sicuramente oncologo o nefrologo con una gran carriera svolta, perché la fanciulla voleva fare Ginecologia, logico ma suo padre e suo zio, Umberto e Davide avevano una super clinica a testa ed erano entrambi professori universitari, famosissimi fratelli medici.
Non si torna indietro.
No, mai.
Ricordi che riaffiorano, asimmetrici, atemporali, sprazzi di passato, questo è lo spirito della mia "eco" in questi post ed è bello che tu abbia contribuito. Che poi, incredibile quasi, ma io ho perduto sul serio il numero di telefono e il giorno dopo tornavo in Sicilia per le vacanze di Pasqua e poi, poi, poi... non si torna indietro mai, è vero. E ci sono cose che non possono più farlo in modo assoluto.
EliminaForse ti farà sorridere il fatto che mio padre e mia madre hanno lo stesso cognome. E che, di quattro nonni, ben tre avevano il medesimo cognome. La cosa più curiosa è che nessuno era imparentato in nessun modo con l'altro. Quindi puoi immaginare quanto sia diffuso il mio cognome qui al paesello.
RispondiEliminaIl punto, in questa storia, è che il cognome uguale ha svelato proprio una parentela, che ha rovinato tutto: sarei potuta essere la donna della sua vita e invece ero solo la cugina di secondo grado mai conosciuta. "Che iella!" (frase detta da lui, a fine lezione, tra una risata e un abbraccio, a quel punto, fraterno!) :D
EliminaUna pennellata. Bello il tuo racconto.
RispondiEliminaSe mi soffermo a pensare alle tantissime persone incontrate negli anni universitari, mi viene in mente una moltitudine cangiante. Non ricordo però un momento particolare, o forse dovrei soffermarmici di più.
Continua con i tuoi Echi, sono bellissimi.
Ci sono cose che non dimentichi più, situazioni, persone. Gli sto facendo fare un giretto fuori dai miei ricordi. :)
EliminaGrazie. <3
Bello, delicato, malinconico. Torno a dire bello.
RispondiElimina<3 <3
Eliminache bello leggerti.
RispondiEliminae quando poi regali di te è ancora più bello.
la nostra bellezza crede risieda nel saperci donare a chi incontriamo..a chi insegniamo o da chi impariamo..ma dopo ne usciamo con una ricchezza in più.
anche se parenti peccato che abbiate interrotto i contatti.avrebbe potuto essere un amico "ricco"..
un caro saluto.e ti ringrazio IMMENSAMENTE per aver notato ed elogiato le mie immagini del post..non lo fa nessuno!!eppure impiego tanta cura e impegno nel trovarle!!
Grazie. Lasciarsi andare a un ricordo importante e raccontarlo a quanti sono disposti a perdere qualche minuto per esserne partecipi ha qualcosa di catartico. Ci sto prendendo gusto. :)
EliminaPer quel poco che ci siamo frequentati, posso dire che ho conservato il meglio di lui: sarebbe stata davvero una bellissima, soprattutto spassionata, amicizia.
A me le immagini colpiscono sempre molto: si vede che le tue sono ricercate e non sono mai messe lì a caso. :)
credO no credE.
RispondiEliminaSono i ricordi speciali che rendono piacevole l'esercizio della memoria. E sono sempre i ricordi speciali a dare forma alle emozioni. É bello, come fai tu, ogni tanto condividerli con gli altri per trasmetterci un po' delle emozioni che ti hanno lasciato addosso.
RispondiEliminaGrazie, Ariano. Se le mie emozioni arrivano sono più contenta: in fondo queste parentesi brevi sono scritte non per eseguire una prova letteraria, ma per dare una testimonianza personale e regalare un pizzico di intimità alle persone che mi seguono.
EliminaTi sto sorridendo. Di infinita tenerezza e nostalgia. Sorrido, perché leggere a parole scava ancora più a fondo che ascoltare con le orecchie.
RispondiEliminaSorrido anch'io. Mentre scrivevo questo post pensavo a noi due in quel baretto: un morso al panino, un occhio alla "reclutatrice" che avevamo a lato e tanto tempo a raccontarci di noi. E sorrido perché anche allora ti dissi che faccio fatica a raccontare questa parentesi della mia vita e abbiamo subito sdrammatizzato con una solenne risata.
EliminaA me succede con i giorni di pioggia. Perché quello sconosciuto che s'è fiondato sotto il mio ombrello, mannaggia, non l'ho più ritrovato...
RispondiEliminaBellissimo ricordo, tristamaro. Sul cognome non posso fare affidamento. In condominio c'è un altro Businaro ma no, proprio non siamo parenti (per fortuna mia). ;)
La cosa bella è che quando ti presenti a qualcuno non lo fai con nome e cognome (parlo di rapporti non professionali) e dunque siamo stati giorni io a parlare con tale Alessandro lui a parlare con tale Marina, senza saperne molto di più. Quel foglio delle presenze (che poi circolava sempre a file verticali, dunque le nostre firme non erano mai vicine) ha scoperchiato un mondo; la ricostruzione della parentela non è stata poi complicatissima: ci è bastato fare i nomi dei nostri rispettivi padri, a loro volta cugini e abbiamo riso, quanto abbiamo riso!
EliminaLo sai che una volta è capitato pure a me di dare un passaggio con l'ombrello a uno che vi si era ficcato sotto in un giorno di pioggia? Ma proprio cercava solo un riparo e un passaggio fino al marciapiede di fronte: mi ha detto grazie e si è dato. Non era nemmeno tanto male! :)
Marina, è così intimo e delicato il ricordo che hai condiviso che davvero leggerlo mi ha emozionata. Un abbraccio.
RispondiEliminaiara
Iara, felice di ritrovarti. E grazie: ti emoziono da lontano, ma mi fa piacere sapere che ci sei. ;)
EliminaMi viene da dire mannaggia, quando la vita ci mette lo zampino non facilita certo le cose. Però resta nel cuore quella dolcezza che permette a quel sentimento appena spuntato regala, un cameo.
RispondiEliminaHa avuto il tempo di piantare il seme del rimpianto, ma va beh, sic est vita! :)
Eliminainvece è cominciato qualcosa che non ha modo di finire. e fa brividi, anche così.
RispondiEliminaDigiti bene, grazie! :)
EliminaAh, mi sono voluta male male malissimo! :P
Un racconto bello e delicato con il sapore della nostalgia per il non vissuto. Non puoi sapere come sarebbe andata e forse proprio quell'incognita regala l'eternità al tuo ricordo. Molto bello.
RispondiEliminaGrazie Giulia, hai colto il senso del mio ricordo importante: è tale proprio perché rimasto lì, in quell'epoca, senza avere mai avuto un'evoluzione. Ogni tanto mi chiedo ancora come sarebbe stato se, ma ci rinuncio subito: rimane solo una parentesi bella e indimenticabile.
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