La fredda canna di una Walther PPK puntata alla tempia gli faceva meno paura dei russi, a pochi metri dal giardino della Cancelleria.
Si era rassegnato al fatto che la guerra fosse irrimediabilmente perduta.
La fredda canna di una Walther PPK puntata alla tempia gli faceva meno paura dei russi, a pochi metri dal giardino della Cancelleria.
Si era rassegnato al fatto che la guerra fosse irrimediabilmente perduta.
Appuntamento mensile con “Il caffè di Luz e Marina.”
“In superficie, le uova avevano reticoli come le vene d’una mano. Dentro il guscio s’arrotolavano forme sinuose, viscide, a matassa: erano serpenti, che attendevano il momento propizio. Nel giro di una decina d’anni, tutte quelle uova si schiusero, in una terra esagonale nel cuore dell’Europa.”
La terra esagonale è la Francia della seconda metà del‘700, il primo serpente a venire alla luce ha occhi acquosi, che il tempo renderà glaciali; il suo nome è Maximilian-François-Marie-Isidore Robespierre.
Vi dice niente questo nome?
Scrivo un articolo in seguito a un impegno preso. Non è destinato a questo blog. Studio la posizione dei miei pensieri all’interno del testo, a quali di essi dare la priorità, da dove partire, come concludere il pezzo. Lo faccio seguendo uno schema, approfondendo informazioni che non ho o conosco poco. Rimedio qualche ricordo, seleziono le sensazioni che mi motivano di più ... ed eccolo, l’articolo preso in consegna: lo pubblico il 4 gennaio nel sito “I Racconti delle Ragazze”. Parla dei mitici Doors.
Dio è un pittore, un espressionista astratto: soffia colori nell'immensa tela a sfondo azzurro e ne fa un’opera d’arte. Non riesco a distogliere lo sguardo dal panorama che osservo affacciata alla finestra: viene voglia di allungare un braccio e mescolare la colata di rosso che imbratta il cielo; smuovere le onde giallo ocra sprigionate dal sole sopito, spugnare con tinte di rosa la parte ancora visibile di blu cobalto.
Mi perdo nei pensieri, con la tavola imbandita alle spalle, la candela che aspetta di illuminare la cena di Natale, l’odore di buono sprigionato dal forno e gli occhi immersi dentro il quadro di Dio: è una preghiera, quella che formulo, mentre ammiro il tramonto di questa Vigilia.
Non sono mai stata sintetica, ma non amo la prolissità: riesco a godermi la lettura di un fiume di parole profuse in un post solo se sono motivata o realmente interessata all’argomento, altrimenti i miei occhi zompettano lungo le righe dei papelli e arrivano alla fine nella metà del tempo che impiegherei se leggessi tutto con cura e pazienza.
Trenta pagine forse evitabili, numerate a caratteri romani, fanno da apripista al romanzo di un formidabile genio, che prima ancora di essere il genio che ha scritto un’opera struggente è il formidabile autore di una premessa meritevole di prendere il posto della recensione (che non farò) del libro, perché è l'"apparentemente infinito cazzeggiare" che ha subito catturato la mia attenzione, "questo interminabile schiarirsi la voce", che a me ha schiarito anche le idee.
“... Lui solo aveva il potere di farmi ritrovare i giorni passati, il tempo perduto, davanti a cui gli sforzi della mia memoria e della mia intelligenza erano sempre vani...”
È l’ultimo brano che leggo, del libro che ho dietro, prima di salire a bordo.
Nel luglio del 1998 ero a Marina di Massa, per seguire il corso di “Diffusore di Diritto Internazionale Umanitario” presso la Croce Rossa Italiana: ero già volontaria del soccorso da due anni e, poiché il pulicio del diritto internazionale non aveva mai smesso di sfruculiarmi il cervello dal giorno della laurea, decisi di partecipare alle selezioni, superai le prove e partii per le due attese settimane.
Me ne sono stata buona, negli ultimi anni, senza pretendere di avere sempre ragione né la presunzione di elargire lezioni di scrittura (io, la prima con l’autocritica facile e perciò poco incline a produrre storie che penso essere di scarso valore letterario).
Ho tuonato contro il selfpublishing, dopo un periodo di fiducia in cui avevo appoggiato e difeso gli scrittori che si proclamano editori di se stessi e sono soddisfatti di avere intrapreso la strada del fai da te. Ma la scrittura non è solo ispirazione e penna in mano e il lettore non può essere sempre preso in giro.
Ebbene, è proprio su tale argomento che io e Luana ci siamo confrontate nel caffè di questo mese: che valore attribuiamo all'arte contemporanea, partendo dal presupposto più importante, la creatività.
Ho elaborato questa pagina a luglio, ma è rimasta solo un’intenzione, perché quando ho provato a scriverla l’ispirazione si è infeltrita come la lana dopo un lavaggio sbagliato e l’ho mollata là, a dileguarsi nel caldo dell’estate. In genere non recupero più le idee alle quali rinuncio, ma qualche volta proprio quelle idee tornano a scuotermi, mi gridano nelle orecchie, occupano il mio cervello finendo per imporsi, soprattutto quando qualcosa le dissotterra. E così, tormentata di nuovo da un ricordo riemerso dal passato, ho deciso di dare udienza a un’eco rimbalzata nel presente dal lontano 1985, che non ho mai sentito la necessità di esternare forse per pudore, per orgoglio o per mero disinteresse. Adesso è il bisogno a premere perché io racconti questa storia.
Parlare di macro argomenti spaventa sempre un po’, perché è facile scadere nella banalità oppure perdersi in elucubrazioni che annoiano, in quanto poco ancorate alla praticità del quotidiano. Amore, Amicizia, Felicità, Solitudine, sono concetti direi quasi abusati per la quantità di aspetti che le caratterizzano. Invece io e Luana, nel caffè di questo mese, parlando proprio di amicizia, abbiamo raccontato una parte di noi importante e lo abbiamo fatto con la consueta spontaneità, condividendo le nostre esperienze, senza trarne massime di vita. Ne è venuto fuori un confronto come sempre autentico, che non ha fatto che aggiungere un tassello alla nostra bella conoscenza.
Lavoravo da qualche tempo a una raccolta di racconti: non erano storie originali, le avevo già scritte anni fa. Avevano un bel concept alla base, una struttura che rendeva le vicende autonome l’una dall’altra, ancorché concatenate da un filo conduttore che le riuniva in un corpo unico. Erano state, come già il romanzo di poco anteriore, il frutto di esperienze elaborate ai tempi dell’università, trasposte in una fiction narrativa il cui risultato mi aveva gratificata (uno di questi racconti mi valse una segnalazione a un concorso, tra l’altro). Poi, a distanza di anni, provai un bel po’ d’imbarazzo, trovando inconcepibile anche solo il pensiero di avere avuto il coraggio di espormi e di avere persino vinto un premio, con uno di essi.
Sì, le idee erano ancora buone, ma occorreva dare profondità alle storie, maggiore tridimensionalità ai personaggi, correggere le banalità, gli errori tipici delle aspiranti scrittrici attratte dal sentimentalismo e dalla tecnica dilettantesca dell’uso di avverbi e aggettivi come se fossero elementi indispensabili ad abbellire una scena.
Appuntamento mensile con “Il caffè di Luz e Marina.”
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Apollo e le muse sul monte Parnaso - Anton Raphael Mengs |