giovedì 31 ottobre 2024

Jack, il benefattore

Ogni mattina vado in giro a sparare alla gente.

Sono un cecchino esperto e sono determinato. 

Contrariamente a quanto si possa pensare, svolgo un servizio utile: faccio pulizia. Ché oggi, forse, non c’è un gran bisogno di fare pulizia? L’ordine, l’armonia, che fine hanno fatto?

Mi sveglio presto e mi preparo. Nascondo l’arma sotto la giacca. Non desto sospetti: in jeans e occhiali da sole passo inosservato, sono solo un ciondolone che se ne va in giro a bighellonare, una perdigiorno, un disoccupato che non si preoccupa minimamente di esserlo: uno qualunque, insomma. Al limite, visto che la punta della canna di acciaio (che ogni tanto sporge dalla fodera interna), somiglia all’asta di un treppiedi, inganno qualche curioso facendogli credere di essere un turista, armato sì, ma di macchina fotografica, mica di un F.P.A.D, Fucile di Precisione ad Alta Dissolvenza, pronto all’azione.

Scelgo le vittime a caso, mi diverte più non avere uno schema, vado a random, perché sono certo di trovare per le strade tutto il materiale sacrificabile che cerco: ragazzi, uomini, anziani signori, ragazze, donne, anziane signore, non faccio differenze. Il brutto è neutro ed è universale. Sono esigente, però, questo sì. Non mi accontento di colpire le anime poco poco perdute, quelle che hanno ceduto a una piccola tentazione o si sono tolte solo uno sfizio (seppure inutile, costoso e definitivo). Un capriccio suscita tenerezza, la ridondanza spaventa, disturba, ripugna. È per questo che prendo di mira le persone alle quali non è rimasto nemmeno un centimetro di spazio per preservare lo gnegnero, ormai quasi tutte -  purtroppo - per loro.

Odio quanti seguono una moda solo perché è l’unica via d’integrazione nel tutto indistinto, pecore smarrite di un ovile senza più un guardiano, zero individualità, marionette omologate, fiere di fare parte di una tribù di ostentatori dai gusti irragionevoli. Che vuoi tu, perché mi guardi così? - ti fulminano, ma sei tu che attiri l’attenzione sei tu che vuoi che io ti guardi sei tu che mi susciti l’istinto di riportarti sulla retta via. E io lo faccio. Prendo il fucile, lo punto contro l’abominio che fa bella mostra di sé e susshhhh, risano dove il danno è fatto. Indolore, discreto, pulito. Sparo e riporto a casa una cartuccia piena di pigmenti risucchiati, lasciando che una superficie rinasca a nuova vita. Uno la mattina esce di casa in un modo e poi torna irrimediabilmente macchiato, parte lindo come un bambino appena nato e si ritrova con un cappottino di inchiostro indelebile. Che intollerabile affronto alla perfezione della natura! Che spreco di denaro, che cacofonia sociale!

La vetrina della pasticceria è piena di zucche intagliate di marzapane: la festa di Halloween rende più adrenalinica la mia missione. Mordo con voluttà un osso di morto e osservo il viavai di gente lungo il marciapiede. Aspetto.

Ecco il primo: età media, uno sfigato. Maniche della camicia arrotolate, pelo incanutito sulle braccia e una forma ibrida che cerca di imporsi fra tricipite e gomito. Ma cos’è: un animale con le squame, un drago infiacchito dalle grinze della pelle invecchiata... È giunta la tua ora, mi dispiace!

E tu, povera giovane donna, che bisogno hai di esibire il trofeo monocolore sul polpaccio... chi ti ha fatto quell’obbrobrio: sembra un’ustione di terzo grado. Susshhhh, sparisci! 

Taluni non hanno nemmeno la decenza di scegliere l’angolo adeguato del corpo (se mai ce ne fosse uno!) in cui piazzare il simbolo identitario: mi ribolle il sangue. Sono come gli scaracchi lanciati a caso, che si attaccano dove capita. Che ci fa un geroglifico sullo zigomo! E pure le clavicole, ma che male t’hanno fatto per meritare quel castigo: annerite da una catena che culmina con un crocifisso (padrefiglioespiritosanto!) e sparisce in mezzo al petto villoso.

Ragnatela con tarantola rivolta verso la nuca: eccone un altro. Con te sarò indulgente: tu resti lì, alle pendici di quella capoccia rasata. Mi basta immaginare che qualcuno abbia la tentazione di schiacciare il ragnaccio inciso sul collo con il tacco di una scarpa.


Godo a uccidere il cattivo gusto. Frullo i disegni macabri, sciolgo le cattive esecuzioni, risucchio le mostruosità ridondanti sulla pelle. Sono violento fanatico retrogrado medievale bigotto fascista reazionario, ma amo il bello.

A fine giornata, il mio F.P.A.D ha portato via tanto di quell’inchiostro che, a casa, mi vesto da pittore per dare una destinazione migliore a tutti quei pigmenti sottratti. Così, dirigo il fucile verso la parete e schizzo l’arcobaleno di colori su un’enorme tela bianca. Questa è arte.

Il mio nome è Paul Jackson P., per gli amici Jack. Mi piace pensare di essere un espressionista astratto, ma alla fine, sono semplicemente un benefattore. 


*In copertina, Jackson Pollock, Murale


3 commenti:

  1. Molto intrigante. Stuzzicante l’idea di fondo, un moderno donchisciotte che combatte uno dei fenomeni più antiestetici dei giorni nostri, il tatuaggio, e originale questo fucile a risucchio che cancella gli obbrobri sulla pelle. Ma a differenza di donchisciotte il tuo jack sa riutilizzare tutto il materiale contro cui ha combattuto. Mi incuriosisce sapere come ti è venuta l’idea, forse pollock in qualche intervista aveva dichiarato che con la sua arte combatteva le brutture del mondo?
    massimolegnani

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  2. Un gustoso raccontino semi horror di Halloween.. certo ormai se non hai hai un tatuaggio ti guardano strano, e anche se giri senza cane al guinzaglio, una società sempre più cloroformizzata. Facciamo una guerra anche noi, stanno partecipando tutti, perché non ci adeguiamo? Lo vorrei un fucile anti fucile, anti carrarmato, anti missile, anti aereo, anti odio, hai idea di dove procurarcene almeno uno?

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  3. Con me non passi per "antiquata" perché anche io non sopporto i tatuaggi come vanno di moda adesso. Un singolo tatuaggio, due, tre, hanno il loro perché. Un intero corpo tappezzato con decine di tatuaggi è solo una provocazione, un modo per atteggiarsi come selvaggi Maori però col cellulare in mano e la cena prenotata in qualche locale alternativo, un tentativo di atteggiarsi da yakuza (magari anche parlando male della polizia) però subito pronti a piagnucolare e a fare le vittime della giustizia cieca e classista per una piccola contravvenzione per parcheggio in sosta vietata.

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