martedì 19 febbraio 2019

E se usassi uno pseudonimo?


“Ciao Marina, il tuo racconto mi ha commosso. Certe volte, nella vita, è più facile tollerare le delusioni che fare delle scelte coraggiose, ma tu hai dimenticato le prime per abbracciare le seconde, ti faccio i complimenti per questo e per come lo hai narrato.”

È il messaggio che ho ricevuto lo stesso giorno della pubblicazione del post con la colonna sonora dei Rage Against The Machine. Conosco chi me lo ha inviato e nel testo le analogie con la mia vita sono tante, ma la domanda è: perché questa persona ha visto necessariamente me, dietro la protagonista della storia?
Certo, ho contribuito a generare l’equivoco: ho frequentato il Tribunale a lungo, amo un certo tipo di musica e non sono in pochi a sapere che mi sono laureata in una facoltà che non ha pagato il sacrificio del mio studio con la piena gratificazione professionale, ma non ho mai vinto una causa per maltrattamento domestico difendendo la parte convenuta (ero ancora praticante, quando il mio avvocato ha assunto la difesa di un uomo denunciato dalla moglie, ma a quell'epoca facevo fotocopie e raccoglievo sentenze), nel mio armadio non c’è l’ombra di un tailleur e non ho mai comprato, con cadenza mensile, abiti da trecento euro. Per dire.
Non mi infastidisce sapere che quando scrivo si possano fare accostamenti di tipo autobiografico, ma che li si diano per scontati: significa che tutte le volte che racconto qualcosa devo supporre che qualcuno, leggendo, mi identifichi con uno dei personaggi, che mi veda dentro la trama. 
Oggi va tanto di moda l’autofiction, ho usato l’incipit di un altro mio breve racconto come pretesto per parlarne: ci sono autori che puntano sul malinteso, amano giocare a nascondino con i fruitori delle loro storie, trovano stimolante fare credere che la vicenda del romanzo sia tirata fuori dalla propria sfera personale. 
Invece, io, quasi quasi, comincio a caldeggiare l’ipotesi di usare uno pseudonimo per firmare i miei scritti.

L’idea mi è venuta dopo avere ascoltato l’ultima puntata del podcast “Abisso editoriale”, che approfondisce proprio il tema della scelta di nomi fittizi da parte di autorevoli scrittori. Gli esempi, nel mondo letterario, non mancano: Orwell, Conrad, Mishima, Carrol, Moravia, Svevo e, da ultimo, Elena Ferrante, divenuta non solo un caso editoriale con la sua tetralogia, ma anche un caso clinico per chi si è tanto ostinato a toglierle la maschera.

La necessità di usare una falsa identità può nascere da motivazioni che vanno dall’intento di semplificare nomi difficili da ricordare (Italo Svevo è più accessibile di Aron Hector Schmitz; Joseph Conrad è Józef Teodor Nałęcz Konrad Korzeniowski - provate a pronunciare anche solo il cognome) a ragioni più profonde, come il desiderio di non generare commistioni tra la vita privata dell’autore e quella dei suoi personaggi o la volontà di abbattere un pregiudizio legato al genere femminile (si pensi alla letteratura delle sorelle Bronte, nell’800, ma anche alla stessa Rowling che, nel timore che il suo romanzo fantasy non venisse accolto con successo, perché proveniente dalla penna di una donna, scelse di presentarsi al pubblico con le sole iniziali del nome.)

E io, quali ragioni potrei addurre per giustificare l’uso di uno pseudonimo?

Partiamo dall’ovvio: evitare i parallelismi tra la mia vita e la storia raccontata.

Ma questo potrebbe, tutt’al più, interessarmi in relazione ad amici e parenti. In realtà, spererei di “allargare” la cerchia di lettori e, a quel punto, l’inibizione relativa al facile parallelismo fra persona e personaggio sarebbe un falso ostacolo. Mi darebbe fastidio fare credere a mia madre, a mia cugina, alla mia migliore amica, di nascondermi dietro la protagonista della storia che narro, mentre mi preoccuperei meno se a pensarlo fosse uno sconosciuto.

E se me ne servissi per dare risalto alla storia, affinché essa possa godere di fama autonoma, a prescindere dal valore che acquisirebbe grazie al mio nome di battesimo?

Ci sono libri che devono il successo esclusivamente al nome di chi li scrive e spesso le case editrici puntano solo su questo.
Seee, dai, nun t’allargà! 
Qui, il problema, nemmeno si porrebbe. Nessun editore o agente letterario avrebbe da obiettare sulla scelta di celarmi dietro uno pseudonimo: non ho un nome da spendere per agevolare il marketing, non sono conosciuta, non ho un vissuto particolare. Il mio nome d'arte non sarebbe d’intralcio all’ossessione dei lettori di indagare la biografia dei loro scrittori preferiti (a parte il fatto che dovrei, prima, trovarmi nella condizione di essere “preferita”.)

Allora, per un attimo, immagino di essere la protagonista di un nuovo “caso editoriale”, una nuova Elena Ferrante...

Ho capito: questa depenniamola subito.

Mi rifugio in un paio di ragioni più personali:

Userei lo pseudonimo per nascondermi agli occhi di chi conosce il mio stile e ha maturato un pregiudizio sul mio modo di scrivere.
Metti che io non stia simpatica a qualcuno. Metti che io partecipi a concorsi letterari nella cui giuria c’è sempre lo stesso membro che, magari, mi ha bocciato in precedenti valutazioni.
Allora solo per il gusto di ingannare i detrattori, con un nome che non sia il mio potrei illudermi di avere una nuova chance.

D'altronde, avere un nome fittizio potrebbe farmi sentire libera di scrivere anche di cose verso cui mantengo una naturale riluttanza: i famosi tabù, che è difficile da abbattere nella scrittura e che la limitano fortemente. Potrei parlare di peni e vagine, di esorcismi e messe nere, di violenza su donne e bambini, potrei mettere in bocca ai personaggi un linguaggio più consono al loro ruolo, anziché stare a domandarmi tutte le volte: ma usare un cospicuo repertorio di parolacce farà sembrare Marina Guarneri una scrittrice volgare?

In coda aggiungo una motivazione banale, frutto solo di un mio preconcetto: non essere identificata potrebbe farmi apparire una scrittrice senza età, perché purtroppo sono convinta che, in molti casi, una giovane leva porterebbe più vantaggio a una casa editrice e il suo nome sarebbe più spendibile nel mondo editoriale. Un'esordiente sopra i quaranta (molto sopra), per godere di fiducia, dovrebbe proporsi con qualcosa di veramente eclatante/originale/diverso o avere un background che racconti la sua esperienza nel settore, qualcosa che ne aumenti le credenziali. Io non garantisco nessuna di queste condizioni.

E consentitemi un'ultimissima ragione frivola: eviterei di avvilirmi dietro alla storpiatura del mio cognome, un errore in cui cadono in tanti e che sopporto pochissimo: essere chiamata Guarnieri anzichè Guarneri, senza la i. Che cosa odiosa!

Insomma, mi creerei uno pseudonimo non per soddisfare un vezzo, non per agevolare una strategia di marketing, forse semplicemente per il bisogno di tutelarmi, anche da mail come quella che ho ricevuto, alla quale ho risposto con un laconico: “Non ho parlato di me, nel racconto”. Senza essere creduta.




60 commenti:

  1. Ah, sei Guarneri? :D
    A parte le battute: non ho mai pensato a uno pseudonimo. Nessuno pensa che le mie storie siano autobiografiche perché non lo sono. Siccome mi autopubblico non sono interessato a sembrare "senza età". Per quanto riguarda poi i tabù: non sono quelli i veri tabù. Da un pezzo infatti mi è venuta in mente una storia che potrebbe tranquillamente allontanare i pochi lettori che ho... Naturalmente la scriverò, o almeno ci proverò ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sapessi! Anni fa vinsi una selezione con un racconto e chi aveva organizzato il concorso ha, poi, fatto un libretto con gli incipit di tutte le storie arrivate in finale. Io contentissima di questo primo successo (ero molto giovane) ricevo questo miniplico e... NOOO, l'autrice del mio racconto (che tra l'altro era il primo del'elenco), era una certa Marina Guarnieri. Mi è montata una rabbia che non ho più voluto vedere quel libretto. Da allora devo sempre precisare.

      Comunque, dipende anche dalle storie che si raccontano: più sono verosimili, più ingenerano il dubbio. Nei tuoi racconti, in effetti, non ho mai pensato che tu potessi essere un'"erbaccia". :)

      Elimina
  2. Quella dello pseudonimo è una questione aperta. O ci si nasconde del tutto come Elena Ferrante, o alla prima presentazione comunque ti chiedono quanto di autobiografico ci sia nella storia (anche se fosse la storia di un caimano psicopatico frutto di un'esperimento genetico).
    Io ci ho pensato e ci penso tutt'ora seriamente. In linea generale il mio carattere va verso la massima trasparenza. Ma se mi capitasse di scrivere storie molto hot (improbabile, improbabilissimo, ma mai dire mai) e non volessi che i miei alunni le associassero a me?
    In effetti mi è già capitato (non per questi motivi) di pubblicare racconti con pseudonimo, che poi è sempre il mio solito nikname, ma magari in contesti in cui non c'è una corrispondeza univoca con la mia identità "ufficiale".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Pensavo a questo: usare il proprio nome per scrivere delle cose e uno pseudonimo per scriverne delle altre; però, questo sdoppiamento rischierebbe di creare solo confusione.
      Mi hai fatto pensare al solito imbarazzo di descrivere una scena di sesso: penso ai miei figli con il mio libro in mano e mi viene subito di afferrare la gomma mentale. :)

      Elimina
  3. Beh, la "i" tendo a metterla anch'io, perché conosco uno scrittore che di cognome fa proprio "Guarnieri", ma sto attento!
    Pseudonimo? Se i romanzi hanno successo (comunque lo si intenda) non credo ce ne sia bisogno, anche se anch'io ho considerato la cosa.
    Però è le tue argomentazioni mi sembrano più che giustificate.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ora sai che io sono Guarneri, guai a sbagliarti! ;)

      E se il successo dipendesse proprio da quel nome fittizio?
      La Ferrante pensa, in effetti, che un libro dovrebbe reggersi solo sulla storia e non poggiarsi sul nome del suo autore, ma questo quando l'autore è di per sé un nome conosciuto o gode di fama per altri motivi (è un editor, è moglie/marito di qualcuno), ma per un comune mortale... forse sarebbe ininfluente usare il proprio nome o uno pseudonimo: per cercare il successo dovrebbe ricorrere ad altri fattori, tipo la bravura o il talento puro.

      Elimina
    2. Volevo anche dirti che io,per il mio nome d'arte, forse attingerei a quel repertorio di nomi di stelle citati nel tuo ultimo post: ce ne sono di fighissimi. :)

      Elimina
    3. Grazie! Ma le stelle sono sempre fonte d'ispirazione, no? :-D Se ti serve qualche idea...lieto di darti una mano!

      Elimina
  4. Ho nel tempo maturato una concreta avversione per chi non ci mette la faccia e la firma. Sii te stessa, senza la I. Baci

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Pure io sono stata una sostenitrice di faccia e firma proprie, però, al contrario, nel tempo ho maturato una curiosità che non so se sperimenterò mai, ma mi tenta.

      Elimina
  5. Io nemmeno a farlo a posta seguo il commento di Sandra con la stessa opinione. Gli pseudonomi mi sembrano adatti a chi ha paura. Ovvio che dia fastidio venire additati come i protagonisti dei propri scritti. Figurati che ogni volta a me chiedono se parlo di me quando scrivo per Confidenze, è un'abitudine, sciocca, spontanea, ma non cattiva. Ci si può passare sopra.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Se racconti una storia d'amore va bene, se parli di amicizia va bene, ma se per esempio vuoi raccontare una storia "sporca", non nel senso di pornografica, ma di storia che va raccontata nel suo realismo, boh, io mi sento inibita in tutto. Avevo un'idea che volevo sviluppare, ma ci ho rinunciato perché scrivevo e mi sentivo ridicola (a parte che per scrivere certe cose devi anche esserne all'altezza...)

      Elimina
  6. Pur comprendendo il tuo ragionamento e la tua necessità, ti suggerisco di non farlo. Penso che far conoscere dei libri senza metterci la faccia e il nome si il triplo più faticoso. E poi secondo me dopo un po' la scelta dello pseudonimo diventa un peso, un fardello, quasi una schiavitù da cui è difficile liberarsi.
    Il problema di chi vede nei tuoi scritti sempre un'autobiografia non è un problema tuo. Magari succede all'inizio, ma dopo un po' la gente smette di chiederti se la storia e tua. E comunque chissenefrega!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, dovrei riempirmi la testa di più "chissenefrega", anche quello è un lavoro mentale non da poco! Scrivere svincolandosi dal proprio modo di essere o di ragionare... Pensando a uno pseudonimo è come se avessi gettato la spugna: non ce la faccio, dunque scelgo la via più facile e questo perché voglio scrivere determinate cose e continuo a non sentirmi libera di farlo.

      Elimina
  7. Uno pseudonimo... Mi sa che anch'io ci sto facendo un pensierino.
    :-D
    Scherzi a parte, lo pseudonimo offre il vantaggio di fornire una "maschera" virtuale a chi lo "indossa", dunque può essere liberatorio per uno che scrive. Almeno parlo a titolo personale, non è detto che questa cosa valga per tutti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Esatto, penso più all'esigenza di avere uno strumento per sentirsi più liberi, anche più protetti, forse. So che serve: tu e qualche altro potete confermarlo.

      Elimina
  8. Noto solo ora di essere uno dei pochissimi che usa uno pseudonimo, tra quelli che bazzicano su questo tuo blog. Sarei troppo banale a consigliarti di considerare seriamente l'uso di uno pseudonimo: è ovvio che chi non lo usa ti consiglia di non farlo, mentre chi lo usa ti consiglia di farlo. Quindi mi astengo... ;-P
    Dico solo che le valutazioni da fare, be', le hai già fatte tutte nel tuo post. Quindi il consiglio che ti do io (ops, ma tu non hai chiesto consigli... :-P ) è quello di fare come ti senti.

    Per il resto sottolineo solo che usare uno pseudonimo non equivale ad "aver paura" di "mettere faccia e firma".
    Anche perché al lettore, alla fin fine, interessa la storia e la buona scrittura. Che poi sia scritta da una persona che usa la propria firma o uno pseudonimo, tutto sommato, non fa davvero alcuna differenza.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Anch'io non penso sia un fatto legato solo alla paura di esporsi. Io la vivo più come un'esigenza della mia creatività, che, in taluni casi, subisce un freno di fronte alla sensazione di sentirmi "nuda" davanti al lettore quando scrivo (o vorrei scrivere) di certe cose.
      Sempre nel presupposto che la storia sia interessante e scritta bene, ma a quel punto, se è brutta e mal scritta, meglio essere crocifissi da anonimi che con la lettera scarlatta del proprio nome stampata su una copertina. :)

      Elimina
  9. Per quanto mi riguarda userei uno pseudonimo, ma ovviamente, è impossibile dare suggerimenti a riguardo. Ognuno ha le proprie motivazioni per propendere per una delle due possibilità. Nel mio caso la preferenza non si lega tanto alla necessità di nascondermi, piuttosto a preservare una libertà mentale che diversamente, sentirei di perdere.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ecco, tu hai capito il mio discorso: preservare la libertà mentale che non ho, in molti casi. Faccio lo stesso tuo ragionamento.

      Elimina
  10. Dunque, parto dal presupposto che il tuo nome, intero così com'è, fa molto scrittore. Marina Guarneri. MA-RI-NA-GU-AR-NE-RI. Senti? E' perfetto. Musicale, scorrevole, facile da tenere a mente - certo, fatta eccezione per quella "i" di troppo in cui si può incorrere, ma a fama acquisita è facile rimodellare gli strafalcioni.
    - Sai, ho letto l'ultimo di Marina GuarnIeri...
    - Guarneri, Guarneri, scimunito... Come fai a storpiare i nomi degli autori...

    Il collegamento identità autore-contenuto dei suoi scritti è qualcosa che scatta quasi sempre ed in maniera imprescindibile. Ma in quale fascia di lettori? In quella che effettivamente ti conosce. Al resto del mondo, a tutti coloro che ti leggono ma a cui di chi sei e cosa fai non interessa nulla, alla fine poco importa che tu sia Marina, Cristina oppure Osvaldo: noi stessi leggiamo puramente per il gusto della lettura, della storia in se. Rispetto al racconto inerente la mail che ti è stata inviata, spesso credo sia un problema di focalizzazione della narrazione che può effettivamente trarre in inganno ed indurre ad un maggiore accostamento tra lo scrittore e quello di cui lui narra. E' naturale che una focalizzazione interna risulti più di impatto. Il punto di vista è dello scrivente, il lettore è portato con più facilità ad identificare contenuto e penna. Si tratta della scoperta per eccellenza della scrittura moderna, il punto di forza, ad esempio, di tutta la letteratura riguardante l'Olocausto: a tutti i sopravvissuti che hanno poi scritto è stato chiesto di scrivere in prima persona.

    In linea di massima, infine, lo pseudonimo mi ha sempre affascinato ^_^. Tanto che quando ho aperto il primo blog, l'ho fatto ricorrendo ad uno pseudonimo che era l'anagramma del mio effettivo nome e cognome: Regina Zalieva=Irene Zavaglia. Solo che poi è successo il caos. Vi è stato un momento in cui alcuni dei racconti che avevo messo sul blog hanno visto la luce anche altrove ma con il mio effettivo nome e cognome - perché le persone con cui avevo collaborato al piccolo progetto mi conoscevano e mi pareva una pagliacciata stare a firmarmi come Regina :D... Così, alla fine ho seppellito Regina e sai già com'è proseguita...
    Tuttavia non disdegno di potermi pseudonominare un'altra volta: che ne so, decidessi mai di mettermi a scrivere racconti molto hot e finalmente svoltare con incassi da record. I peni e le vagine sbancano sempre XDDDD

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non sai a quanti dovrei dire "scimunito". L'ultima l'altro giorno: il dottore lascia una ricetta a nome mio in farmacia, ma la farmacista non la trovava: "è sicura, Guarneri non Guarnieri? -"No no: Guar-ne-ri". Dopo un'ora scopriamo l'inghippo: stavolta al mio cognome era stata tolta la A e sono diventata magicamente Marina Gurneri. IREEEEEEE, NON CE LA POSSO FARE!

      Comunque, capisco che gestire uno pseudonimo possa creare qualche problema: se decidi di averne uno, poi, è meglio firmare qualunque cosa con quel nome, se no ti trovi con racconti a maternità multipla ed è un casino.
      A me piaceva un sacco Regina Zalieva, aveva qualcosa di esotico! :D
      Quanto al mio nome, non dimenticherò mai l'emozione di leggere Marina Guarneri sotto il titolo del mio romanzo e, prima, di leggerlo in pole position, quando mi hanno annunciato la vittoria del concorso. Certo, tutta questa soddisfazione uno pseudonimo non te la dà, parliamoci chiaro, ma tanto... quando mai mi ricapiterà di pubblicare un mio libro o di rivincere un premio letterario. :DD

      Il racconto hot non è un mio sogno nel cassetto, tuttavia descrivere un bell'amplesso in modo serio e circostanziato senza scivolare nell'ovvio o nel ridicolo mi piacerebbe, con peni e vagine al posto giusto, però!
      (Ops, intendevo letterariamente parlando, non anatomicamente! :D)

      Elimina
    2. :DDD vuoi mettere?... Ricorrere alla forza del linguaggio, ovvio :P

      Mia cara, consolati, io vengo sempre trasformata in "Zagaglia" - pare dipenda da una forma di correzione automatica di alcuni programmi, tra cui Word -

      Trasformazione avvenuta anche in aventi seri: vedi il giorno in cui mi hanno chiamato a discutere la tesi o per l'appunto su un diploma di merito per una collaborazione letteraria. Cosa che li volevo uccidere tutti, Marina mia...

      Elimina
  11. Il tuo ragionamento fila, senza dubbio. Non ho mai pensato di usare uno pseudonimo, perché in generale ho una certa avversione per le finzioni in generale (persino per le maschere di Carnevale!), ma forse dovrei ripensarci, per esempio per il mio romanzo tradotto in inglese. Metti che il nome italiano sia un ostacolo? Negli States, sarebbe proprio il colmo! Comunque qualche punto a favore lo pseudonimo ce l'ha.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. (Ho anche una certa fissazione con i generali... :()

      Elimina
    2. Ti devo dire la verità, neanch'io avevo grande simpatia per lo pseudonimo, non che adesso abbia cambiato del tutto idea, però, studiando bene talune situazioni, ho cominciato a crederlo più utile, diventerebbe una finzione accettabile, visto lo scopo cui sarebbe rivolto.

      Elimina
  12. Non ho mai usato pseudonimi. E credo che non li userò mai. Dopotutto ho scoperto che al mondo ci sono solo due "Ferruccio Gianola" e sono stato contattato addirittura dall'altro mio omonimo, potrei scrivere un libro solo per quello.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Ferruccio, benvenuto.
      Il tuo nome ha in sé qualcosa che lo avvicina a uno pseudonimo: suona bene, è "eufonico", si può dire? :)
      Ma il tuo omonimo scrive anche lui? E ti ha contattato solo per dirti: "piacere, adesso so che siamo in due?" :D
      Curiosissima, sta cosa!
      Qualche tempo fa mi ha scritto una Marina Guarneri, che poi ho scoperto essere una mia seconda cugina, ma qui la faccenda è diversa! :)

      Elimina
    2. Il mio omonimo ha un bar, e c'era chi andava a chiedergli se aveva un blog. Un giorno mi ha contattato e sono andato a trovarlo :-)

      Elimina
  13. Ma si parla di me da queste parti? :P
    Io come qualcuno sa, ho scelto di cambiare nome. 

    C'è una discriminante netta fra scegliere o meno lo pseudonimo. 
    Chi possiede un’innata, ma anche ipertrofica necessità d'apparire non sceglierà mai di cambiare nome. Questo perché aspira a diventare famoso con il suo nome e cognome, non ci sono alternative.
    Io che sono poco incline a voler restare nella storia dell'umanità, men che meno con i miei dati originari, avevo ben chiaro sin dal principio che avrei optato per un nome diverso.
    Diverso ma non anonimo, ché non mi importa di giocare a nascondino. 

    Ma perché? in molti me lo chiedono. 
    Punto primo metti mai la sfiga che un giorno diventi famoso e ovunque ti rechi, dal dottore alla riunione scolastica qualcuno sentendoti nominare di riconosca. Finché ti riconosce una mamma figa, vabbè, si sopporta con dolore, ma se ti riconoscono in una sala d'aspetto d'ospedale, capirai che barba.

    Ma a prescindere dall'ipotesi remota di diventare famoso, la mia è stata soprattutto una scelta filosofica.

    Quando veniamo al mondo ereditiamo un cognome, "a famigghia", mentre il nome viene assegnato dai genitori, perché piace o per dare un tributo a un parente, come nel mio caso. 

    Resta il fatto che ciascuno di noi dal principio alla fine della propria esistenza, si distingue dagli altri uomini sulla terra perché qualcuno ha scelto qualcosa per lui.

    Se io devo vivere la mia vita pienamente, perché devo ritrovarmi imposte le scelte altrui?
    Il nome ci identifica. Viene sussurrato dalla persona che ci ama, diventa la nostra icona rappresentativa quando siamo a scuola, o facciamo sport o sul lavoro. Ma resta comunque una scelta altrui, imposta.

    Io ho sempre visto la scrittura come il mio sogno personale. Potermi dedicare nella vita a scrivere le storie, le fantasie che come cavallette saltellano nella mia mente. E perché per dare vita a questo mio mondo segreto, che scintilla come palline di vetro colorate, devo adeguarmi a ciò che hanno scelto gli altri per me?

    No, io mi autodetermino, nella vita parallela del mondo scrittorio mi battezzo con un nome e un cognome scelto da me. E' il mio libero arbitrio a prevalere.

    Che lo stato mi chiami secondo i dati anagrafici stampati sul documento, ma nell'esternare la mia anima, sono io a scegliere chi essere.

    Da ciò, per me, lo pseudonimo è stata la scelta più ovvia, tutto qui. ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io all'autodeterminazione anche del nome non penserei mai, è una forma di ribellione che non capisco; okay, nessuno ha libertà di scelta sul proprio nome di battesimo, ma nel tuo caso potrei capire se ti chiamassi Concetto e basta (il che mi farebbe schierare a occhi chiusi dalla tua parte :DD), ma i tuoi genitori (che, secondo me, ci hanno visto lungo) hanno associato a quel primo nome... un tantino, come diciamo... desueto? un bellissimo altro nome che è Marco. :)
      C'è una cosa che mi sfugge: io userei uno pseudonimo per non essere riconosciuta, nessuno dovrebbe sapere chi si cela dietro il mio nome fittizio. Per te, però, è diverso: lo pseudonimo che ti sei scelto non nasconde Marco Amato, cioè lo sappiamo tutti che Riccardo Moncada sei tu, allora tu lo usi soltanto per toglierti lo sfizio di scegliere chi essere, mentre esterni la tua anima? (che può ben essere una ragione in più, eh!)

      Elimina
  14. Io ci sto pensando da parecchio. Ci sono alcune storie che sono così particolari che è fastidioso se le legge qualcuno che ti conosce e poi inizia a fare ipotesi non reali.
    Soprattutto se si volesse sperimentare un genere moooooolto in voga.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Intanto, Giovanni, sono contenta che finalmente tu riesca a commentare, viste le difficoltà avute in passato.

      In effetti, non è che nel tuo secondo volume di "Le parole confondono" tu ci sia andato leggero con descrizioni e tematiche. Mai volgare, vero, eppure molto esplicito: non sei mai stato in difficoltà per questo?
      Pensi di scrivere una nuova storia nel genere moooolto in voga?

      Elimina
    2. Sono stato molto in difficoltà anche solo a farlo leggere ai miei beta lettori, poi mi sono detto che in giro fanno mooooooolto peggio e che alla fine non è accostabile a un certo tipo di genere, altrimenti avrei venduto 50 milioni di copie :D . Tutto è relativo.
      Non credo di scrivere una storia di romance puro che per essere molto in voga deve vedere descrizioni mooooooto esplicite e in gran quantità, ma se volessi "guadagnare un po' di successo" dovrei spingermi in tal senso. È un pensiero che ogni tanto mi sfiora.
      A volte mi pongo certi problemi, ecco perché il romanzo sulla politica non credo lo scriverò, avevo anche iniziato delle scene molto caricaturali, però, meglio lasciar perdere. È ambientato in una epoca futura dove si parla di ciò che accade nei nostri giorni tirando anche delle conclusioni sul futuro.
      Ma tanto, voglio dire, boh.

      Elimina
    3. Io ti ho sempre percepito come uno scrittore disinibito (lo dico in senso positivo), scrivilo, il romanzo sulla politica: ne avresti di cose da raccontare fuori dai denti.

      Elimina
  15. La solita domanda: ...ma è autobiografico?
    E ad ottobre 2016 ci scrissi un post, perché dopo aver pubblicato sul blog un racconto pseudo-erotico della signorina di Montmartre e la mezza corona d'argento per accedere ad un party esclusivo, passai una settimana a ridere delle occhiate femminili di traverso e degli ammiccamenti maschili.
    Si erano dimenticati che poco prima avevo scritto di un uomo condannato a licantropo sanguinario! Anche quello l'avevo pubblicato io, no? E se la sete di sangue fosse la mia? :D
    (in quel post ci misi anche la classifica delle domande più odiose, classifica direi invariata!)
    Ci sono due considerazioni da fare.
    Chi ci fa questa domanda non legge molto ed ha maturato, nella poca lettura, l'idea che lo scrittore sappia scrivere solo di qualcosa che conosce in prima persona. Non sanno che Emilio Salgari non viaggiò mai oltre l'Adriatico, ma fu in grado di scrivere tutti i romanzi di Sandokan, la tigre della Malesia.
    Che esiste la ricerca e la documentazione di ogni cosa, soprattutto nell'era digitale. Non lo so cosa si prova a morire annegati, ma ho cercato i testi medici che descrivono il processo sul corpo (e non ci vuole molto a immaginare l'impatto sulla mente).
    La seconda considerazione l'hai detta tu stessa: hai contribuito a generare l'equivoco, utilizzando un'ambientazione che conosci e un dilemma che sicuramente hai affrontato (etica contro profitto, difendere un possibile colpevole per pagare le bollette). Anche questo facilmente immaginabile anche solo guardando l'enorme archivio hollywoodiano di film a tema. Ma il lettore ha semplificato.
    Come si risolve? Lo pseudonimo è una soluzione. Scrivere qualsiasi cosa, con ogni altro tipo di personaggio, situazione, trama, ambiente, epoca storica, per dimostrare allo stesso lettore che no, non c'è bisogno di vivere in prima persona quello che si scrive. L'immaginazione è molto più vasta della nostra unica vita.
    Quindi al prossimo racconto il tuo protagonista sarà un assassino, maschio, che di lavoro fa l'operaio in un cantiere edile (occhio al linguaggio), ma che per contrasto con il rumore della sua giornata lavorativa ascolta musica classica, ed è ossessionato da...
    Mi raccomando: particolari cruenti delle sue vittime.
    Nessuno oserà più farti quella domanda. ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Purtroppo è una cosa da cui non si scappa: la nota autobiografica esce sempre fuori e se non è dentro qualche domanda specifica, resta nell'immaginario. Io sono la prima che si lascia investire dal dubbio, quando la storia che sto leggendo potrebbe appartenere anche all'autore; nei gialli, questa curiosità mi investirebbe di meno, suppongo. :)
      Forse mi ricordo di quel tuo post. Per me è un fatto più di inibizione psicologica: ormai, quando scrivo, ho quasi il timore di attingere a qualcosa di personale perché non mi va che venga presa per assodata e allora la mia scrittura ne risente: è tesa, bloccata, prende scorciatoie. Mi salverebbe scrivere di assassini, una bella scena cruenta allontanerebbe qualunque dubbio, ma... lì interviene la mia difficoltà materiale a concepire storie di questo tipo.
      Insomma, come la metti la metti, devo trovare una soluzione al problema: pseudonimo?

      Elimina
  16. Io leggendo il tuo racconto non l'ho pensato, mi è venuto in mente solo che conoscevi quell'ambiente abbastanza da potervi immaginare un intreccio semplice o complesso che fosse.
    Riguardo allo pseudonimo, il tuo nome e cognome sono particolarmente adatti a essere pubblicati e mi dispiacerebbe, però non è una cattivissima idea. Se pubblico in self, so già che userò uno pseudonimo, perché il mio vero nome lo voglio riservare a pubblicazioni più vicine alla mia visione attuale di come dovrebbe essere una narrazione. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Oh, mi viene quasi di ringraziarti per quello che hai detto: finalmente qualcuno che ha letto senza credere di essere entrata nella mi vita!
      Perché, il romanzo che pubblicheresti in self non rientra in questa tua visione attuale?

      Elimina
  17. Sai Marina che anch'io uso uno pseudonimo, in realtà uso il cognome di mia madre che mi è sempre piaciuto di più del cognome di mio padre. Però la mia scelta è dovuta anche alla necessità di separare la mia vita "scrittoria" da quella laborativa e volevo anche evitare che qualcuno cercasse nei miei scritti qualche riferimento alla realtà lavorativa. Non usare il mio vero cognome mi consente di avere una maggiore libertà di espressione e ormai mi sento a mio agio in questa dimensione.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In effetti, facendo un conto, in rete molti dei miei amici navigano, scrivono e pubblicano sotto mentite spoglie: noto che ognuno di essi ha un buon motivo per ricorrere a un nome finto, ma tutti condividono l'esigenza di mantenere la libertà di espressione di cui parli. Nei panni di un'altra persona, forse, non ci si sente più "in gabbia", anche se, non so, potrebbe essere un po' straniante attribuire i propri pensieri a una persona inesistente. Ci penserò su molto!

      Elimina
    2. C'è un'altra motivazione molto profonda, ho perso mia madre molto presto, avevo trent'anni quando ci ha lasciati, usare il suo cognome è anche un modo per sentirla ancora vicina a me.

      Elimina
  18. Io uso lo pseudonimo, come forse saprai. Ma è un caso atipico, perché ci metto anche la faccia durante le presentazioni dal vivo. Sono felice della scelta e non mi pesa per niente, anzi. Inizialmente lo pseudonimo o nome de plume mi serviva per tutelare la mia vera identità, non me la sentivo infatti di uscire allo scoperto. A poco a poco, ho cominciato a rendere pubblica la parte di me che ama scrivere. Dopo la pubblicazione del romanzo ho spiegato la scelta di mantenere lo pseudonimo e tutti coloro che mi conoscono hanno compreso senza alcun problema;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Immagino che poi ci si faccia l'abitudine o, meglio, ci si affezioni all'"altro sé". Il tuo pseudonimo da dove nasce, se posso chiedertelo?

      Elimina
    2. Certo che sì! Rosalia è il mio secondo nome, me lo ha "affibbiato" la madrina siciliana:D Pucci è solo il diminutivo di Puccini, mio vero cognome. Tutto sommato il suono mi piace e anche se non rinuncio al mio primo nome, avere lo pseudonimo è bello, sono felice della scelta

      Elimina
    3. Ah, bello, hai pescato in casa! :)

      Elimina
  19. A me, sinceramente, l'idea di uno pseudonome on affascina molto. Personalmente, preferisco metterci nome e faccia a quello che scrivo o a quello che penso ad alta voce. Anche sbagliando, a volte. Purtroppo, ti capisco. Sono scelte personali.

    P.s. Quando pubblicherai un nuovo romanzo sotto falso nome, come facciamo a sapere che è tuo? Aprirai nuovo blog per raccontare e promuovere il tuo nuovo romanzo?

    Un asalutone grande grande!!!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Giuseppe, ho pensato alle ragioni che mi porterebbero a usare uno pseudonimo proprio perché vorrei tenere me, Marina Guarneri, lontana dalla scrittrice Marina Guarneri, nessuno dovrebbe associarmi a quel nome, dunque non vorrei fare sapere a nessuno chi sono, altrimenti tutte le motivazioni crollerebbero a una a una. E forse,anzi sicuramente sì, aprirei non un blog, ma sicuramente un nuovo account sui social.

      Elimina
  20. Se fosse davvero solo per evitare i parallelismi tra la tua vita e le tue storie... molto meglio un sano e liberatorio "esticazzi"!!! ^___^

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non sai quanto mi libererebbe se fossi capace di dirlo e pensarlo veramente!
      Ma il problema è tutto lì: non riuscire a fregarmene abbastanza.

      Elimina
    2. Davanti allo specchio, meglio! :D

      Elimina
  21. Io ho usato uno pseudonimo al posto del mio cognome perché mi sembrava di calarmi maggiormente nell'epoca storica che amo molto, poi alle presentazioni tutti sanno che sono io. Non ho mai pensato di usare uno pseudonimo "totale" per evitare di essere identificata con le storie che racconto. Non credo sia del tutto necessario, visto che sono ambientate molto indietro nel tempo, o comunque il rischio è più contenuto. Per il resto sì, userei uno pseudonimo se dovessi scrivere qualcosa di veramente hard, magari nell'ambito della letteratura LGB... e non è detto che non ci provi. ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Certe volte l'uso dello pseudonimo può dipendere anche da fattori meno strettamente personali, cioè lontani da implicazioni di tipo emotivo o psicologico: è il tuo caso, ma anche quello di Rosalia e di Giulia. Però, hai fatto caso come ne vorremmo subito uno per affrontare tematiche hard, quasi fosse un limite tipicamente e fortemente femminile? :)

      Elimina
    2. Hai proprio ragione, bisognerebbe osare di più! :) Forse perché la letteratura hard è considerata "poco seria" oppure siamo condizionate da un certo tipo di educazione ricevuta? Ti dirò che, ad esempio, non ho nessun problema a scrivere scene bollenti nei miei romanzi; però per dedicarmi al genere in toto penserei proprio a un altro pseudonimo. Ci sarebbe da fare una bella riflessione... !

      Elimina
    3. Intanto, anche provarci potrebbe essere una palestra di scrittura: io ho scritto dei capitoli di un romanzo con scene piccanti, ma - guarda caso - quel romanzo è fermo da un paio di anni e sono sempre lì a dirmi: lo continuo o lo ripulisco? :)

      Elimina
    4. Da questo punto di vista ti capisco, io pure nell'ultimo romanzo ero in ansia per quel poco che c'era (non proprio erotico, diciamo più passionale) e volevo censurarmi. Forse alla luce di quello che dici, non faresti male a provare con uno pseudonimo. Non sentirsi liberi di scrivere è un tarparsi le ali che può fare solo danni.

      Elimina
    5. Ecco, mi hai capito perfettamente!

      Elimina