giovedì 19 settembre 2019

Ebreo, spia o comunista (parte seconda)


Nella solitudine del suo ufficio in via Tasso, Herbert Kappler trascorse la notte lavorando. Il silenzio delle prime ore del mattino era rotto soltanto dal brontolio intermittente che giungeva dal fronte di Anzio e dallo scricchiolio della sua penna.

Compilare una lista con più di trecento uomini non era cosa facile, tanto più che nella categoria di persone già processate e condannate a morte Kappler aveva trovato soltanto tre nomi; altri sedici furono rinvenuti fra i processati e condannati a pene detentive; non ritenne necessario, invece, interrogarsi sull’inserimento nella lista di sessantacinque ebrei (le colpe degli italiani erano più difficili da dimostrare), a nulla servendo la consapevolezza che, all’interno delle tredici famiglie selezionate, fossero compresi ragazzi adolescenti, figli o fratelli di soli quindici anni.
Lesse le schede, fece le sue scelte, aggiunse altri nomi e ne specificò l’incriminazione: ebreo, spia o comunista.

Il massacro doveva essere portato a termine nel più breve tempo possibile, per evitare che i partigiani preparassero un attacco fulmineo o che la città insorgesse. Per ragioni di sicurezza, perciò, le esecuzioni dovevano essere tenute segrete finché non fossero state completate e la scelta del luogo, per questo motivo, non si presentò facile. Uno degli ufficiali di Kappler disse di conoscere un posto che poteva assolvere alla funzione di diventare un’”ampia camera di morte naturale”; si trattava di un labirinto di gallerie che si stendeva sotto la via Ardeatina, fra le catacombe cristiane. Scavato quarant’anni prima sul fianco di un rilievo di circa sei metri, era detto “arenario ardeatino”, perché da esso si estraeva una polvere sabbiosa, di origine vulcanica, usata per preparare il cemento. 
Le guardie tedesche passavano di cella in cella, portando con sé la lunga lista. Gridavano nomi, impartivano comandi. Gli uomini, legati con le mani dietro la schiena, dorso contro dorso perché le legature risultassero più rigide, furono caricati in diversi furgoni e condotti nel luogo di morte. Muti i loro sguardi: non sapevano dove i tedeschi li stessero portando.


La freddezza della pianificazione ghiaccia il sangue nelle vene:

“Ordinai che ogni uomo sparasse solamente un colpo, specificando che la pallottola doveva raggiungere il cervello della vittima attraverso il cervelletto, in modo che nessun colpo andasse a vuoto e la morte fosse istantanea. 
Per economizzare ancora più tempo e munizioni, ogni colpo doveva venire sparato alla più breve distanza e, se possibile, dal basso verso l’alto”
(Tratto dalla testimonianza resa da Kappler, durante il processo ai responsabili dell’eccidio.)

Nella parte più buia della galleria, un tedesco accese una torcia, mentre il capitano Erich Priebke teneva in mano una copia della lista. Il capitano Schutz era pronto. Le esecuzioni stavano per cominciare.

Sono ancora dentro il tunnel e ho le dita strette sul ferro del cancello. Guardo quella nicchia scavata nella roccia e deglutisco per tenere a bada la commozione. Ho letto la seconda parte del libro di Katz senza riuscire a mantenere il distacco dalle vicende raccontate. La minuziosa raccolta di notizie e testimonianze non altera i fatti storici, ogni giudizio è sospeso, parlano i documenti, le parole dei protagonisti sopravvissuti, la verità. E ora che sono stata nei luoghi descritti, vivo tutto il senso di orrore e di vuoto che mi ha trasmesso la lettura.






Mi fa impressione sapere di avere percorso il tratto solcato dai piedi impacciati dei prigionieri, condotti cinque alla volta nella parte più profonda delle cave, raggelati dalla paura e dalla luce tremolante delle torce;  costretti a inginocchiarsi e a obbedire all’ordine perentorio di voltare la testa contro il muro.

Schulz gridò: “Pronti! Puntate! Fuoco!”




Sessantasette plotoni delle SS faticarono fino a tarda sera per portare a termine la loro opera. Erano le 8 p.m. quando l’ultima pallottola trapassò il cranio dell’ultimo condannato a morte.

L’Eccidio si era trasformato in un’atroce orgia di sangue che andava al di là dei limiti della coerenza e della credibilità.
Sotto l’incalzare del tempo, i tedeschi avevano scoperto un metodo per risolvere il problema di accatastare i cadaveri nel più limitato spazio. Obbligavano le loro vittime ancora in vita, a salire in cima ai compagni già morti. E sui cadaveri dei compagni trucidati, dei padri o dei figli, essi si inginocchiavano presentando la nuca ai colpi dei carnefici.

E poiché la catasta aveva raggiunto ormai un’altezza di circa un metro e mezzo, avendo assunto la forma di una piramide, essa era diventata impraticabile, sicché i tedeschi ne avevano fatta un’altra perpendicolare alla prima, in una galleria trasversale.
Le due cataste occupavano lo spazio di circa 50 metri quadrati.

50 metri quadrati di uomini di età compresa fra i 14 e i 75 anni: cattolici, ebrei, agenti di polizia, ambulanti, industriali, architetti, artisti, avvocati, banchieri, calzolai, falegnami, commercianti, farmacisti, medici, meccanici, musicisti, sacerdoti, studenti. 
50 metri quadrati di corpi rimasti sepolti sotto la coltre di polvere vulcanica delle cave, minate con cariche di esplosivo allo scopo di ostruirne gli accessi e occultare i cumuli di cadaveri.




Gli esumatori, in seguito, ritrovarono nelle tasche di molte vittime gli ultimi messaggi alle famiglie, agli amici, al mondo:

“Se è destino che noi non dobbiamo più rivederci, ricordatevi che avete avuto un figlio che ha dato volentieri la vita per il suo paese, guardando i suoi carnefici negli occhi."

Ritorno all’esterno, prendo un attimo di respiro sotto il sole cocente di questa giornata e scendo i gradini del monolite dove si trovano le file dei sarcofaghi contenenti i resti delle vittime dell’eccidio, un’enorme pietra tombale che protegge il ricordo della strage nazifascista.


Cammino lungo gli stretti corridoi, tra una fila e l’altra e sfioro la superficie martellata di alcune tombe. 


Nomi che si susseguono, foto in bianco e nero di persone con la dignità restituita da un comitato di tecnici, presieduto dal dott. Attilio Ascani, che cominciò il suo lavoro di riesumazione e identificazione delle salme delle Fosse ardeatine all’indomani dell’arrivo degli americani a Roma e il conseguente sgombero dei tedeschi.

“I loro nomi non sono più ignoti, volati all’eterna gloria rimarranno per sempre scolpiti nella mente e nel cuore di ogni italiano, né dimenticati nelle preghiere dei buoni, essi echeggeranno sempre tra i monti e le valli d’Italia.”

All’inizio delle file di sacelli, uno è dedicato ai martiri d’Italia. 



"Dal nostro sacrificio sorga una patria migliore e duratura pace fra i popoli."
_______

12 commenti:

  1. Mi portarono a vedere le Fosse Ardeatine quando ero bambino, quindi non avevo ancora la capacità di capire sino in fondo cosa significava quel luogo. Come dici, è spaventosa la freddezza della pianificazione e dell'esecuzione, dare la morte a centinaia di persone con le stesse modalità di un lavoro di routine.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ai soldati tedeschi fu consigliato di andare a ubriacarsi dopo quel massacro: molti rimasero talmente scioccati da stare male. Uno non era riuscito a sparare e quando gliene fu chiesta la ragione rispose che sentiva “ripugnanza”. Kappler gli ricordò i doveri del “buon soldato” e poi lo accompagnò personalmente, passandogli un braccio intorno alla vita, dentro le cave.
      Questo è un film dell’orrore, inimmaginabile.

      Elimina
  2. Nella seconda metà degli anni settanta, a seguito della clamorosa fuga di Kappler, iniziarono a circolare parecchi libri sull’argomento. E fu grazie a uno di questi libri che girava per casa (una sua autobiografia mi pare di ricordare) che venni a conoscenza(ero un bambino) di tutti gli orrori dell’olocausto. Tra l’altro credo che il modo in cui fuggi sia ancora un mistero...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Molti responsabili furono condannati a morte, i peggiori riuscirono a farla franca: Keppler, ma anche Priebke. Io ho conosciuto questa storia quando il mostro tedesco arrivò in Italia e fu processato per la sua responsabilità (negata) nell’eccidio: la linea tra azione cosciente e senso del dovere è sottile, ma ricordo di avere odiato questo uomo con tutta me stessa.

      Elimina
  3. L'orrore è proprio dato dalla pianificazione di un eccidio in modo scientifico, ma perché ci stupiamo? La stessa pianificazione è stata fatta per i campi di concentramento. Per l'eccidio degli italiani nelle "foibe" è avvenuto qualcosa di analogo. All'orrore non sembra esserci limite. Non ho mai visitato le fosse ardeatine, ma sono stata a Monte Sole, il luogo dell'eccidio di Marzabotto, è un colpo al cuore.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Purtroppo le stragi si somigliano tutte, a qualunque guerra appartengano: “Ogni morte di uomo mi diminuisce. Io partecipo all’Umanità”. È terribile pensare che questo termine, “umanità”, sia stato privo di qualsiasi significato, nel corso della storia.

      Elimina
  4. Ho aspettato entrambi i post prima di rispondere, eccomi quindi.
    Questo evento, fra i più gravi e agghiaccianti della Storia, è ahimè "trascurato" sui libri di scuola. Non che non sia citato, ma finisce con l'essere troppe volte solo accennato, vi si dedica un paragrafo in fondo a un capitolo e nulla di più. Non capisco perché mai. La memoria di questo fatto andrebbe preservata da qualsiasi semplificazione.
    Compresi la portata della rappresaglia, come te, andandoci sul posto. Ebbi sensazioni molto simili alle tue, e volli approfondire. È la ragione per cui cerco di soffermarmi, in cattedra, sui vari passaggi dell'attentato e su quello che avvenne dopo. Ma ho sempre bisogno di supporti che vanno oltre il testo scolastico.
    Io arrivai a Roma negli anni in cui Priebke fu sottoposto al processo. Anzi, aggiungo che mio marito era fra i militari della sua sorveglianza e della scorta. Era un vecchio altero, gentile nei modi, così lo descrive Franco. Come tutti i criminali nazisti, si appellò agli ordini da rispettare.
    Quel titolo di Hannah Arendt, "La banalità del male", descrive perfettamente quegli anni e quell'atteggiamento composto e fermo dei vari che andarono a processi da anziani.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il senso del dovere! Anche fare del male “per dovere” è accettabile è giustificabile. Quando vedevo Priebke in tv, con quello sguardo placido, come se non avesse mai portato il peso della sua azione tanto macabra, mi saliva una rabbia dentro inimmaginabile. Questi, e tanti come lui, hanno vissuto sereni, professando e facendo valere le proprie ragioni e convincendo, persino, delle stesse. Quanto infimo è il valore della vita umana nell’animo di queste persone! Nemmeno un senso di colpa, un pentimento postumo, il desiderio di riscattare il male commesso, niente! Spero che almeno l’aldilà dia risposte, perché qua sulla terra è impossibile cercarle nell’azione degli uomini.

      Elimina
  5. Ma la patria è davvero migliore ai nostri giorni?
    Vorrei dire di sì, eppure...
    Ieri mi è capitato sotto il naso su Facebook un post di un articolo de Il Fatto Quotidiano sul discorso di Greta Thunberg al vertice ONU sul clima. Mi hanno colpito i commenti dei nostri connazionali. Terribili. Lo stesso male di quelle guerre è ancora in mezzo a noi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Oserei dire che prima esisteva un “senso della Patria”: si andava in guerra, si lottava, si moriva per la Patria. Oggi non so cosa significhi questo termine: io per prima, non mi sacrificherei per la mia Nazione. L’ho detto. Punto.
      Però non sono d’accordo con chi fa assurdi, facili, sbagliati paragoni con la storia del passato, agitando lo spauracchio del ritorno di certi regimi. Non ho mai creduto al trionfo del nuovo fascismo, sorrido quando si mettono a confronto le forme di razzismo attuale (che sarei una stupida a negare) con quello, vero, spietato, che ha portato a un genocidio.
      Moralmente e umanamente condanno le persone che allungano ancora il braccio con nostalgia (o provocano o è gente che non merita alcuna attenzione), quelle che chiudono il cuore (insieme ai porti) perché convinte di un pericolo, ma non mi è mai venuto in mente che certi uomini politici, al vertice del nostro Governo, potessero trasformarsi in mostri sanguinari come lo è stato Hitler o piegarsi a politiche farneticanti come ha fatto Mussolini.

      Elimina
    2. Che i nostri politici possano arrivare a tanto no, non lo credo nemmeno io. Usano solo rabbia e paura per avere una crocetta sulla scheda elettorale. Ma che ci sia un sottofondo di persone pericolose si. Spero siano solo leoni da tastiera e gattini nella vita reale...

      Elimina
    3. Sì, su persone pericolose e ancora più pericolosi leoni da tastiera siamo d’accordissimo.

      Elimina