giovedì 9 febbraio 2023

E se qualcuno scrivesse la mia biografia?

Quattro anni fa, esattamente nello stesso periodo, scrissi un articolo, “E se usassi uno pseudonimo?”, in cui spiegavo antefatto e ragioni dell’eventuale scelta di servirmi di un nome d’arte, nell’altrettanto eventuale ipotesi di avere un’opera da proporre per la pubblicazione.

Oggi m’è venuta un’altra pensata: e se chiedessi a qualcuno di scrivere una mia biografia? un mero pourparler, s’intende, visto che sono una semplice blogger, con un cantiere letterario perennemente aperto e nessun apprezzabile nome da spendere in ambito pubblico. 

Le biografie leggibili sono quelle di persone famose, che hanno fatto qualcosa d’importante nella vita e sono conosciute per questo o che rivestono ruoli di grande visibilità e perciò suscitano curiosità (vedi il romanzo “Spare - il minore” del principe Harry, “Open” di Andre Agassi o "Philip Roth - la biografia", un pappellone di oltre mille pagine con materiale raccolto e rielaborato da Blake Bailey, che sto leggendo).

Ma così, se putacaso mi sconfinferasse l’idea di fare scrivere una biografia, se mi acchiappasse il ghiribizzo... metti un incontro con un gosthwriter alla J.R. Moehringer (autore apprezzatissimo delle prime due biografie sopra citate) al quale raccontare porzioni intere di vita vissuta da comporre in un’opera ben trattata e scritta con pregevole stile (l’autobiografia bocciata: sarebbe triste e troppo autoreferenziale)...   insomma, cosa racconterebbe la biografia di Marina Guarneri?


Sicuramente partirebbe dall’infanzia. 


Per cominciare, citerei la mia discendenza da un nonno materno “multitasking”, che oltre a scrivere poesie e interessarsi di letteratura (professore e preside al Liceo classico) e di politica (è stato sindaco della mia città) sapeva dipingere, scolpire e cucinare da dio. Io sono la primogenita di due figli, mio fratello è più piccolo di me di tre anni; mia madre era insegnante di lettere alle scuole medie e mio padre ispettore della società petrolifera British Petroleum. 

Subito dopo, aprirei le porte di un Eden tutto mio: racconterei sicuramente le giornate estive trascorse in campagna con le mie due cugine del cuore, Laura e Daniela. Insieme a loro la ricerca della felicità era semplice. A noi bastava raggiungere l’albero di “fastuchi” e fare scorpacciate di pistacchi: piegate sulle ginocchia, schiacciavamo con una pietra i gusci, stando attente a calibrare i colpi per non spappolarli. Poi, non contente, saccheggiavamo l’albero di gelsi neri, che si vendicava facendoci tornare a casa con le maglie imbrattate del suo dolcissimo “sangue” (disperazione per le mamme perché incandeggiabile). Il nostro “ristorante” era sempre aperto: una montagnola conservava sotto strati di terra brulla, ricoperta di erbacce, una massa compatta di argilla, l’ingrediente con cui preparavamo le polpette e modellavamo suppellettili e utensili da lavoro, piatti, scodelle, posate (era il nostro DAS naturale e gratuito). Avevamo degli amici, tre fratelli che abitavano nella campagna vicina e possedevano un flipper vero, uno di quelli da bar, con tanto di suoni spaziali, luci intermittenti, punteggi, tilt e bonus. Noi, in altezza, lo superavamo appena con le teste: nel pomeriggio andavamo spesso a giocare lì e facevamo dei tornei pazzeschi, mentre la nonna dei ragazzi ci offriva i ghiaccioli al limone fatti da lei. Un mito.

E le “guerre” combattute su carri armati-altalene e aerei da caccia-rami di albero? Ne parliamo, signor ghostwriter?

Io mi arrampicavo sempre sopra un robusto ulivo e da lì sparavo missili, mentre le mie cugine sceglievano di proteggersi dietro una siepe che era la trincea da cui lanciavano le loro bombe (di nuovo l’argilla, stavolta in versione “arma bellica”: formavamo polpette più grosse, pericolose quando si indurivano).

Collocherei qui, nella fase più bella della mia vita, un episodio emblematico: durante un compleanno in campagna di Daniela caddi malamente dall’altalena e rimasi per il resto della festa a guardare gli altri giocare, accorgendomi di quanto menefreghisti potessero essere i bambini nessuno dei quali, in quell’occasione, venne a interessarsi delle mie condizioni: io, tutta scassata (niente di grave, per fortuna), seduta su una sedia e loro che mi correvano davanti totalmente insensibili. Quelli furono i prodromi del mio incontrastato amore, sorto di lì a qualche anno, per la poetica di Leopardi (parlandone ne sorriderei). 


E come non ricordare le mie amicizie di quartiere? 

Abitavo in una via che pullulava di ragazzi della mia età; ero campionessa nel gioco dell’elastico e in quello della campana, a nascondino venivo sgamata subito; facevo parte di una gang di coraggiose bambine investigatrici, che indagava su enigmi intricatissimi... come la presunta macchia di sangue scovata sui gradini di una casa: qualcosa di misterioso era accaduto di là dal cancelletto nel retro del palazzo! Annotavo ogni indizio in un taccuino (ce n’è sempre stato uno nella mia vita) e le deduzioni cui giungevamo a dieci anni erano da ingaggio immediato al posto di John H. Watson.

E la violazione del settimo comandamento? Ebbene sì, ho commesso peccato (confessato durante il catechismo di Prima Comunione): sotto casa c’era un panificio che teneva un espositore sul bancone pieno di leccornie e io, con la maestria di una ladruncola, trafugavo uno snack al cioccolato (era quasi sempre un Duplo). C’era solo la soddisfazione senza il minimo senso di colpa, in quella condotta sbagliata, il desiderio di riscattare noi, giovane prole, mandata dalla mamma a comprare il pane, dalla taccagneria della cassiera che si faceva pagare pure le dieci lire, non sorrideva mai e non ci regalava manco una caramella. Ripulivo anche le cassette della posta da tutti i volantini pubblicitari, ma almeno quel “furto” rendeva un utile servizio agli inquilini del palazzo, poi a casa li ordinavo per generi e grandezze, li conservavo divisi per scatole e giocavo all’ufficio: fingevo di cercare documenti, li tiravo fuori dai contenitori, li firmavo, li archiviavo, li passavo a mio fratello, che metteva il timbro (uno di quelli usati da mio padre: quanto ci divertiva bagnarlo nel cuscinetto d’inchiostro e stamparlo sul foglio!)

Mi fermo: il ghostwriter mi darebbe appuntamento per un altro incontro. 


Alla fine, la Biografia di Marina Guarneri sarebbe soltanto un documento prezioso per la sottoscritta e per tutte le persone che hanno fatto e fanno parte della mia vita. 

Peccato, però, non essere famosa: sai quanti aneddoti svelerei ai curiosi lettori!



[In copertina: Marina e le sue amichette, Roberta e Valentina, travestite da ciò che la vita le avrebbe fatte diventare: mamme (la nostra autrice è quella al centro)]


16 commenti:

  1. Purtroppo - cosa di cui mi dolgo parecchio - ho memoria quasi zero della mia infanzia. La mia autobiografia potrebbe rientrare in un concorso di microracconti.

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    1. Io ricordo le cose salienti, sì, genere microracconti. Dall'adolescenza in poi, invece... scriverei alla Proust maniera! :)

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  2. No, così non va. Non vale! Questa storia può continuare, io ne voglio sapere ancora e ancora. Perché sono certissima che le cose da raccontare siano tante. Oggi si dice "mi ha sbloccato un ricordo", ebbene, mi è tornato in mente un fiume di cose che all'epoca potevano sembrare insignificanti e invece sono belle e nel ricordo vibrano di bellezza. Lo voglio scrivere anch'io un post così, grazie per averlo ispirato. :) Tutte le infanzie di quegli anni si assomigliano e mi piace come prendano la forma dei luoghi in cui si sono svolte. Per me il mare e una discesa (o salita) ripidissima dinanzi alla prima casa in cui abitammo. Ma ho voglia di raccontarlo bene. Quella foto è tenerissima. Pure stupenda.

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    1. Sono tante, tantissime, è vero! :)
      Sono felicissima di averti sbloccato un ricordo e non vedo l'ora di leggerlo nel racconto che ne farai: vedrai tu stessa che aprire una porta sul passato, in particolare sull'infanzia, ti regalerà dieci minuti di godimento puro :) La foto è una delle più belle che conservo tra le mie preferite di quell'epoca. Mi piacerebbe raccontare anche dei giochi meravigliosi fatti di travestimenti e ruoli da interpretare, una cosa che mi divertiva moltissimo (anzi qualcosa bolle in pentola da qualche giorno e sarà pronta per San Valentino)

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  3. Da un lato c'è del vero nel dire che la vita di una persona "comune" può essere meno interessante di quella di un personaggio noto, quanto meno in termini di hype per i potenziali lettori. Dall'altro credo che però un buon "biografo" sappia rendere interessante anche la vita di un essere umano qualunque.
    Il vero limite semmai è un altro: dover per forza inserire qualcosa di borderline per renderla "al passo" con la narrativa di moda di oggi. Io paradossalmente qualcosa di borderline nella mia esistenza ce l'ho, ma sono cose di cui non parlerei mai perché le ritengo questioni privatissime da non condividere, segreti che non dovranno mai essere rivelati.
    Se tu hai qualcosa di veramente estremo da poter raccontare e di cui non ti vergogni (rubare merendine ovviamente non è abbastanza estremo ;-) direi che hai la tua chance per una biografia di successo ;-P

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    1. Sapessi, mio caro Ariano! Anch'io nascondo storielle niente male per una biografia col botto :D :D Ma sono troppo timida... e niente, una scrittrice con il freno alzato non ha molte chance di trovare fama! :D

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  4. E quella volta che ti hanno arrestata per l'omicidio del presidente Kennedy non la vogliamo citare? Dico io!

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  5. Ciao Valeria, che magnifica persona mi descrivi: sembra proprio mio nonno! Ne terrò conto quando vorrò davvero scriverla una mia biografia. grazie ;)

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  6. Vabbe' ... Ma nella tua biografia non ci racconti neanche un'avventura al bar della picciona?

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    1. Ahah, per quello bisognerebbe aspettare gli anni universitari e prima dovrei raccontare della mia tribolata adolescenza! (Non ricordo dove vi ho raccontato del bar palermitano della picciona, ma complimenti per la memoria :))

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  7. Che tenera quella foto con le bambole! I giochi dell’infanzia (soprattutto quella di un tempo passato come il nostro in cui si giocava liberi per le strade) mi fanno ripensare con nostalgia a un tempo semplice e felice.

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    1. Io ero fissata con i capelli lunghi e anche lì, nella foto, avevo una gonna in testa a simulare la capigliatura che, invece, mia madre voleva corta. :D Tempi e desideri semplici!

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  8. Brava Marina, ti leggo sempre con piacere. PS se mi trovi un biografo, avrei molte cose interessanti da raccontargli...😂

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    1. PS sono Donatella...ma appaio come anonimo...

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    2. Ciao Donatella, che bello vederti da queste parti! Allora che si fa, reclutiamo un buon biografo? :D

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