giovedì 18 aprile 2024

Lo so io dove la metterei la svastica! - Lettura condivisa di “La svastica sul sole” di Philip K. Dick


Un paio di natali fa ho ricevuto in regalo il romanzo “La svastica sul sole”, di Philip K. Dick (il cui titolo originale è: "L'uomo nell'alto castello"), poi dimenticato nella mia libreria, in attesa di coraggio o più banalmente di buona volontà. Perché si tratta di un libro di fantascienza, per l’esattezza di un’ucronia e voi potete immaginare quanto entusiasmo potessi mostrare io verso un genere letterario che non mi è per nulla congeniale. Per questo, per leggerlo, ho chiesto rinforzi a un team di blogger già collaudato, ai tempi della lettura condivisa di “Guida galattica per gli autostoppisti” di Douglas Adams (Barbara ne ha parlato in questo post), che non ci trovò tutti concordi. Così, anche in tale occasione, ho proposto a Barbara Businaro e Darius Tred di non lasciarmi sola in questa avventura. Ma stavolta il giudizio è stato unanime. 


Anticipo subito che, dopo essere giunti faticosamente alla fine del romanzo, la conclusione cui io e i miei compagni di viaggio siamo giunti è stata: è proprio un libro del c*** (in omaggio al cognome dell’autore che, durante i nostri scambi, abbiamo flagellato col nostro umorismo, nominandolo in vari - immaginabili - modi). Shhhh! Non si dice di un classico di fantascienza insignito del Premio Hugo nel 1963 (anno successivo alla sua pubblicazione), a maggior ragione di uno scrittore considerato uno dei più importanti autori postmoderni della narrativa americana! Siete pazzi, al più potete servirvi di espressioni quali passato di moda, ha deluso le aspettative oppure molto sopravvalutato (usato spesso nelle stroncature)... Eppure credetemi, io per salvare il salvabile ho fatto salti mortali e contavo sulle chances concesse alla fama dell’autore per non arrendermi già alle prime pagine, quando ho cercato di ricostruire il panorama storico del periodo raccontato e sono entrata in confusione. Solo per tirare fuori una trama ho dovuto rivolgermi a più fonti: sinossi, quarte di copertina, recensioni e attingere alle mail che io, Barbara e Darius ci siamo scambiati durante tutto il percorso di lettura. 

Il nostro buon Filippo, dunque, ha scritto un’ucronia (che sarebbe una storia che segue un corso alternativo rispetto a quello reale) e nelle sue intenzioni questa visione fantasiosa ci fa immaginare il mondo governato dalle potenze dell’Asse, Germania, Giappone (l’Italia relegata a un ruolo marginale), le quali, in quanto vincitrici della seconda guerra mondiale, si sono accordate per suddividersi l’egemonia sul territorio americano: l’America occidentale, cioè gli Stati Americani del Pacifico, sono sotto il controllo giapponese, quella orientale è asservita al Reich; al centro, gli Stati delle Montagne Rocciose si mantengono neutrali. C’è anche il Sud, che però è un governo fantoccio. La differenza, tuttavia, fra le due superpotenze è notevole: mentre i giapponesi sono affascinati dalla cultura americana e dai loro oggetti (che amano collezionare), i tedeschi realizzano viaggi intercontinentali con razzi ultraveloci, sono impegnati a lanciare sistemi di costruzione robotizzati, hanno colonizzato la luna e Marte. 

La prima critica che muoviamo tutti e tre è la contestualizzazione data per scontata, senza alcun indispensabile approfondimento (è ciò che fa subito notare Barbara: “manca una mappa, inserita in un’appendice" che spieghi e faccia capire l’impalcatura di questa ucronia), ma siamo fiduciosi: la storia andrà a parare da qualche parte.


È in questo scenario che si muovono i personaggi del romanzo.

C’è il proprietario di un negozio di oggetti d’arte (la Manufatti Artistici Americani), Robert Childan, affascinato dalle teorie naziste, che cerca di ingraziarsi un giovane uomo d’affari giapponese con la moglie; un importante funzionario giapponese, Nobosuke Tagomi, che stringe rapporti con un altro funzionario, lo svedese Baynes, esperto collezionista, e per fare una buona impressione su di lui gli regala un orologio di Topolino del 1938 (lo cito solo perché così mi spiego l’immagine di copertina); c’è un orafo ebreo fuggito dalle persecuzioni antisemite dei tedeschi e rifugiatosi negli Stati Americani del Pacifico: Frank Fink (poi fattosi chiamare Frink) e la sua ex moglie, Juliana, insegnante di judo, che in un bar conosce (e poi frequenta) un camionista italiano, Joe Cinnadella, reduce di guerra... Chi manca all’appello? A parte varie comparse tedesche, quando si parla della nuova elezione del cancelliere del Reich, dopo la morte di Martin Bormann (chi prenderà il suo posto? Sarà Goebbels? Sarà Heydrich? Sarà Baldur von Schirach? Sarà Seyss -Inquart? e qui la nostra “studiosa”, Barbara, si documenta su ognuno di questi personaggi storici), in realtà i veri protagonisti del romanzo sono due e sono fondamentali, perché rappresentano il perno attorno al quale ruota tutto: il romanzo dello scrittore Hawthorne Abendsen (è lui l'uomo nell'alto castello) dal titolo “La cavalletta non si alzerà più” (o - come nella citazione del Qoelet da cui è tratto, - “La locusta si trascinerà a stento”) e un libro creato dai saggi della Cina nel trentesimo secolo prima di Cristo, l’I-Ching o Libro dei Mutamenti, con funzione divinatoria.

Il romanzo di Abendsen è un best seller, stravenduto, straletto negli Stati americani del Pacifico, ma tassativamente proibito dal Reich, perché racconta un’altra realtà rispetto a quella attuale: a vincere il secondo conflitto mondiale sono stati gli Alleati, gli americani e gli inglesi. “Immagina se avessero vinto loro. Che cosa sarebbe successo?” - dice Joe Cinnadella a Juliana, mentre le legge il romanzo in suo possesso.

Nel libro l’Italia tradisce l’Asse. Ettepareva che l’Italia non ne usciva con una nomea pessima:


Conosciamo tutti la vigliaccheria dell’esercito italiano, che se la batteva a gambe ogni volta che vedeva gli inglesi. Grandi bevitori di vino. Gente spensierata, non tagliata per combattere. Abendsen non lo biasimo. Ha scritto questa vicenda fantastica immaginando come sarebbe il mondo se l’Asse avesse perso. E in che altro modo potevano perdere se non in seguito al tradimento dell’Italia?”


Al best-seller decantato dall’italiano, che convincerà la sua compagna (come due fan in cerca di autografo), ad andare a trovare l’autore nella città in cui abita, Juliana oppone l’unico libro che porta con sé: l’I-Ching, fondamentale interlocutore nelle decisioni da prendere. Se fai la domanda giusta l’oracolo ti fornisce la risposta giusta. Valla a tradurre, però! E qui nuova parentesi di discussione inter nos.

Io voglio bene ai cinesi e alla loro antica filosofia sciamanica e voglio bene pure a Philip K. Dick che mi ha permesso di venire a conoscenza di questo meraviglioso rito pregno di significato, ma almeno descrivere in cosa consiste? A parte il mio tentativo fallimentare di capire come funziona (Barbara cita la sua copia di I-Ching, ma in sostanza nemmeno lei comprende bene cosa accade in mezzo a quegli incroci di simboli numerati), insomma alla fine, tra steli di millefoglie, linee, esagrammi e lanci di monete, il responso corrispondente è degno dei vaticini della Sibilla Cumana.

Il signor Tagomi domanda: ”Riuscirò a trattare con il signor Baynes in modo proficuo?” e l’i-Ching risponde: 


Se si è veraci. 

È propizio anche offrire un piccolo sacrificio. 

Nessuna macchia.” 


Frink formula la sua domanda: Devo provare a mettermi nel campo dell’artigianato creativo?” 

Responso: 


“PACE. 

Il piccolo se ne va. 

Il grande si avvicina... 

Il muro cade nel fossato...”


Ma che dick significano?

E quante complesse elucubrazioni di questi signori attorno al verdetto del grande Libro! Darius si chiede: “Se il lettore non sa nulla dell'I-Ching si perde gran parte del senso dei ragionamenti dei personaggi e della trama” e c'ha ragione!


La verità è che il libro non sta piacendo a nessuno di noi tre: Darius ha la vaga impressione che Dick sarebbe rimasto un signor nessuno senza "Blade Runner" (il film è liberamente ispirato a un altro suo romanzo del 1968, "Il cacciatore di androidi"), Barbara non capisce l'aurea attorno al romanzo (sopravvalutato, appunto); entrambi sono d’accordo sul fatto che “La svastica sul sole”, forse, è un romanzo che andava letto negli anni '60, quando la realtà alternativa raccontata era alternativa rispetto a quella di allora.  Negli anni '70 probabilmente era già "scaduto". Io ero e resto confusa: per me il libro non segue una trama ordinata, mi sembra costruito con pezzi autonomi poi assemblati. Credo che Dick abbia avuto la geniale intuizione di rendere reale un’ipotesi irreale e vestire di irrealtà ciò che invece storicamente è accaduto (anche se il romanzo di Abendsen prevede ancora un altro finale: la guerra fredda tra Stati Uniti e Impero Britannico, poi sfociata nella supremazia di quest’ultimo), ma in mezzo imbastisce una vicenda senza fondamenta. E quando domando ai miei amici lettori: “se vi chiedessi di cosa parla questo libro, in poche righe voi come mi rispondereste?”, la comune risposta individua soltanto il genere letterario: "è solo il racconto di una realtà alternativa. Punto."

Già, perché ci muoviamo tra gestione bizzarra dei punti di vista, situazioni improbabili...


(Darius scrive: Questo tizio sa di essere nel mirino dei nazisti, però permette a una sconosciuta (Juliana) di arrivare come se nulla fosse a casa sua...

E questo Abendsen vive tranquillamente una vita abbastanza agiata da comprarsi un "alto" castello con tutte le protezioni del caso. Che, alla faccia della sicurezza, tutti sanno dove si trova. Poi, siccome a un certo punto (benché ubriaco) si stufa dell'ascensore (motivo validissimo per rinunciare alla sicurezza di un castello...), decide di trasferirsi in una villetta di tutto rispetto. Sotto mentite spoglie? Falsa identità? Ma va! Nome e cognome e numero di telefono sulla guida telefonica...”)


... vistose incongruenze (Barbara riporta quella legata a un episodio clou, che non posso svelare senza fare un importante spoiler, in cui l’italiano Cinnadella e Juliana hanno - diciamo così -  uno scambio di vedute) e severe bocciature: Darius ne sfodera qualcuna; qui, io ne cito due: 


La fantasia dell'autore. 

Decisamente scarsa: non si può immaginare che i nazisti arrivino sugli altri pianeti e che, al tempo stesso, comunichino ancora con i "radiogrammi" trascritti con le macchine da scrivere.

Azz! Se come autore devi immaginare una società scientificamente più progredita, la devi immaginare progredita in modo uniforme su tutti i livelli: o devo dedurre che sui razzi per Marte i nazisti ci siano andati con le macchine da scrivere a bordo, anziché con uno straccio di computer?


Il personaggio di Frink. 

È un ebreo e, se c'è una cosa che contraddistingue gli ebrei, è proprio il loro legame con la propria cultura.

Ci sta che un ebreo, in una narrazione del genere, dissimuli le proprie origini fino a cambiare il proprio cognome per evitare guai.

Ma secondo me non ci sta che nei suoi pensieri, solo con sé stesso, sia completamente succube dell'I-Ching, cultura cinese che l'autore immagina "esportata" dai giapponesi negli Stati Uniti occupati dopo la vittoria... Mah.


Insomma, questa Svastica, cosa racconta? Una storia di spionaggio e controspionaggio? È un trattato sugli oracoli? o un gioco di specchi (questa l’ho presa da una recensione), in cui il mondo descritto non è che il riflesso deformato dell’altro mondo, quello creato dal best-seller? 

Barbara fa un sunto del libro, a fine corsa. Forse la chiave di lettura è tutta in quell’ultimo esagramma: “La verità interiore”, che dovrebbe risolvere il busillis del romanzo.

Noi, però, ci teniamo la nostra verità sull'opera di Dick, nel concentrato dedotto da Darius: “resta un romanzo senza senso e con tanti difetti strutturali. Difetti che ne minano spesso il piacere della lettura, la credibilità e, ultimo ma non ultimo, il coinvolgimento di chi legge.” 

Aggiungo che le versioni formulate dalla fantasia di Darius sul modo di rendere più logica tutta questa storia meritano un post a parte (che spero lui voglia scrivere).

Intanto, leviamo la svastica dal sole, va, che fa troppa ombra!












30 commenti:

  1. E pensare che ne hanno tratto anche una fiction (che però io non ho mai visto benché sia disponibile su Amazon prime video).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ero tentata, giusto per entrare meglio nella storia, di vedere la fiction (che, in quanto tale, mi sembra di impatto più immediato), ma credo che desisterò, mi è passata la curiosità.

      Elimina
    2. Avevo dimenticato di scriverlo: ho tentato di vedere la serie tv. Una noia mortale. Peccato, perché il dispendio in fatto di scene, costumi, attrezzistica, è veramente enorme. Non è riuscita a coinvolgermi, abbandonata dopo appena due puntate.

      Elimina
    3. Anche Giulia dice la stessa cosa, a proposito della serie: se già due persone hanno avuto la stessa impressione visionando gli episodi televisivi non mi viene proprio voglia di scoprire se avete ragione. Vi credo e basta. :)

      Elimina
    4. Ciao Marina, la serie è molto meglio del romanzo, molto ben fatta e piena di cose che nel romanzo nemmeno ci sono. A me è piaciuta molto, i personaggi sono approfonditi e anche complessi. Di Dick ti consiglio altre letture, tipo: Ubik.

      Elimina
    5. Forse, per soddisfare una curiosità non ancora sperimentata, proverò a vedere la serie, ma leggere altre opere di Dick assolutamente no: non perderò altro tempo con questo autore.

      Elimina
  2. È uno dei libri che mi prefiggo da un pezzo di leggere, ma temo non piacerebbe neppure a me letta la vostra corale descrizione. Ho questa impressione, l'idea è buona, ci sono alcuni aspetti interessanti, ma forse il buon Dick non è stato in grado di tirarne fuori un romanzo rifinito, piuttosto confuso, pieno di trovate incoerenti. Probabilmente opterei per "Fatherland" di Richard Harris, ucronia identica ma forse ben scritta. Se ne parlava a tempi di quando facevo volontariato nella biblioteca di Ciampino, solo che poi non presi mai il libro.
    Comunque l'esperienza di lettura condivisa è sempre una cosa simpaticissima. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, è divertente e anche noi due ne sappiamo qualcosa! ;)
      Il libro poteva avere qualcosa di unico ed essere un classico da ricordare, ma non lo so, non dice nulla, cioè non è una storia con una trama definita: ci sono personaggi che si muovono dentro una trama a comparti, manca la continuità, senza considerare le insensatezze. Boh, leggi "Fatherland", non so cosa sia, ma non è difficile che sia meglio di questa Svastica.

      Elimina
  3. Decisamente non è il mio genere di lettura se poi è anche mal strutturato e poco piacevole da leggere, c'è poco da aggiungere. La cosa che faccio sempre fatica a digerire (e a comprendere) è come mai libri del genere possano diventare famosi e ricevere anche dei premi. Boh!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, a me mi ha annoiata: un solo guizzo verso la fine, ma nulla di che.

      Elimina
  4. Quando iniziai a bloggare, nel 2005 o giù di lì con Splinder, c’era un gruppo di blogger che osannava la fantascienza e Philip Dick. Non ho mai amato la fantascienza (come del resto il fantasy, sono un tipo da classici) ma per stare aggiornato, vedere se mi perdevo qualcosa e capire se avevo io qualcosa di sbagliato, un giorno mi procurai in una bancarella un suo romanzo in edizione Urania. Non ricordo il titolo. Mi pare che se l’ho finito è stato per acribia (il giovanile aut aut per cui non si lascia a metà una cosa iniziata). Mi sembrò dilettantesco. L’unica cosa che aveva di buono era, mi sembrò, la fantasia per immaginare situazioni ipotetiche, base di fantascienza, ucronia e compagnia bella. Dal punto di vista di personaggi, dialoghi e azioni, tutto appena abbozzato. Mi sembrò il lavoro di un ragazzo e intuii il perché di tanti osanna: ragazzi che si rivedevano in lui. Da allora non mi sono più avvicinato a un libro di fantascienza e neanche a un film, se non per andare al cinema in compagnia. Ho scoperto che il mio genere si chiama slice of life ed è imitazione della vita.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Nooo, Filippo, non dirmi questo! Non puoi rigettare la fantascienza solo perché hai trovato un pressapochista venditore di fuffa (Dick, naturalmente)! C'è un sacco di roba veramente buona, sotto qualunque aspetto: narrazione, personaggi, situazioni, estrapolazioni...mi rendo conto che magari il primo impatto non è stato esattamente il migliore, ma credimi: c'è davvero di meglio!

      Ciao

      Elimina
    2. Se un libro ha una bella storia, intrigante, concepita bene, ben venga anche se di un genere a me distante. Magari ne ho un approccio pieno di pregiudizio, ma poi so ricredermi se vale la pena (altrimenti non avrei amato libri come Fahrenheit 451 o 1984). Qui mancano un sacco di elementi e ho finito di leggerlo solo perché ho creduto che potesse migliorare ed ero in buona compagnia. Comunque, hai fatto bene a sperimentare il genere "fantascienza": almeno hai fatto una scelta non dettata solo dal pregiudizio. Invece non conosco lo "slice of life", cioè non sapevo che fosse un genere. Qualche esempio?

      Elimina
    3. @Gabriele
      Sono d'accordo, non generalizzare è giusto, però devo dire che anch'io, che ho già scarsa propensione verso tutto ciò che è fantascienza/distopia e ora pure ucronia, con un libro del genere non mi sento incoraggiata granché a fare nuove scoperte!

      Elimina
  5. Che differenza c'è tra utopia, distopia e ucronia?

    UTOPIA, DISTOPIA E UCRONIA
    Utopia, distopia e ucronia sono tre parole che ci aiutano a descrivere dei mondi immaginari, ma con delle grandi differenze. Scopriamo quali!
    L’utopia indica un assetto sociale-politico-religioso che non esiste nella realtà, ma che viene posto come modello.
    Lo stato ideale di Platone o un mondo senza guerre sono utopie: modelli di società auspicabili ma praticamente impossibile da realizzare.
    Una distopia è l’esatto contrario dell’utopia, cioè la rappresentazione di uno stato di cose futuro con cui si prefigurano situazioni, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi.
    Se l’utopia tende ad amplificare ciò che già c’è di buono nella nostra società (rispetto reciproco, scienza, natura…), la distopia si pone in aperta polemica con le cattive tendenze del presente (autoritarismi, pandemie, guerre…).
    L’ucronia non rappresenta un modello negativo o positivo, ma descrive un mondo alternativo dove la storia ha seguito un corso diverso da quello reale.
    Una faticaccia trovare qualcosa di buono di buono in questo romanzo.
    Per puntiglio hai letto tutto.
    i fai pensare a Mimmo, un mio caro amico, avarissimo.
    i racconta va di aver visto un film pesante, più di un mattone, tanto da prendersi un mal di testa.
    Alla mia domanda "Perché non sei uscito dopo le prime avvisaglie di pesantezza, e lui serafico mi rispose "Gus io avevo pagata per vedere il film.
    Poi sulle svastich il discoso è complesso.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, hai fatto benissimo a tracciare qui una breve distinzione fra utopia, distopia e ucronia: quando ho cominciato a masticare la materia non avevo ben afferrato, tolto il concetto di utopia, il significato degli altri due. Devo dire che qualche buon distopico l'ho letto e anche volentieri, contavo di trovare interessante anche questo, ma mi sbagliavo e se sono arrivata sino alla fine è perché l'ho letto in compagnia e comunque volevo vedere dove portasse (da nessuna parte, purtroppo!) Nemmeno posso dire di avere avuto lo scrupolo di terminarlo perché l'ho pagato: me lo hanno regalato! :D

      Elimina
  6. Gli errori dipendono da una tastiera putrefatta.

    RispondiElimina
  7. Ah, Marina...questo libro del dick l'ho recensito pure io molto tempo fa e - molto misericordiosamente - ho detto che Dick è stato molto sopravvalutato (eufemismo per dire che non vale un dick).
    Di Dick - e solo per autolesionismo - ho letto "La svastica sul sole". Altri 3 libri li avevo letti anni che furono: dico chiaro che in ben poche occasioni ho visto un autore tanto acclamato quanto abile nel vendere il vuoto.
    Ancora non capisco - ma forse sono i miei neuroni che non ci arrivano - come abbia potuto vincere l'Hugo.
    E in libri come "La città sostituita" per esempio, dire che è fantascienza sarebbe già un grande complimento.
    Penso sia come certi "musicisti" del nostro tempo: acclamati dalla folla, ma se uno va a grattare sotto la superficie non trova poi 'sto gran che.
    E i miei standard sono diversi.
    Ad ogni modo, dopo 4 dei suoi romanzi, posso dire che non ne leggerò più nessuno.
    Ecchedick!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Allora siamo d'accordissimo: sopravvalutato e chissà perché, poi! Forse, come diceva Darius, perché da uno dei suoi romanzi è nata l'idea del film cult "Blade Runner"? E poi da altre sue opere altri film: "Atto di forza" e qualche altro che non ricordo. Boh, io so solo che ho archiviato esperienza e autore. Tu pure, però... Gabriele, quattro romanzi ti ci sono voluti per capire che era una lettura del dick? :D :D :D

      Elimina
    2. Sai com'è...prima pensi di aver beccato uno dei prodotti peggiori, poi dici che un secondo svarione può capitare a chiunque, poi dici che gli dai un'altra possibilità e infine capisci che i tuoi neuroni sono troppo stanchi e non hai capito prima cosa leggevi.
      Infine ti rendi conto che ò davvero fuffa...meglio tardi che mai, và!
      Ti lascio con questo, così trovi la conferma alla tua opinione (come se ce ne fosse bisogno!) https://storieefantasia.blogspot.com/2017/12/ho-fatto-una-dickata.html

      Elimina
    3. Pazzesco: la tua recensione sembra un'anticipazione di questa nostra.
      Questo che scrivi: "Non ho trovato tensione, non ho trovato meraviglia, né smarrimento o colpi di scena. Niente." riassume esattamente tutto.

      Elimina
  8. Eccoci Marina, al riepilogo della nostra lettura condivisa. Aggiungo che dopo altri 10 giorni dalla fine di questo romanzo, ancora non sono riuscita a elaborarci qualcosa di concreto.
    Continuo a pensare che il fulcro di tutto siano le ultime parole di Juliana, quelle piccole tracce lasciate qua e là mentre si veste in albergo. Per conto mio sono parole di Dick stesso (che in quel punto mi sento di associare al personaggio di Abendsen, L'uomo nell'alto castello):
    "In questo libro c'è molto più di quanto lui (ndr. Cinnadella) avesse capito. C'ha voluto dirci Abendsen? Niente a che vedere con il suo mondo di finzione."
    Qualche riga dopo: "Ci ha raccontato del nostro mondo, pensò, mentre apriva la porta della stanza. Di questo, del mondo intorno a noi adesso.[...] Vuole che lo vediamo per ciò che è. Cosa che io riesco a fare, sempre di più ogni momento."
    Solo che noi, nel 2024, non possiamo più vederlo com'era allora, nel 1962.

    Continuo a non spiegarmi il suo successo. Oppure questo romanzo è un enigma, la cui unica soluzione era nelle mani dell'autore. Poi negli anni è diventato una sorta di "status symbol": affermare di averlo letto e risolto il suo enigma, specialmente da parte della critica, senza averne in realtà capito nulla. Ognuno con la sua interpretazione, e chissà quanto sono distanti dal vero significato che intendeva darne l'autore. Non abbiamo risolto l'enigma, ma pazienza, ce ne faremo una ragione!

    "...leviamo la svastica dal sole, va, che fa troppa ombra!"
    La chiusa finale è da standing ovation!!! :D

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, infatti: purtroppo, a differenza di classici sempre attualizzabili, questo non gode dello stesso privilegio: rimane confinato agli anni in cui è stato scritto e per questo, per me, non può essere considerato un classico. Un best seller, forse sì, anche meritevole di essere conosciuto, ma non oltre questo. Non è un romanzo universale. Poi fa tanto l'allure di bello e dannato attorno all'autore: una vita come la sua fa sempre scena!
      Per il resto, è stata comunque - lo ribadisco anche da qui - una bella avventura! :)

      Elimina
  9. Bene. Mi pare che abbiamo detto tutto.

    Eppure, su Wikipedia, a proposito di Filippo Batacchio, trovo scritto quanto segue:
    "E' negli anni sessanta che creò capolavori considerati oggi pietre miliari della letteratura contemporanea e non solo fantascientifica, come La svastica sul sole".

    ...
    ...
    ...
    ...
    ...

    Ora sì che sono senza parole.

    RispondiElimina
  10. Non ho letto il libro, ma ho iniziato a vedere la serie, intitolata proprio L’uomo nell’alto castello, su Amazon Prime; ho visto tre o quattro episodi poi mi sono fermata, pensa che ci sono ben 4 stagioni, io non sono riuscita a finire di vedere neanche la prima. Forse l’idea del libro è buona ma poi bisogna saperla trasporla nella pagina trascinando il lettore dentro la storia…

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Luana ha avuto la stessa impressione a proposito della serie: me ne terrò lontana! :D Non so se ha sbagliato il modo di trasferire una bella idea su carta, ma il Dick di questo romanzo è decisamente da pollice verso.

      Elimina
  11. Un'occhiata alla serie la darò.. ma tutte le serie che prevedono infinite stagioni vuol dire che si incartano su se stesse, e se sono previste già a tavolino lunghe durate, ecco che la serie ti (e si) impantana già da subito. Fateci caso, le serie migliori non superano dieci episodi. E una stagione sola.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Forse, se non avessi letto il libro, avrei dato una chance alla serie, ma la lettura mi è bastata e avanzata. Le serie con più stagioni sono telenovele, alla lunga si perdono, difficilmente mantengono il livello iniziale.

      Elimina