giovedì 26 settembre 2024

Notti magiche

Era un giorno di settimana e Palermo respirava la tipica afa di luglio. Il caos cittadino affrettava l’arrivo di un evento importante previsto per la sera: un pomeriggio di clacson ai semafori e suoni sporadici di vuvuzele fatti esplodere da qualche finestrino di auto in corsa. Alle 19:30 le strade si erano svuotate: camminare lungo via Marchese di Villabianca, di ritorno dalla passeggiata che mi concedevo a una certa ora della giornata, per ritagliarmi una pausa dallo studio, aveva il sapore della domenica, ma era un martedì e alle 20:00 i televisori di tutta Italia si sarebbero sintonizzati su una partita di calcio fondamentale, la semifinale dei Mondiali ‘90, disputata fra due super squadre: Argentina e Italia.

L’Italia, in corsa verso il trofeo più importante delle competizioni calcistiche, galvanizzava l’aria dell’estate, ma Palermo era attraversata da un’elettricità diversa, perché uno dei suoi aveva spiccato il volo all’interno della squadra, aprendosi il varco della notorietà a suon di goal fin dalla prima partita dei Mondiali. Si trattava di Totò Schillaci, giocatore col ruolo di attaccante, convocato in Nazionale dal C.T. Azeglio Vicini dopo il successo delle precedenti stagioni agonistiche giocate fino a quell’anno. Non lo conoscevo (ma io non faccio testo, visto che non sono appassionata di calcio e non sono tifosa), ma quando vidi che un palermitano stava furoreggiando nel campionato mondiale (e Palermo era la mia seconda casa, in quel momento storico), provai il tipico orgoglio dell’appartenenza che aggrega noi siciliani, a maggior ragione quando qualcuno ce la fa, dopo una vita povera, piena di sogni, ma realisticamente fatta solo di espedienti per tirare avanti. Schillaci veniva da un quartiere ai margini della città, da una zona popolare di Palermo, il Cep (Centro Edilizia Popolare), esperimento urbanistico periferico mal riuscito, che di sé offriva uno scenario di ampio degrado e desolazione. Lui era cresciuto lì, in mezzo alla gente in perenne lotta per assicurarsi una vita dignitosa e aveva una sola, unica, grande passione: il pallone. Il suo talento lo avrebbe portato a scalare varie vette nel mondo del calcio, fra squadre locali e serie minori, fino all’approdo in serie A, in uno dei club italiani più famosi: la Juventus. 

E dunque eccolo, nella Nazionale azzurra, a giocare per il titolo mondiale: sempre timido, con un italiano basico, ma un’energia e una grinta, che a ogni goal inflitto all’avversario in campo si riflettevano nell’espressione del suo viso, negli occhi sgranati, segno, insieme, di stupore e fierezza.


In quel tardo pomeriggio, io e le mie coinquiline piazzammo il televisore fuori, con una prolunga che dalla mia stanza arrivava fino all’angolo più esterno della terrazza. La giornata era trascorsa in funzione di quell’unico appuntamento serale: la semifinale giocata al San Paolo di Napoli con la squadra del pibe de oro, l’occasione che avvicinava l’Italia al trofeo mondiale. Io avevo rinunciato alle ultime pagine del programma di studio, presa dalla fibrillazione per un evento che Palermo aveva preparato fin dal mattino, allestendo bancarelle a ogni angolo di strada piene di bandiere e gadget con le effigie di Schillaci; il vento leggero smuoveva appena i drappi verde/bianco/rosso appesi alle ringhiere dei balconi.

Soltanto tre giorni prima, il 30 giugno, l’Italia aveva disputato un’incredibile partita vinta contro l’Irlanda, nei quarti di finale e io avevo dormito poco quella notte, distratta dai festeggiamenti pubblici e intenta a mia volta a folleggiare a P.zza Politeama insieme ai palermitani in delirio. Al termine della partita, che aveva decretato il nostro passaggio in semifinale, grazie all’uno a zero segnato proprio dal mitico “Totò Gol”, un’intera popolazione si era riversata per le strade, in auto o a piedi; noi, con l’incoscienza di quell’età, ma eccitate dalla carica emotiva della vittoria, ci eravamo spinte da casa nostra fino in centro, camminando per i vicoli che sbucavano in Via Libertà, noncuranti dei rischi e poi, raggiunto il punto più caotico della città, ci eravamo arrampicate assieme ad altri nel primo gradone di marmo dell’obelisco di P.zza Castelnuovo cantando con le ugole al vento: “Notti magiche/inseguendo un goal/sotto il cielo/di un’estate italiana”.


Avevamo voglia di replicare quell’esperienza unica, che ancora adesso ricordo come fra le più straordinarie della mia vita universitaria. E per questo, quel martedì 3 luglio, apparecchiammo la terrazza in vista (nella speranza, più che altro) di una nuova clamorosa vittoria: snack, palloncini, bandiere, musica. Io avevo svuotato un tubo di gel per incollare la mia chioma riccia e pettinarla all'indietro in un’onda compatta. Avevo intenzione di uscire, nel caso, sfoggiando un occhiale da sole pazzesco con le stanghette tricolori; una delle mie amiche, invece, si sarebbe caricata in testa una parruccona dipinta di verde, bianco e rosso. Eravamo pronte e convinte. I segnali c’erano tutti: il nostro Totò Schillaci, con la maglia numero 19, al diciassettesimo minuto di gioco, aveva già piazzato uno dei suoi magici goal e poi le azioni italiane erano promettenti e ciò non faceva che accrescere le aspettative di ogni tifoso con gli occhi puntati sullo schermo. Di contro, però, l’Argentina si difendeva bene, con le giocate di prestigio di Maradona, il goal del pareggio al ventitreesimo minuto del secondo tempo e un portiere attento, ottima presa, grandi riflessi. Se no, non si sarebbe arrivati ai supplementari... e poi allo stillicidio dei rigori. Adesso sfoggiavo una chioma sgellata, la posa ferma dei capelli rovinata dalle numerose reazioni rabbiose scatenate dall’andamento dell’incontro. Che sconfitta bruciante, quelle due palle a rete mancate da Donadoni e Serena! Quei quattro tiri puliti dei calciatori argentini contro i nostri tre stoppati alla grande... La crudele legge del calcio!

I palloncini, in terrazza, rimasero agganciati alla sedia fino al giorno dopo e la parrucca poggiata sul televisore spento, a marcare una scenografia triste, mentre l’esaltazione della tifoseria argentina ci mandava a letto con la bile avvelenata e lasciava vuote le piazze di Palermo. 

Peccato, la coppa del mondo sfiorata fin quasi al traguardo, era scivolata fra i piedi di Totò Schillaci, il numero uno del campionato, e aveva sotterrato il sogno accarezzato dagli italiani soprattutto grazie a lui.


Sono trascorsi trentaquattro anni da allora e ho riesumato le notti magiche dell’estate 1990, vissute con l’intensità che ancora ricordo, dopo la notizia della morte di quel debuttante, giovane calciatore che aveva cominciato la sua ascesa ai Mondiali da una panchina, per terminare la corsa da vera icona del calcio di tutti i tempi.

Lo so che Totò Schillaci, dopo il successo stellare delle sue performance a Italia ‘90, per un p0’ ha vissuto di rendita, per tornare nell’ombra, forse meno ricco e famoso, ma pur sempre nel cuore di tanti tifosi. Io non lo sono, è vero, di lui non ho più sentito parlare, ma ho provato un sincero dispiacere quando di recente ho appreso della sua malattia, della lotta per la sopravvivenza, della scomparsa all’età di 59 anni, a quasi due dalla stessa drammatica trafila patita da un altro amatissimo calciatore.

Lui e Gianluca Vialli, compagni di squadra in Nazionale, accomunati dallo sfortunato epilogo delle loro vite, adesso avranno tutto il tempo per continuare a calciare il pallone.





3 commenti:

  1. Ci sono rimasto veramente male. Io il calcio lo seguivo (adesso molto meno) e sono tifoso della Juventus, quindi la sua stagione stellare me la ricordo benissimo. Lui veniva dalla serie B, in molti pensavamo: ha dimostrato di essere bravo col Messina in B, ma la serie A è un'altra cosa, la tensione di un Juve-Milan non è paragonabile a Messina-Brescia, saprà reggere la tensione? Saprà smarcarsi in area quando a marcarlo ci sarà non un terzino di B ma un Maldini o un Bergomi?...
    Lui ci riuscì alla grande, una stagione paurosa con due trofei vinti e molti meriti da parte sua, non solo per i goal segnati.
    La nazionale azzurra dell'epoca era stata plasmata avendo come base la precedente Under 21 che aveva allenato proprio Vicini. Una volta diventato c.t. della nazionale aveva di fatto inserito quasi tutti giocatori che conosceva già dalla sua precedente esperienza in Under 21, ragazzi giovani ma ora pronti a spiccare il volo, e molti lo fecero. Poi c'erano gli imprescindibili, tipo Baggio o Baresi, ma bene o male la lista dei convocati per i mondiali casalinghi dell'Italia era già chiara, difficile immaginare che Vicini inserisse anche un attaccante alla sua prima stagione in serie A. E invece si convinse a convocarlo per tenerlo in panchina, e poi sappiamo come divenne titolare a suon di goal.
    Veramente un uomo di altri tempi di un calcio di altri tempi, che iniziava già a dare segnali di americanizzazione (e purtroppo anche di politicizzazione nel senso peggiore della parola) ma era ancora un calcio più vicino alla sua tradizione di sport di strada, e all'epoca lo seguivo con piacere.
    Ormai invece la federazione italiana, coi suoi giochetti da wrestling, da anni me lo sta rendendo indigesto. Praticamente non lo seguo più, le partite della nazionale non mi appassionano più, se provo a guardarle mi danno la stessa sensazione che proverei guardando la nazionale di curling: zero interesse, zero divertimento.
    Se ne è andato uno degli ultimi giocatori del vero calcio del popolo. Uno dei pochi ai quali mi sarei avvicinato non per chiedergli l'autografo o una selfie insieme, ma solo per ringraziarlo per le emozioni che mi ha regalato quando il calcio ancora mi appassionava.

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  2. Sembra una maledizione: prima Rossi, poi Maradona, quindi Vialli e ora Schillaci...e il grande Gigi Riva. Tutti grandi giocatori, inarrivabili, di un calcio diverso e spettacolare rispetto a quello che vediamo oggi. Sono d'accordo con Ariano: neanch'io seguo più il calcio come lo seguivo un tempo. Mi annoia. Uno sport snaturato in tutti i suoi contenuti, pilotato dai soldi, dagli interessi societari, con degli attori in campo mediocri e omologati, fatti con lo stampo, o meglio con i tatuaggi. Inguardabili! Mi viene da dire: se ne vanno sempre i migliori.

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  3. Un racconto nostalgico e intenso che ci riporta alla magica estate del 1990, quando l’Italia era unita sotto il cielo stellato dei Mondiali e un giovane palermitano, Totò Schillaci, fece sognare un’intera nazione. Il testo è una riflessione toccante sull'ascesa e il declino di un campione, ma soprattutto sul legame emotivo che il calcio crea tra le persone. Un omaggio sincero a Schillaci e a chi, come lui, ha regalato emozioni indimenticabili, lasciando un segno indelebile nel cuore dei tifosi. IO C'ERO!!!

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