giovedì 25 gennaio 2024

(Im)perfect Days

Il cielo sopra Berlino” ha vinto il premio come “miglior regia” al Festival di Cannes 1987. Dopo più di trent’anni Wim Wenders è di nuovo sul podio, ancora al Festival di Cannes, con “Perfect Days”, un film ambientato a Tokyo, che ha ottenuto il riconoscimento questa volta nella categoria “miglior attore”: Kōji Yakusho è il protagonista del nuovo lavoro del regista cult, tornato nelle sale cinematografiche con l’ennesima opera di successo. Apprezzamenti, giudizi esaltanti, riconoscimenti di pregio, incassi da capogiro... ne parlano tutti e questo clamore ha raggiunto anche me.

Le mie ultime settimane sono state indimenticabili (non in senso positivo, purtroppo), così ho colto l’occasione per concedermi una botta di vita, ritornando al cinema dopo secoli di disaffezione. Mi piaceva l’idea del contrasto fra le mie imperfect giornate e quelle perfette raccontate nella pellicola.

Tutti noi rispettiamo più o meno una routine giornaliera, fatta di lavoro, appuntamenti, incastri con altri impegni, ma non so se in realtà ne siamo appagati o se riusciamo a mantenere la serenità nell’assecondare sempre le stesse abitudini. Immaginate, invece, la quotidianità di un uomo di mezza età che tutti i santi giorni si alza di buon mattino, riavvolge il futon, cura l’igiene personale, innaffia le piante che fa crescere in piccoli vasi, indossa la tenuta di lavoro, esce di casa, prende una bibita da un distributore che è proprio a due passi dall’uscio, entra nel suo furgone, attraversa la città a suon di (bellissima) musica e raggiunge i luoghi in cui svolgerà il suo lavoro. E poi immaginate questo signore mangiare un tramezzino al parco nella pausa pranzo, sorridere sempre alla stessa ragazza dallo sguardo triste, anche lei ospite quotidiana della panchina, bearsi della vista di un albero, che fotografa tutte le volte e, di ritorno dal lavoro, lavarsi in un bagno pubblico, rilassarsi in una piscina idromassaggio e infine a casa, prima di addormentarsi, leggere un buon libro (mica robetta: la prima inquadratura del testo che tiene in mano, sotto la luce fioca di un abat jour, svela il nome di William Faulkner). Ecco, questa è la vita “perfetta” di Hirayama. Una vita non esaltante, legata a passioni nobili (la fotografia, la lettura), umili attenzioni (durante le sue sedute al parco, porta via un germoglio che estirpa dalla base di un albero per potersene prendere cura da casa) e piccole soddisfazioni (“Te lo meriti, dopo una lunga giornata di lavoro”, gli dice tutte le volte il barman, mentre gli passa un bicchiere di acqua fresca). È la vita che lui si è scelto e ne è contento. 

Hirayama è una persona taciturna ed è molto ordinata, come si evince dagli oggetti sistemati in fila su una mensola che, prima di uscire, lui prende nella sequenza in cui sono disposti; dalla meticolosa cura che mostra allo specchio, mentre spunta i baffi; dalle mensole della stanza che esibiscono, in un allineamento impeccabile, musicassette e libri. 

E non è solo questo. La routine okay, può non essere deprimente, ma Hirayama fa un lavoro che, per carità, è nobile come tutti i lavori, ma certamente non rappresenta l'ambizione di una vita: è addetto alle pulizie dei servizi igienici della città e sapeste con che zelo svolge la sua attività! Giorno dopo giorno questo uomo, che non manifesta in viso né i segni della stanchezza né il grigiore della frustrazione, si reca presso un rinomato quartiere di Tokyo dove sono installati dei bagni pubblici e li lustra, uno per uno, dividendo i turni di lavoro con un collega più giovane, alquanto loquace. Hirayama mostra una dedizione maniacale: strofina e lucida i water, servendosi persino di uno specchietto per raggiungere i punti più insoliti. I suoi gesti a mani nude, mentre con nonchalance acchiappa le carte e ogni rifiuto da terra, raggelano un po’, ma è confortante vederlo con i guanti almeno quando si piega sulle tazze dei cessi per igienizzarle dentro e fuori. 

La presenza di questi bagni pubblici è fondamentale nel film, visto che la pellicola celebra le nuove costruzioni ideate da architetti di grande fama, coinvolti in un progetto di rinnovamento urbano chiamato “The Tokyo Toilet”. A Wenders erano stati commissionati dei documentari sull’opera di riqualificazione e invece lui se n’è uscito con un film. Forse non ne avevamo bisogno, ma il regista ha sicuramente sfruttato una bella occasione per tornare alla ribalta. In effetti, i servizi igienici coprotagonisti nel film sono delle opere architettoniche esemplari: pittoreschi, futuristici, dal design contemporaneo molto curato. Ce n’è uno, fantastico, con delle cabine che hanno pareti in vetro colorato, trasparenti quando le guardi da fuori e opache quando entri e ti chiudi. Wenders per mostrare la loro eccentricità recluta una comparsa che chiede al nostro serafico pulitore: “scusi, ma come funziona?” e lui glielo dimostra suscitando un ohhhh del pubblico spettatore che un po’ si stupisce, un po’ ridacchia al pensiero di un’anomalia nel sistema di opacizzazione. Direi che da questo punto di vista il progetto è andato a buon fine, ma il film? Era necessario confezionare una storia per onorare la mega iniziativa?

Due ore di proiezione, i primi quaranta minuti dedicati solo alla routine di Hirayama, con scene ripetute in un loop quasi ipnotico. Le giornate si susseguono tutte uguali, una dietro l’altra e a renderle differenti sono soltanto le canzoni che lui ascolta mentre attraversa Tokyo, inserendo nell'autoradio le audiocassette, nostalgico patrimonio anni’70 (in una scena il protagonista avvolge il nastro facendo ruotare la bobina attorno a una penna: se a leggere questo post è una persona della mia generazione capisce la sostanza di questa azione). La monotonia si interrompe solo quando intervengono altri personaggi funzionali alla storia, che forniscono informazioni utili a dare al protagonista una continuità con un passato mai svelato ma intuibile (in primis una nipote, che Hirayama rivede dopo anni). 

Ho letto recensioni che lodano la delicatezza e la profondità del film; qualcuno esalta la noia come risorsa, c’è chi sottolinea quanto l’essenziale talvolta scardini il superfluo e chi inneggia alla solitudine come fonte autentica di gioia. Tutto vero, nei limiti; io, però, smorzerei l’entusiasmo: l’attore è straordinario, la musica perfetta come la quotidianità del solerte lavoratore (mitici Velvet Underground, Patti Smith, Lou Reed e molti altri); capisco il significato della storia, mi è chiaro il messaggio, ma confesso la mia scarsa propensione verso i film dove i silenzi sono comunicativi al pari delle parole e la lentezza è considerata un pregio per pochi intenditori. Li seguo cercando di afferrarne l’anima, ma purtroppo resto pacatamente indifferente, non ne colgo del tutto la poesia né la decantata bellezza. È anche un problema di aspettative: questo film ne ha create talmente tante, con il suo atteso lancio, gli aneddoti sull’idea nata da un pretesto di altra natura, la fama del regista, la candidatura a vari premi... che, alla fine, non sono riuscita ad apprezzarlo come avrei voluto. Sono propensa a pensare che l’opera sia molto sopravvalutata. 

No, per dire, un po’ anche per colpa della mia stanchezza fisica, a un certo punto ho dovuto fortemente controllarmi per non cedere alle spinte del sonno che facevano crollare la mia testa in giù (che poi, per recuperare la figuraccia con quelli seduti dietro, facevo finta di abbassarmi per prendere qualcosa da terra). E quando cominci a guardare l’orologio e a ripeterti: “ma quando finisce ‘sto film!”, allora significa che hai rinunciato a cercare il modo per fartelo piacere.





19 commenti:

  1. Perfect Days è un film che potrebbe sembrare piccolo, invece è grande.
    La bellezza e il fascino della propria solitudine.

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    1. Non è un piccolo film perché mette in scena solitudine e routine, ma nemmeno grande, secondo me. Diciamo che è un film di Wim Wenders :)

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  2. L'hai ridotto ai minimi termini peggio di me.. ahah.. e concordo in pieno.. resta un quesito irrisolto e che ne avrebbe lasciate di risposte: il protagonista alle prese coi bagni pubblici dell'autogrill di Caserta sud, manterrebbe lo stesso aplomb di quando lucida servizi igienici da diecimila euro a sanitario?! ahah

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    1. Giuro mi sono fatta la stessa domanda: ogni volta che entro nelle toilette degli autogrill (ma anche in quelle dei locali pubblici, un bar, anche un cinema) Dio ce ne scansi e liberi, nemmeno penso a piegarmi su quei water, figurati se dovessi metterci le mani (neppure con i guanti)! :D :D Altroché lavoro felice e routine appagante! Ma infatti, qualcuno obietterebbe, il film è stato realizzato in Giappone, dove si sa che si vive come su un altro pianeta.

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  3. Un film di successo sul cesso?! XD
    Battutaccia a parte, quando ci interfacciamo con la cultura giapponese i nostri schemi occidentali non sono sufficienti a capire la loro complessità. E questo lo dico per i racconti che mi arrivano da un amico innamorato del Giappone, che da sempre sogna di trasferirsi a vivere lì, ma per ora deve limitarsi ai viaggi turistici. Non ho visto questo film, eppure per come me lo racconti mi incuriosisce. Forse lo si può associare a un altro film, americano stavolta: Paterson del 2016 con Adam Driver. Lì le parole ci sono, tutte nelle poesie di un semplice autista. L'ho visto e chi era con me si è addormentato, io no, ero incantata dalla sua lentezza.
    Che poi alcune storie non ci piacciono solo perché ci raggiungono nel momento sbagliato. Magari non era serata Marina. ;)

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    1. Il film che citi non l'ho visto e penso di tenermene lontana! :D No, però, qualche "lentezza" cinematografica mi è piaciuta, per esempio proprio di Wenders "Il cielo sopra Berlino": vederlo a vent'anni è stato un conto, rivederlo a quaranta un altro. Poco capito allora, apprezzato dopo. Quindi quello che dici sul momento adatto potrebbe essere corretto: se i miei ritmi sono ventennali, intorno ai settant'anni possiamo riparlarne! :D:D

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  4. Il solito problema dei film che piacciono tantissimo ai critici intellettuali e ai cinefili: scelgono deliberatamente opere che annoiano lo spettatore medio, come a voler dire "non è per tutti, chi cerca solo lo 'spettacolo' non lo apprezzerà" (e sennò che intellettuali e cinefili sarebbero?)
    Personalmente non ho problemi a immaginare che la tua recensione sia plausibile (e ricordo che anche "Il cielo sopra Berlino" suscitò rare reazioni di tal genere).
    E poi, la prova definitiva: io parto dall'idea (date varie esperienze pregresse) che un film che viene premiato a Cannes è sicuramente un mattone.

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    1. Vero, ahah, anch'io parto dal forte pregiudizio che i premiati a Cannes siano film pesanti, non brutti, ma mattoni colossali sì. Che poi con le letture ho un atteggiamento opposto: mi piacciono molto i romanzi anche con pochissima azione e molta introspezione ed è pur vero che non amo nemmeno i film di azione pura, tuttavia... insomma, io mi stavo addormentando durante la proiezione, qualcosa dovrà pur significare (senza dirlo ai cinefili intellettuali! :D)

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  5. “Confesso la mia scarsa propensione verso i film dove i silenzi sono comunicativi al pari delle parole e la lentezza è considerata un pregio per pochi intenditori”. Basterebbero queste parole – che apparentemente allontanano più di quanto possano avvicinare – per fami ritornare al Cinema dove non metto piede da circa 30 anni. Lasciamo perdere la tazza del cesso: ci sono artisti che l’hanno usata per forgiare la loro splendida e ricca carriera. Il personaggio del film poteva anche essere un lavapiatti, ma la sostanza, per me, non sarebbe cambiata, tanto meno le sensazioni che un film di questo genere potrebbe far nascere in me. E se ci sono “recensioni che lodano la delicatezza e la profondità del film”, credo di essere sulla buona strada per andare di nuovo a sedermi in una sala cinematografica. Ti dirò di più: se addirittura c’è qualcuno che “esalta la noia come risorsa” del film, ebbene non ho dubbi: quel momento è arrivato: andrò a vederlo. “Il saggio – scriveva Pessoa – è colui che riesce a rendere monotona l’esistenza, poiché allora ogni piccolo incidente possiede il privilegio di stupirlo…Il cacciatore di leoni non prova più l’avventura dopo il terzo leone…Chi non ha mai lasciato Lisbona farà un viaggio infinito sul tram che va a Benfica, e se costui un giorno si reca a Sintra ha la sensazione di avere fatto un viaggio fino a Marte”. Il grande scrittore portoghese, che probabilmente avrebbe accolto questo film come un capolavoro, diceva ancora che un uomo, se possiede la vera sapienza può godere lo spettacolo del mondo seduto su una sedia – e perché no, lavando i cessi, mi permetto di aggiungere – senza saper leggere, senza parlare con nessuno, soltanto con l’uso dei sensi e il fatto che l’anima non sappia essere triste. Grazie, Marina.

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    1. Questo è il tuo film, Pino, corri a vederlo! Se lo fai, poi, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.
      Del resto, le recensioni servono a questo: a incuriosire, nel bene o nel male, le persone. La mia, più che una recensione seria, è un'impressione a caldo, colta al volo, subito nelle ore successive alla visione del film. Quel poco che mi ha lasciato è una sensazione mia, che però non nega la verità del messaggio principale. Dobbiamo imparare a esaltare i piccoli momenti, a godere della semplicità, Pessoa dice cose profonde e vere... e niente, non sono pronta per la saggezza! :D :D

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  6. Sì, hai proprio ragione Marina, quando si guarda l'orologio perché il tempo sembra non passare mai o ci si abbiocca...beh, significa che il coinvolgimento è proprio basso! A me è successo qualche giorno fa con un altro decantato film, "Il ragazzo e l'airone" nonostante ami molto quel regista. Tornando invece a "Perfect days", sono andata a vederlo senza particolari aspettative se non un po' di curiosità e non immaginavo niente neanche del dietro alle quinte...sì, mi era arrivato "docufilm" alle orecchie, ma non avevo approfondito. Ho apprezzato molto la descrizione e la recensione che hai scritto, ma la mia impressione è stata del tutto diversa. A me questo film è piaciuto molto, azzarderei anche moltissimo. Le due ore non mi hanno assolutamente annoiato e se pur la lunga e lenta parte iniziale della routine di Hirayama può farci sentire quasi oppressi, penso sia stata necessaria per comprendere la filosofia di vita del personaggio e gli successivi sviluppi della trama cioè quegli incontri che gli hanno permesso di trasformare, di arricchire di emozioni la quotidianità uscendo da una solitudine vissuta col sorriso, certo, ma in cui probabilmente qualcosa mancava.

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    1. Tu ne hai colto il senso profondo, quello che avrei voluto fare anch'io. Nella vita, in genere, funziona per ogni cosa così: si incrociano gusti, aspettative, siamo tutti diversi e reagiamo in modo diverso alle sollecitazioni provengano esse dalla visione di un film, da una lettura... Poi, capirai, io sono quella che ama Proust! :D Ma, forse, con i libri le mie esigenze sono altre! :)

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  7. La tua bella recensione, Marina, mi ha davvero incuriosito. Non ho visto il film, ma ho sentito pareri decisamente contrastanti.
    Il mondo giapponese ha caratteri diversi dai nostri e a volte, è vero, nei film si riscontra una certa lentezza narrativa che tuttavia può essere un dato positivo. Ho visto bellissime pellicole giapponesi: una su tutte "Departures" e ci sono anche altri film in cui il racconto della semplice quotidianità può diventare poesia.
    Azzardo un'ipotesi: non è che la monotonia e la noia di cui parli in "Perfect days" dipende dal fatto che il regista, per quanto prestigioso, non è giapponese?

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    1. Non saprei ,anche se leggevo che Wenders ha una profonda conoscenza del Giappone e credo che ne abbia colto il carattere dominante. L'attore molto bravo, trasmetteva proprio la serenità dello stile di vita del personaggio interpretato... a Tokyo, però, perché una quotidianità del genere in città tipo Palermo (per citare una città siciliana), non penso possa regalare a una persona un analogo appagamento! :)

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  8. Wim Wenders non ha perso lo smalto, devo ammettere che è più un gusto mio: i film lenti mi annoiano sempre. Ne ricordo uno vecchio di Ermanno Olmi, visto ai tempi universitari, in cui il suicidio mi era sembrato una buona via d'uscita ahahah! Credo che non sia un problema legato all'abilità in campo cinematografico, in fondo Wenders ha fatto film memorabili. Tu citi "Il cielo sopra Berlino", lo stile è lo stesso, ma in questo caso la storia è molto bella. Qui i temi su cui meditare sono diversi, non mi hanno colpito, ecco, e poi, forse, non mi è piaciuto il motivo da cui è nata questa storia, la sublimazione dei nuovi pazzeschi cessi pubblici attraverso la narrazione di una vita ordinaria, ciò di cui invece si parla come un pregio del prodotto finale. Quello che voglio dire è che la mia opinione personale non intacca la bravura del regista, né le sue opere, però non mi sento di esaltare il film definendolo un capolavoro.
    Le musiche, invece, le salvo. Tutte: una più bella dell'altra!

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  9. Tempo fa ho tentato di vedere Il cielo sopra Berlino e l’ho abbandonato a metà, un altro film di Wim Wenders che ho visto tutto con un po’ di fatica è Fino alla fine del mondo, un suo film che, nel complesso, non mi è dispiaciuto è stato Paris, Texas però a distanza di anni non ricordo il senso, pur ricordando la trama. Questo per dirti che è un regista difficile da digerire, non mi entusiasma ma questo ultimo film mi incuriosisce, se lo danno su qualche piattaforma potrei tentare di vederlo.
    In effetti la società giapponese è molto agli antipodi dal nostro modo di essere, è famosa per la sua grande “civiltà” ordine e pulizia, mi chiedo anch’io come sarebbe pulire un bagno pubblico in Italia (ne ho visti alcuni in viaggio davvero rivoltanti, una volta sono entrata in un ristorante e dopo essere andata nel bagno per lavarmi le mani ho deciso di uscire proprio dal ristorante…)

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    1. Wenders è prendere o lasciare: lui è questo. In fondo un po' sapevo cosa avrei dovuto aspettarmi, dunque non ne sono stata sorpresa.
      A proposito della civiltà del Giappone, leggevo che questa opera di ristrutturazione che ha interessato i bagni pubblici di una zona di Tokyo nasce con l’intento di dimostrare che i bagni pubblici non sarebbero ambienti sporchi e pericolosi. Ahaha e qua mi collego alla tua esperienza e a quella di tutti, in Italia e rido di cuore prima di riflettere e mettermi a piangere!!

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  10. Ti capisco, Marì. In generale, se non ti disponi sulla stessa lunghezza d'onda di un film del genere, finisce col non piacerti. A me succedeva con i film di Kieslowski, del quale vidi un episodio del Decalogo. Mi uccise letteralmente... di noia. Ma avevo fallito la mia visione. Il film mi era stato consigliato da un giovane sacerdote molto in gamba, colto, che vedeva in quella serie di film la perfezione. Oltretutto con un riferimento alla fede che mi disse dovevo "indagare" attraverso la visione di questo regista. Ne vidi quel solo episodio, non andai oltre. Forse oggi mi accadrebbe qualcosa di diverso, non saprei. Riguardo a questo acclamato film di Wenders, del quale apprezzai i film negli anni Novanta, penso che potrebbe piacermi. Lo ipotizzo perché mi piace il Giappone in questo suo aspetto dei bagni pubblici. Per loro è un'ossessione la pulizia, si estende ai bagni come un rituale. Lo stesso tema viene toccato da Amélie Nothomb nel molto carino "Stupore e tremori".

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    1. Per la Nothomb non mi stupisco: lei, in Giappone, ci ha vissuto! :)
      Kieslowski, invece, io l'ho adorato ai tempi della trilogia "Film Rosso", "Film Bianco" e "Film Blu", come ho capito il fascino de "Il cielo sopra Berlino!". Non so, questo ultimo di Wenders non mi ha detto granché e forse non è solo una questione di gusti, ma anche di giusta predisposizione: probabilmente non era il momento buono per farsi rilassare da un suo film; mi sono distratta poco, ecco, dal peso dei giorni trascorsi che tu ben conosci. Comunque, se lo vedrai, poi mi dirai cosa ne hai pensato.

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