Nel giorno di San Valentino voglio portarvi dentro una singolare storia d’amore, raccontata all’interno delle pagine di un libro chiamato “La prigioniera”.
Mi sembra che già il titolo dica tutto.
Si tratta del quinto volume di “Alla ricerca del tempo perduto”, che, se contestualizzato ai giorni d’oggi, offrirebbe non pochi spunti di riflessione. Eppure, sono contenta che ancora nessuno si sia espresso sulla natura del rapporto raccontato nell’opera immensa di Proust. Sarà, forse, perché la Recherche, fra i classici della letteratura, non è un romanzo inflazionato (e ciò mi pare, a questo punto, una fortuna) o sarà perché i fruitori di una siffatta, imponente, lettura non sono interessati a forzarne l’interpretazione, ma almeno la relazione “malata” del Narratore con una delle “fanciulle in fiore”, per adesso, è salva.
Il Narratore incontra Albertine Simonet nel secondo volume dell’opera, “All’ombra delle fanciulle in fiore”: la vede spingere una bicicletta lungo la diga di Balbec (località marittima dove trascorre le vacanze) insieme a una piccola banda di coetanee che si divertono a fare le insolenti con alcuni passanti. Ha gli occhi luminosi, ridenti, larghe guance olivastre sotto un “polo” nero ben calcato sulla testa e lui rimane subito affascinato dal modo dinoccolato che la ragazza ha di ancheggiare mentre spinge la bici, dal suo linguaggio gergale, ma soprattutto dallo sguardo audace che gli indirizza al suo passaggio in riva al mare.
Proprio la bruna ciclista, giocatrice di golf, impertinente e sbarazzina fanciulla di rango borghese, s’insinuerà nei pensieri del Narratore in un modo così pervasivo da indurlo a concepire, nel prosieguo della loro frequentazione (durante il secondo soggiorno a Balbec), un progetto di vita insieme, a Parigi. È qui che lui vorrebbe portarla, proponendole di venire a vivere in casa sua, mentre i genitori sono temporaneamente assenti. Sulle prime la richiesta viene elusa, ma, alla fine, Albertine decide di seguire il Narratore nella capitale francese. E qui scatta la trappola.
Nello sviluppo di questa storia d’amore il lettore non si aspetti di imbattersi nel classico romanticismo d’epoca, fatto di corteggiamento, serenate, dichiarazioni sotto un cielo stellato e la luna a specchiarsi sulle onde argentee del mare; nulla di festeggiabile, oggi, con una scatola di Baci Perugina e una cena a lume di candela. Tutto il rapporto tra il Narratore e Albertine si consuma nella reciproca incomprensione, nella sfiducia e nell’assenza totale di sincerità. Il Narratore non è capace di ammettere a se stesso che è innamorato di lei (né mai glielo dirà apertamente), piuttosto si fa influenzare dalla contrarietà della madre circa il suo progetto di matrimonio, così, per farla contenta, medita di rompere definitivamente il rapporto con Albertine oppure sfrutta il finto pretesto di essere innamorato di un’altra “fanciulla in fiore” per lasciarla.
E quella malattia cronica che intacca la bellezza di un sentimento che dovrebbe regalare felicità anziché ansia è la stessa che trafigge il cuore e l’anima di Swann, all’inizio della Recherche; quell’implacabile gelosia che tutto travolge, rovinando la purezza di ogni emozione. L’amore è un male inguaribile, possibile solo se sorretto dal seme che corrode ogni certezza: questa perdurante gelosia, nell’infliggere un dolore al Narratore, di fatto lo rassicura sulla veridicità dei propri sentimenti.
“Avrei dovuto scegliere se smettere di soffrire o smettere d’amare. L’amore infatti, come all’inizio è formato dal desiderio, così più tardi è mantenuto vivo soltanto dall’ansia dolorosa. L’amore, nell’ansia dolorosa come nel desiderio felice, è esigenza d’un tutto. Non nasce, non sussiste se non resta almeno una parte da conquistare. Si ama soltanto ciò che non si possiede per intero.”
E fin qui, nonostante l’aspetto masochistico dell’amore concepito solo se alimentato dal patimento sia spirituale sia materiale, nulla di nuovo: la gelosia è sempre stata una molla potente all’interno di un rapporto di coppia (quasi sempre deleteria, quando smisurata e fuori controllo), ma in questa storia, quella nutrita dal Narratore non è la gelosia ordinaria: lui non teme che la sua Albertine possa avere in mente altri uomini o che possa mostrare atteggiamenti equivoci di fronte a potenziali corteggiatori, lui ha paura che la sua piccina possa avere tendenze contrarie alla morale comune (nella Francia dei primi del ‘900); scongiura il pericolo (o il dramma nella sua vita) che Albertine sia lesbica.
Le prove che raccoglie di questa presunta omosessualità, in realtà, sono solo ipotesi formulate dalla sua mente ossessionata e sempre alla ricerca di conferme (che non arriveranno mai). Non rimangono isolati certi episodi del passato; essi ritornano a torturare i suoi pensieri, unitamente alle insinuazioni, alle conversazioni equivoche e alle bugie reiterate, che tengono il Narratore ben lontano dalla verità. Qualunque forma abbia una data amicizia femminile di Albertine, superficiale come quella di una conoscenza casuale o consolidata come con le ragazze della “piccola banda” di Balbec, quel rapporto rappresenta, agli occhi del Narratore, una possibile occasione di perdizione per l’amata: un’uscita in compagnia di una donna diventa l’incontro peccaminoso di cui lei vorrà mantenere sempre il riserbo, il desiderio di un viaggio un modo per continuare a frequentare persone con il vizio.
Così il Narratore si trova a soffrire un lento martirio all’idea che Albertine possa godere di piaceri con i quali lui non potrebbe mai competere:
“Cos’era, in confronto a questa sofferenza, la gelosia provata il giorno in cui Saint-Loup aveva incontrato Albertine con me, a Doncières, e lei ci aveva un po’ civettato? [...] Una gelosia siffatta – quella provocata da Saint-Loup, da un qualsiasi altro giovanotto – non era nulla. Al massimo, in quel caso, avrei potuto temere un rivale, sul quale avrei cercato di prevalere. Ma qui il rivale non era simile a me, le sue armi erano diverse, non potevo lottare sullo stesso terreno, dare ad Albertine gli stessi piaceri, e nemmeno concepirli con precisione.”
Dalla malattia del Narratore scaturisce e si consolida il morboso obiettivo di chiudere Albertine in una prigione dorata: l’appartamento in cui vive, a Parigi, nell’unico, folle, intento di tenerla fuori da ogni tentazione.
“... avrei sopportato qualsiasi sofferenza e, se non fosse bastato, ne avrei inflitte a lei, l’avrei isolata, rinchiusa, le avrei portato via il poco denaro che aveva perché l’indigenza le impedisse materialmente di mettersi in viaggio.”
Le offre tutto, agio, distrazioni, la riempie di doni, di abiti, di oggetti preziosi, ma la stringe con le catene immaginarie della coercizione psicologica: la nasconde a tutti, le vieta alcune libertà, offrendogliene altre meno gradite, perché da esse potrebbe scaturire ciò che più lo farebbe soffrire e cioè il potenziale tradimento con delle donne; in più, gioca a fare il detective di presunti inganni orditi a suo danno. Marcel (è la prima e unica volta che, all’interno dell’intera opera, viene fatto il nome del Narratore ed è Albertine a chiamarlo così) le innalza attorno un muro fatto di sospetti, di continui controlli e la sottopone a una vera e propria clausura.
E il paradosso è che lui sa amare solo in questo modo, perché quando riesce a dominare la vita di Albertine e la sua sofferenza raggiunge una faticosa tregua, la quotidianità con lei diventa monotona e questa rassicurante noia toglie vigore ai suoi sentimenti. Il Narratore ripete a se stesso che non la ama più e, anzi, la prigionia alla quale la costringe diventa anche la sua, avendo rinunciato per lei alla possibilità di realizzare il suo grande desiderio di fare un viaggio a Venezia.
E Albertine, nel frattempo, come vive la routine fra le quattro mura domestiche in cui è rinchiusa? È solo vittima dell’intimo progetto del Narratore di isolarla dal mondo oppure approfitta della sua condizione per ottenere un “buon matrimonio”? Il lusso non le dispiace, in effetti, “gli accessori d’abbigliamento erano, per Albertine, fonte di grandi piaceri” e si diverte al pensiero di essere una privilegiata:
“Chissà che faccia farebbe la madre di Andrée a vedere che sono diventata una ricca signora come lei, ciò che lei chiama una signora “con quadri, cavalli e carrozze”.
Nella sua prigionia, Albertine cura degli hobby, legge, dipinge, colleziona oggetti:
“Aveva persino cominciato delle graziose collezioni, che sistemava con gusto incantevole dentro una vetrina e che io non potevo guardare senza commozione e senza timore, perché l’arte con cui Albertine le disponeva era quella – fatta di pazienza, di ingegnosità, di nostalgia, di bisogno d’oblio – cui si dedicano i carcerati.”
La carica di passività, la potente facoltà di sottomettersi di Albertine sono reali o nascondono la sua esigenza di crearsi una copertura per continuare a vivere secondo le proprie inclinazioni?
“Era incredibile sino a che punto la sua vita fosse inafferrabile, e fuggevoli i suoi più grandi desideri.”
Nella narrazione di Proust non sarà mai svelata la verità su Albertine. Tutto resta avvolto nel mistero e di questa storia d’amore rimane una lunghissima parentesi senza respiro, precaria come certi rapporti nati “macchiati” dall’incompatibilità, che, oggi, porterebbero a una rottura dolorosa o, peggio, degenerebbero in tragedie evitabili.
La fine dell’amore fra Marcel e Albertine è preparata nella pagina che chiude il quinto libro della “Recherche” e continua nel sesto, “Albertine scomparsa”: “Mademoiselle Albertine se n’è andata”, recita l’incipit, quasi come un’anticipazione di ciò che fatalmente accadrà, mentre il Narratore, consapevole di averla perduta, fra nuovi dubbi e vecchi rimpianti, ritrova la purezza del suo sentimento:
“Così, quel che avevo creduto non essere niente per me era, molto semplicemente, tutta la mia vita.”
Il narratore racconta della sua convivenza con Albertine, di cui è molto geloso.
RispondiEliminaMarcel, prima di sposare Albertine, è vittima di un senso di possesso e di gelosia morbosi nei suoi confronti. Il narratore probabilmente prova questi sentimenti dopo aver saputo di alcune vicende di tradimento che riguardavano la relazione omosessuale del barone di Charlus; per questo motivo fa sorvegliare la ragazza, la accusa di avere relazioni omosessuali e, alla fine, prova ad imprigionarla in casa sua, approfittando dell'assenza dei suoi genitori. Questa prigionia sarà sopportata per poco tempo da Albertine, la quale deciderà di scappare di casa di nascosto. Infatti, alla fine del volume, Marcel scoprirà dalla domestica Françoise che Albertine è andata via di casa e che gli ha lasciato una lettera di addio.
Il Narratore non arriverà mai a sposare Albertine, perché non solo la madre non è d'accordo (e lui tiene in grande considerazione l'opinione della madre), ma persino Francoise (la governante) non ha in simpatia la donna e poi si fa mille paranoie sull'opportunità di vivere per sempre con al fianco una persona di dubbia sessualità. Non è il barone di Charlus la vera origine dei suoi dubbi, ma una serie di congetture concomitanti: Albertine conosce l'amica di Mademoiselle Vinteuil (nel primo libro è protagonista di una scena che scioccherà il Narratore) e vorrebbe incontrarla; il dottor Cottard, durante una serata presso il casinò di Incarville fa notare al Narratore l'atteggiamento lascivo di Albertine e l'amica Andree mentre ballano insieme...Diciamo che ogni scusa è buona per inquadrare Albertine dentro questa Gomorra infernale!
EliminaProust affermava che bisogna essere disposti a fare dei sacrifici, per quanto dolorosi possano essere, per la cosa cui si tiene di più. E qual era la cosa cui lui teneva di più? Io credo che non ci siano dubbi al riguardo: scrivere. E per scrivere la sua opera immensa, senza eguali, che rappresenta uno spauracchio per tutti, sacrificò tutta la sua vita. E se impiegò una vita per scriverla - la sua Recherche - a noi lettori serve tutta la nostra vita per poterla leggere. E apprezzarla.
RispondiEliminaNessuno, meglio di Proust, ha saputo analizzare tutti i grandi temi dell’esistenza e, in primis, l’amore, quello che lo faceva più soffrire e che certamente non era da “baci perugina”. L’amore per lui era un sentimento inafferrabile che generava tormento, gelosia, menzogna. Non credo proprio che, oggi, avrebbe potuto festeggiare San Valentino al lume di candela. Non sarebbe stato Proust, ma un Fabio Volo dell’Ottocento, con tutto il rispetto per il nostro simpatico scrittore bergamasco.
“Se avessimo solo delle membra – scrive il Narratore ne “la prigioniera” – come le gambe e le braccia, la vita sarebbe sopportabile. Disgraziatamente, ci portiamo dentro quel piccolo organo che chiamiamo cuore, che è soggetto a certe malattie nel corso delle quali è infinitamente impressionabile da tutto quanto concerne la vita di una certa persona…” E quella persona - che per il Narratore era Albertine - lo faceva soffrire in una maniera indicibile e gli procurava “crisi intollerabili”, e allora dice : “Bisognerebbe scegliere o di cessare di soffrire o di cessare d’amare”.
Ci sarebbero tantissime altre cose da dire. Questa è una storia che ha suscitato in me vari istinti, rispetto alla prima volta in cui ho letto l'opera: sono passata dal detestare la gelosia del Narratore al provare una sottile avversione anche nei confronti dell'ambiguità di Albertine. Bellissimi i ragionamenti del Narratore sulla possibilità di provare meno dolore rinunciando all'amore, ma anche soffocanti certe sue persistenti insinuazioni. Ed è leggendo "Albertine scomparsa", poi, che ho dato un senso vero alla sofferenza del Narratore, dopo la prigionia narrata nel romanzo da cui ho tratto spunto per questo post. Tra l'altro io possiedo l'opera nell'edizione de I meridiani della Mondadori che è ricchissima di note esplicative che raccontano molta vita di Proust ed è davvero stimolante vivere la storia della Recherche in parallelo con la biografia del suo autore.
EliminaNon ci sono abbastanza "quadri, cavalli e carrozze" per sacrificare la propria libertà, compresa la libertà di amare.
RispondiEliminaNon so se il mio animo indipendente sopporterebbe la lettura di questo libro. E me la prenderei tanto col Narratore quanto con Albertine, sia chiaro. :)
Sì, diciamo che ci sarebbe da ridire su entrambi gli atteggiamenti, anche se questa è una storia che va letta seguendo tutto un percorso che arriva fin lì.
EliminaSto meditando, tra l'altro, di scrivere un altro post con tutte le figure femminili odiose di questa opera: Albertine è nella lista. Perché è vero, il Narratore è geloso e paranoico fino all'esasperazione, ma Albertine è quella che in siciliano si direbbe "inzurtusa" (una fastidiosa provocatrice). Non salverei nessuno dei due, insomma.
I narratori di fine ottocento in realtà spesso raccontano storie di passioni molto violente e tutt'altro che edulcorate (uno scrittore dell'epoca, non ricordo quale ahimè, ci scherzava sopra dicendo che se le generazioni future avessero dovuto desumere la vita sentimentale della gente di quell'epoca probabilmente avrebbero concluso che l'adulterio era la normalità).
RispondiEliminaIl rapporto fra Marcel e Albertine ha caratteristiche morbose, da come lo descrivi, da ambo le parti.
Un'ottocentesca storia d'amore molto più unilaterale e "inquietante" che forse potrebbe piacerti è "La donna e il fantoccio" di Pierre Louys.
Sai, quando sentivo parlare di questa famosa storia d'amore di Albertine con il protagonista della Recherche, immaginavo una passione narrata fra passeggiate alle Champs Elysees e gli sguardi dentro una barchetta in mezzo al lago, quelle cose tipo queste! Sarà che la prima volta che approcciavo "La prigioniera" venivo dalla lettura di Oblomov, ma le epoche erano in effetti diverse.
EliminaSegno il libro che mi hai suggerito, a sto punto m'incuriosisce!
Adoro i classici e ti ringrazio per questa finestra su Proust. Ma, devo ammettere, per tutta la lettura del post ho avuto in the mente unicamente una cosa : la genesi dei #femminicidi l'esperienza di un possesso che passa per amore mi pare narrata qui come una cosa quasi poetica. Ma a me tutto ciò suscita suolo preoccupazione angoscia, sofferenza. Questo romanzo è ciò che la letteratura compie : l'anticipazione dì qualcosa di che gira accadere ma di cui nessuno è abbastanza consapevole. Perdonami Marina ma questa volta la realtà della mia cronaca influenza la mia vita opinione. Ma ne ho ben donde...
RispondiEliminaAll'inizio del post ho fatto una premessa che si riferiva esattamente al rischio. di inquadrare questa vicenda dentro l'attualità con esiti ben diversi. Una storia con siffatti presupposti oggi farebbe rabbrividire, per questo ho voluto parlarne. E no, devo dire che non c'è alcun romanticismo nella storia narrata da Proust: infinite elucubrazioni mentali, sì, lunghi passaggi in cui la sofferenza è indagata, sviscerata, te la senti quasi addosso (pur non capendola), ma nessuna poesia. E forse questo è uno dei motivi che mi ha fatto apprezzare il libro.
Elimina— ..i fruitori di una siffatta, imponente, lettura non sono interessati a forzarne l’interpretazione, ma almeno la relazione “malata” del Narratore con una delle “fanciulle in fiore”, per adesso, è salva.
RispondiEliminaBeh leggendo qualche commento non saprei se l'interpretazione sia stata davvero salvata:)
Mentre leggevo questo post meraviglioso di un Proust che sto conoscendo nei vostri blog e di cui vi ringrazio,ci vedevo un collegamento interpretativo tra gli scritti dell'ottocento e la realtà di oggi.Un po come S.Agostino tacciato per misogino.
Bellissimo il commento di Pino,un interpretazione distaccata e singolare
"Proust affermava che bisogna essere disposti a fare dei sacrifici, per quanto dolorosi possano essere, per la cosa cui si tiene di più. E qual era la cosa cui lui teneva di più? Io credo che non ci siano dubbi al riguardo: scrivere."
Grazie Marina e buona serata
L.
Diciamo che il politically correct ancora non ha intaccato "La prigioniera" di Proust: qui ci possiamo ancora permettere qualche lettura forzata! :)
EliminaLeggendo l'opera mi è venuto spontaneo collocarla ai giorni d'oggi: le storie malate finite in tragedia ormai non si contano più; storie di gelosia, ossessioni e follia omicida. Proust, ovviamente, non si spinge a tanto, anzi subirà il dolore di una perdita importante e ne sarà a lungo sopraffatto.
A me colpisce questa sorta di masochismo del Narratore/Proust che per amare ha bisogno di soffrire, una cosa se ci pensi contraria a quello che capita oggi in certi soggetti squilibrati, che eliminano il problema, proprio per evitare di soffrire in amore.
Sai cosa penso davvero Marina?:)
RispondiEliminaCredo che mai fu tempo migliore di questo per leggere Proust ,approfondirlo maggiormente, può essere un ottimo esercizio per gli "squilibrati",altro che starsene a progettare il come e quando "eliminare il problema" che un tempo chiamarono amore.
È evidente soprattutto l'amore che avesse Proust per la scrittura ,come ha sottolineato Pino, è evidente cosa riuscisse a mettere in luce con l'atto liberatorio della scrittura il Narratore.
Lui stesso si presenta come prigioniero della prigioniera ...la sua introspezione che riflette su quella del lettore facendo sua la narrazione,stimolarne il senso critico ,la capacità di discernere ciò che è bene e ciò che è male,la riflessione ,la lentezza ,l'ascolto,la meditazione,capire dove porta l'ossessione,la possessione ,la gelosia,la lussuria ,il denaro e le ricchezze.Insomma tanta roba che tenta di "imprigionare l'amore" a misura d'uomo che tutto è fuorché Amore!
L' Amore rende liberi non ingabbia e non vuole essere ingabbiato e qui la Prima lettera ai Corinzi 13:4-7 di S.Paolo fa da aggancio:)
Credo di aver letto da qualche parte che Proust cedesse volentieri i suoi scritti al lettore per diventarne autore a sua volta,rivedendosi e non, in tutto ciò in cui più si identificava.
Da questo deduco che te Marina sia anche una bravissima scrittrice,avendo afferrato il testimone da una stesura come Proust affinché la bellezza rinasca sempre:)
Grazie
A modo suo, il Narratore "tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta", solo che le mille elucubrazioni mentali che ne conseguono lo annientano e di caritatevole resta ben poco!
EliminaTi ringrazio del bel complimento, però magari raggiungessi la profondità di Proust, quando scrivo! è pur vero che amo la Recherche perché mi identifico in mille passaggi e in moltissimi modi è come se fossi capita da un autore vissuto in un altro secolo: Proust riesce a dire quello che mi piacerebbe esprimere, l'attenzione per i dettagli traccia una via dentro me che magari consciamente non so di percorrere e invece mi appartiene più di quanto pensi. E questa lettura è stata per me un'esperienza incredibile, tutt'e due le volte che l'ho vissuta.
Quando avrò veramente terminato di leggere tutta la Recherce potrò commentare in modo dignitoso. Adesso mi limito ad osservare quanta ricchezza e quanti chiaroscuri possieda quest'opera affascinante.
RispondiEliminaSi attraversa di tutto durante questo viaggio e si provano mille sensazioni diverse, che personalmente non mi hanno mai stancata, anche nelle parti di maggiore lentezza o in quelle più noiose. Nessuno direbbe mai, per esempio, che Proust fosse un incredibile uomo di spirito: la sua ilarità è stata per me una sorpresa. Insomma sì, se stai leggendo l'opera, aspetto che finisca per sapere se anche tu sarai del team "Recherche" ;)
EliminaPremetto che sono più che convinto che l'amore, quello vero intendo, non sia mai fonte di sofferenza ma se mai di completezza e appagamento. L'unica sofferenza potrebbe derivare dal pensiero di perdere l'amato/a (tipo un incidente, malattia etc). Per quanto riguarda l'opera di Proust, pur essendo un romanzo, ha sempre qualche attinenza con la realtà. A volte si prende spunto da una storia vera a cui si è assistito, oppure la natura e i desideri dello scrittore generano storie che "placano" i suoi turbamenti.
RispondiEliminaÈ incredibile quanto sia profonda la complessità nei suoi meccanismi emotivi e sentimentali, questo lo vediamo sempre più spesso anche nella realtà di tutti i giorni. Non si capisce come mai l'essere umano spesso non si accontenti della quiete e della soddisfazione che una vita basata su principi etici rigorosi, basati su valori come l'onestà, la compassione, il rispetto, la giustizia e la carità soprattutto. Tutti vogliono vivere felici ma si sceglie spesso di vivere in modo da non esserlo.
Sì, questo amore per Albertine non è che la trasposizione letteraria dell'amore di Proust per il suo autista, Alfred Agostinelli, divenuto poi suo segretario. Lui ne era innamorato e, alla sua morte, il tentativo di esorcizzare il dolore lo aveva portato a raccontarlo fra le pagine del suo tempo perduto.
EliminaQuanto alla scelta della felicità, la complessità del Narratore (dunque presumo anche di Proust) è spinta fino al punto di concepire la felicità solo nel rendere (fosse anche solo inconsciamente) infelice l'altra persona, una sorta di mors tua vita mea, ma ecco il paradosso: quando il controllo esercitato va a buon fine, ecco che subentra la noia. Rapporti concepiti così non portano da nessuna parte, fanno solo male.
E qui torniamo alla perfezione del creato in cui tutto è ordinato (anche se apparentemente questo mondo sembra governato dal caos). Chi esce dall'ordine viene rimesso nell'ordine dalla pena del peccato.
EliminaL'ordine, prima o poi, viene ripristinato. Arrivi a una conclusione interessante.
EliminaOggi, purtroppo, si assiste a ben peggio: il semplice rifiuto porta spesso a conseguenze tragiche, la gelosia diventa il movente che giustifica un delitto, un rifiuto alla sottomissione scatena frustrazione e violenza... Quante se ne sentono, ormai! Quello di Proust era un amore sicuramente malato; qualcosa che affondava le radici fondamentalmente nelle paure del protagonista, gestite poco e male. Sì, schizzato, hai detto bene: i brividi solo al pensiero di essere amata da un uomo così! E Albertine se lo accollava forse anche per ottenere una buona sistemazione e magari per continuare a fare la vita che prediligeva (ma questa sua omosessualità è tutta avvolta nel mistero; non ci sarà mai una parte del libro che svelerà la sua vera natura). Se proprio la devo dire tutta, io ho trovato insulsa questa storia d'amore fin dall'inizio!
RispondiEliminaSono tra i non pochi arenati su Dalla parte di Swann, i tormenti dell'autore non mi hanno mai coinvolto, ho avvertito più il fastidio che il fascino - mio limite sicuramente - ma l'analisi de La prigioniera, da un lato mi conferma questa debolezza, comunque anima costante dell'opera e nella quale non riesco ad avvertire sollievo intellettuale e carismatico.
RispondiEliminaNon è un tuo limite: Alla ricerca del tempo perduto è un'opera molto singolare e molto divisiva. Non è una lettura facile e spesso anch'io mi sono trovata dentro pagine e pagine di sfinenti elucubrazioni, che, però, in me hanno agito come uno straordinario canto delle sirene da cui mi sono lasciata catturare. Non so spiegare bene la mia infatuazione, ma capisco perfettamente la difficoltà di chi non riesce ad andare oltre l'incipit :)
EliminaProust o si odia o si ama.
Mi ero persa questo tuo post. Un amore morboso e ossessivo quello di Proust, mi sono sentita soffocare solo a leggerne. Non so se leggerò mai Proust per farmene un’idea mia, per il momento non ne sono attratta.
RispondiEliminaC'è molto altro nella Recherche, ovviamente, ma questo è un capitolo davvero inquietante.
EliminaIo chissà quando arriverò a questo capitolo della Recherche. Dovrei rimettere gambe in spalle e iniziare il lungo travaglio delle famose 15 pagine al giorno. Perché posso solo immaginare quante elucubrazioni ci siano attorno a quei sospetti su Albertine. Se sono come nel primo del romanzo, come quei pensieri ossessivi di Swann, non ce la posso fare... XD
RispondiEliminaMolla tutto, Luà, sei ancora in tempo! Ahahah!
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