Il sole dell'alba è troppo debole perché gli oggetti della stanza si animino; avvolti ancora nella penombra aspettano il risveglio della casa.
I passi felpati di mio nonno, nel silenzio di chi ancora dorme, si percepiscono in modo netto e una cosa che io amo fare, quando dormo in casa sua, è immaginarlo mentre lavora nel piccolo laboratorio, allestito in una stanza in fondo al corridoio, alle prese con la creta da infornare o una scultura da cesellare. Si muove fra le sue cose e in base ai suoni che mi arrivano alle orecchie riesco a capire cosa sta facendo: ha aperto un barattolino di colore, sta scegliendo il pennello adatto fra tanti assiepati in un bicchiere; adesso strofina un panno su una superficie, ha aperto le ante di un armadietto. Le sue pantofole di lana scivolano sul pavimento con un fruscio quasi impercettibile, entra in bagno, la porta cigola un po', sciacqua le mani sporche di vernice, lo sciabordio dell'acqua nel lavandino è amplificato dal silenzio tutt'intorno; adesso si allontana: raggiunge mia nonna che si è, nel frattempo, alzata per preparare la colazione.
Quando le luci del mattino si definiscono dietro le tende, mi alzo anch'io e vado in cucina. Mia nonna sa bene che non amo il latte, così corro volentieri in panificio a comprare i panini appena sfornati, che sono caldi e profumano di buono. Lei li bagna nell'olio d'oliva, gli aggiunge un pizzico di sale e così io mi sazio con il sorriso.
Oggi è un giorno speciale: l'8 dicembre la biblioteca diventa un cantiere, la scrivania viene spostata, le due poltrone messe di lato e mio nonno, circondato dai volumi della libreria, comincia il suo lungo lavoro di allestimento del presepe, che occuperà lo spazio di un grande angolo della stanza e renderà inaccessibile il lato che preferisco. Dove non si potrà più accedere si trova giusto la Divina Commedia, che io adoro: è quella rilegata in tre grandi tomi, con una copertina profilata d'oro e le immagini in bianco e nero. Aspetta, nonno - gli dico - posso prendere il libro dell'Inferno di Dante? Lui mi sorride con la dolcezza di sempre e mi lascia il tempo di scegliere i libri che voglio portare con me, prima di sacrificare per un mese quella parte della stanza.
Guardo quest'uomo che, nella sua abbondante rotondità, si muove lentamente, ma con perizia, in mezzo alla confusione di materiali e attrezzi da lavoro; mi piace immaginarlo, come facevo da piccola, con barba e capelli bianchi e con in testa un cappuccio di feltro rosso pendente da un lato (lui sarebbe un Babbo Natale perfetto e impressionerebbe anche il più scettico dei bambini che non sa più sognare). A cinque anni lo abbracciavo e le mie mani arrivavano a stringergli appena i fianchi, ma quando appoggiavo la testa sul suo ventre mi riempivo della sua morbidezza ed ero felice.
L'allestimento del presepe richiede tempo, mio nonno gli dedica l'intera giornata, trascurando ogni altra attività, sia intellettiva sia artigianale: le sue letture sono in pausa, i manufatti in corso d'opera momentaneamente trascurati.
Seguo ogni suo movimento; con la carta vetrata a grana fine rende liscia la superficie del compensato, che poi poggia su dei cavalletti in metallo; mi chiede se voglio aiutarlo e io accetto volentieri: gli porgo i listelli di legno e gli reggo i chiodi, mentre con il martello li fissa ai lati dei pannelli a formare una solida base su cui costruire montagne e villaggi.
Ogni anno una scenografia diversa e la grotta per la Sacra Famiglia cambia posizione e forma, con scenari sempre nuovi: mio nonno è un mago a simulare fiumi con giochi d'acqua reali e sa come rendere verosimile la notte stellata di Betlemme.
Il suo Presepe è un capolavoro e quando tutto è pronto, la nostra famiglia si riunisce in casa sua: io, mio fratello, i miei cugini e tutti i parenti ci mettiamo in fila dietro la porta, luci spente ed ecco che il Natale si accende nella stanza della biblioteca, in mezzo all'odore dei libri, di colla e vernice, muschio e cartone e Tu scendi dalle stelle in sottofondo.
Il sole dell'alba è troppo debole perché gli oggetti della stanza si animino; avvolti ancora nella penombra aspettano il risveglio della casa.
Mia nonna è già in piedi, traffica in cucina. Dalla stanza dove dormo riesco chiaramente a sentire il tintinnio di tazze e piatti e capisco che il bollitore è stato appena poggiato sul fornello. Niente aroma di caffè nell'aria, nessuno ne beve più, il medico dice che mio nonno, adesso, può sorseggiare solo un po' di tè.
Mi alzo e vado ad aiutare quell'anziana donna che prova a fare del suo meglio per mantenersi efficiente; il mio passo è incerto, ma ho braccia allenate e posso tenere con fermezza il vassoio che porta la colazione a mio nonno. Lui è nel suo letto, privo dell'energia vitale che la malattia gli ha sottratto: un corpo che, stanco, vorrebbe ancora mettere le mani nella creta, fare scivolare i pennelli su una tela, costruire la solida base per un nuovo presepe. Ma quest'anno, la biblioteca resterà una muta stanza e non ci saranno tavole di legno, pannelli rivestiti, chiodi e martello né un pavimento ad accogliere trucioli e polvere.
Mio nonno è rannicchiato in un lato del materasso, ha delle piaghe sulle spalle e sul bacino che mia nonna cura con pazienza e devozione. Gli faccio compagnia in silenzio, mentre lui mi guarda con gli occhi liquidi e un velo di tristezza nell'espressione affranta, che, però, non arriva a spegnergli il sorriso.
La malattia lo sta allontanando sempre più dal mondo.
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L'8 dicembre comincia il mio Natale. E io ho un appuntamento importante.
Questo è l'unico giorno dell'anno in cui trascuro ogni cosa e il mondo che mi ruota attorno si fa da parte, perché con calma io possa dedicarmi a una tradizione, che il tempo non ha mutato.
Ci sono scatoloni di cartone, adesso, in mezzo alla stanza, ho preso dal garage quelli con su scritto "Presepe" e li ho portati in casa. Apro il primo e tiro fuori la carta a chiazze marrone e verde che mi servirà per fare la grotta ("... e Gesù dove lo metterai, nonno?" - "dentro la grotta: prenderemo la carta del pane che ho dipinto con i colori della montagna, la stropicceremo e le daremo una forma") e poi, a uno a uno, tutti i personaggi che animano il presepe: il pescatore con il suo carretto pieno di pesce, la contadina che tiene in mano un cesto di frutta, pecorelle, tante, al seguito di pastori con la cornamusa a tracolla.
Aspetto in silenzio l'arrivo di mio nonno, perché so che lui, come sempre, verrà ad aiutarmi: è la sua mano che fissa con le puntine da disegno il cielo sul muro; sorride, le stelle color oro stampate sul foglio lucido sono una scorciatoia al lavoro certosino che faceva lui quando intagliava la carta velina e poi la collocava davanti a un pannello azzurro per creare un suggestivo effetto tridimensionale. È la sua mano che sistema il muschio fra le montagne di carta e colloca meglio il sughero per perfezionare lo scenario. Il presepe non sarà mai grande come quello che faceva mio nonno, ma rimane l'occasione più bella per incontrarlo ancora.
Anche se solo nei miei pensieri.
Ed eccolo, infine, il pezzo più importante di tutti, quello che conservo fin da bambina con una cura speciale ("questo adesso è tuo, mettilo nel presepe che farai con la mamma" - "grazie, nonno, è bellissimo, grazie").
Quando mi sono sposata, fra le cose che ho portato con me, nella nuova casa, c'era anche il bambino Gesù realizzato in terracotta da mio nonno: lo tengo avvolto in un panno. Schiudo l'involucro morbido e il piccolo neonato trova il suo posto dentro la grotta. È sproporzionato rispetto alle dimensioni degli altri personaggi, i miei figli ridono perché è grande quasi quanto la Madonna e S. Giuseppe, ma io non ci rinuncio: lo custodisco da quarant'anni, è il dono più prezioso ricevuto da una persona per me speciale, lo voglio lì, lo voglio nel mio presepe.
Così, ogni anno, l’abbraccio col mio caro nonno si rinnova.
Nella stanza, il tramonto sta lentamente togliendo il colore agli oggetti; adesso le ombre rendono uniforme ogni cosa; si accendono le luci del Natale e il silenzio traghetta i ricordi più belli verso l'unico elemento che li renderà immortali: un foglio scritto.
Sono belle tradizioni, da tenersi strette strette per poi passarle a figli e nipoti :)
RispondiEliminaIn un periodo in cui si tenta di affossarle, poi! :)
EliminaGià la foto dice molto e le tue parole dicono il resto. Buon Avvento, Marina.
RispondiEliminaAmavo mio nonno.
EliminaBuon Avvento anche a te, Helgaldo!
Oh, che bellezza intima e magica in questo tuo ricordo, Marina, grazie per averlo condiviso con tutti noi. E' prezioso, davvero. Sandra
RispondiEliminaLa magia dei ricordi! Grazie a te, Sandra
EliminaChe bello questo ricordo di tuo nonno,sarà che ho ripensato ai miei vecchietti che non ci sono più, ma mi sono commossa. Buon avvento cara Marina.
RispondiEliminaI nonni sono una risorsa preziosa. Buon Avvento anche a te, Giulia.
EliminaQuesto foglio scritto racchiude ricordi ed emozioni uniche.
RispondiEliminaUn abbraccio ^_^
Scriviamo, in fondo, per questo: dare unicità a ricordi ed emozioni.
EliminaGrazie, un abbraccio anche a te, Iara.
Mi si sono inumiditi gli occhi. Qualsiasi commento mi sembra troppo banale per un post così bello.
RispondiEliminaGrazie, Ariano. Certe volte raccontare la verità fa più effetto che raccontare bene una storia finta
Eliminatanta splendida tenerezza...
RispondiElimina:)
EliminaGrazie!
Tenerissimo il racconto, molto bella anche la foto, un bel modo davvero per vivere sul blog l'8 dicembre
RispondiEliminaGrazie. Quella foto è come un gioiello prezioso per me; mostrarla non ha fatto che sottolineare l'importanza e l'unicità di ciò che rappresenta.
EliminaIo non festeggio più il Natale da vari anni, ma conservo il ricordo di un'immagine simile a quella che hai descritto: mio padre intento a tagliare il piano di compensato per il presepe in un giorno di dicembre di circa mezzo secolo fa mentre io ero a letto malato.
RispondiEliminaRimane un bel ricordo, nonostante la tua condizione di malato a letto! :)
EliminaPerché non festeggi più il Natale? :(
Ho visto il post ieri ma quando ho iniziato a leggerlo ho capito che dovevo aspettare il momento propizio, per gustarne ogni parola, viverne ogni emozione. E così ho fatto, stasera che ho più tempo, mi sono sentita bambina e mi sono affezionata a tuo nonno e ho capito benissimo perché non cambieresti mai Gesù anche se è sproporzionato alle altre statuine.
RispondiEliminaGrazie per aver condiviso con noi queste memorie, un abbraccio sincero.
Grazie a te per avere capito l'importanza anche solo di un oggetto e del mio ricordo.
EliminaUn abbraccione.
Ti dico la verità, non ho letto il tuo articolo. Lo farò. Ho visto il titolo, ho scorso le prime righe e mi è venuto da piangere. Ho amato e stimato mio nonno alla follia, per la parte di vita terrena che ha condiviso con me è stato la misura di tutte le cose, come uomo ha rappresentato un modello che io non riesco a eguagliare neanche lontanamente. Ti leggerò, promesso, prendo fiato e poi torno.
RispondiEliminaCaro Max, so quanto tu amassi tuo nonno, ne abbiamo parlato quando è uscito il tuo ultimo romanzo e ricordo che questa cosa mi commosse esattamente come adesso emoziona te, se ripensi a questa figura così importante. Lo è stato anche per me; grande, unico, uomo: resterà sempre il mio angelo custode.
EliminaGrazie.