domenica 1 dicembre 2019

Il Pifferaio magico


Ci sono scrittori, ancorché poco noti, che, per me, sono stati una rivelazione e scrittori, conosciuti in altre vesti, che hanno messo alla prova il mio pregiudizio (ricordo la raccolta di racconti di Ligabue, che mi ha spiazzata per l’originalità, costringendomi a sconfessare il mio scetticismo.)
Così, anche questa volta, con lo spirito del “vediamo se saprai sorprendermi!” ho letto un libro, proposto da Sandra Faè per una lettura condivisa e, ancora adesso, mi sto interrogando su come recuperare la stima che avevo di Pierfrancesco Diliberto, dopo la disastrosa esperienza di lettura del suo primo (e spero ultimo) romanzo:



Pierfrancesco Diliberto, conosciuto col nome d’arte Pif, è stato inviato del programma televisivo “Le Iene”, poi conduttore, attore, regista, doppiatore, sceneggiatore. Ha realizzato un bel film per il cinema, “La mafia uccide solo d’estate”, con cui ha vinto il David di Donatello, il Nastro d’Argento, il Globo d’oro e poi ha scritto il soggetto dell’omonima serie tv, anch’essa di grande successo.
Ora, io mi chiedo: un giovane così promettente, che si presentava con la faccia di bronzo alle manifestazioni della Lega, rendendo divertenti e imperdibili i dieci minuti di servizio televisivo per Le Iene; che mostrava aspetti inediti della società con ironia e grande intelligenza, andando in giro armato di telecamera nel programma “I testimoni”; che ha sostenuto la causa dei diritti dei disabili, facendo diventare virale il video dello scontro verbale con Crocetta, (allora Presidente della Regione Siciliana); che ha fatto incetta di premi cinematografici prestigiosi... ma perché mai un artista così sensibile e di talento decide un bel giorno di smarcare anche la casella “scrittore” e di proporsi come romanziere? 
Una scommessa che, per me, ha perso, insieme a molti consensi del pubblico. Il mio (e a quanto pare anche quello di Sandra), di sicuro!

Ho impiegato sette giorni per finire un libro di 140 pagine, un tempo biblico, considerati i miei ritmi di lettura. 
Dopo l’incipit del Prologo che mi aveva ben disposto:

Il mio primo serio, intenso e vero colloquio con Dio avvenne quando ero ancora bambino, il 5 luglio 1982. Al 43° minuto del secondo tempo della partita Italia-Brasile dei Mondiali di calcio in Spagna. Al Brasile bastava anche un pareggio per andare in semifinale, l’Italia doveva vincere.

leggendo il primo capitolo, ho subodorato la vera natura della storia, rassegnandomi da subito alla mancanza di sorprese, profondità e consistenza.
Un’idiozia, insomma.
Sono troppo inclemente se la definisco così? Forse dovrei usare un termine più inflazionato: “banalità”. 
Questo romanzo è un’esplosione di banalità, nonostante il nobile intento dell’autore, la sua “idea di controllo”:  denunciare l’ipocrisia della fede cristiana di molti italiani. 
Il processo creativo di questa storia parte dalla domanda, che Pif si pone e che io traggo da una sua intervista: ”cosa succederebbe se diventassimo cristiani veramente e applicassimo la Parola di Dio?
Da qui la costruzione della trama, con un protagonista narrante, agente immobiliare, un po’ bamboccione, senza altre passioni che lo smuovessero nella vita se non i dolci e la ricotta, che, a un certo punto, trova l’amore e, per una sfida, nata come provocazione, sperimenta anche la fede. 
La sfida è la conseguenza della crisi che la sua relazione con Flora sta attraversando per via di una “pecca” non trascurabile, che segna la prima, vera, frattura nel loro rapporto (apparentemente consolidato da tre mesi di convivenza): Arturo “per amore” segue la sua compagna, fervente cattolica, a Messa e lì Flora si accorge che, durante la liturgia, lui strascica frasi senza senso, risponde in maniera automatica, non mostra di essere un vero credente.
“Ma tu credi in Dio?” - gli chiede. “Come tutti” - vagheggia lui. “Sei cattolico, sì o no?” Arturo si dichiara “quasi” cattolico e, al culmine di un confronto in cui viene messo alle strette, lei gli ripete, scoraggiata: “Credi in Dio?” - “Diciamo che ci spero”.
Questa risposta dà inizio alla Guerra Fredda fra i due.

Ecco perché, alla fine del capitolo 11, a metà libro, Arturo prende una solenne decisione: 

Osservai con attenzione il Calendario di frate Indovino appeso accanto al frigo, mi avvicinai e ragionai: “Lei mi vuole cattolico praticante. Bene, allora praticherò la strategia dell’opossum 2.0! Oggi è il primo del mese, da oggi fino a tutto il mese… no, forse è troppo… da oggi fino alla terza settimana del mese io sarò un uomo profondamente cattolico.

Ciò che Pierfrancesco Diliberto racconta prima e dopo questo punto di svolta è l’esatta trasposizione letteraria del suo alter ego televisivo, il Pif che, mentre leggo, sento parlare con quella tipica voce molle e che vedo con la faccia da fesso (tutti punti vincenti, che hanno reso famoso il suo personaggio pubblico, ma che percepiti dentro un libro sembrano solo caricaturali), mentre guarda inebetito una vetrina di dolci, elemento ricorrente nella narrazione (non a caso, è davanti a un frutto di pasta di Martorana che Arturo conosce Flora) o mentre gioca a calcetto nella squadra composta da colleghi di lavoro, compreso il capo, tutti rigorosamente credenti.

È Pif quando descrive la “Sindrome del karaoke”, nelle partite:

La fortuna dei portieri, in queste partite, è nell’avere a che fare con dei giocatori, e in particolare modo con degli attaccanti, affetti da quella che possiamo definire la “sindrome da karaoke”, molto diffusa nel mondo dei campi di calcetto. Come quando nei locali chi prende il microfono pensa di essere Freddie Mercury e con una certa sicurezza, alla domanda “che canzone vuoi cantare?”, opta per quella più difficile in assoluto da eseguire, così l’attaccante da calcetto con gli amici pensa di essere Diego Armando Maradona. E quindi, davanti alla porta, è come se prendesse il microfono e dicesse: “Io canto Bohemian Rhapsody”, per poi sparare alta la palla. E tu portiere ti potrai vantare di non aver preso neanche un gol.

È Pif quando racconta la Via Crucis in cui Arturo sostituisce, nel ruolo di Gesù Cristo, Tommaso (il capo, infortunatosi poco prima dell’evento), con gag che strappano qualche sorriso, nonostante la blasfemia giustificata dalla volontà di conferire comicità alle scene: come quella in cui la Santa Veronica (impersonata da Flora, nella fase in cui lui, ancora, vuole conquistarla) porge a Gesù un panno di lino affinché si asciughi il viso coperto di sangue e sudore e lui, in preda a un raffreddore cronico, che lo mette in difficoltà perché gli fa gocciolare il naso tutto il tempo, afferra il panno della pia donna e lascia lì l’impronta del suo muco o quella finale in cui, all’improvviso, compare Tommaso e Gesù, in croce, dice: “Tommaso Tommaso, perché mi hai abbandonato”, dando il colpo di grazia alla sua pessima performance.

È Pif quando descrive con pedanteria la composizione di alcuni dolci: cannoli, “sciù,”, iris, cartocci; ricotta che diventa sugo con cui fare la scarpetta, ricotta infilata in un tunnel scavato in una brioche allungata, che fuoriesce dall’altra parte quando le dai un morso; dolce alla ricotta, fritto per il purista o al forno, croccante, riempito di pezzi di cioccolato, su cui a volte si trova una strisciata di cannella. 
(La sensazione è di soffocare sotto montagne di crema, zucchero e calorie.)

Vedo sempre Pif quando, per dimostrare la conversione di Arturo e dare seguito al solenne impegno preso, si spinge fino al grottesco: aiuta in ogni modo possibile un paese distrutto dal terremoto, interrompendo un importante giorno di vacanza programmato con Flora e lasciando addirittura la propria auto a disposizione delle persone che hanno subito il dramma.
Quando torna a recuperarla, Arturo diventa il protagonista della rivisitazione in chiave moderna di una famosa fiaba dei fratelli Grimm:

... dietro di me si formò, capitanata dal sindaco, una piccola coda di persone che andava via via assumendo l’aspetto di una processione. Al posto della statua del santo, c’ero io. Il nostro passaggio era accompagnato da un coro di “grazie, angelo”, seguito da applausi e foto. Senza rendermene conto, cominciai a salutare come il Papa, arrivando perfino ad accennare una timida benedizione.

Ma questo Pifferaio magico, alla fine, nonostante l’intento di dare leggerezza a un argomento serio, conduce i lettori, a suon di sciù alla ricotta, dritti verso il mare di ovvietà in cui annegheranno.
Perché, forse, una storia del genere poteva essere una brillante sceneggiatura, ma non assumere la forma letteraria di un romanzo. 

Nel romanzo le battute risultano infantili, dal “Bond, James Bond” (la frase-codice per identificare l’atto sessuale), alla necessità di aprire una parentesi sulla “tecnica della cassata Pac-man”; le coincidenze sono tutte improbabili, anche la conclusione arriva in modo scontato, con una morale sul valore della fede cristiana spiattellata qua e là, senza alcuno sforzo di riflessione profonda su quello che, con la storia, Pif avrebbe potuto dire. 
E tutto si riassume nel pensiero rivolto all’anziano signore, che ama prendere il sole nudo nella terrazza di casa sua e organizzare festini a sfondo sessuale, rendendo impossibile all’agenzia immobiliare per cui lavora Arturo la vendita dell’appartamento di fronte:

“La fede ti porta ad avere una vita retta, in piena conformità alle regole, rispettosa del prossimo. Ma guardi un attimo questo paese che si dichiara cattolico. Mi sembra acclarato che non sia così. Se fosse vero, saremmo un paese civile. Perché il pensiero fondamentale che accompagna le azioni degli italiani è: futti, futti, che Dio perdona a tutti! C’è sempre la misericordia di un Dio misericordioso che ci salverà. Se la vivi così, la fede, è molto facile essere cristiani. Abbiamo preso tutto quello che ci interessa, la parte più facile, e abbiamo lasciato quella più impegnativa. Tanto il prete ci perdonerà”.

Io ho trovato il libro di Pif deludente: una piccola, immatura, prestazione rispetto alla maturità che avevo riscontrato nella sceneggiatura del suo film.
A questo punto, dopo avere vinto il David di Donatello e il Nastro d’argento come miglior regista esordiente, mi auguro che al buon Pierfrancesco Diliberto non venga in mente di tentare anche la conquista del Premio Campiello Opera Prima!



  







28 commenti:

  1. Ma solo a me non piace nessuno delle Iene?
    Così come non mi piace il loro modo di fare "giornalismo"?
    Di Pif, pensa, ho trovato noioso anche il tanto osannato film vincitore di premi. Un abbraccio e buona domenica.

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    1. Le - prime - Iene mi piacevano di più, devo dire, adesso un po’ meno; un tempo c’erano inviati straordinari: per me Pif lo era, come Enrico Lucci, un altro stralunato di grande intelligenza.
      A me “La mafia uccide solo d’estate” è piaciuto molto, ancora di più la serie televisiva. Però, onestamente, sapere fare bene qualcosa non vuol dire essere bravi in tutto.

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  2. Non guardo la TV e quindi non conosco il personaggio televisivo. Di questo libro ho sentito parecchio parlare e avevo una mezza di idea di leggerlo. Fino alla lettura del tuo post.

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    1. Ciao Andrea, benvenuto.
      Forse ti salverebbe proprio il fatto di non conoscere Pif come personaggio televisivo: la lettura risulterebbe meno condizionata e potrebbe essere più godibile. Dico che, senza aspettarsi il capolavoro, questo potrebbe essere un libro da metropolitana o fila alle Poste.

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  3. un altro libro per venditori di fumo, destinato a soddisfare palati male assortiti. la bellezza (dei libri) è nella mente di chi li legge. lanciarsi in opere letterarie sembra essere una moda a cui sempre più individui aderiscono, fino al punto di fare di un libro un peccato di vanità

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    1. Sono d’accodo: certe volte è proprio un peccato di vanità, come se fosse obbligatorio, nel corso di una carriera, tentare ogni strada percorribile. Poi c’è chi, dall’altro lato, in questo caso una casa editrice, non può lasciarsi sfuggire l’occasione di sfruttare un nome che non deve fare fatica a portare a conoscenza del pubblico e che garantisce facili entrate.
      Io mi sono tolta il dubbio e il mio palato ne ha risentito. 😕

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  4. Io adoro Pif dai tempi de Il Testimone (mentre non l'ho visto ne Le iene e nemmeno nel suo film). Mi piace la sua maniera scanzonata di fare domande inopportune, ma con curiosità e meraviglia, se necessario anche con polemica.
    E ti dirò che quasi quasi m'è venuta voglia di leggerlo, proprio per i paragrafi che hai citato, che leggo anch'io sentendo in testa la sua classica vocina impertinente.
    Per chi non lo conoscesse in video, questo è uno degli episodi dell'ultima stagione de Il Testimone, Pif che insegue per una settimana Roberto Bolle. Il confronto, anche fisico, tra i due è esilarante per come lo racconta Pif. Credo di averla vista all'epoca con le lacrime dal ridere.
    http://www.mtv.it/video/lfvra0/il-testimone-s08e01-roberto-bolle

    Ma Pif non è solo comicità. Suo è un documentario molto bello sul Bhutan e sul loro GNH, Gross National Happiness, ovvero l'indicatore della felicità della popolazione (che Pif ha tradotto in PIF, Prodotto Interno Felicità :D )
    http://www.mtv.it/video/v93muy/il-testimone-s08e05-alla-ricerca-della-felicita-pif-bhutan

    Insomma, la stoffa c'è, eccome. Ma scrivere per la televisione non è paragonabile a scrivere un romanzo...

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    1. Sei molto più informata di me sull’attività prolifica di Pif e non conoscevo nessuno dei tuoi link: ne approfitterò subito per vederli e so già che mi piaceranno, perché questo è il Pif che anch’io apprezzo tantissimo. Ed è stato il motivo che mi ha spinto ad accettare la proposta di lettura di Sandra. Però, “leggerlo” non è come “vederlo” in azione: è tutta un’altra cosa. Non posso dire di essere totalmente sorpresa, un po’ me lo aspettavo, di solito questi personaggi trasferiscono la loro impronta su tutto ciò che fanno, però confidavo in una storia più profonda. Nella scrittura, Pif perde molto del fascino che ha sempre esercitato su di me e davvero mi piacerebbe che questo fosse solo un suo “incidente di percorso” e che continuasse, piuttosto a fare, le cose che gli riescono veramente bene.

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  5. Come diceva l'omino della pubblicità Bialetti: "Sembra facile"! :) A quanto racconti Pif si è cimentato in un genere che non gli è risultato congeniale. La stessa cosa accade a grandi autori di romanzi: a volte hanno provato a scrivere sceneggiature cinematografiche e hanno fatto più danni che altro.
    Mi permetto di aggiungere che anche grandi storici sono pessimi romanzieri.

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    1. Sì, capisco che esistano artisti poliedrici e che si voglia sperimentare la propria arte in altri campi, ma riconoscere qualche limite sarebbe una bella attestazione di modestia (e non è detto che Pif non si renda conto di avere dato una prova deludente come scrittore.) Certo, leggendo qualche critica, ho trovato molte opinioni positive... mica glielo posso dire io: “Pif, lascia perdere la scrittura, non è cosa tua!” 😁

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  6. Sai già che ero scettico su Pif, da oggi lo sarò ancor di più (non solo come scrittore ;-)

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    1. Sì, se già non piaceva prima, con questo libro non è che Pif rischi di fare cambiare idea! 😅

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  7. Un libro che non avrei mai letto, come ti accennavo, se non erro, in un precedente post.
    Meglio così, allora.

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    1. Confermeresti la tua idea: se Pif non ti piace, non c’e modo di farti ricredere con questo libro. Dunque meglio così, decisamente!

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  8. Condivido questa analisi e ti ringrazio per l'approfondimento, abbiamo vissuto momenti contemporanei di vero stupore in negativo. Alla prossima scelta, spero più felice, ma in effetti il margine di miglioramento è assai ampio

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  9. non ho il piacere di conoscere Pif o solo di vista televisiva.
    E' un bell'uomo dice la mia lei io sinceramente di uomini non me ne intrndo. Ho letto tutta la pagianata con i commenti e tutti non sono entusiasti di questo personaggio. Spero si guadagni da vivere onestamente il resto sarà ai posteri...
    Mi hai costretto a comprare il libro però.

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    1. Ciao Andrea (oggi è il giorno del “benvenuto” agli Andrea ☺️), sai che tutto sommato sono contenta di averti costretto a comprare il libro? Perché lo scopo di queste chiacchiere in libertà non è dare addosso all’autore poco apprezzato, ma conoscere anche le opinioni altrui, capire se e quanto si è stati esagerati, se il giudizio è condivisibile. Insomma, il mio è un invito a farmi sapere come sarà per te questo libro, quando (e se) finirai di leggerlo. 😉
      E la tua lei ha ragione: Pif non è male! 😛

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  10. Ho sempre guardato poco le Iene, solo ogni tanto facendo zapping, pensa che ho scoperto Pif quando è andato da Fazio a presentare il suo film La mafia uccide solo d'estate, film che mi è piaciuto parecchio per il modo nuovo di affrontare un argomento così importante. Secondo me Pif in TV rende bene e mi piace, ma questo non garantisce che sia bravo anche scrivere. Non credo che lo leggerò, ma non per il tuo post (o quello di Sandra), ma perché, almeno per il momento, non mi attira la storia. Mai dire mai, però.

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    1. Con quel film, Pif mi ha sorpresa molto: ero abituata a vederlo cazzeggiare e, pur capendo che il suo era un ruolo che comunque nascondeva intelligenza, non immaginavo potesse dare una lettura così diversa, particolare e commovente della mafia.
      Questo libro, però... 😖

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  11. A me pare che non abbia fatto altro che trasporre in romanzo quel suo fare finto scanzonato stra-premiato che qui finalmente mostra tutti i suoi (non accreditati)limiti.non mi piace,se non si e' capito.

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    1. Sì, nel romanzo il protagonista sembra Pif travestito da agente immobiliare. Ma, alla fine, credo sia normale: un personaggio così connotato, che il pubblico conosce proprio per quelle sue caratteristiche, difficilmente si libera della propria maschera quando crea dei soggetti, che siano televisivi o di altra natura. Forse, mi rendo conto di avere preteso molto da lui (la verità è che io pretendo molto dalle mie letture, in genere!)

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  12. Sono riuscita a leggere solo una ventina di pagine del libro, poi l'ho abbandonato. Che dire? Non sono mai stata una sua fan, a pelle non mi sta simpatico, perciò ho opposto scarsa resistenza quando gli occhi hanno voluto passare a leggere altro...

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    1. Ti capisco, almeno io aveva la spinta del gradimento del personaggio: a me Pif piace molto.
      Grazie, comunque, per avere provato a condividere la lettura con noi!
      Apprezzo la buona volontà. 😁

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  13. Non so, pur non avendo letto il libro, mi viene da dire che in fondo Pif fa semplicemente il suo lavoro. Non è un caso che le sue sceneggiature piacciano decisamente di più, secondo me non si prende neppure sul serio come scrittore. Rivendica un proprio modo di fare e scrivere, che io per esempio come te non preferisco. Chi apre un suo libro, secondo me deve sapere cosa aspettarsi. :)

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    1. È vero, sapevo cosa aspettarmi, cioè immaginavo che potesse rimanere nel suo stile, però, non lo so, ha raggiunto livelli di superficialità che pensavo dovessero essere superati in una prova narrativa, perché ci può stare in una sceneggiatura, dove attori, contesto visivo e battute rendono bene un soggetto, ma con le parole scritte hai una responsabilità maggiore e se non hai preso sul serio la scrittura, vuol dire che non le dai importanza. È stata un’occasione persa: proprio perché stimo Pif come autore, speravo in qualcosa che dimostrasse la sua intelligenza e mettesse in risalto le sue capacità.

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  14. Complimenti per la costanza! Sei riuscita a finirlo :D
    Spero che il prossimo libro ti regalerà emozioni positive.

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    1. Con le letture condivise sono più ligia. In realtà li finisco sempre, i libri, anche quando mi convincono poco: rare volte li abbandono e ciò accade quando sono veramente esasperata.

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