domenica 22 ottobre 2023

Rispolverare il "decalogo del lettore" di Daniel Pennac

Già, ogni tanto bisogna tornarci, a quei diritti del lettore decantati dallo scrittore francese Daniel Pennac nel saggio “Come un romanzo” e spesso citati, perché non dobbiamo mai dimenticare che la lettura è un piacere che la mente si concede, non lo sfogo di un autolesionista. 

Negli ultimi tempi, sarà che le mie esigenze si sono radicalizzate, sarà che ho finalmente capito che la scrittura contemporanea (tranne in rari casi) mi entusiasma poco, ho beccato romanzi che avrei volentieri usato come schiaccia zanzare o come stabilizzatori di tavoli traballanti... e mi dispiace parlare così di un oggetto - il libro - verso cui ho una feticistica venerazione. 

Il decalogo del lettore, allora, interviene a mettere le coscienze a posto; ci suggerisce di dare sempre e comunque priorità alla libertà di godere o meno di una lettura, senza vincoli legati al “si deve fare”: il diritto di non leggere? Sacrosanto. Quanti odiano, durante gli anni della scuola, le letture imposte, vuoi per ragioni di studio (e in questo caso, almeno, giustificate), vuoi perché i professori sono pessimi consiglieri? (suggerire la lettura estiva di un libro a piacere di Fenoglio,... ma vogliamo parlarne?) Sacrosanto decidere che è meglio la tv o fare una passeggiata o preparare un dolce o qualunque altra cosa, se di leggere non si ha voglia. Ma si può anche decidere di iniziare una lettura e poi skippare le parti reputate inutili, noiose, lunghe, faticose. Il diritto di saltare le pagine è anch’esso indiscutibile, sebbene non mi piaccia immaginare un lettore che passa oltre se una pagina non lo convince: non so, mi sembra che questo possa pregiudicare il giudizio finale sul libro. Io, in passato, l’ho fatto: ero giovane e quando lessi “Guerra e pace”, molta guerra l’ho mollata alle prime descrizioni di Tolstoj, ma oggi non lo rifarei. Ho attraversato incolume le infinite lungaggini descrittive di Proust, se le avessi evitate mi sarei persa tutta l’unicità (e la bellezza, che ve lo dico a fare) del suo stile. Pensate che il diritto di non finire il libro sia in qualche modo collegato al precedente? Non lo so, però questo lo sottoscrivo: non ho preso il brevetto di lettrice onnivora, anzi sono molto selettiva e quando mi metto in mano un testo, da questo pretendo se non proprio amore a prima vista, almeno un flirt che intervenga entro un quarto di lettura, altrimenti l’adieu è immediato e senza pentimento (aumentano i libri consumati fino a un tot di pagine e definitivamente archiviati). Il diritto di rileggere è fighissimo. L’ho fatto con “Anna Karenina”, “Madame Bovary”, “Delitto e Castigo”, “Alla ricerca del tempo perduto”, ma la soddisfazione maggiore l’ho provata quando decisi, qualche anno fa, che “I Promessi Sposi” meritasse un’altra chance. Relegato nel ghetto delle"esperienze da non fare mai più”, ho invece trovato forza e desiderio di rileggerlo, perché una cosa è  odiare Lucia Mondella (soprattutto quando si infilava in mezzo ai compiti da fare per casa o in un tema in classe d’italiano), un’altra è astrarre il capolavoro letterario dal contesto scolastico che ne mostrava tutti i limiti e rivalutarlo.

Ma vi siete accorti che ho riletto solo classici della letteratura (un caso?)


Non leggo qualsiasi cosa e, forse, questo mi penalizza; ogni tanto mi sono concessa questo lusso, ma sono state eccezioni, qui però non c’entra: non si parla di gusti personali. Diritto di leggere qualunque cosa vuol dire garantire un approccio alla lettura assolutamente individuale: che ognuno si dedichi al libro che vuole. Ecco che l’imposizione dei docenti di scuola superiore su certe letture obbligatorie non aiuta l’affezione a questa attività, così distante tra l’altro dagli interessi primari di molti giovani.

Flaubert ha creato un personaggio, Emma Bovary, che si è per così dire universalizzato, generando quella tendenza tipica delle persone insoddisfatte a vivere una vita non propria o a fantasticare di averne una come forma di evasione dalla realtà. Questo è ciò che si intende con il generico termine “bovarismo”. Trasferito nelle intenzioni di Pennac, esercitare il diritto al bovarismo significa sentirsi liberi di immedesimarsi appieno in ciò che si sta leggendo, di farsi trascinare, travolgere fino a perdere il contatto con la realtà. Io mantengo i piedi ben piantati fuori dalla storia che sto leggendo, ma acchiappo tutti gli input che mi suscitano un’emozione e me li porto dentro la vita reale. Un libro dovrebbe portare al bovarismo ogni lettore che lo ha scelto.


Il diritto di leggere ovunque è il mio preferito. Quando preparo la borsa, prima di uscire, penso alle chiavi di casa, al portafogli, al cellulare e al libro che sto leggendo. Lo porto con me dappertutto, perché so che mi servirà ovunque ci sia un turno da rispettare e un tempo di attesa: alle Poste, dal dottore, in metro, in Banca, dal parrucchiere; una volta l'ho persino tirato fuori dallo zaino durante la fila alla cassa di un supermercato (maniaca!) Ma vuoi mettere: invece di rigirarmi i pollici, guardandomi attorno con l'aria di chi sta pregando per non perdere la pazienza, m’affaccio, anche per un attimo, nella realtà parallela che sto vivendo e la sensazione è bellissima (vedi il diritto n.6).

Spizzicare il libro è un diritto. Non lo sapevo. Il diritto di spizzicare il libro sarebbe dare un’occhiatina qua, una sbirciatina là in testi ancora da leggere? Fermarsi su una pagina a caso e poi rimandare la lettura completa a un altro momento? Uhm no, questo mi appartiene poco. In verità, non ne ho afferrato il senso. Solo in alcuni contesti mi avvalgo del diritto di leggere a voce alta: lo faccio soltanto se necessario, come nei casi di lettura condivisa o quando rileggo ciò che ho scritto io, ma credo che questa fattispecie rientri in un’ipotesi differente. La lettura è un momento mio che vivo in assoluto silenzio. Solo gli occhi si muovono lungo le righe di un libro. 

E se non volete esercitare voi il diritto di tacere, qualcuno potrebbe spiegarmi il significato di quest’ultimo comandamento della lettura?





32 commenti:

  1. In una società in crisi anche i romanzieri sono scadenti e io leggo ancora l'Odissea.

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    1. Volevo avventurarmi anch'io, dopo avere apprezzato l'Eneide, grazie a mio figlio che l'ha studiata all'università e mi ha "costretto" a leggere il XII e ultimo libro. Mi è piaciuto talmente tanto che ho letto anche tutto il resto.

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    2. Se ti avventuri consiglio questa traduzione, previa lettura del saggio introduttivo, davvero illuminante.

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    3. Ottimo. Grazie per il consiglio.

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  2. Il diritto di tacere probabilmente è inteso come diritto di non scambiare parola con altri e fare del libro la sola compagnia. Del resto, poche cose esistono al mondo di così intime come leggere un libro.
    Amo il decalogo di Pennac e mi ritrovo in diverse delle sue "regole". Per il saltare le pagine, mi sono ritrovata a farlo due volte: leggendo (oltretutto anche riletto) Possessione di Antonia Byatt ho saltato tutte le pagine del poema in versi scritto da Ash. La scrittrice ha fatto davvero un gran lavoro di invenzione, ma quel poema in versi non aggiungeva nulla alla narrazione e penso che dedicarvi pagine e pagine non mantenesse vivo il ritmo della narrazione, perciò saltato. E poi questa estate, quando leggendo Daniel Deronda di George Eliot ho saltato almeno tre pagine di un lunghissimo dialogo del protagonista con un personaggio nel quale ritrova le proprie origini, ebraiche. Era una lunga dissertazione sul canone ebraico, segno di un grande studio da parte della Eliot, ma davvero ammorbante e poco funzionale alla storia, che di fatto procede alla grande qualche pagina più in là. Entrambi i romanzi sono poderosi, tomoni di diverse centinaia di pagine. Invece ho resistito con Victor Hugo e le sue lunghe dissertazioni in Notre Dame de Paris.

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    1. Chissà oggi, scrivere queste lunghe dissertazioni... gli editori neanche ci proverebbero a verificarne la validità! Una paura che ho, quando provo a leggere libri di una certa mole, è proprio quella di incappare in pagine e pagine e pagine che si dilungano inutilmente, una sensazione che ho provato un po' quando ho letto "La montagna incantata", che invece ho attraversato con grande nonchalance (e non ti cito La Recherche, perché lì per me non ci sono pagine saltabili :) )

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    2. Dimenticavo: il diritto di tacere secondo la tua interpretazione è plausibile; spesso parliamo della superficie di un libro, ma quello che ci ha lasciato dentro rimane a noi e non è nemmeno obbligatorio darne una spiegazione: tacciamo , appunto, com'è giusto che sia.

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  3. Per quanto riguarda la questione scuola, credo che l’imperativo educativo permetta di imporre letture sgradite.

    Mi fermo sui Promessi sposi. Non credo che il problema sia la metodologia (si dice che sia uno dei libri più studiati e meno letti che ci siano), ma proprio che per molti è l’età a essere sbagliata. Decostruire pezzo per pezzo con sussidi di lettura: sbagliato tout court, rovina il rapporto con un romanzo che secondo me, per come è scritto, rispetta ciò che dici, ossia il piacere della lettura. Allo stesso tempo non penso sia una buona idea darlo da leggere per intero a un liceale. O meglio, alcuni liceali hanno un’intelligenza superiore e sono in grado di leggerlo, goderlo e capirlo. Per gli altri... bisogna maturare un po’. L’ho letto a 26 anni, quasi tutto ad alta voce, e penso sia uno dei massimi capolavori della scrittura. A volte ne rileggo qualche pagina.

    A causa delle mie esperienze di scrittura riesco a mettermi nei panni di chi scrive. Credo che la fruibilità sia un criterio di giudizio da separare dagli altri criteri di giudizio di un’opera. Un libro può essere il gemito mal espresso di un’anima che ha bisogno di emettere qualcosa. Come quando un bambino fa un vagito di dolore o altro sentimento. Tocca a noi studiarlo, cercare di entrarci, capire cosa vuol dire, interpretarlo... In questi casi, dove va a finire il “piacere che la mente si concede”? Non tutto ciò che è scritto è scritto per blandire la mente del lettore. E anche volendo, non tutti ci riescono. (E quando ci riescono, è un potere pericoloso, penso alla propaganda...). Sono convinto che per molti il piacere della lettura sia quello della decostruzione, dello studio, del tirar fuori ciò che è sotto.

    Chi, come Manzoni, ha il tempo di lavorare assiduamente sia al singolo passaggio, limandolo fino alla perfezione (penso all’“Addio monti”... che meraviglia, la prima volta che lo lessi da lettore...) e allo stesso tempo di pensare all’intera struttura, ossia il concatenamento dei pezzi, per vent’anni? Il ragazzo era ricco di famiglia...

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    1. Oggi sarebbe impensabile scrivere alla Manzoni e forse è giusto così: se è vero che i tempi cambiano e che bisogna assecondare tale ovvio cambiamento, non potremmo mai pretendere di trovare libri di giovani autori con l"Addio ai monti". Infatti io che sono una vecchia conservatrice, rimango legata al passato con la sua bellezza attualmente difficile da trovare. :)
      Poi è vero che "studiare" I Promessi Sposi non è senz'altro come "leggerlo": la prima volta che mi sono dedicata alla sua lettura, senza dovere pensare a fare schede riassuntive o confronti, senza cioè farne tutta quella decostruzione di cui parli, ho scoperto anch'io quel capolavoro che di fatto è.

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  4. Guarda guarda, non ricordavo proprio questo libro che lessi chissà quando. Dunque il decalogo è qualcosa di molto divertente e al di là di spiegare l'ultimo comandamento, che potrebbe essere interpretato, oltre che nel modo in cui l'ha fatto Luz, anche come il diritto di non parlare del libro che si è appena letto perché frutto di una relazione intima che non vogliamo violare, mi piace condividere con te il mio personale utilizzo del decalogo. I diritti iniziali (saltare pagine, non finire un libro, spizzicare e poi abbandonare ) me li sono concessi relativamente di recente. Fino a una decina di anni fa mi sentivo in dovere di finire ogni storia, una vera tortura che per fortuna ho abbandonato. Il mio preferito è il diritto a rileggere che però da tempo no esercito, mentre era una mia sana o insana non saprei abitudine fino a qualche tempo fa. Il più Insensato per me è il diritto a leggere a voce alta: ho già le corde vocali abbastanza sollecitate, meglio evitare inutili strapazzi, e poi a che pro. Mi concentro lo stesso, non sto mica studiando! (Quando studiavo mi capitava spesso di dover leggere a voce alta). Il diritto al bovarismo per me è più che altro la bellezza di perdermi nel personaggio di una storia. Se ci pensi è una funzione utilissima per uscire dai nostri schemi e vivere per un po' nei panni degli altri. Qualche volta pulisce la mente. Comunque sia, Pennac è un grande!

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    1. Pennac è un grande, concordo!
      Anch'io trovo poco utile leggere ad alta voce, anzi paradossalmente mi distraggo di più. Ripeto, se leggo una cosa scritta da me ha un senso laddove mi serva a rivedere nel testo ciò che suona male, ma in un libro in lettura no, lo trovo scomodo. Il bovarismo è la condizione ideale in cui dovrebbe trovarsi il lettore di fronte a una bella lettura: quanto è rinvigorente immedesimarsi, uscire da se stessi per provare a vestire panni nuovi... hai proprio ragione!

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  5. Negli ultimi anni li sto applicando praticamente tutti, non sono più un lettore "forte" come una volta, quantunque in Italia basti leggere più di tre libri all'anno per essere considerati lettori sopra la media.
    Sul diritto di tacere ho dei dubbi anche io, sicuramente è come dice Luz, sarebbe interessante chiedere lumi a Pennac in persona.

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    1. Anch'io vado più a rilento: a parte il tempo che non riesco a trovare per dedicarmi alla lettura in maniera spassionata, ho proprio difficoltà a leggere qualcosa che mi piaccia veramente. Abbiamo messo a tacere il diritto di leggere, direi! :)

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  6. Simpatico il decalogo di Pennac, ci si ritrova sempre in qualcuno dei suoi diritti. Io un tempo leggevo di tutto, poi sono diventata molto più selettiva e a volte mi prendo il piacere di piantar lì un libro se non si crea quel feeling accattivante che te lo fa amare non dico dalle prime pagine, ma quasi.
    Sono invece un'accanita rilettrice, perché spesso rileggere non solo ti fa cogliere aspetti che magari ti erano sfuggiti, ma perchè è una gioia immergersi in certe atmosfere che gli autori sanno ricreare. È come vivere mille vite!

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    1. Ho scoperto la rilettura da poco. Prima pensavo che leggere sempre roba nuova mi permettesse di conoscere più cose, invece, negli anni, mi sono resa conto che la stessa nuova conoscenza può arrivare anche da cose lette, ma rilette con uno spirito diverso o a seguito di altre esperienze. Lo trovo ugualmente bello.

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  7. Probabilmente "Il diritto di tacere" significa che il lettore ha il diritto di non condividere le sue opinioni sui libri che ha letto. La lettura è un'esperienza personale e soggettiva e ogni lettore ha il diritto di interpretarla come vuole. :) Il mio preferito è il diritto di rileggere che, per quanto riguarda le mie letture, è più un obbligo che un diritto. Ho riletto circa 14 volte "Le Confessioni" di Sant'Agostino e, ad ogni lettura, sono sempre emerse cose e significati nuovi.
    Un saluto

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    1. Ti capisco: ho letto Le Confessioni due volte e la rilettura è stata determinante (non nascondo che ho spesso il desiderio di tornare su alcune parti che mi hanno lasciata il segno) e pensa che leggo la Bibbia a ciclo continuo ormai da tre anni: sono quelle letture che non stancano mai (io le vivo anche come forma di preghiera).
      Sul diritto di tacere, credo che tu possa avere ragione: tenere le opinioni sul libro per sé è plausibile, anche perché condividerle spesso significa anche scontrarsi con chi, avendo avuto un'esperienza diretta, nega il piacere di ciò che magari si è molto apprezzato.

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  8. Io stavo per mollare le pagine di riflessione di Tolstoj in Guerra e pace, ma no, mi sono incaponita perché volevo proprio capire dove andava a parare. E alla fine, dopo avergli rivolto i peggiori improperi, ad oggi, con due guerre assurde alle porte di casa, beh, ha ragione lui. In tutta la linea. Andrebbe fatto leggere a scuola, alle superiori. almeno gli estratti più importanti, che a leggerlo intero ci vuole tutto il quinquennio!!
    Sul diritto di tacere, bisognerebbe chiedere a Pennac, perché da un lato potrebbe essere il diritto di non dare spiegazioni delle nostre letture, perché ci piace questo e non quest'altro. La lettura è intima e il suo piacere soggettivo. Ma potrebbe pure essere il diritto di non "spoilerare" la trama, svelare l'assassino, raccontare il finale (forse più un dovere che un diritto).

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    1. Sul primo significato del diritto di tacere siete d'accordo tutti, il secondo mi piace... Non spoilerare, uhm, che poi a ben pensarci se lo vogliamo considerare un diritto, dovrebbe essere un'appendice al diritto di non dare spiegazioni, mentre in sé, forse, diventa più un dovere, in effetti! Vabbè, tanto abbiamo gli altri nove da esercitare!
      Ah, quel Guerra e Pace... A proposito di diritto di rileggere, mi sa che sto meditando di riprenderlo in mano! E ne riparliamo fra cinque anni, sì! :)

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  9. Mi piace molto questo decalogo del lettore, mi riconosco in tutti i diritti, mi sembrano tutti sacrosanti. Sul diritto di rileggere trovo che rileggere i classici (solitamente letti ai tempi della scuola, epoca in cui forse la lettura era meno amata) sia un’ottima occasione per valutare con maggiore consapevolezza verte letture. Leggere qualsiasi cosa é importante, leggere il libro che si vuole, ma anche non un libro, un giovane che legge fumetti, bene! Meglio leggere i fumetti che non leggere affatto, che poi i fumetti hanno una loro assoluta dignità e certi sono delle chicche incredibili (lo dice una che con Topolino e Paperino ha imparato molto bene dei concetti complessi spiegati in modo semplice, grazie ai meravigliosi “classici” Disney). Il diritto di tacere, mi riconosco in quello che afferma Luz, a volte mi immergo nel libro e voglio solo astrarmi e non parlare con chi mi circonda (hai presente in treno quando si parlava con le persone dello scompartimento, a volte il libro mi è servito per isolarmi perché non avevo affatto voglia di parlare…anche se non sempre il libro è uno scudo sufficiente).

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    1. Io per leggere ho bisogno di assoluto silenzio attorno, se no sono facile preda della distrazione: in un treno, con gente che mi parlotta accanto, sarebbe impossibile! :) Comunque ho notato che siamo più o meno tutti affezionati al diritto di rileggere: pensavo di essere strana io a volermi ributtare su cose già conosciute! E poi sicuramente è vero che purché si legga va bene qualunque cosa, un giornale, una rivista... Ora che i fumetti si chiamano grafic novel hanno pure una dignità diversa! :D

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  10. Mi manca "il diritto di sottolineare":) perché si ,quando leggo una matita mi accompagna nelle letture perché so che qualche rigo mi rapirà o meglio sarò io a rapire qualche rigo con la sottolineatura...

    Un po come quando si va a funghi,ad asparagi ,che soddisfazione per il palato spirituale :) e poi perché no è un buon richiamo al "diritto di rileggere",rifare gli stessi passi ,sentire lo stesso moto nell'anima,avendo conosciuto il senso benefico..
    Un saluto a te Marina e ai tuoi fedeli lettori

    L.

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    1. Oh sì, adoro il diritto di sottolineare. Rigorosamente a matita, però e poi il diritto di aggiungere segnetti convenzionali: asterischi, croci, lettere identificative di qualcosa... I miei libri raccontano anche il modo in cui li ho letti. :)

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    2. Io sono un estremista e uso l'evidenziatore!

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    3. No no mi rifiuto: l'evidenziatore solo nei libri di studio :D

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  11. Ci sono il salto in alto e il salto in lungo, non il salto della pagina!

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  12. Il diritto di non finire un libro (brutto) davvero sacrosanto, come anche il diritto di non rileggere qualcosa anche se ci è èiaciuta infinitamente.. troppo il nuovo che merita di essere accolto.. ;)

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    1. E pensa che io, pur avendo la libreria piena di libri da leggere, accarezzo ancora le vecchie letture e vado a cercarle come il viandante che, dopo un lungo viaggio, fa ritorno a casa! :)

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