Guardare un telegiornale, ormai, è diventato un incubo. La cronaca nera, come al solito, deprime, ma adesso anche seguire le notizie di politica interna ed estera è angosciante: una tortura sentire blaterare i politici, conoscere le attività svolte da chi prende le decisioni nel nostro misero Paese e gonfiarsi di cattivi sentimenti, nella consapevolezza che stiamo vivendo un orribile momento storico. Questa è la ragione per cui salto gli appuntamenti con l’informazione quotidiana e cerco distrazioni che mi facciano immaginare ancora possibile un mondo diverso, ma a Monaco, durante i primi giorni dopo il trasferimento, purtroppo non avevo scelta: in hotel, il televisore prendeva solo canali tedeschi e l’ultima spiaggia era un’emittente inglese, la TRT World, dove le notizie erano quai esclusivamente focalizzate sulla tragedia di Gaza.
Non mi ero mai concentrata sul serio, come nei giorni in cui sono stata costretta a seguire la tv straniera, sulle atrocità in corso in quella terra dimenticata da Dio. Leggo articoli sul web, cerco di tenermi aggiornata sulla situazione, mi riempio di emozioni negative quando vedo le strette di mani di ministri, plenipotenziari e, peggio, di Capi di Stato, investiti del ruolo di finti mediatori e ancora più di finti agevolatori di una pace che nessuno realmente vuole. Il tempo passa e non cambia nulla e io per dieci giorni sono stata spettatrice (passiva come tutti) di uno degli spettacoli più terribili, perché reali: le sofferenze inflitte alla popolazione palestinese.
I servizi mostravano h24 l’abominio che si sta consumando nella striscia di Gaza, i bambini denutriti che giacciono come cenci su letti di fortuna, le donne che sembrano tante Madonne con i loro piccoli Gesù tra le braccia, rassegnate. Adesso li ho continuamente davanti agli occhi. Mi rivolgo al buon Dio e mi pento subito dei pensieri che formulo. Allora la mia preghiera si trasforma in una supplica: non puoi salvare il mondo dalla sua cattiveria, ma puoi convertire i cuori più duri. Hai un esercito di angeli che possono logorare il cervello dei peggiori uomini sulla terra fino a trasformare le loro cattive azioni in opere buone. Lo hai fatto con Saulo, l’implacabile persecutore dei cristiani. Era il più feroce, eppure lo hai sorpreso sulla via di Damasco, lo hai accecato, gli hai mostrato chi sei e cosa volevi da lui e il zelante fariseo si è convertito, diventando il grande San Paolo, l’evangelizzatore e il martire che tutti conosciamo. Ma perché non folgori la Meloni sulla via di Palazzo Chigi? Perché non la fai inciampare mentre caracolla sui tacchi che le tolgono qualche centimetro di bassezza e le mostri cosa significa perdere il privilegio del potere a favore del Prossimo che chiede aiuto? Perché non folgori Trump sulla via dei suoi inutili viaggi diplomatici in giro per le Nazioni? Non dev’essere difficile farlo cadere dal suo cavallo, il “trono” da cui esercita la supremazia sul mondo: manda direttamente Michele, l’Arcangelo a capo degli eserciti celesti! Una settimana di cecità anche per il presidente americano e il risveglio in un corpo con un’anima convertita, forse, gli regalerebbe una vita meno vanagloriosa. Su Netanjahu, sono certa, la conversione non attecchirebbe, per lui solo la folgorazione, subitanea... e definitiva.
Provo rabbia, schifo, impotenza e a Dio chiedo anche di perdonare la distrazione che cerco, dopo tanto orrore.
Guardare le immagini della sofferenza mi fa male: c’è qualcosa che si piazza in mezzo alla mia gola e convoglia il disagio sulla soglia degli occhi. Così li chiudo per non vedere le centinaia di braccia tese a pietire, con un catino di latta tra le mani, una brodaglia che dovrebbe alimentare i corpi emaciati di chi sta morendo di stenti e la ressa attorno ai pacchi lanciati col paracadute come doni (letteralmente) piovuti dal cielo. Più di tutto non riesco a vedere i bambini che piangono, depredati del loro diritto di essere felici. Allora mi volto, cerco un diversivo, finisco per spegnere il televisore. Ho paura che ci riduciamo tutti a questo, perché l’impotenza genera frustrazione e la frustrazione porta all’indifferenza.
Viviamo le nostre vite e riserviamo alla tragedia umanitaria in corso (come a tutte le altre di cui si parla meno) cinque minuti di un telegiornale, forse solo poche righe di riflessione, come queste con cui credo di alleggerirmi del peso che porto nel cuore. E mi chiedo: siamo tutti spettatori inermi e chi potrebbe - dovrebbe - fare qualcosa trova mille pretesti per sollevarsi dalle proprie responsabilità e giustifica le proprie azioni come necessarie, per cosa? Per un solo Dio riconosciuto: il potere.
E allora tenetevelo, questo dannato potere, tenetevi strette le vostre ambite poltrone, siate autori o complici delle nefandezze compiute, ingrandite la vostra supremazia, rubate territori, sfollate, occupate con la forza e la violenza, falcidiate uomini donne e bambini, distruggete vite e dignità, mostratevi risoluti e convinti di essere dalla parte giusta, contro ogni evidenza, contro ogni implorante speranza di pace, sentitevi onnipotenti..., ma non siete eterni e un giorno tutto quello per cui vi siete così ferocemente battuti, quello che vi sarete conquistati col sangue degli altri, non varrà a nulla.
“Anche se salissi in alto come un’aquila e ponessi il tuo nido fra le stelle, di là ti farei precipitare”. Sono le parole del profeta Abdia (Ab. 1, 3-4).
Questo vi auguro: di precipitare, maledetti!
In effetti quella che proviamo tutti è una sensazione di impotenza, per questo e per altri disastri umanitari che accadono in varie parti del mondo. Si comincia persino a dubitare che se ne verrà mai a capo...
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