martedì 6 giugno 2017

La "buona scrittura" secondo me


Se parliamo di scrittura, la mia mente lavora in modo differente nell'arco delle ventiquattro ore: quando mi sveglio, alle sei del mattino, il cervello riposato è un contenitore vuoto che si riempie di idee; nel pomeriggio si pone in standby oberato di contingenze giornaliere; la sera, poi, si riattiva, ma è carico di rifiuti da smaltire. Quei rifiuti sono i dubbi che ho, le domande che mi pongo, le soluzioni che non trovo, il problema che resta. Alla fine è la notte a fare cestino mentale e l'indomani il ciclo si ripete. 
In pratica, il mio ritmo circadiano ruota attorno a un'intensa attività cerebrale di elaborazione dati, lettura, ricerca di informazioni, riflessioni, ragionamenti su fatti e cose, risultati.

È da un po' di tempo che sono in fissa con l'idea di  "buona scrittura", un concetto che ho riadattato  a un'esigenza che sto cominciando ad avvertire in modo concreto quando scrivo.

In genere, la buona scrittura è quella elencata nelle regole: le idee non devono solo stupire, ma trovare un'organizzazione logica; il linguaggio non dev'essere solo fluente, ma comunicare; le parole non devono soltanto trovare una corretta collocazione in un contesto,  ma rendere solida ed efficace una struttura.
Tutto giusto, tutto vero. E io mi soffermo proprio sul ruolo che hanno le parole

Affidiamo a quelle scritte il compito di dire bene le cose. Quante frasi che, formulate nel giusto modo, si fanno esempio, convincono, centrano l'obiettivo. Scrivere rende impeccabile la comunicazione e questo è il fascino del sapere usare le parole, ma è anche il suo stesso limite. Già, ho detto limite, perché quando si scrive per dire qualcosa non si può sbagliare, usare parole a sproposito può creare dei nemici, veicolare in modo distorto un messaggio, può capovolgere un pensiero, arrivare al destinatario nel modo errato. E del resto, ce lo insegnano gli antichi latini: verba volant scripta manent. Le parole viaggiano nell'aria, si perdono, si mescolano ad altre e risultano irrintracciabili nel tempo; gli scritti, invece, sono sentenze senza appello.

Scrivere è una responsabilità. Oso: è proprio una fregatura.
Vorresti rendere partecipe della tua felice intuizione il lettore, invece il lettore non afferra il senso delle cose che hai scritto e ne fa un'arbitraria rilettura.

Se pensiamo a una conversazione verbale, le parole usate si avvalgono di un sussidio utilissimo, sono aiutate dal linguaggio del corpo, da tutte quelle espressioni, quella gestualità, che sono codici per capire e interpretare un pensiero. Si dicono cose e si ha la possibilità di spiegarle meglio, si può rimediare a un malinteso, si possono chiarire dubbi e tutto nell'immediatezza dello scambio fatto a voce. Ma quando si scrive lo si fa (o lo si dovrebbe fare) con lo scopo di essere capiti subito. Gli errori si pagano.
Il messaggio non deve generare equivoci, dev'essere chiaro, deve riuscire a portare chi legge sulla stessa lunghezza d'onda di chi scrive, farlo entrare in quei pensieri. Non ci sono gesti, espressioni, inflessioni particolari del tono di voce che tengano: l'unica voce che parla è quella delle parole scelte, fissate sul foglio. Parole che dicono ciò che gli occhi non possono confermare, parole che comunicano quello che i gesti non possono spiegare.
Le storie che scriviamo sono fatte di parole che raccontano.
E raccontare non è cosa semplice, farlo bene una fatica doppia.

Me ne sono accorta nel tempo, me ne sono accorta scrivendo, leggendo, frequentando il web. Scrivere bene non è soltanto sapere sfruttare idee interessanti per stupire, avere una voce che emozioni, studiare l'effetto di certe frasi, conoscere a menadito le regole grammaticali e ortografiche. 
Scrivere bene è anche fare procedere il lettore lungo lo stesso asse mentale che ha portato alla creazione di una storia. 
In sostanza, per me, la "buona scrittura" è l'arte di chi sa farsi capire.

Se il lettore non coglie l'intento di chi scrive, allora lo scrittore deve porsi delle domande, deve riguardare il percorso fatto, comprendere dove si è reso incomprensibile e come intervenire. Da chi legge in anteprima un'opera (amici, parenti, beta-reader) non bisognerebbe aspettarsi il complimento sullo stile perfetto e il linguaggio curato, ma la sincerità su quanto e cosa si è afferrato delle cose lette.
È tutta lì la vera difficoltà: avere una grande idea in testa ed essere in grado di rappresentarla, di trasmetterla al lettore nella stessa maniera e con la stessa forza in cui la si trasferisce su carta.

Questo è il mio vero obiettivo di scrittura: non essere costretta a chiarire le ragioni sottese alla storia che ho ideato e alla forma che le ha dato. Sono le parole che devono fare bene il loro mestiere, devono accreditarsi da sole senza bisogno di una balia che le giustifichi e le spieghi. E io, ahimè, spesso non so ancora vestirle di autonomia.

64 commenti:

  1. Concordo. Farsi capire è la soglia che permetter di entrare in contatto con il lettore. Usare la forma giusta, la tecnica più affine e far veicolare il messaggio senza ulteriori spiegazioni. Arrivare al cuore degli interessati con le parole è arte, di pochi, un'arte che paga con la soddisfazione di venire letti e compresi. L'autore che fa solo sfoggio di eloquenza, oggi come oggi, non è più apprezzato.

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    1. Io penso che una cosa che sembra scontata, alla fine, non lo è affatto.
      Essere contenti di scrivere bene accresce l'autostima e avere questa consapevolezza è un aiuto, ma poi è il modo giusto in cui arriviamo al destinatario che deve farci dire: "ho fatto un buon lavoro"

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  2. Ecco cosa succede quando cerco di tradurre una buona idea in un racconto:
    https://michelescarparo.files.wordpress.com/2017/06/gattoteoriapratica.gif

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    1. Traduzione visiva perfetta delle 813 parole usate per il post. 😄

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  3. "Sono le parole che devono fare bene il loro mestiere, devono accreditarsi da sole senza bisogno di una balia che le giustifichi e le spieghi".
    É un concetto essenziale per la scrittura. Il problema è che talvolta non viene compreso da tutti allo stesso modo. Un mio ebook è stato compreso pienamente (nel senso: così come volevo esprimermi io) da un solo lettore, mentre altri mi hanno detto (tutti): "Però il finale è troppo aperto".
    Il finale non era affatto aperto, era in troppo in sintonia con lo spirito del romanzo, tanto è vero che quell'unico lettore che lo ha capito ha saputo individuarne il senso senza che io gli dicessi nulla.
    Però, se la maggioranza mi dice "il finale è troppo aperto" significa che, evidentemente, è scritto in modo tale che molti non riescono a vederne il senso.
    E lì sorge il solito dubbio: per renderlo compatibile con il gusto degli insoddisfatti, devo snaturare la mia scrittura?
    Ahimé, che scelta difficile...

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    1. No, devi scriverlo bene!

      Helgaldo

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    2. Non è solo una questione di gusti: se su dieci persone nove lamentano un finale troppo aperto, è l'unico che lo ha capito l'eccezione e non viceversa. Questo non vuol dire che devi "chiuderlo, questo finale, e snaturare la scrittura, significa solo che forse devi rendere meglio l'idea che ti ha portato a lasciare aperte le possibilità.

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  4. Il ritmo circadiano dura 25 ore, quindi se lo seguissi dopo qualche tempo ti troveresti sfasata!
    Sulla comunicazione verbale secondo me il discorso è un po' più ampio: ovvero la CV molto spesso viene smentita dalla CPV e dalla CNV. Oppure queste due componenti, invece di enfatizzare la prima, la indeboliscono (comunicatore poco capace).
    Trovo interessante il discorso buona scrittura è l'arte di farsi capire. E' il senso della comunicazione efficace (e la scrittura è una forma di comunicazione): una comunicazione è efficace se raggiunge l'uditore nella percentuale di completezza il più alta possibile.
    Poi ci sono anche quegli autori che volutamente non vogliono farsi capire. ;)

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    1. Usavamo l'espressione "ritmo circadiano" ai tempi dell'Università, con i colleghi, quando non esistevano il giorno e la notte per studiare in vista degli esami. 😄
      Quella della comunicazione verbale, non verbale e paraverbale è stato oggetto di un tuo post legato a un racconto della tua raccolta "Arcani", da me molto apprezzato, me lo ricordo bene.
      Quella degli autori che non vogliono farsi capire mi pare una paraculata di chi spaccia come strategia stilistica un'incapacità. ☺️

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  5. Per quanto si possa fare esercizio di "buona scrittura", credo che questa sarà sempre "figlia" del nostro modo di parlare. Le nostre frasi, dette o scritte, non saranno mai molto lontane dal nostro modo di organizzare ed esporre i pensieri (i quali, a loro volta, non saranno mai molto lontani dalla nostra filosofia di vita).

    Quindi, così come nella vita di tutti i giorni ci sono persone che parlano molto volentieri con noi per affinità varie (simpatia, empatia, rispetto, ecc...), nella scrittura ci saranno sempre persone che ci leggono più volentieri di altre, che apprezzerano di più i nostri scritti. Persone in grado di interpretare correttamente le nostre frasi mentre le leggono, indipendentemente dal fatto che si decida, scrivendo, di metterne in chiaro le ragioni o di lasciarle sottese.

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    1. Non ne faccio una questione di apprezzamento: io posso dire che quello che hai scritto mi è piaciuto molto, posso perfino allargarmi dicendo che la storia è bella, ma se poi la mia interpretazione è diversa dallo spirito con cui l'hai scritta tu, tu, scrittore, secondo me, non hai raggiunto l'obiettivo giusto.
      Esiste un'interpretazione soggettiva che è il modo che abbiano noi di "implementare" la storia, ma ce n'è una oggettiva che prescinde da simpatia, empatia, rispetto, ecc...

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    2. Resta il fatto che chi scrive cristallizza il proprio intento. La soggettività di chi legge varia molto nel tempo, a volte anche nella stessa persona. Non ti è mai capitato di rileggere uno stesso romanzo dopo anni? La tua interpretazione è rimasta intatta? Eppure il romanzo è rimasto "fermo" nel tempo. Chi l'ha scritto si è prefissato i suoi obiettivi e quelli sono (indipendentemente che siano stati raggiunti o meno, al netto di apprezzamento, storia bella, ecc...).

      Lo scrittore fa la foto. Il lettore la guarda.
      Lo scrittore fa la foto una volta sola. Il lettore la può guardare anche dieci volte: e ogni volta potrebbe sentire un'emozione diversa. Non importa se lo scrittore è un eccellente fotografo: la sua "buona scrittura" serve solo a fare eccellenti fotografie. Ma da qui all'aspettarsi di suscitare sempre le stesse emozioni in tutti i lettori, è un altro paio di maniche.
      Il fatto di non riuscirci per me è normale, fisiologico: non significa che non si è capaci di scrivere.

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    3. Lo scrittore fa la foto e prova a puntare l'obiettivo sull'ala di una farfalla dai colori bellissimi. Il suo intento è mostrare la perfezione della natura.
      Il lettore che vede in quella foto un insetto poggiato su una foglia, quello che nota la bellezza della foglia su cui è poggiato l'insetto, quello che nota che la foto è angolata male, ma rende in qualche modo l'idea, hanno tutti ragione: soggettivamente puoi vedere ciò che vuoi, ma il fotografo avrà raggiunto il suo scopo quando qualcuno gli farà i complimenti per avere colto la poesia di un'ala colorata in mezzo alla natura.

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    4. Quando uno scrittore scrive una cosa per cui lo stesso lettore, leggendola dieci volte, ne ricava dieci interpretazioni diverse, allora quello scrittore ha scritto qualcosa che si avvicina molto a un classico.
      Questo, almeno, secondo la definizione di Calvino.

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  6. Quindi l'efficacia è al primo posto tra i tuoi obiettivi scrittori, interessante come concetto.
    Sandra

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    1. Se l'efficacia è il modo giusto di arrivare al lettore secondo le mie intenzioni di scrittrice, sì, io cerco di fare questo, quando scrivo.

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  7. Non è semplice farsi capire, a parte la scrittura può capitare che quello che si scrive non arrivi con chiarezza al lettore, a volte dipende anche dal suo stato d’animo in un tempo e in luogo.
    Mi spiego meglio: molto tempo fa lessi un libro che non mi era piaciuto granché, poi quest’anno un giorno spolverando la libreria ho riletto delle parti e stranamente quello che ho letto mi è piaciuto.
    Il libro era sempre lo stesso ma ero cambiata io, all’improvviso ho “sentito” quello che lo scrittore voleva dire.
    Ci sono libri che non amiamo in certi momenti della vita che possiamo riscoprire e altri che invece ci piacciono subito e mantengono nel tempo sempre la stessa piacevolezza tutte le volte che lo leggiamo.
    Scrivere bene forse è riuscire a raggiungere questo perfetto equilibrio.
    Al mattino anch’io ho la mente piena di idee che poi perdo con la fatica della giornata…

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    1. Non dipende solo dal "sentire" del lettore. Il messaggio di chi scrive dev'essere chiaro e univoco: il viverlo in un modo o in un altro è nelle legittime prerogative concesse a chi legge. Ti faccio un esempio: ho letto due estati fa "cecità" di Saramago. A me quella storia è arrivata forte, un pugno allo stomaco, c'è chi non l'ha gradita, chi ha trovato l'opera piena di pretenziosità, okay, è giusto che sia così. Ma se tu chiedi a ognuno di noi di cosa parlava quel libro, nessuno si inventerà chissà quale interpretazione: il significato è uno e , al di là di come ci sia giunta, la storia confluisce nell'unica intenzione che l'autore ha voluto mostrare.
      Se l'idea da cui parto è "racconto una determinata cosa" e poi il lettore, alla fine della storia, si chiede "ma, dunque, cos'è successo?", non ho lasciato aperto il finale, ho solo generato confusione, non ho fatto capire ciò che volevo dire. Poi la storia, magari, mi è pure piaciuta. Per dire, no?

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    2. Che poi, Giulia, ho scritto, per dirla alla Chiara, di getto e non sono sicura di essermi spiegata (visto che è di questo che stiamo parlando!)🙂

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    3. No ti sei spiegata bene, mi hai fatto ricordare che devo leggere Saramago, è nelle letture dell'estate.

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  8. Bene. Come la penso in merito credo tu lo sappia già. Ne abbiamo parlato non soltanto sulle rispettive pagine dei blog. Credo che la chiarezza debba essere uno degli obiettivi. L'efficacia è l'artificio, lo stile il dono (coltivabile, modificabile, ma sempre con alla base l'estro artistico per quanto grezzo agli inizi). Poi ci sono le variabili legate al gusto personale di chi ci legge, in questo caso possiamo fare poco e, in fondo, è l'unica cosa di cui non dovremmo preoccuparci.

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    1. Non è piacere/non piacere, scrivendo voglio dirti delle cose e tu quelle cose devi afferrare, devi arrivare alle stesse conclusioni mie, anche se poi non sei d'accordo con le mie scelte, non ti piace il percorso che io seguito per arrivare a quel punto: queste sì, sono le variabili possibili in un confronto scrittore/lettore. Ma lo so che diciamo la stessa cosa! 😉

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    2. Certo che sì. L'intento narrativo spetta allo scrittore, in termini di sviluppo e di chiarezza, poi lo stile personale e le dinamiche possono essere più o meno opinabili e giudicate in base ai gusti personali del lettore.
      Io scrivo perché voglio parlare di violenza, di dolore, di amore, di intolleranza, di che cavolo ne so, di tutte queste cose insieme? Bene! Devo essere chiaro, devo farmi capire. Punto. Tutto il resto è personalissima ricerca. Cura dello stile personale e ricerca di un linguaggio efficace. Poi piaccia o non piaccia ci si lancia. Per fortuna nessuno ha tirato fuori l'argomento originalità. Lì sì che mi sarebbero caduti i coglioni. Voglio dire, da Omero in poi, e anche in quel caso c'è il dubbio di rimaneggiamenti, le dinamiche legate alle vicende umane sono già state tutte sviluppate. Al massimo i neo scrittori possono sperare nella qualità delle storie che propongono.
      Uff, mi annoio da solo quando mi lancio in queste divagazioni. Hahahaha "MI vengo a noia".
      Il succo è: ti voglio raccontare una storia. Riesco a farti capire di cosa sto parlando? Ok, questa è la base, tutto il resto è costruzione e lavoro.

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  9. Mi trovi d'accordo con il tuo ragionamento, anche se poi bisogna tener conto che ognuno trova nel testo qualcosa di diverso. Certo è che nessuno legge Leopardi e pensa che a scrivere sia stato un ottimista di religione islamica o che il modello di virtù proposto da Manzoni sia don Abbondio. Sono così efficaci che neppure i miei alunni riescono a fraintenderli del tutto.

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    1. Eppure mi hai fatto ricordare di una mia compagna al liceo: sosteneva che Leopardi facesse il pusillanime per attirare l'attenzione di "Silvia rimembri ancor".😂 Io, poi, aggiungevo che di notte, dopo avere brindato alla luna, si toglieva gli abiti da sfigato e andava a fare la bella vita nei salotti delle signore. Giuro, eh! Che sceme ch'eravamo! 🤣😂🤣

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  10. Penso che a volte si scriva bene e si scriva chiaro ma come ti hanno risposto sopra, dipende anhe dal lettore "comprendere".
    Non sempre il lettore è in una fase recettiva. Legge perchè ama leggere ma in quel suo particolare momento qualcosa gli sfugge. O magari vede altro.

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    1. io penso che un lettore non debba faticare per trovare il senso e il significato di una storia: sentirla nelle proprie corde o meno sì, ma capirla, dovrebbe accadere subito (subito intendo già a fine lettura.) le sensazioni possono rispondere all'umore o allo stato d'animo del momento, ma ciò che quel libro vuole dire non può emergere dopo una seconda lettura più accorta (che, tra l'altro, potrebbe non esserci)

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  11. Ti dico cosa ho imparato da questo post che peraltro mi è piaciuto molto perché finalmente hai usato la giusta lunghezza d’onda, e sei stata chiara.
    Ho scoperto cos’è un ritmo circadiano e i disturbi che ne possono derivare!
    La persona che ti legge è molto importante, ma non si può stare dietro alle esigenze di ogni singolo lettore altrimenti si va fuori di testa. Se posso essere sfacciatamente sincera (puoi tranquillamente ignorarmi non mi offendo), dovresti smettere di pensare e lasciare che tutto scorra, perché non solo hai buone basi ma anche molto di più, e le parole certo non ti mancano ;)
    Ciao
    Marina Z.

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    1. P.S. Smettila di fare loro da balia e loro saranno autonome 😜

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    2. Sai, Marina, ci provo a mollare ste parole al loro destino, ma poi loro mi tornano indietro piene di ferite: si fanno prendere a pugni, non si sanno,ancora, difendere da sole! 😄
      Comunque non è un'esigenza del lettore da assecondare, lo è o dovrebbe esserlo dello scrittore: scrivere bene non serve per compiacere il pubblico, ma per lasciare andare la propria opera e abbandonarla alla propria sorte con la coscienza a posto. 😉

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    3. Sì ho capito il tuo discorso da scrittore, ed è un fine intento il tuo ma, scusa se mi permetto, noto in ogni tuo post un certo tormento interiore per questa tua ricerca personale che a tratti sembra portarti insoddisfazione. Eppure Marina fai lavori di qualità! Come lo so? Leggo tra le righe e vedo te 😉😏
      Un abbraccio
      M.Z.

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    4. Grazie! 🤗
      No, può sembrare un tormento, in realtà è solo una manifestazione del mio essere rompiscatole: non cerco la perfezione, per carità, ma sono precisina e se le cose non quadrano nel modo in cui io le intendo mi incaponisco.
      Un tempo avrei parlato di insoddisfazione, oggi solo di spinte naturali verso il miglioramento. 😉

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    5. Hahahahaha è precisina, è precisina, e ogni tanto bacchetta, con gentilezza ma bacchetta, e le ditine bruciano 😉😉😉

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    6. @Massimiliano 😃😃😃 ha tirato qualche freccia eh?
      @Marina che dirti di più a parte che hai l'atteggiamento giusto "verso il miglioramento"?
      Un abbraccio a tutte e due.
      Marina

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  12. Avevo scritto un commento di cui andavo fiera poi internet è caduto ._.
    Vabbé, il succo era: come la mettiamo con l'interpretazione soggettiva del lettore?
    Da un certo punto di vista mi trovo d'accordo con quel che hai detto, perché ad esempio io stessa non concepisco l'arte contemporanea che non riesco a capire. L'arte dovrebbe comunicare ma se la guardo e mi sembra solo un'accozzaglia di oggetti c'è un problema di fondo. Quindi sì, anche la scrittura dovrebbe farsi capire.
    Però mi dico anche che le interpretazioni dei lettori sono infinite e incontrollabili. Non penso però che ci sia qualcosa che non si tratti più di buona scrittura, se viene interpretata in maniera diversa. Forse invece è proprio questa la forza di una bella storia, la genialità di una scrittura raffinata: comunicare più cose nello stesso modo.
    Quindi ecco, non so, mi hai messa in crisi! xD

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    1. Ogni tanto capita anche a me 😠, mi dispiace!
      Ma il tuo "succo" è chiaro. Come la mettiamo con l'interpretazione soggettiva del lettore?
      Gliela lasciamo, perché non è a quella che mi riferisco.
      Mi spiego: l'arte moderna non piace nemmeno a me, non la capisco, ma il coinvolgimento non è lo stesso: l'impatto con l'opera è visivo, il contatto immediato; le opere artistiche spesso rappresentano metafore della vita, volutamente sono create per emozionare in modi e misura diversi. Chi scrive apre una via che dev'essere chiara, perché usa parole precise, parole che devono rappresentare una verità, non per forza condivisa, ma evidente sì.

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  13. Eh, sembra facile! Tu dici di non voler essere costretta a chiarire le ragioni sottese alla storia. È una dichiarazione di principio necessaria, certo, ma ci sarà sempre qualcuno, anzi più di uno, che non capirà, o capirà alla rovescia.
    Flannery O'Connor si lamentava di certi critici che coglievano "l'orrore sbagliato". Eppure si sforzava di essere chiara ed esaustiva.

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    1. A te è mai capitato di dover dire a un lettore: "no, guarda, ma la storia voleva dire questo e questo. L'ho scritta così perché mi sembrava chiaro che si capisse"? Perché io ho i fili del cervello parecchio intrecciati, quando penso a una storia mi trovo sempre la via più difficile per raccontarla e, infatti, spesso, non è capita per come ho voluto renderla.

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    2. Mai. Ma non faccio testo: non mi legge praticamente nessuno ;)

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  14. Bè, Marina, direi che le tue parole riescono sempre a compiere egregiamente il loro dovere. Almeno, attraverso il blog arrivi forte e chiara; ed il tuo pensiero è fluido e trasparente come un bicchiere d'acqua preso alla sorgente. Si prova piacere a leggerti ed empatia nel comprenderti: è quello che succede a me quando mi immergo nei tuoi post.
    Sul romanzare tuttavia mi trovo d'accordo con diversi commentatori che si sono espressi prima di me: tenendo conto solo di chi, scrivendo, un pizzico di talento e di bravura li possiede, l'interpretazione della scrittura - così come ogni forma d'arte - non può esimersi dalla soggettività di chi legge. Un romanzo credo sia quasi come una canzone: i carichi emozionali di coloro che la ascoltano sono troppo vasti e multiformi per consentire un'unica interpretazione. Senza contare tutti gli elementi essenziali che concorrono a definire il carattere della canzone stessa: il testo, la melodia, il ritmo... Nel caso di un romanzo: l'argomento, la trama, lo stile, la scelta dei tempi narrativi, la focalizzazione e via, via dicendo. Tu potresti anche essere l'autrice più brillante al mondo, quella che pratica la scrittura migliore per i più, ma se a me il tuo stile non piace, se non mi piace quel dato argomento in quel preciso periodo della mia vita, la mia interpretazione del tuo testo sarà sempre anni luce lontana da quello che tu volevi trasmettere. Perché la predisposizione e l'emotività di chi legge secondo me contano, eccome se contano...

    Una serena notte, un abbraccio e grazie come sempre per questi spunti riflessivi! :*

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    1. Grazie, sei Regina anche nei complimenti, ahahah. 😘

      Ma sai, io vedo l'interpretazione come un fattore soggettivo che è diverso dal dato oggettivo che deve venire fuori da una storia.
      Il giudizio sul mi piace/non mi piace esula da questa riflessione, perché ci sono temi sviluppati al meglio che dicono tutto ciò che hanno da dire, ma non sono apprezzati.
      Diciamo ecco, che se voglio giudicare uno scritto devo poterlo fare su ciò che quello scritto mi sta dicendo, non su come lo percepisco io.

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  15. Pensiero numero uno: i miei ritmi, ridatemi i miei ritmi! Sono settimane che non riesco più a ritagliare una mezz'ora di scrittura in un orario regolare. Come te anch'io trovo che la mattina sia il momento migliore, quando le idee fluiscono libere, fresche.
    Pensiero numero due: i principianti, ah, quante volte ho letto e sentito affermare che l'idea di una storia sia molto più importante delle parole che si usano, della correttezza grammaticale, giustificando poi la pigrizia nel non curare il testo e la fretta nell'arrivare alla fine con la parola "stile". È sempre il "mio stile" ma non sanno cogliere quello degli altri.
    Ricordo di aver scritto un raccontino di mille battute su un ragazzo in crisi d'astinenza da fumo. Un mio lettore disse che, da ex fumatore, gli avevo fatto venire voglia di accendersi una sigaretta! Per me, che non fumo, è stato un successo, e non credo certo di doverlo alla trama!
    Oggi il linguaggio è davvero una mia fissa, non mi accontento di scrivere di fretta nemmeno uno post su Facebook. Pur non padroneggiando come vorrei le parole e le tecniche, cerco di dare un senso preciso a ciò che scrivo, mi interessano molto le critiche e i dubbi del lettore, sono i migliori strumenti che abbiamo, assieme alla lettura, per affinare davvero il nostro stile.
    Quando scrivo il mio scopo è essere chiaro, se la storia me ne dà l'occasione lascio un messaggio tra le righe. Ma se riusciamo a cullare il lettore senza distrarlo con errori o inutili trucchi o "effetti speciali", sarà esso stesso a colmare i nostri vuoti narrativi e a rendere davvero speciale la nostra scrittura.

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    1. Ciao Paolo, mi fa piacere avere letto il tuo commento, molto in sintonia con quello che penso. Allora noti anche tu che, spesso, dire "ma è il mio stile" serva come tappabuchi per qualunque vuoto?
      Sì, essere sicuri di se stessi è un bel carburante per l'autostima, ma se questo significa che sono sempre gli altri a sbagliare, il lettore a non capire, il pubblico a non apprezzare, meglio rimanere degli insicuri a vita ma consapevoli dei propri limiti.
      Essere chiaria, lasciare un messaggio tra le righe che arrivi dritto, senza prendere scorciatoie, questo è anche il mio scopo. E il confronto qualche volte premia (come nel caso del tuo racconto sul fumo), qualche volta bacchetta.

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  16. Mi vedo d'accordo con l'assunto di base: scrivere è l'arte di farsi capire. Aggiungerei, però, dalla maggior parte dei lettori. Perché, purtroppo, (ed è un concetto che ho elaborato al punto da volerci scrivere su un post) esistono situazioni che sfuggono completamente al nostro controllo. Ho seri problemi con il lettore poco intuitivo, che non coglie le battute, e non sa leggere tra le righe. E devo dire che, per ogni cosa che scrivo, ne colgo almeno uno. è mia, la responsabilità? No. Lo sarebbe se questa fosse la regola, se la mia scrittura risultasse complessa per tutti i lettori. Non è così, quindi non vedo perché debba forzarla e renderla diversa da ciò che è. Purtroppo l'idea del "bisogna farsi capire" ha spesso portato a un livellamento dei contenuti verso il basso, e questo non è secondo me nemmeno giusto, perché la scrittura, per quanto possa essere legata all'intrattenimento, è pur sempre una pratica con un forte impatto culturale.

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    1. Sì, infatti, credo che il confronto sulla qualità di uno scritto debba essere fatto su grandi numeri: se tre su trenta non capiscono la mia opera, è giusto chiedersi se sia necessariamente un fatto legato a una mia incapacità, ma se sono solo in tre sempre su trenta a capirmi, il discorso cambia. Però non ne faccio un fatto di contenuti, cioè non devo semplificare con argomenti poveri, devo trovare il modo di dire le cose che voglio dire, anche quelle meno facili, in modo che chiunque possa avvicinarsi al punto.

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    2. Sì, sono d'accordo. è questo che secondo me aiuta a evitare il livellamento verso il basso di cui parlavo nel mio precedente commento. :)

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  17. Forse la scrittura proviene da qualcosa che trascende lo stesso autore. E' una riflessione che mi accompagna da qualche tempo. La scrittura come dono... Se ci pensi, il mito ammette questa possibilità ( le muse ), così come le religioni ( pensa all'angelo di San Matteo ). Vedere tutto in chiave razionale a volte non è sufficiente a spiegare il perchè di una pagina ben scritta..
    Ciao! :-)
    Giacinta
    p.s.
    ho appena scoperto il tuo bel blog, andando di link in link..

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    1. Ciao Giacinta e benvenuta nel mio blog.
      Una musa ispiratrice viene a trovarmi ogni mattina, in effetti, anche perché trova spazio nella mia mente riposata, solo che la scrittura non può basarsi solamente sul concetto di dono di cui la natura ci ha dotato, la scrittura va indirizzata, le parole guidate (a proposito di parole). Senza rinunciare alla razionalità, che comunque serve, forse bisognerebbe dosarla bene per realizzare una buona scrittura.
      E, riguardo a San Matteo e l'Angelo, quando posso vado sempre nella cappella della chiesa di San Luigi dei francesi per ammirare dal vivo il capolavoro di Caravaggio. È un incanto (tra parentesi.)
      Torna a trovarmi. 🤗

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  18. L'arte di chi sa farsi capire. Me lo continuo a ripetere perché in una frase - 7 parole! che se togliamo l'articolo ci stiamo pure nelle 6 senza snaturarla - hai racchiuso quello che per tanto tempo non riuscivo a spiegare e a spiegarmi. Grazie Marina!

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    1. Grazie a te! 😉
      Potremmo sempre chiedere a Michele Scarparo se nell'elenco dei suoi termini impronunciabili ce ne sia uno al quale abbinare queste sei parole. 😄

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  19. Mi trovi d'accordo, e aggiungo che molti scrittori sembrano non possedere questa necessità. Molti di essi vivono di rendita per qualche buona trovata iniziale con tanto di "caso editoriale" e poi...
    Aggiungo anche che essere capiti in fondo non è altro che essere scrittori che arrivano alle cose attraverso la semplificazione, rigettando ridondanze e gare di erudizione, che soprattutto al giorno d'oggi sono anacronistiche.

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    1. Che commento interessante Luz, sei sposata/fidanzata/libera? Chi esprime un concetto così bene non passa inosservato alla mia attenzione. Eh, ma non sarai libera...

      Helgaldo

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    2. CI vuole fortuna anche, sì? 😄 La botta che porta al caso editoriale spesso parte proprio dalla domanda "ma che avrà voluto dire?"
      È per quello che dici che un certo panorama di scrittori intellettuali mi è totalmente indifferente.

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    3. @Helgaldo
      A me sembra di scrivere cose banali... la mia autostima ringrazia. :)

      @Marina
      Ancora penso a quella citazione tratta da un romanzo di Michela Murgia. Spiazzante, per l'arzigogolare di quelle parole che sembravano un'ostentazione di sintassi. Nessuna semplificazione, perché forse semplificare è arte difficile, anzi sono certa sia così. Non l'ho mai letta, mi attira Accabadora.

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    4. Io ne ho parlato in un post dopo la lettura di Chirù. Accabadora a me non è piaciuto. Lo stile della Murgia non mi fa impazzire, decisamente non ha il dono della semplificazione.

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  20. Ho riletto almeno due volte post e commenti, comprendo la necessità da parte dello scrittore di cercare di farsi capire, di disegnare un percorso che sia d'aiuto al lettore, di accompagnarlo attraverso la sua creazione, in definitiva.
    Però, dall'altra parte, quindi dalla mia, di lettrice e di osservatrice attenta di certi ambienti, penso che sia piuttosto difficile, perché il rapporto che si delinea è a due, scrittore-lettore. Il problema è che un lettore può non avere mezzi di vario tipo, sensibilità, sintonia con ciò che l'autore gli propone, anche rispetto al modo, ovvero alla tecnica.
    E anche a livello numerico, io non so se i 3 che comprendono per forza di cose siano l'eccezione, rispetto ai 30 che rimangono freddini o non colgono. Che cosa sono abituati a leggere, come leggono, fanno caso allo stile o alla sola storia?
    Non si può, penso, scrivere per tutti, se lo si fa è un'operazione arbitraria, quasi forzata. Come dice Chiara sopra, porta all'appiattimento.

    Libri come Arancia meccanica ad oggi non sono compresi dall'80% di chi tenta di approcciarli. Avranno sbagliato i Burgess? Di recente mi è stato scritto che quel romanzo è un'apologia della violenza gratuita, 'nammo bene, no?

    Probabilmente non avendo esperienza diretta di scrittura, non riesco a cogliere pienamente quell'esigenza di cui parlate. Più banalmente io penso alla Nothomb che dice che i suoi libri sono come figli, li cresce e nutre e poi li lascia liberi, da buona madre (sua opinione, ovviamente): che ne facciano film o altro, a quel punto non è più affar suo!

    Grande post e ottimi stimoli e commenti, è sempre un piacere leggere te e i tuoi commentatori *_*


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    1. Non parto dal presupposto che sia necessario scrivere per tutti, ma che sia necessario scrivere "per arrivare" a tutti sì. La differenza sembra inesistente, invece c'è: scrivere per tutti significa pretendere che tutti apprezzino un lavoro, significa chiedere un'uniformità di giudizi che, ovviamente, è impossibile ottenere. Scrivere "per arrivare" a tutti è comunicare in modo esatto un intento, scegliere la voce più idonea per parlare al pubblico ed essere sicuri di essere capiti, poi che su questa base il lettore non si faccia coinvolgere o non si senta pronto per quella lettura o non sia interessato, questo ci sta, è normale.

      Tu citi Arancia meccanica: caspita, lì Burgess si fa capire eccome! Arriva forte e chiaro, poi i giudizi sul perché e il percome si sia speso per inneggiare a tanta violenza sono i più disparati ed è giusto, ma intanto l'iperrealismo del linguaggio, la struttura visionaria, hanno trasmesso quello che l'autore voleva trasmettere.

      Io scrivo, mi piace farlo e leggo tanto. È proprio perché leggo autori che "capisco" che voglio scrivere per essere capita. Non so se hai capito! 😜

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  21. Scrivere con chiarezza è un obiettivo importante e per niente scontato e tu hai fatto benissimo a ricordarcelo, Marina. Dietro a uno stile pulito ed efficace c'è un lavoro immane. Vorrei anch'io usare le parole che arrivino dritte allo scopo, ma non è facile

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    1. Eh no, cara Rosalia, non lo è. Per questo me lo ripeto ogni giorno e provo a mettere in pratica quello che in teoria sembra una cosa ovvia.
      Scrivere bene vuol dire molte cose, ma fra tutt'e questo mi pare il miglior modo di definirlo.

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  22. Nessuno potrà aver mai da ridire se uno scrittore ricerca la "buona scrittura" come tu la definisci, ovvero essere ben compresi da tutti i lettori, senza alcuna ombra d'interpretazione. Ma rischia di essere un lavoro infinito. Come potrai infatti certificare che tutti, ma proprio tutti, i lettori ti hanno compreso esattamente allo stesso modo ed esattamente come tu volevi?
    Stephen King (possiamo dire che lui la "buona scrittura" la padroneggia? secondo i critici no, secondo i lettori si) scrive in On Writing: "Non potete soddisfare sempre tutti i lettori; non potete soddisfare nemmeno alcuni dei vostri lettori, ma dovete sforzarvi in ogni modo di soddisfare almeno alcuni lettori qualche volta. (p. 198)"
    E non stiamo parlando di una questione di trama: se per King la scrittura è telepatia, è chiaro che un minimo livello di interpretazione del lettore c'è (l'esempio è lo scrittore descrive il tavolo con la tovaglia rossa, i lettori che interpretano il rosso come scarlatto o corallo, orli merlettati oppure lisci) e questo livello dipende dalla tipologia del lettore. Nel reale, ci sono libri che ho letto io e poi passati in famiglia che hanno avuto reazioni diversissime, e la differenza sta nello scarto generazionale, l'esistenza di pregiudizi o tabù che impediscono di immedesimarsi nella lettura. Stesso libro, stesse parole, per me chiarissime, per loro inconcepibili.

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    1. Sì, certo, ognuno vive il libro in modo diverso, ma tutti leggono lo stesso libro. Ciò che intendo io non è quello che è emerso nei commenti un po' di tutti.
      Tu hai fatto l'esempio della tovaglia rossa sul tavolo: il fatto che il lettore la veda rosso corallo o rosso fuoco non va a inficiare il contenuto, intanto tutti stiamo vedendo una tovaglia su un piano orizzontale, in più c'è una qualificazione precisa: lo scrittore vuole che si veda rossa. Non sarebbe stato lo stesso se avesse descritto male il tavolo, per esempio non facendo capire che si trattasse di quello.)
      Voglio dire che l'interpretazione dipende da tante variabili e io su quello sono d'accordo, ma la chiamerei percezione, sensazione; perché l'interpretazione per come l'ho intesa io in questo articolo è il fare arrivare a tutti una storia con tutti gli elementi al posto giusto, che evitino non il punto di vista soggettivo, ma gli equivoci oggettivi.

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  23. Il segreto è che occorre piacere, in primis, a se stessi. Se ti piace quello che sei, se ti piace quello che scrivi, il risultato è di trasmettere il meglio di sé al lettore. Preoccuparsi di dover piacere o di farsi capire è secondario, in narrativa, perché presuppone di doversi adeguare a uno stile.
    Scrivere e leggere sono sinonimi di amore. E devi preoccuparti di fare innamorare di te l'altra persona? Sì, a patto di non snaturarsi mai. A patto di mostrarsi per quelli che si è.
    Ciao Marina.
    :-)

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    1. Ciao Erica, io penso che il fatto di piacere per forza sia secondario, non quello di essere chiari con il presunto pubblico: per me, al contrario, quest'ultimo è l'obiettivo primario di chi vuole scrivere bene.
      Come lo trasmetti il meglio di te al lettore se il lettore non capisce ciò che hai voluto raccontare con la tua storia? E non parlo di comprensione del testo, cioè di cattivo uso della lingua italiana, ma del messaggio che ogni storia deve portare con sé, dell'intento che muove lo scrittore. Puoi mostrarti per quello che sei, ma devi trovare il modo di farlo in un modo che ti renda degna di essere definita "scrittrice." Altrimenti non lo sei veramente.

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