giovedì 27 luglio 2017

In viaggio con Proust: la mia dipendenza


Finisco “All’ombra delle fanciulle in fiore”, il secondo volume de “La Recherche” e torno subito indietro alle parti sottolineate, le rileggo e non mi stanco, perché ogni rilettura mette a nudo sensazioni diverse. Scopro particolari che si sono annidati durante il primo passaggio, ma che io ho lasciato scorrere senza dargli il peso meritato. Poiché gliene riconoscevo uno, via via che procedevo, rapita da un’estasi tutta nuova per me, sottolineavo, inserivo promemoria (rileggere, approfondire), mettevo segni in calce, nei bordi, a inizio paragrafo: asterischi per aggiungere note, spunte per ricordarmi di un passo notevole, linee ondulate a lato di un brano da ricopiare nel mio taccuino delle citazioni.

Una lettura calma, vissuta, assorbita lentamente, goduta dall’inizio alla fine con costante trasporto, esattamente come per il primo volume dell’opera, quando sono salita sul treno del tempo perduto senza sapere quale immensità avrei percorso. E non parlo solo di immensità in termini di lunghezza. 
Camminare dentro una storia che è molto lontana dai canoni narrativi tradizionali è un’esperienza formativa, di crescita, perché se in un romanzo con tanto di incidente scatenante e progressioni verso il climax catturiamo regole di scrittura efficaci o esempi imitabili di stile, nell’opera di Proust troviamo una visione della vita, un’interpretazione, un mondo interiore indagato, scandagliato ed espresso senza tralasciare nulla. E se può annoiare la descrizione meticolosa di un fiore, di una natura morta dipinta in un quadro o degli abiti di una donna, quel riuscire a “guardare attraverso”, penetrare dentro le cose, invece, fa riflettere sulla bellezza nascosta di ciò che ci circonda, sull’essenza di quello che diamo per scontato, sia esso un sentimento o un’immagine che abbiamo sotto gli occhi: il mare che riempie i contorni di una finestra d’albergo, una barca che in un fiume “s’affatica senza avanzare”, l’alba che accompagna i lunghi viaggi in treno.

Nel riquadro del finestrino, al di sopra di un boschetto nero, vidi delle nubi concave la cui dolce lanugine era d’un rosa fisso, morto, immutabile, come quello che tinge le piume dell’ala che se n’è imbevuta o il pastello dove l’ha collocato la fantasia del pittore. Ma io sentivo che, invece, quel colore, non era né inerzia né capriccio, ma necessità e vita.

Negli approfondimenti psicologici di Proust scopro qualcosa che in qualche modo mi appartiene; certe volte ho come l’impressione di avere trovato chi sa leggermi dentro, capace di dire in modo perfetto ciò che io non sarei in grado di spiegare:

Ogni volta che l’immagine di donne così diverse penetra in noi, a meno che non venga eliminata dall’oblio o dalla concorrenza di altre immagini, per metterci il cuore in pace dobbiamo riuscire a trasformare quelle estranee in qualcosa che ci assomigli, giacché il nostro animo, da questo punto di vista, è dotato dello stesso genere di attività e reattività del nostro organismo fisico, il quale non può tollerare l’immissione dentro di sé di un corpo estraneo senza industriarsi subito a digerire e assimilare l’intruso.

È come se avessi trovato una persona capace di cogliere le sfumature più sottili su temi che si pensano ordinari: l’amore, il tempo che scorre, i ricordi.

Quando amiamo, l’amore troppo grande per potere essere interamente contenuto dentro di noi, s’irradia verso la persona amata, dove incontra una superficie che l’arresta forzandolo a tornare verso il suo punto di partenza, ed è questo urto “di ritorno” della nostra propria tenerezza che noi identifichiamo con i sentimenti dell’altro e che ci incanta più che all’andata, giacché non lo riconosciamo come proveniente da noi stessi. 

Il tempo di cui disponiamo ogni giorno è elastico; le passioni che proviamo lo dilatano, quelle che ispiriamo lo restringono, e l’abitudine lo riempie.

Adesso sto solo aspettando di prendere in mano il terzo volume che non ho ancora comprato, perché sono passati tre giorni dalla fine del secondo e già La Recherche mi manca: mi manca il virtuosismo linguistico di Proust che tanto mi affascina, mi mancano i personaggi che il narratore incontra, che lo avviano lungo la strada maestra dell’arte (Bergotte, Elstir) o gli insegnano ad amare (dopo Gilberte sarà Albertine a occupare i suoi pensieri) con quella trepidazione che si trasforma in struggimento.

In realtà, nell’amore c’è una sofferenza perpetua, che la gioia neutralizza, rende virtuale, rinvia, ma che in qualsiasi momento può diventare quale sarebbe da tempo se non si fosse ottenuto quanto si sperava: atroce.

Non vedo l’ora di riprendere il viaggio insieme al narratore, per confortare le sue attese, rimproverargli qualche speranza vana, e con lui soffermarmi sulle note di una musica, sui colori di una tela, sull’architettura di una chiesa, sui volti delle persone, sull’analisi di mode e usanze di nobili e borghesi. 
Voglio ritrovare al più presto il mondo di Proust perduto nel tempo.

La mia è diventata una dipendenza.

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Le altre tappe del viaggio: 





10 commenti:

  1. Da Proust dipendente ti capisco bene. La fine della lettura della Recherche ha in sé qualcosa di luttuoso, perché sai per certo che qualunque tentativo di trovare altro con cui vivere qualcosa di analogo è una battaglia persa in partenza.
    Io ho trovato qualcosa di pari solo in certe pagine di Henry Miller, ma nel suo caso l'intensità è a sprazzi, non una corrente continua come in Proust.
    Buon proseguimento di viaggio :-)

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    1. Grazie Ivano. Onestamente per me è stata una sorpresa. Mai mi sarei immaginata una passione simile. Penso anch'io che sarà impossibile trovare qualcosa di analogo, per questo sono contenta di avere davanti ancora molti libri dell'opera da leggere.

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  2. Io per ora continuo ad attendere. Si tratta di una lettura che mi spaventerebbe anche in una fase di elevata ricettività, figuriamoci ora che i tre neuroni scarsi del mio consunto cervello sono in siesta permanente almeno fino alla fine dell'estate...

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    1. Capisco perfettamente; non è lettura da siesta sotto l'ombrellone o da compagnia durante un'ora di noia. È un impegno. Solo una vera curiosità può spingere ad aprire il primo libro e non è detto che conquisti: troppo insolito. Io non ho mai affrontato una lettura del genere.

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  3. Siamo quello che leggiamo o diventiamo quello che leggiamo.
    Il mio viaggio non nel libro, ma nella vita e nella speranza, è stato banalmente I promessi sposi. Non c'è giorno che la mia mente non vada a quella lettura fatta nel passato, alla gioia e alla dipendenza da quell'incontro.
    Mi sembra che sia lo stesso per te oggi. Una grande fortuna e responsabilità. A me è parso di diventare lettore solo dopo quella lettura masticata con lentezza e avidità. Una discontinuità tra prima e dopo. E non si può più tornare indietro. Influenza anche la scrittura, è strano. Anche il tuo post ha un ritmo diverso, e i tuoi pensieri, rispetto a qualche tempo fa. Eppure già scrivevi bene. Una lettura calma, assorbita, vissuta porta a una scrittura calma, assorbita, vissuta.
    La cosa bizzarra è che tutta questa dinamicità sulla pagina è presente non in libri dove c'è una trama avvincente, colpi di scena, climax ma in testi ritenuti pesanti, impegnati, pretenziosi, per intellettuali. Spero che la tua Ricerca come il mio Manzoni non finisca mai, anzi è appena iniziata dentro e fuori dal libro.

    Helgaldo

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    1. E sai una cosa, caro Helgaldo?
      Ti ricordi quando ti dissi che presto avrei messo mano anche a "I Promessi Sposi"? L'ho fatto ieri con il grande desiderio di ritornare a una storia che non ho più riletto dopo il liceo.
      Estate "classica", direi!
      E che sia una Ricerca anche questa, sì, che di ottime cose da trovare o ritrovare abbiamo sempre bisogno come lettori, come scrittori, forse soprattutto come persone.

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  4. È bello essere conquistati da una lettura impegnativa e scoprirsi molto in sintonia a dispetto di quello che poteva sembrare ai più.
    Complimenti Marina! Forse un domani mi accingerò anch'io, non sarà quest'anno però ;-)

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  5. Ogni passaggio è un invito ad assaporare questa lunga e affascinante serie di romanzi. Me ne convinci sempre più.

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    1. Non è mai troppo tardi. E conviene leggere Proust contemporaneamente a testi meno impegnativi: una lettura così intensa necessita di intervalli di svago, anche per apprezzarne di più il valore.

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