giovedì 28 novembre 2024

Il tempo non lascia spazio che a poche parole scritte

Devo ancora decidere se questi che sto vivendo sono giorni buoni oppure no; se questa fase di rodaggio funzionerà o sarà una prova fallimentare; sicuramente sono giorni nuovi, diversi, per me che sono affezionata alla routine quotidiana. Ho intrapreso un viaggio che vorrei avesse l’approdo sperato, ma che è ancora all’inizio, dunque privo di elementi per tracciarne un bilancio. Non vivo una preoccupazione vera e propria, ma mi attanaglia il sottile, ragionevole, timore di avere fatto il tifo per una scelta che si rivelerà sbagliata. Eppure, quando la lontananza fisica ti impone voli di fantasia (e voli reali) per accorciare le distanze, allora capisci che è giunta l’ora di risolvere ciò che è diventato un problema. 

Sono stata in Sicilia, sono tornata a casa dei miei, abbiamo messo l’essenziale dentro le valigie, sbrigato le ultime incombenze nissene, salutato chi c’era da salutare e abbiamo preso l’aereo insieme, perché Roma, da qualche settimana, non accoglie più i miei genitori in veste di ospiti occasionali: adesso sono cittadini della Capitale, come lo siamo diventati io e la mia famiglia undici anni fa. Sapere che, alzando gli occhi verso l’alto, guardiamo lo stesso cielo mi alleggerisce di un enorme peso, significa che allungo il piede sull’acceleratore dell’auto e posso raggiungerli con facilità, okay, percorrendo quarantacinque minuti di strada, ma cosa sono quindici chilometri e tre quarti d’ora rispetto ai novecento chilometri e alle dieci ore che impiegavo per arrivare in Sicilia!

Sono cauta e contenta, ho raccolto una sfida, l’abbiamo raccolta insieme, perché era la più naturale, forse, sebbene la più impegnativa: abituarsi alla novità non è un’impresa semplice, soprattutto quando ci sono dei problemi di salute difficili da gestire e un’età importante, ma questa è sembrata l’unica via percorribile, un compromesso fra le nostre esistenze separate dal destino. 

Per me vuol dire maggiore presenza, gioia nel potere essere di aiuto concreto; serenità, anche, nel sapere che la solitudine potrà essere più prontamente colmata, senza affidare a una chiamata telefonica chiacchiere e sfoghi.

Gestivo il mio tempo in un modo, da qualche giorno sto riposizionando priorità e impegni nel calendario della mia quotidianità e incastro tutto come meglio posso. Scrivo meno, leggo meno, ma attraverso Roma di buonumore, sperimentando gli itinerari suggeriti dal navigatore per arrivare a destinazione con meno incomodi possibili: quali sono le strade che mi fanno risparmiare tempo, quali quelle che mi semplificano la percorrenza, tenendo conto di traffico e semafori. Il mio spirito è propositivo, progetto, immagino di fare cose e di coinvolgere soprattutto mia mamma, che ha bisogno di giustificare questa scelta necessaria, mentre si aggira in una casa che non è la sua, senza sapere bene come rassegnarsi al cambiamento. 

Su un taccuino annoto i giorni sì e quelli no, le mattine in cui è bello alzarsi con l’idea di vedere i miei genitori e quelle in cui devo trascurarli per occuparmi di altro. Una sorta di diario di bordo spiccio e indicativo, che monitorizzi l'andamento delle giornate, rivelando le falle che necessitano di aggiustamenti. È una nuova vita che vale la pena sottoporre a un test di adattabilità. Voglio fortemente credere che andrà bene e ogni giorno provo a trasmettere il mio ottimismo a chi, di là, avrebbe voluto un altro futuro, ma è comunque grato di potere godere ancora di questo presente. E la mia, di gratitudine, va al buon Dio, che ha ascoltato le mie preghiere, da quando mio padre, non più tardi di un anno fa, è stato dimesso da un ospedale romano, congedato dalla frase infelice di un medico, che voleva essere spiritoso dicendomi: “beh, di qualcosa dovrà pur morire!” e invece, con la sua indelicata previsione, gli ha solo allungato la vita (quasi quasi ringrazio anche lui!) E siamo tutti qua, io e la mia famiglia, mio fratello e la sua famiglia, papà e mamma, riuniti di nuovo nella stessa città. 

Quest’anno racconterò un Natale felice. 


Così il tempo non lascia spazio che a poche parole scritte, buttate giù di fretta nella mezz’ora che mi ritaglio, prima di prepararmi e recarmi in una Roma che non mi appartiene, ma che da adesso sentirò mia al pari di quella in cui abito. 

Taglio la città nel mezzo, attraverso il ponte sul Tevere, salgo verso il Gianicolo, supero la Fontana dell’Acqua Paola, scendo lungo la via Aurelia Antica e in un vicolo di un quartiere al riparo dal traffico cittadino, piccola oasi di silenzio e riservatezza, corro a rendermi utile nella nuova casa che accoglie i miei genitori.


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