Un mio amico sostiene che bisognerebbe scrivere del proprio mondo, senza inventare cose lontane dalle esperienze personali. Giuseppe Pontiggia lo ha fatto, anzi ha cominciato così: ha esordito con il romanzo “La morte in banca”, dove ha raccontato la frustrazione di un lavoro che non amava. Era un impiegato insoddisfatto e poi è diventato uno scrittore da Premio Strega, con una carriera incoraggiata da Elio Vittorini, che lo ha spinto a dedicarsi alla narrativa grazie a quell’esordio autobiografico molto apprezzato.
E se fosse davvero questa la chiave di volta di un successo letterario?
Scrivere ciò di cui si ha diretta conoscenza potrebbe essere il segreto per sentirsi a proprio agio con le dita su una tastiera, la garanzia della tanto ricercata autenticità di un testo.
Scrivere ciò di cui si ha diretta conoscenza potrebbe essere il segreto per sentirsi a proprio agio con le dita su una tastiera, la garanzia della tanto ricercata autenticità di un testo.
Scrivere di sé senza parlare di sé; inventare personaggi ai quali affidare le proprie esperienze perché possano diventare di interesse pubblico, rendere le abitudini personali potenziali riflessi di quelle altrui. Chissà, magari questo è l’elisir di lunga ispirazione che renderebbe più vantaggiosa la sorte di molti scrittori esordienti.
Quest’estate mia madre mi ha suggerito di leggere Gianrico Carofiglio, un magistrato che scrive thriller legali molto apprezzati. Lo farò, se non altro per curiosità, ma adesso l’ho citato perché i suoi libri dimostrano come le storie di molti scrittori traggano ispirazione da professioni già esistenti e ben avviate, dunque come, spesso, i romanzieri più seguiti siano approdati alla fama letteraria prendendo spunto dalla vita reale.
Mi confronto con questa idea e rifletto sulle cose che scrivo io.
In effetti, mi rendo conto che parlare di ciò che si conosce bene non è come avventurarsi in ambiti poco o per niente noti, dove la ricerca di informazioni è fondamentale, però ruba tempo; non si vuole correre il rischio di risultare incongrui, eppure si è impazienti, la storia scalpita tra le dita senza che si sappia nulla del mondo che si ha voglia di raccontare e dei personaggi che si muovono dentro la trama. E allora si complica tutto.
Io, per prima, lamento blocchi e limiti quando scrivo perché mi sono cacciata nella vita di sportivi, musicisti e circensi di cui so molto poco. E mi sono trovata a informarmi con esperti e a cercare notizie utili per non inserire nel testo elementi inverosimili, con ovvie lungaggini, intoppi e difficoltà di ogni genere. Allora provo a immaginarmi scrittrice di cose di cui posso parlare con cognizione di causa e penso che, per raccontare il mondo a me più vicino, dovrei attingere alla mia esperienza in Tribunale o alla mia attuale vita domestica.
Di cosa potrei parlare per rimanere entro i confini del mio "conosciuto"?
Di interminabili ore di attesa nelle aule affollate di avvocati che presentano richieste di rinvio e si allentano le cravatte al collo perché l’aria è irrespirabile; di scale su e giù fatte senza soluzione di continuità per depositare fascicoli, fare fotocopie, depennare udienze, rinegoziare con i legali della controparte alcuni elementi delle cause in corso, prendere con gli stessi legali della controparte un caffè al bar e ridere degli aneddoti circolanti in ambito forense. Verrebbero fuori personaggi straordinari: la praticante portaborse incollata alla giacca del suo avvocato, col sorriso da "conquisto il mondo” e lo sguardo che grida “mioddio, ora che faccio?”; gli avvocati marpioni che allungano un occhio sull’atto di citazione e l’altro sul culo di qualche collega piacente; i giudici che sbuffano davanti alle colonne di faldoni sbattuti sul tavolo, che, per il 98% delle volte riconsegneranno al mittente con una data di rinvio da calende greche.
Oppure potrei riservarmi di scrivere la storia di una mamma alla quale riescono bene le lasagne e che ogni giorno prende carta e penna ed elenca le cose da fare: comprare pane e uova; prenotare parrucchiere; pagare assicurazione e bollo auto; passare dalla sarta; ritirare i libri di scuola prenotati… (qui la lista è lunga, eh!)
E anche in questo caso, che grande varietà di personaggi: il fruttivendolo che corteggia le clienti regalando loro un frutto esotico a scelta, la vicina di casa che sa sempre chi cucina cosa perché annusa nell’aria gli odori, affacciata al balcone; il magrebino che, ogni mattina, salta tutte le auto ferme al semaforo per lavare i vetri della Panda celeste, guidata dalla mamma con la lista infinita di cose da fare.
Storie in cui muoversi con facilità, insomma.
Ma poi, ecco il dubbio: okay, partire da quello che conosco bene è un buon consiglio, ma riuscirei a fare diventare la mia vita uno spunto convincente su cui imbastire un intreccio credibile ed efficace? Perché non basta mettere insieme le proprie esperienze e romanzarle, bisogna costruire una trama che abbia un significato tra le righe, qualcuno direbbe un’idea di controllo forte e dimostrabile.
Sarei capace di interessare il pubblico?
Non lo so.
Scriverei “La morte in Tribunale” e mi augurerei di fare l'esordiente alla Pontiggia, magari con un Elio Vittorini dietro la scrivania a decretare la svolta nella mia vita.
Si fa, si fa. Qualcuno direbbe che la cosa importante, quando si costruiscono storie, è che i personaggi abbiano il potenziale per intessere relazioni personali nel modo più ampio possibile. In questo modo è possibile costruire un intreccio senza la necessità di "castrarsi" con un cast ridotto, che offre limitati conflitti e limitatissime soluzioni.
RispondiEliminaPensa alla fatica che devono aver fatto gli sceneggiatori di "Cast away": più di un'ora di film con un unico personaggio in scena. Tanto che si sono dovuti arrangiare e far diventare personaggi gli oggetti. Oppure alla fatica di chi scrive per il teatro, con tre personaggi e un'unica stanza come scenografia. No, no: tu scrivi romanzi, approfittane! ;)
Quasi quasi provo sul serio. Lo farò senza la pretesa di farne un romanzo, solo per il gusto di entrare nel vivo di quello che ho detto, sennò a che serve pensare ad alta voce. 😉
EliminaA me hanno insegnato a scrivere di cose che si conoscono, ma rendendole appetibili. Questo è il sunto, poi come si faccia a farlo bene è un altro discorso.
RispondiEliminaIo mi fermo già a come si faccia a farlo: come si fa a fare diventare appetibili cose ordinarie. Sì, direi che in questo, tu sei maestra. 😉
EliminaEh, che complimentone, grazie!
EliminaLa regola dell'equilibrio e Una mutevole verità mi sono piaciuti molto. Anche Gigi Paoli ha portato il suo essere giornalista di cronaca giudiziaria nei suoi due romanzi. E il tribunale ha molto da offrire come spunti, lo puoi guardare da diverse ottiche (appunto da cronista o da magistrato o da avvocato). Piernicola Silvis da questore a scrittore (Formicae). Fabrizio Cavazzuti che invece da artista senza arte nè parte ha creato un personaggio (investigatore privato) sfruttando però la sua conoscenza del territorio dal punta di vista geografico e la sua passione per la musica (il protagonista è Elvis Zanasi, il nome stesso del protagonista è funzionale alla storia). O il sindacalista Giovanni Iozzoli che ne I buttasangue ambienta la storia nelle fabbriche e tra i lavoratori che ben conosce. Quindi Marina, buttati!
RispondiEliminaSei una fonte inesauribile di esempi concreti.
Eliminai miei occhi guarderebbero da avvocato e se spingessi il pedale verso una deriva ironica metterei in campo l'esercito di praticanti che si muovono al seguito delle loro "guide" legali. Storie viste e vissute.
Sarebbe una bella sfida Marina!
RispondiEliminaMagari quella giusta 😊
Purché non sia un'afflizione per te scriverlo! 😜
Sì, lo farei solo se fossi sicura di divertirmi, Marina, e di trovare una storia interessante da raccontare.
EliminaAspetto il libro allora :D
EliminaDi spunti da sviluppare ne hai un sacco ;)
Buon lavoro!
Marina Z.
👍🏻🤗
EliminaGuarda, ti vedrei benissimo ad attingere ai tuoi ricordi in tribunale. Anzi, perché no? Un mondo che hai conosciuto, vissuto a fondo per un periodo, di cui comprendi i meccanismi. Io non butterei via l'idea, certa anche che quell'ambientazione potrebbe suscitare un certo interesse (e lo dimostrano le numerose serie televisive per dirne una, ambientate in ambito forense).
RispondiEliminaCredo fermamente che si dovrebbe scrivere attingendo a ciò che si conosce. La drammaturgia per esempio non potrebbe farne a meno, e va oltre, devi rappresentare anche quello in cui lo spettatore si può facilmente identificare perché il teatro arrivi.
Grosso modo vale anche per la narrativa.
Prenderò l'ultima frase e ne farò una formula da tenere sempre a mente:
Elimina"devi rappresentare anche quello in cui lo spettatore si può facilmente identificare perché il teatro arrivi."
Riuscire a scrivere una narrativa che porti il lettore dentro la storia: mi misuro con questa difficoltà ogni volta che scrivo una scena.
Immagino che impostarne una al teatro segua parametri diversi, però concordo che il principio sia uguale per entrambi i settori artistici.
Qualche volta devi spiegarmi come fai a coinvolgere lo spettatore quando idei uno spettacolo teatrale.
Prima o poi scriverò una serie di post che entrino nella "macchina teatrale". Dalla scrittura alla regia alla messa in scena. Sì sì. :-)
EliminaLa vita intorno a noi è piena di storie e, ti dirò, questo piccolo schizzo di vita in tribunale secondo me è molto appetitoso. Ci sta una commedia rosa come un giallo, insomma, un materiale da non buttare.
RispondiEliminaNei corridoi dei Tribunali sì vede di tutto. 😄 Io, però, ne farei una commedia, non ho dimestichezza con i gialli. Lì, potresti darmi qualche dritta tu. 😉
EliminaSubito prima che me ne dimentichi. Adoro Carofiglio!
RispondiEliminaStop se no non la finisco più :)
Io credo che parlare di cosa si conosce sia il modo migliore per scrivere. E' vero che ci si mette molto del nostro intimo, magari anhe quello che vorremmo tenere privato, però rende la scrittura più vera, secondo me.
Faccio però anche la voce fuori dal coro. E abbinare la mamma/mamma con figli da portare a scuola eccetera e la mamma/avvocato?
Comunque anche una mamma non lavoratrice (non la dico quella parolaccia che odi ahhahahaha) se si guarda intorno che ne so? andando al mercato magari, di storie ne può "rubare" tante.
Non credo proprio che faresti fatica a scriverle rielaborandole :) Sei una in gamba!
Ero indecisa tra "La morte in Tribunale" e "La morte fra le pareti domestiche". Potrebbe essere "La morte di una bip/avvocato", giusto per nascondere quel termine lì. No, però quel "bip" suona sconcio...😂
EliminaVabbè, ci penso e tu sei troppo gentile a ricordarmi che di essere in gamba... sono in gamba, in questo momento! Ahahah! 😜
Scherzo, eh. Sei molto cara, molto, Pat! 🤗
EliminaCerto! 😊 su due!
EliminaPs il gambone extra te lo hanno tolto no?
Domani. Domani, dopo tre mesi infiniti, metterò quel piede dentro una scarpa! 🎉🎉
EliminaEhm... Dopo queste premesse e tutti questi commenti positivi come minimo ci sta il tentativo con un racconto. Che ne dici? 😛
RispondiEliminaDico che si può fare, sì! 😉
EliminaAnch'io, nonostante quel bisogno di sperimentazione che tu conosci bene, sono d'accordo con la prossimità tra l'autore e il contesto, tant'è che in passato mi sono scagliata contro le ambientazioni americane. Tuttavia, occorre come sempre operare dei distinguo.
RispondiEliminaInnanzitutto, il fatto di conoscere una realtà, non significa che sia la tua. Esempio: il quartiere del romanzo in stand-by. L'ho vissuto dall'esterno, ma questo non significa che non possa conoscerlo. Idem per quel che riguarda "quel certo personaggio" del romanzo nuovo: non è la mia realtà, ma posso entrare nella sua. Come del resto fa chi parla di serial killer.
E qui arriva la seconda domanda: fino a che punto possiamo calarci in realtà distanti dalla nostra? Finché c'è la scintilla, è questa la mia risposta. Finché c'è il desiderio di comprendere e di indossare panni altrui. Finché c'è un gancio, almeno uno, con il nostro mondo. Io posso descrivere la storia di B. finché si muove nella città in cui sono nata e cresciuta, posso parlare di N. e L., che comunque hanno la mia età, ma avrei difficoltà a raccontare le avventure di un pirata bicentenario che si muove in un universo parallelo. Poi, per carità, qualcuno ci riesce, altrimenti non esisterebbe il fantasy. :)
Certo, conoscenza diretta o indiretta che sia, l'importante resta sempre che si sappia maneggiare l'argomento. Si può scrivere di qualunque cosa, altrimenti non esisterebbero storie di ogni genere e nemmeno tutti i ringraziamenti che di solito si trovano a fine libro rivolti alle persone che hanno contribuito con la relativa competenza a dare suggerimenti o a correggere il tiro. È giusto che sia così.
EliminaMi sono immaginata alle prese con storie nelle quali potrei muovermi meglio e mi sono detta che, forse, in questo caso incontrerei meno difficoltà, per lo meno nei contenuti. Anche un'affinità o la condivisione di un mondo aiuta senz'altro, perché, in fondo, non parlo di autobiografia in senso stretto. Il protagonista della mia nuova storia suona il violino e si è formato al Conservatorio: mio figlio è al suo sesto anno di Conservatorio (pianoforte) e conosco molti allievi che suonano il violino, ma il fatto di non vivere "dentro" quella realtà mi ha portato a chiedere continuamente cose che potrebbero farmi scivolare in qualche inesattezza. Per te è lo stesso, nella nuova storia di cui ti stai occupando, perché nulla sai di quel certo personaggio e c'è qualcuno che ti sta aiutando a capire. Ecco, non è impossibile scrivere "altro" da noi, è solo più complicato e impiega più energie.
Sono pienamente d'accordo, e aggiungo che a volte un eccesso di prossimità rischia di diventare claustrofobica. Per lo meno a me era successo così in passato, quando avevo creato un personaggio molto simile a me per biografia e stile di vita. :)
EliminaBisognerebbe attingere dal proprio vissuto (o dal proprio "sentito") anche solo per il fatto che spesso la realtà supera la fantasia. :-P
RispondiEliminaMa forse i bravi scrittori sono quelli che raccontano storie con una disinvoltura tale da farle sembrare uscite direttamente dal proprio vissuto.
Credo che in certi generi letterari questa mia riflessione non valga granché: un fantasy o anche una delle storie che scrivi tu o quelle dove davvero la realtà supera la fantasia sono sganciati dai parametri stretti del "vero" che circonda l'autore. Lì, la disinvoltura conta molto, sì.
EliminaCredo che potresti mescolare il personaggio donna-mamma con la mansione avvocato a creare tensioni e situazioni imbarazzanti. O al contrario mettere a confronto due donne diverse ma amiche o rivali in cui evidenziare i difetti. Insomma perché no, partire da ciò che conosci molto bene per parlare di ciò che ti preme piegando i tuoi personaggi come più ti piace?
RispondiEliminaSecondo me le cose che paiono più semplici in realtà sono quelle che calzano meglio al lettore per riuscire a immedesimarsi. Io fossi in te ci penserei davvero,hai materiale da vendere pronto per l'uso.
Uhm, ci penso un po', anche perché mi misurerei con qualcosa di nuovo per me, il che da un lato mi entusiasma, dall'altro mi mette soggezione. Qualche personaggio non male ce l'avrei da tirare fuori dal cilindro.
EliminaQualcosa del nostro mondo di appartenenza sicuramente entra sempre nei nostri scritti, che noi lo vogliamo o no.
RispondiEliminaSe impegnarsi in modo esclusivo a creare una storia incentrata sul contesto in cui viviamo possa produrre un capolavoro non so, però se ti senti ispirata a farlo provaci no?
No, ancora l'ispirazione non c'è, solo un'idea, ma confusa. Vedremo...
EliminaIl tribunale offre spunti molto interessanti, prova ne è il fatto che molte fiction americane di successo abbiano avvocati come protagonisti. Si parte da quello che si conosce e si spazia con la fantasia. Anche Alessia Gazzola scrive romanzi gialli in cui una specializzanda in medicina legale indaga su misteriosi omicidi e lei nella vita è medico legale sul serio.
RispondiEliminaHo visto anche la serie, L"Allieva" tratta dai romanzi della Gazzola. Simpatica. No, però, fare l'avvocato che scrive e risolve casi non mi piacerebbe, anche perché sono certa che mi perderei irrimediabilmente nella difficoltà del genere che non pratico molto.
EliminaCiao Marina, ho frequentato 3 Palazzi di Giustizia tanti anni fa (non da indagato), il nostro è risultato il più spiacevole e disumano, l'arroganza e l'indifferenza camminavano spavalde per i corridoi. Gli altri due, Catania e Potenza, mi hanno dato motivo di lavorare con gusto, specie il secondo. Tre mondi diversi e tre mentalità diverse. Non so se te ne ho mai parlato. Mi piacerebbe veder raccontato questo mondo da te in modo ironico- comico, col taglio che dai da "regista" di video.
RispondiEliminaForse la "necessità" di scrivere guida lo scrittore verso una strada, più che ragionare su cosa sia meglio scrivere. Me lo fa pensare qualche nostra conversazione e magari non è così per tutti gli scrittori. Carofiglio non l'ho mai letto. Fa spesso visita a diversi talk show e non mi è piaciuto avergli sentito dire inesattezze ed addirittura cose non supportate dai fatti. Essere ripreso da giornalisti, dati alla mano, è stato più che brutto, per un ex magistrato. Chiaramente parlava da politico, ma questo non lo giustifica. Ciò non toglie che possa essere un bravo scrittore, ma in me suscita distanza.
Io non conosco Carofiglio, a dire il vero è il genere che mi attrae poco; la mia scarsa curiosità mi porta a preferirgli sempre altre letture, però ne sento parlare molto bene. Quanto ai Tribunali, il nostro è un ambiente decisamente triste: ho frequentato solo quello e ogni mattina si vedeva di tutto, parlo soprattutto di rapporti umani più che di episodi giuridici in sé. Sono contenta di essermene allontanata.
EliminaE credo abbia ragione sulla "necessità - guida", infatti riflettevo sulla considerazione fatta dal mio amico, provando a capire se rientrasse nelle mie, per così dire, corde scrittorie.
Ho un'altra storia da portare a termine, prima. 😉
E io dovrei scrivere di informatica e computer?? :O
RispondiEliminaMa mi faccia il piacere, direbbe Totò.
Forse è per quello che sono multi-hobby e non sto mai ferma: vado a caccia di storie diverse dal mio ambiente lavorativo-famigliare. (Potrei anche scrivere un bel romanzo sul condominio, ma temo che cambiare nomi e aggiungere personaggi non sarebbe sufficiente...)
Sì, sono per la narrativa di evasione dalla propria cerchia anch'io. Però, sai quante ne potresti inventare tu di storie cibernetiche con le tue conoscenze informatiche.
EliminaCon il condominio sì va sul sicuro per tutti: chi non ne avrebbe da raccontare!
Che bel post! La tua descrizione dell'ambiente dei Tribunali è, in sé, un piccolo racconto. Io scriverei senza dubbio un romanzo dal titolo "La morte in casa editrice" dove farei fuori un bel po' di gente. Però l'ha già fatto P.D. James con il romanzo Morte sul fiume, la differenza è che io l'ambienterei nel mondo della scolastica.
RispondiEliminaUn desiderio di tutti: fare fuori qualcuno e poiché non siamo criminali, in effetti, potremmo sbizzarrirci con la scrittura: libri titolati "Morte a..." in ogni dove. 😄
EliminaAnche se la mia vita mi sembra fantastica, solo all'idea di scrivere del mio mondo mi viene una noia mortale. Non credo che riuscirei a farlo. Per me leggere - e anche scrivere - serve a uscire dal mio mondo per andare altrove, dove tira aria nuova.
RispondiEliminaIl senso della mia scrittura è lo stesso. Prima o poi, però, voglio sperimentare una narrativa che peschi nel mio mare, se non altro per non stare a chiedere e verificare ogni informazione. Chissà, potrei anche divertirmi.
EliminaTema su cui mi sono a mia volta interrogato, giungendo in fretta a una conclusione. Che da questo punto di vista sono fregato in partenza, perché pur scrivendo di cose quotidiane, alla fine una dose abbondante di fantastico, che mi porta lontano lontano, devo infilarcela comunque. Altrimenti non sarei io ma qualcun altro a scrivere al mio posto.
RispondiEliminaBeh, il connubio perfetto: partire dalla quotidianità e volare di fantasia.
EliminaSei autentico e scrivi quello che ti piace scrivere. Cosa chiedere di più?
A me è capitato. Finché sono rimasto inchiodato al patrio suolo ho scritto solo racconti. Dopo poco tempo che ero in Germania ho cominciato a pensare ad una storia embientata completamente a Francoforte. Passavo da quella piazza ogni giorno, abitavo lì nei pressi e mi ero figurato una splendida rapina in una Banca privata situata di fronte al Polizei Presidium. Quale posto migliore, ma non una rapina, uno scasso gigantesco. L'ho ruminata per venti anni poi ho scritto e pubblicato NON a mie spese "Martedì dopo l'autunno" Baku edizioni. Era diventato un romanzo di formazione. Anche il secondo, "Francoforte sul Meno andata e ritorno" è ambientato a Francoforte. Il terzo no. Sono rientrato alla base d partenza, ma non a Roma bensì a Udine, dove ho vissuto da ufficiale di complemento quattro anni. Mi è stato facile ambientarlo, conoscendo strade e vicoli, ma anche il dialetto dei furlans, mia moglie è friulana. Come vedi hai ragione tu.
RispondiEliminaVoglio leggere le tue storie: "martedì dopo l'autunno" mi piace molto, già dal titolo. Ti chiederei molte cose, ma è ovvio che qui non si può: perché vivi in Germania? Di dove sei (romano?), la tua vita secondo me è molto interessante, io passerei del tempo ad ascoltarti mentre la racconti. 😉
EliminaStephen King è uno che la usa spesso questa regola: molti suoi personaggi sono scrittori e/o insegnati di inglese, proprio come lui.
RispondiEliminaComunque il fatto di avere maggiore familiarità può rendere lo scrivere più facile, ma non necessariamente migliore. Ci sono libri di autori che parlano del proprio mestiere benissimo eppure sono noiosi lo stesso.
Viceversa c'è chi fa molta ricerca in ambiti che non conosce e poi scrive capolavori. E sai che soddisfazione dire "ah, io non so nulla di quello, però mi sono sbattuto a farci tanta ricerca"?
Poi c'è da dire che ognuno di noi quando scrive mette inevitabilmente qualcosa di suo dentro lo scritto. Mestiere e ambientazioni comprese.
Comunque quello di usare il proprio lavoro per un racconto o un romanzo può sempre essere un punto di partenza interessante.
Certo, questo è vero: la qualità prescinde dalla competenza e dalla padronanza della materia e forse riuscire in qualcosa che si conosce poco regala una piccola soddisfazione in più. È sempre l'idea che deve vincere, al di là di dove sia ambientata. Per esempio, sì, attingere al mio vissuto, ma ora come ora non saprei cosa raccontare per interssare il lettore. Mi manca proprio la storia.
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