Chi doveva dirmelo che, alla mia età, mi sarei ancora imbattuta in novità linguistiche alle quali abituarmi gioco forza, per non sembrare una barbosa conservatrice, poco aperta al cambiamento.
Basta avere due figli adolescenti e non c’è scampo: si viene risucchiati in una quotidianità fatta di termini brutti a sentirsi, ma efficaci nella resa, che hanno trasformato il linguaggio dei giovani in un codice e quello di noi vecchi in una decontestualizzata e desueta prova dialettica.
Ormai, in casa mia, come mi muovo mi muovo, agisco da “boomer”; non vi dico le filippiche di mio figlio, seguite dall'ovvio sfottò, quando gli mando un messaggio col cellulare, con tutti i segni d’interpunzione al loro posto e in un italiano da Accademia dell’Arcadia: il messaggio si finisce senza punto fermo e non ci sono virgole e le abbreviazioni sono consentite. Il messaggio dev’essere diretto, breve e percepito, non è un tema d’italiano.
Quando scopro che pure un’esperta lessicologa editoriale dà ragione a queste giovani generazioni entro in crisi.
Donata Schiannini (purtroppo scomparsa qualche giorno fa), coautrice, tra l’altro, di vari testi di grammatica italiana, aveva, a riguardo, un’apertura mentale da fare invidia.
Io ho avuto la fortuna di ricevere in regalo un suo libro: “Come lo scrivo?”, che ho letto e che consulto, come una sorta di utilissimo vademecum, tutte le volte che ho un dubbio sull’uso del lessico. Già qualche anno fa, in molti ci mettevamo al sicuro da equivoci e incertezze grazie a una rubrica del blog da dove sto scrivendo, chiamata “L’angolo di Donata”, dove la linguista rispondeva alle domande più curiose e correggeva gli errori, in cui talvolta, scrivendo, incappavamo senza saperlo.
E non è che lo sostiene e basta, come se la sua fosse solo un’opinione progressista, lo spiega e lo motiva anche, con esempi pratici che mi fanno riflettere.
Nessuno di quei fenomeni accorciati, cui accennavo sopra, è nuovo. Basti tornare indietro nei secoli, al tempo delle epigrafi latine, medievali e rinascimentali, o a quello dei codici manoscritti, per trovare abbreviazioni e contrazioni, considerate normali. E questo, perché, incidere ogni lettera nella pietra non era proprio una comodità e quando ancora non esisteva la stampa e la pergamena costava cara, scrivere al risparmio era un espediente utile e vantaggioso.
E che dire della stenografia e della stenotipia, utilizzate per le attività parlamentari di Camera e Senato o nei Tribunali?
Ora che ci penso (e il ricordo me lo ha rinnovato Donata nel suo libro), all’università, quando prendevo appunti, durante le lezioni, non scrivevo forse abbreviando termini (io, addirittura, per alcuni, usavo solo le iniziali)?
Insomma, forse non bisognerebbe demonizzare del tutto la “scrittura sincopata” degli sms. Luca Serianni dice che “gli Sms abituano a scrivere molto e a fare i conti con lo spazio”. E infatti, si sono inventati Twitter che con 140 caratteri (adesso hanno allungato il limite, secondo me, spersonalizzando l’intento originario) ha persino fatto da traino all’editoria italiana, che ora ripropone le “scritture brevi”, già conosciute nei secoli passati.
Ha ragione la saggia lessicologa, quando dice che di fronte a un fenomeno linguistico nuovo non dobbiamo dare giudizi a priori, catalogandolo come buono o cattivo: possiamo farci un’idea dopo che qualcuno ce ne abbia dato la spiegazione e lo abbia in qualche modo giustificato.
Se in un messaggio digitato su uno smartphone - e qui ritorno alle abitudini dei giovani - le regole di ortografia sono reinterpretate è perché per loro quell’sms o quel wapp (guardate come l’ho scritto: starò imparando qualcosa?) sostituiscono una telefonata e quella formula scritta si avvicina al parlato: quando parliamo le maiuscole non ci sono e nemmeno l’apostrofo, eppure ci capiamo lo stesso.
In tempi recenti, l’Accademia della Crusca stessa si è modernizzata: adesso è più possibilista, inserisce neologismi nei vocabolari, ha cambiato linea e dà dei consigli ben fondati soprattutto tenendo conto dell’uso, perché, lo diceva l’illustre Manzoni, il signore delle regole è proprio questo: l’uso (quando diventa tradizione).
È inutile fare i puristi: qui bisogna accordarsi con tutto ciò che fornisce uno stimolo alla crescita, alla diffusione e all’evoluzione della lingua italiana.
Teniamoci gli anglicismi, tanto deprecati, i petaloso, i qual è scritti anche qual’è (Donata ha azzardato una previsione: nel giro di una decina d’anni, massimo venti, sarà una forma corretta) e credo che dobbiamo tenerci, d’ora in poi, anche il termine “cringe”, promosso di recente dalla Crusca e di uso mooolto comune nel linguaggio dei miei figli... accanto a "boomer".
Chiudo con una citazione tratta dal libro di Giuseppe Antonelli, “Comunque anche Leopardi diceva le parolacce”, Mondadori, 2015 (che meriterebbe una lettura), in memoria della compianta Donata, che mi mancherà:
L’italiano è vivo, viva l’e-italiano!
Non conoscevo questa Donata, ma spero che riposi in pace.
RispondiEliminaQuanto alla lingua italiana, è indubbio che sia in divenire, ma io continuo a rifiutarmi di scrivere in maniera abbreviata, con le kappa (come si usava fino a qualche anno fa), le ics (o i per), ecc.
Allo stesso modo, aborro i petaloso e company.
Insomma, ho 33 anni ma sono una boomer. Consolati.
E forse, un giorno, per tuo figlio sarai anche cringe! :D
EliminaComunque, a parte tutto, quello di Donata non è un invito a scrivere male: anche lei non amava mandare messaggi con errori di ortografia, ma capiva il punto di vista di chi lo fa. Un'apertura autorevole, visto che viene da chi s'intende parecchio di grammatica.
La lingua è una realtà viva e quindi in movimento, ciò non toglie che io pretenda nello scritto la correttezza ortografica e sottolinei senza pietà ogni “neologismo” non virgolettato e ogni imprecisione. Quando parliamo accetto quasi tutto. Ma sono una vecchia prof, eh!
RispondiEliminaBenvenuta, dolcezzedimamma, nel mio blog. :)
EliminaÈ giusto quello che dici (anch'io sono d'accordo e non penso che ci siano insegnanti che lascino correre su inesattezze ed errori eclatanti), ma ,non a caso, Donata parla di cambiamento giustificato dall'uso, che finisce per diventare usanza comune, tradizione. Il neologismo inventato sul momento e che rimane lì, episodio singolo, è un errore, ai fini della correttezza dell'italiano, ma se si stabilizza e continua a trasmettersi nelle abitudini, alla fine, viene inglobato nella lingua.
"L'errore generalizzato, quando è veramente generalizzato, non è più errore": lo dice Teresa Poggi Salani, accademica della Crusca, chi meglio di lei!
Che la lingua sia un continuo divenire sono d'accordo, avendo studiato Lingue e fatto un esame di Linguistica Generale sono costretto a riconoscerlo. E tuttavia io questo fenomeno lo subisco più che accettarlo. Un linguaggio involgarito, stringato, banalizzato, francamente mi avvilisce. Spero che le nuove generazioni riscoprano il gusto della prosa ricercata e elaborata.
RispondiEliminaSei un tradizionalista e va benissimo. Conservatrice anch'io, ma affascinata dal modo in cui Donata rende possibile ogni cosa nella nostra lingua purché si verifichino le giuste condizioni. In fondo, mi tocca ammettere che i miei figli comunicano in questo modo stringato e banalizzato, come dici tu, ma ciò non ha mai inficiato la loro resa scolastica quanto a lingua italiana: hanno sempre scritto ottimamente i loro temi, dunque, forse, quello è solo un linguaggio che semplifica, ma non va a pregiudicare le conoscenze già acquisite in materia grammaticale. L'ignoranza, poi, è un'altra cosa: "gli italiani stanno bene sul piano linguistico, non benissimo su quello culturale", sottolinea la nostra Donata. Impossibile darle torto.
EliminaLa lingua parlata è in continua evoluzione, è viva, non per niente si distingue dalle lingue cosiddette "morte" come greco e latino.
RispondiEliminaTuttavia nei testi scritti mi aspetto il rispetto di certe regole, insomma posso accettare cmq al posto di comunque in un sms o messaggio WhatsApp, ma in un romanzo o in un articolo di giornale no...
Abbreviare le parole togliendo le vocali può essere proprio di un modo spiccio di comunicare, come un messaggio, un sms, una mail informale; in un romanzo puoi trovare altre forme nuove di interpretare la grammatica italiana: “disegniamo” scritto senza la i, per esempio, “a me mi” (ormai tollerato)... Non dobbiamo stupirci: in fondo, se ricordi, Pirandello usava la j al posto della i semivocale, poi scomparsa e prima si usavano formule come: “dissemi”, “volgesi” al posto di “mi disse” o “si volge”... Quando Donata parla di cambiamenti della lingua si riferisce a questo tipo di logica evoluzione: il linguaggio dei giovani è solo “sdoganato” (e lei stessa mette tale termine tra virgolette, visto il frequente uso che, ormai, si fa di questo participio passato)
EliminaIntanto sono andata subito a cercare il significato di cringe. Una povera adulta senza figli come farà a reggere le continue novazioni della lingua italiana 😝 ! Io non ho pregiudizi scrivo spesso wa e abbreviare serve a risparmiare tocchi sulla tastiera. Ma nel parlare o nello scrivere no, non ammetto con piacere i neologismi. A meno che non sia io stessa a crearli ;)
RispondiEliminaAnch’io creo neologismi molto domestici e molto dialettali. Ridiamo un sacco, ma è un linguaggio tutto interno alla mia famiglia, con cui riesco a farmi capire alla grande. Per me il problema non è riconoscere che una cosa sia possibile (mi sono molto stupita del “progressismo” di Donata, che aveva un’età importante: meravigliosa l’età e lei sempre sulla scia della modernità), è accettarla anche nell’uso che ne faccio io, perché nonostante quello che ho detto nel post, io continuo a scrivere sms accessoriati di punti, virgole e pure di punti e virgole! 🤦🏻♀️
EliminaCredo di essere abbastanza elastica sull'evoluzione della lingua, almeno in via teorica. Le abbreviazioni però non le uso quasi mai (sia benedetto il T9!), al massimo salto una maiuscola se vado di fretta. Non mi infastidisce niente, ma non adotto tutto, insomma.
RispondiEliminaCredo che questo sia l’atteggiamento giusto ;)
EliminaLa lingua si evolve, è vero, ma non è detto che si evolva in meglio. La direzione evolutiva, come insegna la Biologia, è quella di essere più funzionale, cioè che si adatta meglio all'ambiente. La contaminazione può essere arricchimento, ma l'abbreviazione può essere sia facilitazione che una scorciatoia mentale che ti evita di pensarci troppo.
RispondiEliminaI cambiamenti cui allude Donata non riguardano tanto il famoso “linguaggio sincopato” dei giovani, oggi: quelle sono forme, tutt’al più, tollerate, quando sono giustificate e ben spiegate, anche dal punto di vista della logica (per esempio, il perché della K al posto del che/chi).
EliminaLa seconda parte del libro fa un elenco in ordine alfabetico di termini o locuzioni che destano spesso dubbi su come vanno scritti o sul loro esatto significato e lì l’esperta lessicologa chiarisce il perché e il percome di regole che, un giorno, potrebbero essere diverse. Non che ci aspettiamo che ciò avvenga, ma sapere che c’è la possibilità che ciò accada sarebbe già un buon punto di partenza per accettare questi eventuali, forse anche inevitabili, cambiamenti.
Io sono una specie di calvinista della lingua, ma mi rendo conto di essere esagerata con la mia mania di mettere tutta la punteggiatura a posto e le maiuscole anche in un breve messaggio. ;) Non mi piacciono gli inglesismi quando si potrebbe usare una parola italiana, e alcuni sono davvero orrendi come "brieffare". Per quanto riguarda gli errori di ortografia, "qual'è" non mi dà fastidio, ma "pò" mi fa proprio venire l'orticaria... anzi, mi sto già grattando... :D
RispondiEliminaFidati, in quanto a inglesismi c’è di peggio: skippare, per esempio! :D
EliminaInvece, a proposito di po’/pò, senti questa: Donata ci frega tutti.
Lei scrive testualmente:
“A volte si vede questa parola, abbreviazione di “poco”, scritta con l’accento. Tradizionalmente invece si scrive con l’apostrofo anche se è una forma di troncamento e non di elisione. Con buona pace di quelli che si strappano i capelli quando vedono scritto qual’è con l’apostrofo (perché non è un elisione, è un troncamento): tanta è la forza dell’uso, quando ormai è diventato tradizione”.
Sai che skippare non l'avevo mai sentito? :/ Peraltro mi irritano anche le parole inglesi usate ovunque e spesso a sproposito, soprattutto nel linguaggio aziendale: "mission", "location", "competitor", "startup" (e poi c'è anche "startuppare", ovviamente)... E anche in televisione si capisce una parola su tre perché usano termini come "coach", "wellness"... Però appunto mi rendo conto che sono una fanatica puritana! :D E, stando alle parole di Donata, pure calva a questo punto: "La calvinista calva". :D
EliminaAhah, cara Cristina, hai ragione (e spoilerare, ormai di uso comunissimo? Tanto per allungare la lista, ma temo che non si finirebbe più!) Sai che ti dico? Viviamoci i nostri tempi e lasciamo le pippe grammaticali e ortografiche a chi ha scelto di farne uno studio sistematico (meno male che c’è chi fa questo lavoro, almeno a noi arriva solo il prodotto finito.) :)
EliminaGrazie innanzi tutto per questo ricordo di Donata. Leggevo sempre la sua rubrica e questo tuo post è stato un malinconico viaggio nei ricordi.
RispondiEliminaPer quanto riguarda l'italiano, invece, mi colpì quando preparai l'esame di storia della lingua italiana scoprire che nel 1700 l'italiano rischiava di sparire soppiantato dal francese nel nord italia e da altre lingue/dialetti nel resto del paese. Quindi ora a confronto sta benone. Detto questo, per scrivere qual'è impunemente i miei alunni devono passare sul mio cadavere
A proposito di qual’è/qual è, rimarresti sorpresa di come Donata, nel libro, affronta l’annoso dubbio.
EliminaRagionandoci su, lei sostiene che proprio qual’è, con l’apostrofo, diventerà un giorno forma corretta (senza che diventi scorretta l’altra), come già lo era presso Pirandello, Landolfi, Mario Tobino e altri. Del resto (come per un po’, che è troncamento, non elisione, dunque perché l’apostrofo?), da secoli si ammette che, per esempio, il troncamento di “frate” si possa scrivere fra, fra’ o frà e che il troncamento di”fai” (seconda persona dell’imperativo “fare” si possa scrivere fa o fa’.
Insomma, sono d’accordo con te e con quello che ho letto negli altri commenti, ma se lo dice Donata...
Il tuo post casca a fagiuolo (o fagiolo?): ho appena ricevuto una mail con scritto "caricazione", presumo una sorta di fusione tra "caricamento" e "azione". Scuso il mittente solo perché vive all'estero ad anni e quindi si sarà scordato l'Italiano...
RispondiEliminaRicordo di aver letto qualche risposta di Donata Schiannini proprio da Helgaldo, così come ho letto della sua recente scomparsa, e mi era capitato sotto il naso la pubblicità del suo libro. Le invidio la sua modernità, ma è come se non si facesse del tutto i conti con lo "scopo", la motivazione che porta ad alcune scelte.
Da informatico con le abbreviazioni e gli acronimi lotto da parecchio tempo.
Sono stata anche nell'ultima classe del mio istituto di Ragioneria con il corso di Stenografia (oggi mi sembra un'attività inutile, visto che il riconoscimento vocale più l'AI trascrivono in maniera istantanea ogni linguaggio).
Come te Marina ho lottato con i primi sms a 160 caratteri (altro che i 280 di Twitter!) e ricordo bene tutte le abbreviazioni, dai xè (perchè) ai cmq (comunque) a tvb (ti voglio bene) e tutte le emoji con la punteggiatura, anche in orizzontale. ^_^ Ma c'era uno scopo: un sms ci costava caro!!
Per quale motivo oggi dobbiamo scrivere sgraziatamente, visto che abbiamo minori costi (passando alle social chat, nel piano dati), maggior velocità tecnologica e un miglior controllo ortografico automatico?! °_O
Che poi l'hai sottolineato tu, riprendendo dal libro di Donata: si abbreviava anche in passato, e lo "scopo" era di risparmiare il denaro dell'incisione.
Al tempo del Nokia 3330 avevamo una Fiat 126 e la tiravamo a gran velocità manco fosse una Ferrari. Oggi, che hanno in mano una Ferrari, la guidano come una Fiat 126...
Non solo. Oltre allo "scopo", bisognerebbe anche considerare la "conseguenza". La lingua serve per "comunicare", è un codice accettato e compreso dagli interlocutori e pure il cambiamento a questo codice deve essere accettato (è così che l'Accademia della Crusca osserva l'evoluzione: verifica quante persone e testi scritti utilizzano una versione o un'altra). Le abbreviazioni funzionano tra gli amici e in una certa fascia d'età. Poi nel mondo del lavoro è altra cosa. Prova a scrivere "xè" in un curriculum e vediamo. §_§
Pensa se io oggi iniziassi a scrivere così... 011100000110111101110110011001010111001001101001001000000111001001100001011001110110000101111010011110100110100100100001
Certo, il cambiamento per essere tale dev’essere accettato da tutti, non può essere un episodio sporadico, non per niente Donata parla di uso che si fa tradizione. Quando “per tradizione” si sarà soliti fare un certo utilizzo della lingua, allora l’evoluzione si sarà per così dire consumata.
EliminaAndiamo incontro a un mondo che sarà guidato dall’intelligenza artificiale (guidato e distrutto, ma questo è solo un pensiero che mi è sfuggito): vuoi che non sia possibile parlare e scrivere con un linguaggio cifrato? Ora ti prenderemmo per pazza (l’Accademia della Crusca, per come si è votata all’iper progressismo linguistico, ne farebbe uno studio qualificato, ne sono certa e forse anche la nostra Donata, se fosse ancora fra noi), ma chissà, in futuro, se semplificare tutto con i numeri... Pensa un romanzo scritto così (a proposito, ma che roba è?), non avrebbe bisogno di traduttori, in giro per il mondo! :D
Mah, non penso sia tanto questione di purismo: se devo scrvr 1 sms mi va bn anke così xchè faccio prima e cmq si capisce lo stss. Ok raga?
RispondiEliminaPerò, se devo scrivere un testo - che sia un libro o un articolo o una lettera - si può dire quel che si vuole dell'evoluzione della lingua, ma non vorrei che non si confondesse un'evoluzione con quella che potrebbe essere la moda del momento (che poi diventi la prassi, solo il tempo può dirlo).
Sono certa anch’io che un linguaggio come quello abbreviato serva solo a rendere più spiccia una comunicazione: scrivere come si parla velocizza tutto. Il messaggio di Donata e degli studiosi come lei è un altro: dice che possiamo aspettarci che certi termini oggi considerati scorretti possano un giorno non rappresentare più un errore. In attesa che l’uso soppianti la regola per crearne una nuova, noi continuiamo a fidarci della nostra ortografia. 😉
EliminaAvevo cominciato a leggere questo tuo post giorni fa e poi ero andata sulla pagina del blog alla rubrica di Donata (che non ho avuto il piacere di conoscere, troppo tardi ero arrivata al blog di Helgaldo). Rieccomi.
RispondiEliminaCapisco questa visione progressista e del tutto logica. La lingua si evolve, ciò che ci fa inorridire oggi probabilmente domani sarà accreditato, va bene. Io però resto della mia idea quanto a scrivere. Non ci riesco proprio a inviare messaggi abbreviati, che uccidono la lingua. È più forte di me. Ammetto, è pure un limite, perché scrivere correttamente e con la punteggiatura in ordine perfino messaggi wozzap o sms richiede tempo. Non potrei però fare altrimenti. Sarò anch'io una boomer, ma tutt'al più ammetto l'espressione "prof", anche nel parlato dei miei ragazzi. Per il resto, devono inviarmi messaggi e email scritte con tutti i santi crismi. XD
Anch’io, penso, di rimanere una super boomer! Ai cambiamenti, quando ci saranno e se ci saranno, penseremo a tempo debito. Intanto continuo ad ammirare gli studi di Donata e la sua grande competenza, qualche volta da lontano, qualche volta da molto vicino, come accadeva ai tempi dei suoi preziosissimi interventi da Helgaldo. Una rubrica utilissima, che ha risolto diversi miei dubbi. Rimpiango ancora quelle occasioni.
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