martedì 14 marzo 2023

Ciò che conta

Le scelte sbagliate non si piangono per sempre. 
All’inizio sono preludi a crisi postume, catalizzatrici di input negativi che poi scatenano guerre interiori. Una scelta sbagliata ingabbia, è come obbligarsi a fare un salto sopra le sabbie mobili: più ti dimeni più sprofondi. Ma sia che tu trovi la forza di reagire all’errore, sia, al contrario, che tu abbia la tempra per sopportarlo, impari comunque a convivere con esso e te ne fai una ragione. Un errore non rimediato può aggiungere pezzi alla maturità oppure alimentare le frustrazioni, può regalare punti per ottenere saggezza o sottrarli per lasciare fiorire l’insoddisfazione: una scelta sbagliata, che condiziona l’esistenza, può essere la via tutta in salita verso una maggiore consapevolezza di se stessi o uno scivolone rovinoso verso l’insicurezza.
Io ne ho fatto un punto di forza.

Avevo un sogno... oltre trent’anni fa: volevo diventare psicologa. Mi affascinava questa professione, lo studio dell’es, dell’io e del super-io freudiani, indagare origini e natura dei sogni, conoscere dove hanno sede le emozioni. Ero ancora liceale e mi ero convinta di sapere analizzare e qualche volta pure risolvere i problemi (di natura prevalentemente sentimentale) in cui venivo coinvolta come “terzo super partes”: sapevo leggere l’animo delle persone, vedere oltre le apparenze; le amiche si sfogavano con me e io comprendevo sempre ogni punto di vista, anche quando non lo condividevo. In questa fase della mia giovinezza sono diventata persino la migliore confidente di molti ragazzi, l’amica ideale che ascolta e sa dare il consiglio giusto al momento giusto. Mi interessava davvero la “psiche” delle persone, studiarne i comportamenti, analizzarne il carattere e così ogni settimana compravo il fascicolo di un‘enciclopedia di psicologia (una di quelle raccolte infinite che, però, mi regalava la piacevole sensazione dell'attesa dell'uscita settimanale), che adesso riposa in pace nel fondo di uno scatolone rimasto chiuso, dopo il trasferimento e confinato in garage. Storia vecchia, forse già raccontata altrove: stare con i piedi per terra era uno di quei vincoli ripetuti e imposti dal buon senso genitoriale e, alla fine degli anni ‘80, quando conseguii la maturità classica, non avevo molte chances per accontentare le aspettative dei miei se non iscrivermi alla facoltà di Giurisprudenza, che apre tutte le porte (il mantra dei nostri pranzi). 

La (in)sofferenza verso questo corso di studi nacque immediatamente con l’acquisto del primo manuale, quello di Diritto Privato e si sviluppò con tutte le materie che diedi negli anni successivi, fatta eccezione per due complementari, Medicina Legale e Antropologia Criminale, verso cui mi sentivo maggiormente predisposta, Filosofia del Diritto e Diritto Internazionale, che trovai interessanti (quattro materie su ventidue, un record!) né valsero a darmi coraggio i bei voti presi nelle materie più noiose (una per tutte il Diritto Amministrativo, il cui trenta mi indusse, in dirittura d’arrivo, a chiedere la tesi): studiavo con il pilota automatico attivato. Si doveva fare e m’impegnavo come se avessi voluto fare: i sacrifici non mi premiavano sempre, ma mi ero piazzata al centro di una strada e non mi sarei tirata indietro, non avrei svoltato l’angolo, non avrei cercato scorciatoie, non avrei cambiato percorso (segno zodiacale Toro: orgogliosa e testona). 

La laurea è stata il traguardo più faticosamente raggiunto e quel giorno di aprile in cui tornai a casa con un mazzo di fiori in mano e la sensazione di osservare il mondo dalla cima dell’Everest, l’unica cosa che feci fu lanciare i tulipani rossi in aria, togliermi scarpe e tailleur e poi, con lo stereo a volume altissimo, in mutande e a piedi scalzi, ballare e gridare insieme ai Rage Against the Machine “Killing in the name of...”. Ah, che gran momento di libertà! (un ricordo da cui, nel 2019, ho tratto lo spunto per un mini racconto).

Fu una scelta sbagliata, perché io non sono tagliata per il diritto e non ho cambiato mai idea (ne è dimostrazione il fatto che, alla fine, mi sono tenuta alla larga dalla professione forense), ma che ho saputo sfruttare a mio vantaggio quando sono entrata in Croce Rossa e ho superato le selezioni per diventare Diffusore di Diritto Internazionale Umanitario. Una scelta sbagliata, che è diventata risorsa anche in altri contesti. Avrei potuto compiere studi diversi senza riempire di sudore i testi che mi sono stati utili solo per sostenere gli esami, ma questa “forzatura” ha agevolato la più bella scoperta della mia vita: il desiderio di fare la mamma non part time e affermato l’intenzione di rimanere sempre dalla parte dei miei figli, qualunque strada decidano di intraprendere, in futuro, anche se non dovesse “aprire tutte le porte”.


L’esperienza universitaria ha lasciato una scia di rimpianti nella mia vita, che, come macchie che la candeggina non sbianca del tutto, sono sempre lì a riempirmi di “chissà se”, ma in qualche modo ha forgiato il mio carattere, mi è stata di grande insegnamento e io ho imparato a destreggiarmi nelle situazioni poco comode, perché è facile riuscire in ciò per cui si è portati, più difficile raggiungere gli stessi risultati partendo da una condizione di estraneità dovuta al disinteresse. Quando mi dicevo: “stringi i denti, passerà” stavo mettendo la calce ai mattoni che hanno costruito la mia pazienza e adesso vivo certe salite come sfide che m’impegnerò a vincere. E non fa niente se cammino con addosso le macchie dei rimpianti, tanto le vedo soltanto io e qualche volta si fanno largo fra le pagine di un quaderno.

La raccolta punti saggezza continua ed è questo ciò che conta: non scartare mai come inservibili le pietre che hanno tracciato un percorso di vita. Tutto serve, tutto è funzionale, tutto insegna, tutto arriva da qualche parte, anche se per arrivare occorre trangugiare sorsi d’inadeguatezza e versare lacrime d’insoddisfazione.

Ciò che conta è volersi bene. Molto semplice. 

Voltarsi indietro e sorridere alla vita.

24 commenti:

  1. Non do per scontato di sapere cosa è meglio per me. Non lo so nemmeno ora, figurarsi a vent'anni! Certo se tornassi indietro cambierei qualcosa. Però mi viene in mente Shi Heng Hi, maestro di arti marziali che dirige lo Shaolin Temple di Berlino. Nato in Germania da una famiglia di profughi in fuga dal Vietnam, non aveva alcun desiderio di seguire il corso di studi che poi ha portato fino alla laurea, ma nella sua cultura di origine non esiste che i figli ignorino i desideri dei genitori. Quindi ha studiato come gli veniva chiesto (credo giurisprudenza) e poi ha messo da parte tutto per farsi monaco e iniziare a insegnare taiji quan, qi gong e quant'altro, quello che desiderava veramente. Lo raccontava con tranquillità: ho fatto prima il mio dovere di figlio, poi ho potuto fare le mie scelte.

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    1. Senza saperlo, ho assecondato il pensiero del monaco: non ho ignorato il desiderio dei miei genitori, facendo il mio dovere di figlia :)
      I miei lo sanno che non ho mai amato veramente ciò che ho studiato, si rammaricano e io li capisco: hanno sempre ragionato con la mentalità del "posto di lavoro", studiare per rendersi indipendenti il più presto possibile. Ci ho provato a fare lo stesso ragionamento, ma niente, non ne sono stata capace. Devo dire che anch'io, adesso, lo racconto con tranquillità: ne parlo per condividere qualcosa di me, non più per sfogare una frustrazione.

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  2. Mi sono ritrovato in questo post. Forse perché la mia vita è costellata di scelte sbagliate. Ho imparato molto dalle scelte sbagliate, dalle conseguenze di tali decisioni, più che altro. Alcune volte, alla fine, ho persino guadagnato qualche cosa nel tentativo di rammendare la mia esistenza sfilacciata: un po' di consapevolezza in più; la forza di reagire agli eventi avversi; capire meglio me stesso in relazione al mondo. Boh. Qualche cosa, insomma.
    Mi piace sempre molto leggerti, cara Marina super Marina.
    Alla fine, forse, le scelte sbagliate sono state la miglior occasione per arrivare a essere ciò che di buono siamo.

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    1. Grande Max, che bello rileggerti qui! Alla fine, tutti, nella vita, abbiamo sbagliato qualcosa, sfido chiunque a dire che sia filato sempre tutto liscio. La cosa importante è però ricavarne, come dici tu, la consapevolezza verso il mondo in cui viviamo e verso noi stessi, soprattutto. Non faccio fatica a vederti più saggio, oggi, anche grazie alle esperienze (brutte) che hai vissuto.

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  3. Che bello questo tuo post.
    E capita proprio a fagiolo.
    Stamattina, a colazione con un'amica, le dicevo che ho sempre sognato di fare la giornalista ma che, tornando indietro, mi laurererei in scienze della formazione e proverei la strada dell'insegnamento. Insegnare mi piace così tanto. Ma non ci ho pensato in tempo.
    E allora, come te, faccio la mamma a tempo pieno, ma con duemila lavori precari che mi permettono di essere indipendente (inclusa la scrittura).
    Se sono felice, o quantomeno appagara? Sì. E mi voglio bene.
    Cos'altro conta? 😉

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    1. Brava, volersi bene è il presupposto che serve a superare qualunque cosa: delusioni, rimpianti o rimorsi che siano. Ti faccio ridere: sono partita da lontano raccontando che volevo fare la psicologa, ma non ho detto quali altre fasi io abbia attraversato, crescendo. Anch'io sono passata dall'insegnamento e ho chiuso i miei "chissà se" pensandomi in camice bianco. E t'ho detto tutto!

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  4. C'è un senso anche nelle strade che consideriamo sbagliate per noi. La vita che hai scelto lo dimostra. Si può diventare ciò che siamo per la strada dritta o per strade tortuose che ci fanno compiere evoluzioni inattese
    Ma non per questo meno sorprendenti. Mamma con la giustizia (il senso e lo scopo del diritto) nel cuore. Buona notte Dottoressa
    Sono Elena delle Volpi
    Non mi lascia inserire il commento se non come anonimo!

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    1. Mi piace "mamma con la giustizia nel cuore" :)
      Vero che poi, alla fine, non tutto va buttato delle scelte sbagliate che operiamo e se siamo bravi riusciamo a raddrizzare pure le strade più tortuose.

      (Mi dispiace per l'anonimato: sono mesi che sto lottando con lo stesso problema. A lungo sono stata anonima in molti blog e lo sono tutt'ora: riesco a ritrovare il mio account solo quando rispondo dal pc fisso. E vai a capire il perché! Però, l'importante è che si possa almeno commentare comunque)

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    2. Si commentiamo lo stesso (ma ora a me appare il mio logo! Hai risolto!)

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    3. Felice di questo (anche se non ho fatto nulla! :D)

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  5. Anch'io (come penso parecchi) percepisco come sbagliate tantissime scelte che ha fatto, a cominciare dalle scuole superiori. Però, il fatto di averle scelte io, me le rende meno "rammaricanti" rispetto a quelle cose che ho fatto su insistenza di altri (ho sempre avuto un carattere insicuro e, purtroppo, diversi parenti convinti che lo scopo della loro vita sia convincere gli altri a fare ciò che secondo loro dovrebbero fare).
    E comunque le ferite più grandi che ho me le hanno date le situazioni in cui la vita mi ha imposto cose che non avrei voluto. Non poter neppure sbagliare la scelta ma trovarsela imposta dagli eventi è qualcosa che mi fa "arrabbiare" (eufemismo) più di quanto la mia salute psichica sia in grado di sopportare.

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    1. Sì, è vero, comunque se è una scelta vuol dire che, in qualche modo, hai voce in capitolo; quando non ne hai, la subisci e basta. Però, forse, se uno volesse cercare un lato non dico positivo ma decente, è che in quest'ultimo caso non puoi rimproverarti nulla e prendersela col destino è una battaglia persa in partenza. Invece sai quante volte mi sono odiata per non avere avuto la forza e la determinazione di dire "no"? e non dico a 13 anni, quando è facile assecondare l'insistenza di qualcuno, ma da adulta e vaccinata. Si direbbe il carattere (l'insicurezza è una nemica giurata), ma forse anche un'incapacità legata ad altri fattori, come la sensibilità di non volere scontentare qualcuno e di essere causa di una delusione.

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  6. Dai commenti comprendo che è un problema che abbiamo vissuto tutti. Anch'io, dopo il Classico, mi sentivo allo sbando. Amavo visceralmente libri e letteratura, avevo un debole per la filosofia e la storia, ma mi ritrovai a brancolare nel buio quanto allo scegliere cosa studiare "dopo". A distanza di ben 33 anni da allora, non ho altra risposta se non quella di un'incertezza dovuta al fatto che i miei professori non avevano saputo "insegnare", lasciare dentro di me quel "segno" che diventa la tua bussola per gli studi specialistici. Quindi, pensa, valutai perfino l'Accademia di Belle Arti. Una follia che considerai perché praticavo assiduamente l'arte del fumetto e mi ero messa in testa di diventare qualcuno nel campo. Che sciocche illusioni! Era una pratica che mi appassionava come lo sarebbe stato un hobby qualunque. E meno male che ho fatto poi un altro ragionamento. Mi iscrissi sì al Dams, anzi a una specie di Dams che intendeva eguagliare quello di Bologna e che poi si rivelò una facoltà-bufala, vai a capire con quale criterio impiantata nell'università della Calabria. Dopo un anno passai a Lettere, con indirizzo moderno ma comprendente due annualità di Latino. Fu la scelta migliore perché poi mi aprì le porte al lavoro fisso. Ebbene sì, l'ho inseguito quel lavoro fisso, perché per tutto il tempo del mio precariato sono stata malissimo, senza stabilità. Non sono fatta per cambiare mille ruoli, adattarmi all'impossibile, racimolare due soldi con tanto lavoro, essere considerata un ibrido. Ho fatto volontariato in biblioteca, anni, fino agli studi specialistici in Vaticano e poi il grande concorso per la cattedra. Non era il mio sogno. Ho accarezzato a lungo l'idea del giornalismo, dell'editoria, della biblioteconomia. Poi la cattedra era lì e non potevi dire di no a un lavoro sicuro. Tornando indietro, farei scelte diverse, approfondirei i miei studi umanistici, cercherei davvero quel sogno dell'editoria.

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    1. Si punta al lavoro fisso eccome, solo che a fine anni '80 si poteva ancora sperare in qualche concorso pubblico, quando sono arrivata io hanno cominciato a diminuire anche quelli nei settori amministrativi fino a quasi scomparire del tutto. Pensa la mia doppia frustrazione: mi ero laureata in giurisprudenza per accedere a qualunque qualifica professionale e invece davanti a me vedevo solo porte chiuse. Della professione libera mi fregava pochissimo (ricordo quelle giornate allucinanti buttate in tribunale a fare fotocopie per il "capo", quando facevo pratica. Non ho imparato nulla, se non a ricopiare formule sui documenti e aspettare un turno infinito dietro la stanza del magistrato). Tempo perso? Forse sì o forse no, visto che nella vita, poi, mi sono trovata benissimo nel ruolo cui sono approdata.
      Gli studi in Vaticano devono essere stati una gran figata. A proposito di concorsi a cattedra, mi hai fatto ricordare che anch'io ho partecipato al concorsone: ma te lo immagini io insegnare diritto in qualche istituto tecnico? Mariiiia! :)

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  7. Cara Marina, i rimpianti sulle scelte fatte ci sono per tutti, purtroppo bisognerebbe vivere una seconda volta per fare le cose giuste nel modo che desideriamo noi, ma non è possibile perché la vita è una sola e forse è giusto così. Anch’io ho scelto la facoltà di economia invece che Lettere perché mi sembrava di non avere scelta, volevo una facoltà che mi garantisse un lavoro sicuro e all’epoca Economia era molto più quotata rispetto a Lettere, in effetti ho trovato lavoro subito e di questo non mi posso lamentare, ma a volte penso che sento così tanto la fatica del lavoro forse perché faccio qualcosa che non mi piace. Tuttavia devo anche ammettere che i quattro anni dell’Università sono stati per me molto piacevoli sotto l’aspetto dello studio, l’economia è una branca molto ampia e nel mio indirizzo ho trovato degli esami che mi hanno appassionato parecchio, forse non era una scelta del tutto sbagliata. E poi spesso non è l’università che determina il lavoro che fai, pensa che mia cugina che si è laureata in lettere moderne, oggi lavora nella cancelleria del tribunale, aveva cominciato con degli incarichi temporanei e poi è stata stabilizzata, oggi dice che è un lavoro che ama molto anche se è faticoso perché star dietro alle udienze dei giudici può essere massacrante, perché anche lì la mancanza di personale é cronica. Ha tre figli e un marito molto impegnato anche lui e non è facile seguire tutto.
    I rimpianti fanno parte della vita, ma quello che conta è volersi bene, voltarsi indietro e sorridere alla vita che ti sei costruita, come concludi nel tuo post

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    1. Sapessi, cara Giulia! Io ero scarsissima proprio nelle materie economiche: la mia prima e unica mandatura è stata l'economia politica (ho pure un po' litigato col professore, che faceva insinuazioni sul perché sapessi male le cose!), poi a parte il bel voto in diritto tributario, col diritto commerciale e le scienze delle finanze mi sono mantenuta a livelli bassi. Mamma, che condanna, se ci ripenso! :)
      Hai ragione nel dire che non è l'università a determinare il lavoro: conosco molte persone che sono partite da un tipo di studi per approdare a tutt'altro: mio fratello, per dire, è architetto, ma insegna. però, anche in questi casi l'importante è essere contenti di ciò che si fa, non recriminare sul passato, non piangere le scelte fatte e non sono in molti - ho avuto modo di constatare - ad avere questa serenità. Per questo, alla fine, mi sento fortunata!

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  8. Stefania Marchesano18 marzo 2023 alle ore 08:21

    E poi ci sono io con una laurea in psicologia conseguita a pieni voti alla prima sessione del quinto anno, con una scuola di specializzazione monca del solo esame finale, che non mi sono trovata mai al posto giusto e nel momento giusto.Con orgoglio ho cresciuto i miei figli senza affidarli a nessuno, ho insegnato, fatto consulenza e poi mi sono trovata incapsulata nell'azienda dove tutt'ora lavoro, non inquadrata come psicologa.La mia formazione mi accompagna ogni giorno e guida i miei passi.Giusto ieri ho pagato la consueta iscrizione annuale al mio ordine professionale;a mia figlia che mi ha chiesto il perché ho risposto: "è una cosa mia, lo farò sempre, perderei la mia identità ".Rimorsi?Chi non ne ha...Ti abbraccio Marina😘

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    1. Ciao Stefania, che piacere ricevere il tuo commento qui!
      Ti avrei invidiata un sacco parecchi anni fa: volevo fortemente volevo studiare psicologia, poi circostanze varie e l'influenza determinante dei miei (soprattutto di mio padre) mi ha fatto fare la scelta che lamento in quello che ho scritto. Ormai dico che è andata come doveva andare e anche tu te la sei cavata alla grande con quei figli meravigliosi che ti ritrovi. Tieniti stretta la tua identità, fai benissimo; io, la mia, cerco di dimenticarla :D :D

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  9. A 18 anni avrei voluto studiare medicina, i miei volevano invece che mi iscrivessi a matematica, cosa alla quale mi ero opposta ferocemente. Alla fine ho studiato lettere e ne sono stata contenta, sia come corso di studi come come insegnamento. Lì, ho trovato diciamo così, la nicchia giusta. Ma se rinascessi...farei tante altre cose, non perchè la scelta che ho fatto si sia rivelata negativa, tutt'altro, ma perchè nel tempo si cambia, nascono nuove esigenze alle quali non sempre si può rispondere.
    Comunque, penso anch'io che ci sia un senso nelle strade che consideriamo sbagliate e non adatte a noi. A lungo andare danno almeno qualche frutto positivo.
    Grazie e buona domenica!

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    1. Almeno tu hai fatto la scelta che in quel momento era più giusta per te. Però lo sai, lo strano scherzo del destino? Adesso non studierei più psicologia, per niente, farei ancora altro, forse medicina o lettere anch'io, ma psicologia no. Si cambia, è vero, resta sempre la convinzione di trarre comunque soddisfazione da altre cose nella vita. ;)

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  10. Quando gli altri hanno scelto per me, è sempre stato un disastro. Quando io ho scelto per me stessa, finalmente, è sempre andata bene. Nonostante i gufi lì pronti ad esclamare "te l'avevo detto io!"
    Come te ho subìto le scelte della scuola (Ragioneria), delle lingue straniere (Inglese e Tedesco, perché mia madre si era convinta che non potevo pronunciare la "erre" del Francese...), del non avere un lavoretto nel fine settimana (molte compagne erano in pizzeria e si mettevano da parte qualcosina). Non ho scelto la Facoltà, volevo Informatica ma era fuori provincia, l'ideale sarebbe stata Economia, ma era fuori provincia, scegline una che sia comoda, Statistica (perché la frequentava un amico di famiglia, che poi non s'è mai laureato, toh). Peggio che peggio col lavoro. Ricordo una litigata pazzesca quando mi sono licenziata da posto fisso sicuro in agenzia di assicurazioni per finire gli studi "a modo mio". Fuoco e fiamme. E negli anni successivi, sono stati durissimi per il clima rovente. Alla fine l'ho spuntata io. Mi è stato utile? Si, certo, ha forgiato il carattere. Però signora mia le cicatrici sono indelebili. Resto convinta che avrei potuto fare di più con un altro terreno sotto i piedi. Il presente me lo dimostra.

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    1. Hai avuto la forza di dimostrare che invece avevi ragione tu! Io, invece, mi sono soltanto fatta piccola e ho sfruttato l'orgoglio per dimostrare soprattutto a me stessa che potevo riuscire ovunque, anche dove tutto era pianto e stridore di denti! Quando litigavo coi miei, non riuscivo a impormi più di tanto, li ho lasciati decidere convinta che la mia forza fosse proprio in questa mia capacità di sopportazione. Ma la lotta non si vince con la soggezione, l'ho sempre saputo, pur continuando a sottovalutare i miei desideri. Meno male che il presente, in qualche modo, mi premia. E anche il tuo presente, okay poteva essere più di così, ma giusto un tantino, ché qualche soddisfazione te la stai mettendo in tasca! ;)

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