Un’immagine può suggerire qualunque cosa, anche niente, suscitare emozioni oppure lasciare indifferenti, ma rappresenta ciò che si vede di un pensiero che non si conosce, esprime l’identità di qualcuno che sente il bisogno di raccontare una propria, personale, verità e lo fa attraverso l’arte figurativa.
Nella street art, per trarre un esempio da un fenomeno contemporaneo diffuso, molti artisti sono ispirati dal peggio della nostra società: “raccontano” la loro avversione ai drammi più comuni, trasformano in arte urbana tematiche di grande attualità e realizzano opere davvero straordinarie. Opere che in sé hanno una storia.
Secondo voi esiste un legame tra immagini e scrittura?
Per dimostrare questa possibile relazione Michele Scarparo ha provato dapprima a unire le due forme d'arte nella rubrica “Storia in sei parole”, sfruttando l’immagine di un’opera di Banksy e poi a farne un esercizio a parte con le Trame graffi(a)te.
Scrivere una storia in sei parole è un’impresa titanica. Avete mai provato?
In sei parole descrivi una suggestione, componi frasi, d’effetto o meno, ma le “storie” sono altro. Creare una trama offre più possibilità di “dire” qualcosa, ma a me sembra che scrivere un racconto su un’idea altrui sia come alterarne il senso già dato.
L’opera di un artista ha un’identità ben precisa, che a me pare di rubare sovrapponendo alla sua fantasia una diversa interpretazione creativa. L’opera di un artista nasce con un significato profondo che possiamo cogliere o meno ma non travisare, costruendole attorno una qualunque altra storia.
Questa è la sensazione che provo quando un’immagine mi suggerisce ciò che voglio raccontare.
In più arte e scrittura non camminano su piani paralleli. Ritengo che un’immagine non abbia il medesimo potere evocativo di una narrazione: sono diversi i tempi di reazione emotiva e la durata degli effetti provocati. Un’immagine è d’impatto immediato, la sua efficacia si consuma in pochi secondi; un racconto è a lento assorbimento e spesso da una storia nasce più di una riflessione. In comune, invece, hanno le stesse possibilità di suscitare emozioni o di lasciare indifferenti e lì l’unico parametro di valutazione entra nella sfera della soggettività.
Ho ragionato su questo quando ho partecipato al terzo appuntamento delle “Trame graffi(a)te:
L’immagine proposta mi ha fatto un effetto diverso rispetto a quella del bambino dello scorso esercizio: in quel caso ho forzato l’ispirazione, perdendo tempo alla ricerca di spunti validi, questa volta dalla visione del murales mi è rimbalzata subito addosso la storia che volevo raccontare.
L’immagine proposta mi ha fatto un effetto diverso rispetto a quella del bambino dello scorso esercizio: in quel caso ho forzato l’ispirazione, perdendo tempo alla ricerca di spunti validi, questa volta dalla visione del murales mi è rimbalzata subito addosso la storia che volevo raccontare.
La reazione è stata immediata, l’emozione subitanea e poi il racconto che ne è scaturito si è allargato in un respiro più ampio.
Chissà cosa voleva dire Martin Whatson con la sua opera di street art, io ne ho “travisato” il significato attribuendogli il mio in questa trama “graffiata”:
Il semaforo ha un solo colore: il nero. Cambia la gradazione, è intenso al posto del rosso, sfumato quando è verde; i capelli di Lady Gaga sono bianchi, l’auto di Hamilton grigia, qualche volta più chiara qualche volta più scura. Io, allo specchio, sono una sagoma pallida con un cappuccio in testa, anche se Cinzia, a scuola, mi fa i complimenti per le righe giallo fosforescente della mia felpa, che non distinguo. È successo la notte in cui mio padre è stato arrestato: il buio ha dipinto i miei pensieri e da allora vedo tutto senza colori.
Oggi è un giorno speciale, solo per mia madre però, per me è un venerdì sfigato, perché sono qui anziché alla partita di calcio. Dovrei fare come lei: guardare continuamente l’orologio, andare avanti e indietro lungo questo corridoio stretto e buio, toccarmi i capelli, aggiustarmi le maniche del cappotto, fare tutte quelle cose automatiche di quando uno non sta nella pelle. Invece mi guardo attorno scocciato e continuo a battermi il pennarello sulla gamba cercando un punto in cui posso lasciare un segno dei miei pensieri. Una volta, ma è stata l’unica, mi è capitato, di guardare continuamente l’orologio e di non stare nella pelle, ma ho dovuto credere alla voce al telefono che mi rassicurava: “andremo un altro giorno”, perché un improvviso impegno di lavoro era stato più importante di quello preso con un figlio e poi le occasioni promesse sono diventate un’inutile attesa.
Mia madre mi ha appena rimproverato. Ha ragione, ho pensieri senza colore che prendono forma ovunque: in casa ci sono angoli di parete che ho macchiato con i miei graffiti; lei si arrabbia, sbatto la porta della mia stanza, mi raggiunge, mi dice togliti le cuffie dalle orecchie quando ti parlo, allora le stacco dallo stereo e il volume alto la investe all’improvviso facendola incazzare di più. Non è colpa tua, non è colpa di nessuno, mi dice, le trema la voce e io mi chiudo dentro le paturnie adolescenziali: così le definiscono le amiche di mia madre, quando lei gli parla di me mentre io spio la loro conversazione in mezzo a tè e pasticcini. Non è colpa di nessuno se mio padre ha scelto di stare dalla parte sbagliata, rubo desideri alla notte e poi imbratto le superfici troppo vuote. Faccio questo: sporco. Con i miei disegni in bianco e nero sporco e mi sento libero io, al posto di mio padre.
Il rumore di una porta che si apre. Mia madre mi viene vicino, stringe le dita attorno al mio braccio, ho il pennarello ancora aperto in mano e nascondo il pezzo di parete alle mie spalle su cui ho disegnato un piccolo muro che si sgretola. È questo che ho immaginato durante l’attesa: ho raccontato il mio desiderio.
Quell’uomo laggiù è mio padre. Il suo sorriso quasi mi fa male agli occhi. È dimagrito, ha la barba grigia che lo fa sembrare un vecchio e i capelli lunghi. Non sono andato più a trovarlo, ma adesso che ha finito di scontare la sua pena, penso di avergli fatto un torto. Mi viene incontro come quando, da bambino, accorreva per verificare che non mi fossi fatto niente cadendo, mi guarda come la prima volta che ho portato a casa un bel voto di matematica. Che mi prende? Ho voglia di abbracciarlo, di gridargli bentornato e tengo le lacrime a bada perché non sono un debole, io, e mi arrabbio, perché non lo odio e c’è una cascata di colori che mi viene addosso: il blu dei suoi occhi, il rosso del maglione, il verde dello zaino… e la chiamo felicità.
Terrò fede alla mia nomea e ti dirò cosa c'è di sbagliato, nella tua storia: hai portato a galla il sottotesto.
RispondiEliminaAndava bene fino ai due terzi, poi l'autrice ha voluto prendere il sopravvento sul personaggio e farci vedere quant'era brava, quanto lo aveva studiato bene e a fondo, quel personaggio. Ha voluto dirci i desideri del ragazzo, ma siamo lettori e avremmo voluto (e potuto) capirli da soli. Inoltre: davvero è credibile che un ragazzetto abbia la profondità di pensiero sufficiente per dirsi che vuole essere libero al posto del padre? Che abbia l'autocoscienza di voler disegnare il proprio desiderio? O, invece, dovrebbe fare cose e tenere atteggiamenti che abbiano una giustificazione più superficiale e che, però, facciano capire a noi quale sia la sua vera essenza, in modo che noi lettori possiamo conoscerlo meglio di quanto lui conosca sé stesso?
Sul sottotesto hai ragione: scriviamo tante volte con l’ansia (la mia inconsapevole, non dettata dal desiderio di dimostrare una presunta bravura) di raccontare tutto ciò che abbiamo in mente della storia e convinti di caratterizzare bene il personaggio lo appiattiamo svelando tutto. È un errore che devo imparare a gestire.
EliminaNon sono molto d’accordo, invece, sulla critica legata all’età del ragazzo: non l’ho precisata, dico solo che va a scuola e gioca a calcio, però, visti i pensieri, direi che è un adolescente di sedici anni? anche diciassette e quella è un’età in cui non è impossibile trovare una certa profondità (almeno credo: mi baso molto sulla conoscenza dei miei figli e di quello che mi raccontano dei loro amici.)
Sono d'accordo sul fatto che immagini e scrittura non camminano su piani paralleli, ed è molto probabile che l'autore del murale intendesse "altro" dal tuo racconto.
RispondiEliminaPerò il racconto è sicuramente attinente e godibile. Sono spiacente di non poter fare critiche costruttive, ma tanto a quello ci pensa Michele :-D
La cosa bella di questi esercizi è vedere come la stessa immagine venga interpretata da altri, che poi è quello che facciamo partecipando a “Insieme Raccontiamo” di Pat (a proposito, devo farmi venire qualche idea per quello di questo mese). Da ciò che scriviamo vengono fuori anche interessanti letture delle nostre personalità. Vero che è così?
EliminaBellissimo il murales, io li adoro, certo quando sono artistici e non imbrattamuri vandalici. Mi piace anche la storia, inatteso l'arrivo del padre uscito di galera, questa volta il finale per nulla aperto ha risolto la curiosità.
RispondiEliminaIo vado pazza per la street art: qui a Roma volevo andare a vedere il gigantesco murales che Blu ha realizzato nella facciata dell’ex caserma dell’Aeronautica militare. E ci andrò! 😉
EliminaA me il racconto è piaciuto molto, se devo essere sincera, più di quello che hai proposto la scorsa volta. Fatico un po' a dare un'età al protagonista, a volte mi sembra molto infantile, a volte troppo maturo, ma può essere una sua caratteristica.
RispondiEliminaL’ho immaginato dell’età di mio figlio, che ha sedici anni: è un’età in cui i pensieri infantili si mescolano alle prime istanze di maturità. Non so, però, se il fatto di non dirlo possa, invece, generare confusione e quindi smontare un po’ l’intenzione del racconto.
EliminaIl tuo racconto è bellissimo. Anche straziante. Esprime bene quello che il ragazzo prova, la sua rabbia, la sua voglia di ribellione. Esprime benissimo la sua felicità e la paura che lo assale nel provarla.
RispondiEliminaI colori che tornano! Scelta stupenda! Come lettrice approvo.
Tra disegni e racconti non sempre c'è sintonia se non sono opera della stessa persona. Ognuno di noi, vede un qualcosa di particolare che è legato alla sua intimità non a quella dell'autore.
ps io pensavo fosse un giorno di visita in prigione e invece.... :)
Grazie per l’entusiasmo, Pat!
EliminaAd Ariano ho ricordato il tuo “Insieme Raccontiamo” che ha lo stesso scopo: verificare in quanti modi uno stesso soggetto possa essere interpretato per dare luogo a storie diversissime fra loro.
Scrivere qualcosa su un’opera d’arte, come dicevo, sembra quasi una violazione di un’intimita, appunto, raccontata dall’autore, anche se noi giochiamo e, giocando, proviamo a imparare.
La fantasia non ha limiti: questa, certo, resta una cosa meravigliosa.
Ho letto, grazie!
EliminaIo la chiamerei libera interpretazione anche perchè comunque non è detto che ricalchi esattamente il pensiero dell'autore.
Tornando al tuo racconto, sai perchè hai reso benissimo i problemi dell'adolescente? Perchè sai di cosa parli. Aspetta che mi spiego ahhahaha Anche se la mia ha ormai 28 anni compiuti, ricordo il periodo :)
Avendo in casa un adolescente da quello che ho letto, si riesce ad andare più a fondo ai loro problemi legati all'età. Poi, ognuno di loro ha i suoi giustamente ma questa "discesa" nel loro intimo riesce a far comprendere meglio le loro problematiche, la confusione che hanno dentro, l'incertezza a volte anche mascherata con la prepotenza e la ribellione.
Ripeto comunque il mio giudizio. Da lettrice, ne sono veramente soddisfatta.
È come dici: io, poi, e la considero una fortuna, ho un rapporto con i miei figli poco conflittuale, con loro riesco ad avere un buon dialogo e sono stata partecipe di ogni loro minimo cambiamento, cosa alla quale tenevo tantissimo e che ho messo davanti persino al lavoro. Per cui sì, conosco qualche sfumatura in più e in questo non credo di essere stata incoerente nel presentare il mio personaggio. :)
EliminaAssolutamente nessuna incoerenza :)
Elimina🤗
EliminaLe critiche le lascio a Michele, a me il racconto è piaciuto moltissimo, mi piace il passaggio dalla visione interiore del ragazzo in bianco e nero alla ritrovata felicità di una visione a colori. Anchio ho immaginato un adolescente di quindici/sedici anni.
RispondiEliminaMichele fa bene a rilevare le pecche di ciò che scrivo: mi aiuta a vedere oltre l’apparenza e questo è sempre un bene. Ovviamente è più piacevole ricevere un complimento e anche più facile farlo. 🙂
EliminaGrazie per avere colto il senso del racconto (e per avere indovinato l’eta del ragazzo 😉)
ho trovato il finale molto toccante e l'idea interessante. Da lettore sono rimasto soddisfatto. PS: continuo a sostenere che scrivere un racconto da un'immagine sia quasi impossibile rispetto per es. ad una poesia che può anche ispirarsi alla foto per poi volare altrove e trattare anche i temi più svariati e le emozioni più insondabili.
RispondiEliminaIo, che non so scrivere poesie, immagino difficile riassumere in poche righe un pensiero; il valore di un verso si misura proprio dalla quantità di significati che una sola parola riesce a esprimere.
EliminaPoi, certo, descrivere una suggestione è diverso dal tesserle attorno una breve trama che la spieghi. Non so cosa sia più difficile, però! 😊
Esiste un legame tra immagini e scrittura? Certo perché esiste un legame fra qualsiasi cosa e la scrittura. E anche perché io detesto le foto (e immagini in generale) senza didascalia. ;) Non si fa torto a nessun artista interpretando le sue opere, anzi; se poi ci si lascia ispirare, questo dovrebbe portare solo ad innescare un meccanismo virtuoso. Le storie in sei parole: poche maledettamente poche sei parole ma troppo spesso ci adagiamo su un’abbondanza non necessaria (con il tuo taglia taglia taglia se ne era discusso), in questo post, sempre di quel certo Michele, https://michelescarparo.wordpress.com/2018/01/29/asciugare-le-storie-lamore-e-il-contatto-di-due-epidermidi/ provando davvero a metterlo in pratica su dei testi già brevi ci siamo resi conto che fino a un certo punto abbiamo potuto “asciugare” i nostri testi senza che se ne perdesse l’essenza, magari non sei parole ma molte meno di quelle iniziali. Anche se questo tipo di approccio mi fa ripensare ai tempi della scuola in cui il tema doveva essere necessariamente “ricco” di parole a rischio di “allungare il brodo”. Riguardo alla tua trama graffiata. Scegli un tema delicato e una narrazione in prima persona. POV sempre intrigante ma. Per quando tu possa avere avuto sedici anni (alla lettura del bravo indicativamente ho pensato a un ragazzo di quella età) e possa prendere ad esempio tuo figlio e i suoi amici, io sento parlare te, non questo ragazzo. Sì può esserci una certa profondità in questo sedicenne ma ce la mostrerebbe così? Se il protagonista raccontasse al passato, quando è già adulto, forse. In ogni caso, che sia più o meno credibile il personaggio, tu autore mi stai dicendo troppo e mostrando poco. Se effettivamente mi riporti quei dettagli che caratterizzano l’ansia, l’agitazione, il nervosismo come il toccarsi la manica del cappotto o continuamente i capelli, non hai bisogno di dirmi che sono “tutte quelle cose automatiche di quando uno non sta nella pelle”; come pure “ho raccontato il mio desiderio” è di troppo; mi dici addirittura “e la chiamo felicità”: è così felice che anziché dichiararlo (sono felice!) si distacca e da’ un nome a questa “cosa”, nome comunque non necessario dato che viene già dichiarato che i colori sono tornati. Per dire così tanto, avrei preferito che a questo punto fosse un narratore esterno a raccontare (ma gli avrei comunque fatto dire molto meno, non trarre conclusioni e dare spiegazioni: mica è un saggio).
RispondiEliminaOttimo. Ho capito. Devo lavorare su sottotesto e immedesimazione nei personaggi, due cose che perfezionerebbero le mie intenzioni. Ah, ho un altro punto critico da sistemare: il dire troppo, anche lì devo allenare il lato “mostrare”.
EliminaRicordo anche che qualcuno, nei commenti, aveva criticato la presenza di quel luogo comune “non stare nella pelle.” 🙂
Mi dico: accidenti, sono venti righe e già quanti errori, ma in un romanzo... che fatica!
Bravissima Marina, emozioni me perché tu stessa provi delle emozioni quando scrivi e si sente! Il punto di vista del sedicenne è calibrato bene, penso che un giovane che abbai sofferto, ha una prospettiva del mondo, delle cose e dei sentimenti non scontata. E spiega perché tanti che abbiano un vissuto pesante siano scrittori, poeti o pittori. Per quanto riguarda l'immagine e la scrittura, penso che possano essere due facce della stessa medaglia, anche se l'immagine coinvolge di più a livello emozionale delle parole scritte e ha una comunicazione più immediata anche se non scontata. Io sono una fanatica dell'arte visiva, fotografie, quadri... la amo molto. Di solito scrivo e poi cerco l'immagine che potrebbe in qualche modo rappresentare quello che ho scritto e non viceversa. Critiche? Nessuna;)
RispondiEliminaio, invece, non ne sono capace: non riesco mai ad abbinare qualcosa che ho scritto a un’immagine in particolare, uno stato d’animo sì: ricordo il periodo di Egon Schiele o di Munch ai tempi del mio pessimismo leopardiano al liceo. 😄
EliminaComunque sì, io, nonostante quello che non ho saputo celare, scrivendo questo pezzo mi sono emozionata: ciò avvalora la differenza di percezione fra chi scrive e chi legge, che non sempre coincide, ma quando coincide gratifica molto. 😉
Mi piace come hai dato forma all'idea di base. Quei pensieri adolescenziali sono credibili eccome. L'adolescente che crede di non poter vedere i colori, che li cerca disperatamente nei suoi graffiti è un'immagine convincente per me.
RispondiEliminaSiccome ti conosco, apprezzo il tuo giudizio che so spassionato. 🤗
EliminaSic semper!
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