Riscaldo i motori del blog con una citazione estiva, la lunga pagina di un romanzo che ho letto in pochissimi giorni (il che dà la misura di quanto mi sia immensamente piaciuto).
Il libro è un classico di letteratura americana, scritto nel 1939 da John Steinbeck: “The Grapes of Wrath”, in Italia tradotto e pubblicato un anno dopo da Bompiani con il titolo di “Furore”. Racconta il drammatico esodo di una famiglia di mezzadri dell’Oklahoma, negli anni trenta, costretta a lasciare le campagne coltivate a cotone, il lavoro, la casa, per raggiungere la California, nuova “Terra Promessa” per un’intera popolazione in fuga. L’uso dei trattori risponde alle necessità di padroni insensibili e potenti, che non si fanno scrupoli a spianare aie e abbattere fattorie pur di trarre nuovo profitto da una terra troppo sfruttata, che diventa sempre più povera. E il cammino di questa gente sfollata diventa un viaggio della speranza, con picchi di rabbia che si alternano a momenti di grande commozione. Uno di questi è la pagina che condivido qui: una lettura che forma grumi in gola difficili da deglutire. La guerra fra poveri è una realtà che purtroppo non conosce soluzione ancora adesso ed è un dramma che mi diminuisce, mi fa sentire piccola, qualche volta viziata, spesso impotente.
Il capitolo 19 di “Furore” sarebbe da riportare per intero, ma io ho selezionato la parte che più mi ha commosso.
Accade che la famiglia Joad, durante il suo viaggio, si accampa in una baraccopoli lungo una strada di campagna e Ma’ si adopera per preparare una minestra con le poche patate rimaste. Un gruppo di bambini si avvicina e assiste in silenzio a tutta l’operazione (e già, quando si parla di bambini che patiscono la fame, il mio cuore si rimpicciolisce).
La meditazione, il senso di sgomento, la pena infinita è quanto vorrei condividere con chi si fermerà a leggere questo passo: