venerdì 20 febbraio 2015

I COMPROMESSI DELLO SCRITTORE

opera di Floriana Rampanti



Sono sempre stata convinta che scrivere sia la forma più libera di espressione, un modo per venire allo scoperto quando le parole hanno difficoltà ad uscire, quando il momento fotografato dal nostro sentire rimane incastrato tra le pieghe del nostro essere.

Scrivere per liberarsi di un pensiero, scrivere per entrare nel dettaglio di una percezione, scrivere per parlare a se stessi o per raccontare ad altri che esistono mondi che la fantasia plasma e che vale la pena conoscere.

Da una parte libertà di espressione, dall'altra vincolo legato alla propria personalità: quale dei due padroni servire? Perché abbiamo un'idea che ci esplode dentro, ma parlarne ci imbarazza; perché vogliamo superare i nostri tabù, ma le parole non descrivono esattamente ciò che la mente immagina, fanno fatica ad essere veramente se stesse, quelle nude  si vestono prima di apparire su un foglio. 

Ho letto diversi articoli di altri blogger che testimoniano questa difficoltà, che sentono di voler sconfinare in territori narrativi lontani dal proprio modo di essere e, nonostante tutto, di non riuscirci, perché bloccati dal pudore, dalla timidezza, da mille scuse che si inventano per non ammettere che, forse, non è nelle loro corde scrivere di tutto.  
Il punto, allora, è questo: stabilire che tipo di scrittore vogliamo essere e che tipo di scrittura più ci rappresenti; capire se sappiamo accontentarci di ciò che siamo o se questo non ci basta e abbiamo bisogno di chiedere di più alla nostra persona.

Quando ho cominciato a scrivere, le prime volte in cui ho scoperto la bellezza del mezzo carta più penna, ricordo che non avevo inibizioni: mi sfogavo su sentimenti negativi, situazioni spiacevoli,  rancori covati nell'immaturità di quegli anni ed il foglio si riempiva di improperi e di ogni espressione spesso anche volgare che meglio identificava i miei stati d'animo: rabbia, invidia, risentimento. Odiavo l'insensibilità di chi mi aveva ferito, mi infastidiva il corteggiamento di ragazzi che non erano mai quelli che piacevano a me è lì le intemperanze di gioventù erano un tripudio di "che cazzo vuole", "ma vaffanculo", ecc. ecc. Non ero più sboccata, semplicemente scrivevo su un diario personale, parlavo di fronte ad uno specchio, sola, in una stanza vuota. Io e me stessa. Nessun orecchio ad ascoltare, nessun occhio a leggere: quelli erano i miei segreti.
E se fosse questo il punto?

Parlare idealmente con qualcuno, scrivere per il potenziale lettore comporta un approccio diverso alla scrittura, un diverso modo di portare a conoscenza la propria sfera emotiva, un esportarsi al di fuori di se stessi. Allora, forse, se c'è chi entra in contatto con noi attraverso la lettura di ciò che scriviamo siamo costretti ad indossare la maschera dei narratori e a lasciarci condizionare dall'autocensura.
Lo scrittore, dunque, scende a compromessi quando racconta? e prima di tutto lo fa con se stesso, incapace di spalancare quel varco di pensieri che invece fa passare attraverso una porta lasciata socchiusa?

Così, in base ai freni che, più o meno, guidano l'ispirazione del narratore, ho immaginato delle tipologie di scrittori, che corrispondono ad una idea che me ne sono fatta io, in base alla mia esperienza e alle letture fatte e che, ovviamente, non ha alcun valore scientifico. 

Partiamo dallo SCRITTORE ARDITO che è colui che spettacolarizza il racconto con dettagli che soddisfano il suo bisogno di dire tutto ciò che pensa senza peli sulla lingua; è disinibito e mette a nudo i personaggi senza lasciare nulla all'intuizione; è un esibizionista delle scene forti, un iperrealista della scrittura!

Lo SCRITTORE EDUCATO, al contrario, è pudico ed elegante. Quando scrive chiede il permesso di entrare nelle case e nella vita delle persone che leggono; non gli piace essere diretto, ricama ogni scena con la giusta proporzione fra azione e intuizione; è abile nel portarti dentro l'intimità delle persone senza farti sentire un voyeur.

Vi siete mai imbattuti nello SCRITTORE ILLUSORIO? è colui che promette ma non mantiene; la sua intenzione è quella di spiazzare, dunque fa ampie premesse, descrizioni puntuali che alimentano le aspettative del lettore per poi lasciarlo all'asciutto e con un carico di attese sgonfiate.

Lo SCRITTORE GUARDINGO, invece, è quello che si guarda attorno prima dell'affondo, tasta il terreno, cerca di capire se può spingere il pedale o se è il caso di fermarsi prima di deludere il lettore. Indugia su certi temi, con chiare, ma mai esplicite, allusioni.  Nei dialoghi si sbilancia un po', ma lambisce l'argomento con la vaghezza necessaria a tenerlo vicino, ma mai dentro a ciò che l'immaginazione gli suggerisce.

Infine c'è lo SCRITTORE FORZATO: è l'educato che vorrebbe osare ma non lo fa perché ha paura. Dei giudizi o di esporsi troppo. Allora è parco di parole e descrizioni, ma poi si ribella a questo suo modo puritano di scrivere le scene che immagina e decide di sciogliere l'inchiostro sulle pagine trattenute lanciandosi nel realismo della scrittura. Ma il contesto lo tradisce e, alla fine, la crudezza del linguaggio non gli si addice, sembra posticcia, una forzatura che non regala alcun valore alla narrazione.  

Ne riconoscete qualcuno?

Da quando ho lasciato che il diario personale sia solo un ricordo di gioventù ed ho cominciato a raccontarmi attraverso le mie narrazioni, sono diventata una scrittrice educata, mi piace velare, dire senza dire; i miei piedi restano ingarbugliati nei fili del pudore e camminano nella narrazione con attenzione. Un'attenzione che mi viene spontanea e alla quale non rinuncio, anche se la mia ispirazione ha una natura diversa e vorrebbe farmi dire le cose in un altro modo. Il mio padrone, nella scrittura, è, dunque, il vincolo che mi impongo in maniera naturale, è il compromesso cui cedo per scelta stilistica o forse, più semplicemente perché così sono me stessa.


E voi, che tipo di scrittori siete? 

15 commenti:

  1. Capire che scrittori siamo, o anche solo di cosa vogliamo davvero scrivere, è l'impresa più ardua. Tra le categorie che hai elencato, credo di poter rientrare in quella dello scrittore ardito. Non ho peli sulla lingua e racconto le storie così come le vedo io. Non mi imbarazzo, succedeva in passato, certo, non più però. Sono un esibizionista, nella scrittura così come nello stile.

    Altra categoria, oltre quelle da te delineate, che si potrebbe aggiungere è quella dello scrittore pomposo... colui che, ritenendo poco significativa la propria scrittura, cerca di donarle valore parlando di temi dal grande impatto sociale, ma senza il vero trasporto del sopravvissuto in prima linea, e facendolo con uno stile ampolloso e lirico ormai fuori moda.

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    1. Ho letto un romanzo con le caratteristiche che descrivi tu, ma era pieno di ovvietà anche se scritte bene.
      Talvolta un modo di scrivere meno ricercato ha più efficacia. Non so, però, se per raccontare bene una storia sia necessario viverla in prima linea: basterebbe far finta di esserci e sapersi immedesimare. La scelta stilistica può essere sicuramente discutibile ed il linguaggio lirico e démodé non incanta neanche me.

      P.S. Penso di aver capito da come scrivi che potresti raccontare di tutto senza inibizione alcuna. Sicuramente è un pregio che regali alla tua arte!

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  2. Dunque... sto riflettendo. Sono un po' colto alla sprovvista da questi post, e spesso non commento questo genere di articoli, perché non so che dire. Molti blogger, come te, sentono l'importanza di questo argomento, i compromessi che devono fare tra sentimenti scritti in privato e sentimenti portati sulla pubblica piazza, digitale o cartacea. Faccio però fatica a comprendere fino in fondo. Il diario personale nel cassetto di quando eravamo giovani sarà scrittura, ma non fa scrittore.

    Elenchi 5 tipologie di scrittori, e in altri blog, ho visto elenchi simili. Tutti che commentano, ma nessuno che poi porta dei nomi a sostegno. Io per capire ho bisogno di esempi.
    Chi hai in mente, in base alle tue esperienze e letture fatte, per questi cinque tipi di scrittori? Eco o Manzoni, per esempio, a quale categoria appartengono? Ma forse non è di questo che vuoi parlare.

    Che la scrittura sia la forma più libera di espressione non ci credo, anzi credo il contrario, Scrivere è tra le attività meno naturali che esistano, è una rappresentazione artificiale dei sentimenti, mediazione razionale dell'irrazionale.
    Musica, pittura, danza sono arti sicuramente più libere. Se scegli di esprimerti con la scrittura stai già accettando un compromesso. In fondo chi scrive non vuole compromettersi, ma nascondersi dietro la maschera del narratore.

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    1. Bello "nascondersi dietro la maschera del narratore"... Mi diventi poeta adesso? :P

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    2. Non sono d'accordo: con le parole posso fare tutti i giochi che voglio, scrivere nel modo in cui voglio vedermi rappresentata, come il pittore dipinge la sua tela per mostrare la propria visione della vita, il musicista mette se stesso in una composizione, il ballerino si muove in base al modo in cui vive la propria emozione artistica. Anche lo scrittore è un interprete della vita e non credo indossi maschere, semmai agisce da dietro le quinte, dove può dire qualunque cosa, come e quando vuole, senza necessariamente mostrarsi sul palcoscenico.
      Scrivere non può essere la cosa meno naturale che esista, perché al contrario non potrebbe fare lo scrittore colui che non trova spontaneo esprimersi attraverso parole scritte. Certo, se per rappresentazione artificiale dei sentimenti intendi che non necessariamente ci si debba affidare al vissuto personale, allora sì, lo scrittore è un mediatore razionale, come dici tu.
      Non mi sentivo scrittrice quando scrivevo i miei diari personali ( per la verità non mi definirei tale nemmeno adesso): amo scrivere, come amavo sfogarmi scrivendo, un esercizio che mi è servito a sviluppare una passione che evidentemente coltivavo in nuce. Una tappa, un passaggio, la cultura del diario segreto è stato questo per me.

      Sai, ti svelo un mio terribile handicap: ho una memoria barbina, sarà l'età, sarà proprio che la mia mente non riesce a trattenere nulla se non per poco tempo. Così, hai ragione, avrei voluto portare degli esempi, fare delle citazioni eloquenti, ho in mente gli autori cui riferisco la mia analisi (senza pretese, lo ribadisco!), ma non ricordo in quali opere e verso quali letture indirizzarvi a suffragio di quanto dico. So per certo che Annamaria Ortese o Niccolò Ammaniti (per citare un'indimenticabile scrittrice ed un autore contemporaneo che mi piace moltissimo) non sono tipi che le mandano a dire, che Oran Pamuk piuttosto che Bernard Malamud sono maestri di eleganza stilistica; poi non mi interessava catalogare i grandi della letteratura italiana (Manzoni, per me, era solo "du' palle" con i suoi "Promessi Sposi!).
      Non darmi da parlare ancora, sennò con le risposte ci faccio un nuovo post!

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  3. Neppure musica pittura e (tanto meno) danza sono libere: su questo posso garantire. Nessuna espressione lo è, se lo si fa per un pubblico, proprio perché è PER il pubblico. In quel momento si è solo giullari, più o meno bravi, nondimeno sottoposti al giudizio e alla benevolenza di chi paga per assistere e divertirsi. Non è altro che intrattenimento.
    Questo non per svilire, deprimere o chissà cosa: capire la prospettiva delle cose è molto importante per poi non rimanerci male. Per me, almeno, funziona così... Ecco quindi che spariscono le categorie e non rimane altro che un effetto stilistico: se lo scrittore è stato ardito o timido, è stato solo in relazione al pubblico che cercava e con il quale ha tentato di costruire un legame.
    Volendo applicare a me le tue classificazioni, invece, trovo che non categorizzino la mia scrittura, ma piuttosto i limiti - psicologici e tecnici - di me che cerco di praticarla, misurando tutto il mio vorrei ma non posso (o non riesco) :)

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    1. Io per libertà di espressione intendo che puoi dare il contenuto che vuoi alla tua scrittura e nessuno può impedirti di farlo: il pubblico "spettatore" può solo dare un giudizio positivo, negativo, esprimere una preferenza, amarti o ignorarti, ma mai impedirti di essere te stesso.
      È proprio di limiti psicologici che parlo, solo che per qualcuno essi diventano un problema, per me non lo sono perché rappresentano proprio il mio stile di scrittura. Entrare o meno in una categoria era un modo per rappresentare l'entità e la natura di questi vincoli in chi scrive per raccontare qualcosa.

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  4. Non sono sicuro di ritrovarmi appieno in nessuna di queste tipologie, sarà perché sono ancora acerbo. Dovessi cercare di inquadrarmi direi che sono a metà tra l'ardito e l'educato: cerco di dire quel che serve nel modo appropriato, se serve essere duro e esplicito ok, altrimenti non vedo la necessità di sbattere in faccia al lettore tutto. Dio mi scampi dall'essere illusorio. Meglio illusionista: faccio promesse, ma anche se conduco dove non ci si aspettava non devo mai deludere!

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    1. Quella di deludere il lettore è un timore con cui lo scrittore credo impari a convivere. E non puoi mai sapere se accadrà oppure no, perché gusti e aspettative cambiano da persona a persona. L'importante è essere convinti di ciò che si scrive senza voler compiacere il lettore ad ogni costo.

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  5. Sono una scrittrice educata. Penso e spero di esserlo anche nella vita reale. Il turpiloquio proprio non mi appartiene e credo che si possa raccontare più o meno tutto con un linguaggio pulito.
    Ecco, se posso esprimere un desiderio, mi piacerebbe raccontare il modo delicato anche episodi violenti e/o disturbanti, senza che questo sembri forzato. Sono stata molto colpita da un manga, negli anni scorsi (Wild adapter) che mette in scena una storia estremamente violenta in un ambiente squallido, con personaggi che intrattengono rapporti morbosi. Il tutto è trattato con un'eleganza che rasenta il lirisimo e i drammi dei personaggi sono raccontati con una delicatezza senza pari, senza per questo addolcire i fatti. Ecco, mi piacerebbe scrivere così determinate storie, ma ancora non mi riesce.

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    1. Siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Il bravo scrittore, secondo me, è colui che, raffinato ma incisivo, tratta anche di argomenti scomodi senza mai cadute di stile.

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  6. So che potrebbe sembrare un controsenso, ma io mi sento sia ardita sia educata.
    Usando la terza persona limitata, mi adatto al linguaggio del personaggio. Se ci vuole una parolaccia, la uso. Credo sia fondamentale ai fini del realismo.
    Mi è capitato di leggere un romanzo di Elda Lanza, autrice novantenne, che si vantava di non aver riportato neanche una parolaccia. Trattandosi di un giallo, ho trovato questa scelta posticcia ed artificiosa: ad un poliziotto cinquantenne che va a caccia di un killer prima o poi un vaffan... scappa.

    Io credo che la mia scrittura possa diventare pericolosa. Perché la mia visione del mondo è pericolosa. Sono una persona intollerante nei confronti del sistema e questo emerge, fra le righe, in tutti i miei scritti, compreso il racconto da 1000 caratteri che ho pubblicato ieri sul blog.
    Ma non necessariamente dobbiamo lanciare bombe addosso al lettore. Anche le acque chete corrodono i ponti.

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    1. Sì, ecco forse dipende da quanto realistico si voglia rendere il racconto. Ed è certo vero che se faccio parlare un drogato non gli faccio dire "permesso, scusi...".
      Adesso andrò a leggere il tuo racconto di 1000 caratteri...

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  7. Riconosco le tipologie che citi, ma non saprei dove inserirmi. Alcune catene le ho spezzate quando scrivevo racconti per un forum dove molti amavano generi diversi da quelli che amavo io. E' stata un'esperienza interessante, che mi ha dato la possibilità di esplorare le mie attitudini e i gusti dei lettori. Il confine è sempre mobile, comunque, perché nel tempo si cambia. :)

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  8. Verissimo! Nel tempo si cambia e cambiano le cose. Gusti e stile spesso seguono tali mutamenti. È successo anche a me, ma ho comunque fatto tesoro di tutte le esperienze narrative e penso di avere capito cosa chiedere alla mia scrittura, adesso

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