Appuntamento con il "Caffè di Luz e Marina"
Come siete messi a vizi?
Cos’è un mese, nel tempo che vogliamo passi in fretta per potere dimenticare qualcosa! Qualcosa, non qualcuno, perché puoi chiedere ai giorni di aumentare la distanza da un certo evento, ma non di allontanare il pensiero di una persona, soprattutto se le vuoi particolarmente bene.
Il 10 agosto scorso ero appena rientrata dalla vacanza al mare e un messaggio su Facebook mi ha attaccato addosso il gelo delle notizie inaspettate: il mio soggiorno a Caltanissetta, in campagna, è cominciato con un funerale.
- ... Facevano all’amore nel capanno? E tu che hai fatto?
- Niente. Perché diventi così pallida, Jo? Non ti preoccupare, ho fatto di tutto per non farmi notare e poi sono venuta a casa.
- Ma le hai spiate se mi hai potuto riferire tutto quello che dicevano.
- Spiate? Che significa? Sono rimasta folgorata dalla loro felicità, erano bellissime, abbracciate nude.
- Le hai anche viste?
- Un attimo, prima di allontanarmi.
- Che schifo!
- Che schifo cosa, Jo? Io che, secondo te le spiavo? o il loro abbraccio?
La maschera enigmatica di dolore si sfalda contro l’onda di rossore che dal collo alla fronte corre infuriata travolgendo lo sguardo di Modesta, che ora fissa il franare scomposto di quei lineamenti di marmo. Un tempo avrebbe rispettato il silenzio che sempre torna a ricomporre quel viso.
- Che schifo cosa, Joyce? Che schifo noi due pochi momenti fa abbracciate nude?
- Oh, noi! Noi siamo perdute, Modesta, ma Bambolina così giovane... Ah, quella Mela! non mi è mai piaciuta, mai! Bisogna allontanarla!
Strappata la coltre di silenzio anche la voce si frantuma.
- Perdute, noi? Ma che dici? Perdute a che cosa?
- Alla normalità, alle leggi di natura...
- Ma che dici, Jo? Chi conosce la natura? Chi ha stabilito queste leggi? Il dio dei cristiani? O Rousseau? rispondi, Rousseau che ha spostato Dio che è nei cieli per infilarlo nell’albero?
- Ma che c’entra Rousseau o Dio, io temo per Bambù! Oh Modesta, tu non puoi sapere. A Parigi, in quei ritrovi di omosessuali... corpi macilenti ammassati, visi gialli, congestionati, segnati dalla vergogna, tra il fumo e il fiato denso di alcol... vera anticamera dell’inferno, se l’inferno esistesse! Tu non puoi sapere.
- E invece so perché ci sono stata e...
- Tu? Io mai... solo una volta e sono scappata.
- Hai fatto male perché stando veramente con loro e parlando ho capito che cosa cercano in quell’anticamera dell’inferno, come tu l’hai chiamata.
- Cosa possono cercare? Si mescolano e si drogano per dimenticare.
- No, Jo! Cercano l’inferno vero per scontare il loro peccato.
- Ma che altro possono fare se la società li rifiuta, li addita?
- Loro, niente. Ma solo perché sono ignoranti e zeppi di pregiudizi esattamente come la società che li addita. E mostrano le loro ferite solo per chiedere clemenza alla società che anche loro, soprattutto loro, sentono santa e giusta invece di lottarla. Jo, torna in te! Di che cosa abbiamo parlato allora in tutti questi anni? Vedo che abbiamo solo conversato amabilmente di progresso, di scienze come si usa nei salotti evoluti, ma al primo lieve scontro con la realtà mi vuoi trascinare nel panico che ti prende come tutti gli intellettuali solo all’idea di mettere in pratica le teorie enunciate.
- Non capisco!
- Capisci, invece! Secondo te dovrei allontanare Mela, no?
- Non...
- Così hai detto. Ma non capisci che con questo atto farei sentire a quelle bambine che peccano? Le marchierei, io che rappresento, sono, la società per loro, come dice il tuo Freud? E dopo, che potrebbero fare se non finire veramente in quei locali? [...]
- Le vuoi bene o no?
- Come puoi farmi una simile domanda?
- Sei tu che mi costringi.
- Non ora, ti prego, non umiliarmi, non scavarmi la terra sotto i piedi. Io amo mia figlia. Non ho mai amato, sulla terra, nulla più di lei.
- Come un oggetto.
- Cosa? Cosa stai dicendo?
- Come un oggetto. L’hai amata come un oggetto, cazzo. Come ami tua moglie. Oh, se un giorno tu potessi renderti conto del motivo per cui fai quello che fai! Sai perché? Ne hai idea? Perché hai paura di perdere il controllo! Hai paura che la bestia esca dal sacco!
- Che stai dicendo? Quale bestia? Quale bestia? - No, lo svedese non si aspetta di trovare grande conforto in suo fratello, ma questo attacco... Perché Jerry sta sferrando questo attacco senza neanche far finta di consolarlo? Quando lui, accidenti, gli ha appena spiegato che le cose sono andate mille e mille volte peggio del peggio che si erano aspettati?
- Cosa sei, tu? Lo sai? Tu sei quello che è sempre lì a cercare di minimizzare le cose. Sempre lì che si sforza di essere moderato. Mai dire la verità, se credi che possa ferire i sentimenti di qualcuno. Sempre pronto ai compromessi. Sempre pronto ad accontentare la gente. Sempre lì a trovare il lato migliore delle cose. Quello educato. Quello che sopporta pazientemente ogni cosa. Quello che ha una dignità da difendere. Il ragazzo che non viola mai le regole. Quello che la società ti ordina di fare, tu lo fai. Le norme della convivenza civile. Ci devi sputare in faccia alle norme della convivenza civile. Beh, tua figlia l’ha fatto per te, no?
L’anedonia da sguardo spento non è che una remora sul fianco di un vero predatore, il Grande Squalo Bianco del dolore. Il termine che le autorità usano per indicare questa condizione è depressione clinica o depressione involutiva o disforia unipolare. Invece di una semplice incapacità di provare sentimenti, un’agonia dell’anima, la depressione predatoria che Kate Gompert ha sempre provato quando cerca di disintossicarsi dalla marijuana segreta è essa stessa un sentimento. Viene chiamata con molti nomi - angoscia, disperazione, tormento, vedi la melanconia di Burton e la più autoritaria depressione psicotica di Evtusenko - ma Kate Gompert, giù in trincea da sola con questa cosa, la chiama semplicemente La Cosa.
«Come va il dizionario?» chiese Winston alzando la voce per vincere il rumore.
«Procede lentamente» rispose Syme. «Adesso sono agli aggettivi. È un argomento affascinante.»
A sentire nominare la neolingua, il volto gli si era illuminato all’istante. Spinse da parte la gavetta, prese il pezzo di pane in una delle sue mani delicate e il formaggio nell’altra, poi si chinò in avanti verso Winston, in modo da non essere costretto a gridare.
Sono le ore 8:00, dalla veranda di casa mia assisto al movimento di una città che oggi festeggia i Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni di Roma. Il rumore arriva a ondate, il transito di mezzi, lungo il tratto di strada, che riesco a vedere dal mio palazzo un po’ internato, è veloce e capisco che il semaforo è rosso quando il suono si uniforma in un borbottio di auto con il cambio in folle.
Da quando il dibattito sull’affermazione e la tutela dei diritti degli omosessuali si è arricchito di nuove tematiche e il progresso degli studi di genere ha portato a una rapida proliferazione di identità femminili e maschili, mi è venuta la curiosità di allargare i miei orizzonti.
Il labirinto di termini e significati in cui mi sono impelagata non ha fatto che confondermi le idee.
Il tempo ci fa diventare saggi e la saggezza ci regala quel tipo di consapevolezza che non genera rimpianti. Non significa ignorare i traguardi raggiunti, ma guardarli dall’esterno e sentirli estranei. Questa è una sensazione che ho tutte le volte che penso alla mia attività di scrittura e, invece di bacchettare la mia mancata volontà di rinnovare gli obiettivi, mi siedo comoda a godermi il percorso fatto, senza rimproverarmi di non avere voluto inseguire nuovi sogni.
Appuntamento mensile con “Il caffè di Luz e Marina.”
Quante volte, soprattutto negli ultimi tempi, avete sentito parlare di “Politically Correct”?
I classici della letteratura ci parlano da lontano, attraversano i tempi, senza mai chiudere parentesi; avvicinano le generazioni di ogni epoca, grazie alle tematiche che restano attuali e alle riflessioni riadattabili in ogni contesto storico. Per questo non saranno mai dimenticati.
Impariamo dai classici, eppure guai a imitarne lo stile. Quello sì, che si evolve, risponde a esigenze diverse, segue regole sempre nuove.
Passo solo per un saluto.
Se non arriva non arriva, l’ispirazione. Che vuoi farci?
Niente, non puoi farci niente.
Forse la prossima settimana.
Forse... ma tanto, avere un blog, scrivere per un blog, non è indispensabile e non è nemmeno un lavoro (per fortuna!)
Oggi è Giovedì Santo. Sarei dovuta essere in Sicilia, invece, sono qui, a Roma, per il secondo anno consecutivo, dacché l’emergenza Covid ha blindato le vite degli italiani.
Il lockdown 2020 era l’evento eccezionale, la straordinaria situazione che nessuno si aspettava di vivere e che ha trovato tutti impreparati, sconvolti e con le speranze ancora sotto il cuscino.
Passerà, andrà tutto bene, finirà l’incubo.
Ma il nuovo lockdown 2021, incoerente, confuso, disorganizzato, esattamente cos’è? 365 giorni non sono pochi, non è il lungo periodo di assestamento che ci aspettavamo, dopo il tragico tracollo di tutto. 365 giorni sono mesi e mesi e mesi di sacrifici continui e di strategie che non hanno funzionato e di decisioni che non hanno portato ai risultati sperati.
Un anno fa mi piangeva il cuore perché non avrei potuto fare le valigie per tornare dai miei e perché la pandemia aveva reso impossibile ogni rappresentazione della Settimana Santa, a Caltanissetta, come da centenaria tradizione, ma oggi il peso della lontananza si è ingigantito e non so se essere incazzata o se reprimere tutta questa rabbia in una nuova, forzata, rassegnazione.
Non passerà, non è andato tutto bene, questo incubo non ha fine.
Via Lucio Mario Perpetuo: oggi è una giornata di sole, la primavera si affaccia timidamente, chiede permesso, posso entrare? ma nuvole e vento fanno ancora i gradassi. È la seconda primavera blindata, questa e confusione, malcontento, attese, piani sanitari in bilico tra buon esito e fallimento, restrizioni, multe, disagi, paranoie, recitano un copione che non è cambiato, dopo un anno di pandem-onio.
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Edward Loevy, La disinvoltura del dandy, 1901, olio su tela |
Di Gabriele D’Annunzio ho una conoscenza scolastica, le sue opere studiate solo come parte del programma di terzo liceo, la sua personalità associata a una ricca biografia e alla corrente del decadentismo.
Qualche settimana fa, la bella pensata (suggeritami inconsciamente da una discussione con un’amica su certa letteratura classica ignorata): riprovare a leggere “Il piacere”.
Abitiamo in un appartamento al terzo piano, in un condominio dove ci siamo trasferiti dodici anni fa. Le mie figlie hanno legato con Valeria, la secondogenita di Anna, che abita al primo piano ed è la mia migliore amica. Siamo tutte persone tranquille, nel palazzo: nessuno screzio, nessuna bega condominiale. Due appartamenti sono ancora sfitti: uno è quello sopra di noi.