giovedì 14 maggio 2015

Il taccuino narrante: osservazioni, note e spunti tratti dalla quotidianità - FINCHÉ MORTE NON CI SEPARI


"Cari fedeli, siamo qui riuniti, al cospetto di Dio, per unire questo uomo e questa donna nel sacro vincolo del Matrimonio, così come istituito da Dio, regolato dai Suoi comandamenti e benedetto da nostro signore Gesù Cristo [...]
[...] Io Davide, prendo te, Claudia, come mia legittima sposa. E prometto solennemente, davanti a Dio e a questi testimoni, di amarti ed esserti fedele, in ricchezza e in povertà, nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia, finché morte non ci separi."

Finché morte non ci separi...

Sono ridotto a questo: un automa di fronte alle immagini del video di un matrimonio penosamente naufragato. Ancora una volta mi faccio del male: non riesco a dimenticare, seppellirò sotto cumuli di terra anni di ricordi, la nostra vita insieme, durata giusto il tempo di un errore. Perché la nostra unione è stata solo questo: un miserabile errore, bastardo, come l'uomo che mi ha sostituito e al quale negherò la felicità che io non sono riuscito a costruirti attorno!
La pellicola, con i suoi fotogrammi, scivola avanti e indietro guidata dal movimento meccanico del mio dito; lo schiaccio a ritmo ipnotico sui tasti del telecomando ormai senza controllo: rewind - play - rewind - play - rewind - play...
Stop.
I sorrisi degli ospiti allargati dentro l'occhio della videocamera.
Play.
L'oro lucido dell'anello che attraversa al rallentatore lo spazio brevissimo dell'anulare prima di fermarsi alla base del dito. 
Sei una sposa felice, in questo cazzo di filmino! Ed io recito dentro i tuoi occhi febbrili una formula preimpostata, che nulla ha della magia delle nostre frasi, il "per sempre" sospirato all'orecchio...
Per sempre!
Per sempre!
Ti odio!
Lacrime (queste riprese mi disgustano), di gioia, di commozione, di bambini stanchi; fiori ad ornare la navata della chiesa, fiori stretti fra i guanti bianchi della sposa, fiori, orribili accessori sui cappelli di vecchie zie; mani che si stringono, mani che toccano, mani che applaudono; vestiti sfoggiati, sorrisi esibiti, infine luce accecante, all'esterno, che abbraccia l'entusiasmo di tutti e scioglie, finalmente, la mia tensione.
Qui, invece, tutto è buio: la stanza che raccoglie il mio sfogo, la mia disperazione, la tua colpa.
Perduto nei tuoi occhi felici nascosti dal velo, rapito dai tuoi sorrisi angelici, bella, sei bella, quanto sei bella...
Puttana!
Se solo penso alla vita spesa in nome dell'amore, alla ricerca di un difetto da addebitare a te per non sentirmi io anormale nel trovarti perfetta, le volte in cui mi bastava soltanto guardarti da lontano o sfiorarti appena per sentire dentro quel vuoto d'aria che per un secondo mi toglieva il respiro.
Se solo potessi afferrare il tempo, chiedergli una piccola tregua per farmi stare ancora un altro po' al tuo fianco, sospeso tra il desiderio di averti solo per me e la certezza di saperti soltanto mia, adorata, maledetta Claudia! 
Ti ho amato più della mia vita e ti amo ancora mio malgrado, come la malattia da cui non voglio più guarire. Il mio amore calpestato ha macchiato il ricordo più bello della nostra vita insieme e adesso quel cancro che ha il tuo nome mi logora, mi sfinisce, mi porta lentamente alla follia.
Perché mi hai lasciato? I tuoi occhi indifferenti mi hanno trafitto, le tue parole definitive, la tua sicurezza nel dirmi "addio". Non mi rassegno, non riesco a trovare una giustificazione plausibile, non riesco a farmene una ragione io, che serro i denti per non colpire, con il telecomando che stringo ancora fra le mani, il tuo sorriso in quel fermo immagine che ho di fronte, nella rabbiosa fame di felicità che abbiamo distrutto in mezzo al delirio di incomprensioni, fragilità e mancanze irrisolte.
Mi guardo allo specchio e non so riconoscermi: vedo solo una sagoma imbruttita dall'alcol, fisso gli occhi di un assassino pronto per la sua missione. 
Le tue labbra sono un pugno allo stomaco, forte, non respiro, mi accascio ai piedi del divano: "finché morte non ci separi."
Torno indietro, ripeti ancora: "finché morte non ci separi."
Stop - rewind - pochi secondi - play: "finché morte non ci separi!"

E sia. 
Lo hai detto tu: 
"Finché morte non ci separi."

(Nel 1996 la mia agenda da lavoro ha raccolto uno sfogo scritto, maturato durante l'incontro fra un uomo accusato di maltrattare la moglie e l'avvocato, presso cui stavo svolgendo la pratica legale, che ne aveva assunto la difesa. 
Una vicenda che ha fortemente condizionato le mie scelte lavorative.
Naturalmente questa è una storia inventata, suggerita solo da quella pagina di diario.

Secondo le statistiche sono più di 300 le donne, dal 2000 ad oggi, che hanno trovato la morte a causa di mariti o compagni non rassegnati alla fine della loro relazione).

13 commenti:

  1. è un bel racconto, scritto benissimo, che affronta un tema molto delicato senza cadere in sensazionalismi morbosi. Brava! :)

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    1. Qualche giorno fa mettevo ordine in uno scaffale della libreria, cercavo spazio dove collocare i miei libri di lettura decidendo di portare in garage molti testi di diritto inutilizzabili, perché, ormai, non aggiornati. Ho ritrovato l'agenda che portavo nella valigetta da giovane praticante, quando frequentavo i corridoi del Tribunale. L'ho sfogliata per curiosità e l'occhio mi è caduto su quella pagina che, poi, ho fotografato (l'immagine sopra): sono stata investita dal ricordo sgradevole di quella persona che proprio il mio avvocato avrebbe dovuto difendere in una causa per maltrattamento ai danni della moglie. Non aveva la classica faccia da schiaffi, ma uno sguardo angelico, da buon padre di famiglia. Quando ha raccontato la sua versione di alcuni episodi denunciati dalla consorte non faceva che ripetere: "ma io la amo, io la amerò sempre, la mia non è stata violenza, ho solo difeso ciò che mi appartiene". Io e la mia collega ci guardavamo con la coda dell'occhio, l'Avvocato ci ha ripreso, dopo, perché a detta sua avevamo uno sguardo a dir poco disgustato e non era questo ciò che fa un avvocato: farsi condizionare dai sentimenti personali!
      Quello è stato il momento in cui ho cominciato a dubitare di volere esercitare questa professione nella vita!
      (Sono contenta che il racconto ti sia piaciuto!)

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    2. Sono contento che hai cominciato a dubitare di volere esercitare. Non ti vedo come avvocato che difende dei diavoli con gli sguardi angelici.

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    3. Mai fidarsi degli sguardi angelici!

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    4. Mio papà è avvocato, anche se si occupa di diritto civile. Personalmente non ho voluto seguire la sua strada, perché non credo nel modo di gestire la giustizia in questo paese. Mi sembra tutto ridicolo, artificioso e finto, soprattutto ora che hanno depenalizzato molti reati. Hai fatto bene a decidere di percorrere tutt'altra strada. :)

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    5. Infatti non ho avuto mai alcun pentimento! quando si hanno ragioni molto profonde per non credere abbastanza in certe professioni, bisogna avere il coraggio di fare altre scelte.

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  2. Il dramma visto con gli occhi del carnefice, è un punto di vista che ha trovato molto spazio nella narrativa degli ultimi decenni. Ben rappresentato in questa narrazione breve.

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    1. Grazie, Ariano, per avere giudicato questo breve racconto una buona prova.

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  3. Bello davvero. Il punto di vista del carnefice, interessante e ben scritto.

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  4. Brava, come sempre... magari ci puoi costruire qualcosa, tipo un nuovo romanzo ;)

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    1. mamma no, sarebbe un po' pesante, significherebbe andare più a fondo, interpretare ragioni, scavare dentro stati d'animo...
      Comunque grazie, del come sempre! ;)

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