martedì 22 settembre 2015

Nulla è approvato da tutti (il valore della critica)


Esopo, scrittore dell'antica Grecia e padre della Favola, ha scritto una storiella che nella sua semplicità ha enunciato una verità innegabile. Conoscete "Il contadino, il figlio e l'asino"?
Faccio prima a trascriverla qua sul blog.
È il mio punto di partenza per una riflessione allargata.

"Un vecchio faceva il cammino con il figlio giovinetto. Il padre e il figlio avevano un unico piccolo asinello: a turno venivano portati dall'asino e alleviavano la fatica del percorso. Mentre il padre veniva portato e il figlio procedeva con i suoi piedi, i passanti li schernivano: "Ecco," dicevano "un vecchietto moribondo e inutile, mentre risparmia la sua salute, fa ammalare un bel giovinetto". Il vecchio saltò giù e fece salire al suo posto il figlio suo malgrado. La folla dei viandanti borbottò: "Ecco, un giovinetto pigro e sanissimo, mentre indulge alla sua pigrizia, ammazza il padre decrepito". Egli, vinto dalla vergogna, costringe il padre a salire sull'asino. Così sono portati entrambi dall'unico quadrupede: il borbottio dei passanti e l'indignazione si accresce, perché un unico piccolo animale era montato da due persone. Allora parimenti padre e figlio scendono e procedono a piedi con l'asinello libero. Allora sì che si sente lo scherno e il riso di tutti: "Due asini, mentre risparmiano uno, non risparmiano se stessi". Allora il padre disse: "Vedi figlio: nulla è approvato da tutti; ora ritorneremo al nostro vecchio modo di comportarci".

NULLA È APPROVATO DA TUTTI

Il punto finale di una favoletta diventa punto di partenza di un  ragionamento che faccio tutte le volte che le persone mi mettono in crisi con la loro diversità di vedute e opinioni. Un'interpretazione "de relato" mi porta a fare questa riflessione: se lo scrittore si mette in testa di volere piacere per forza a tutti, fa prima a resettare i propri sogni di gloria e rivedere la propria posizione rispetto al pubblico che spera di avere un giorno.

Un tempo mi facevo condizionare molto dai giudizi della gente e stavolta non parlo nella veste di presunta scrittrice, ma in quella di persona che, a un certo punto della sua vita, riteneva che soddisfare le aspettative altrui fosse una conquista invece che una sconfitta personale.  Alla ricerca di consensi, che probabilmente mi servivano per coprire certe mie forme di insicurezza, arrivavo a non essere pienamente me stessa, a fare le cose che piacevano prevalentemente agli altri, perché così non dovevo per forza spiegare i motivi del mio disaccordo o delle mie visioni nettamente opposte. Dove ho ritrovato l'autenticità del mio essere? Nella scrittura. Qui il mio inconscio non mi costringe a indossare maschere, ma mi suggerisce di lasciare fluire le pieghe profonde della mia personalità senza filtri. 
Abbiamo più o meno tutti - noi che in rete ci siamo ritrovati a parlare di questa nostra passione e a condividerla - attribuito alla scrittura una funzione catartica, ecco lì mi si ingarbugliano le cellule del cervello alla ricerca di risposte che continuano a non arrivare.
I nodi da sciogliere:

1) scriviamo ciò che più ci rappresenta (o, almeno, è questo quello che l'ispirazione ci guida a fare);
2) ma non sempre ciò che ci rappresenta raccoglie il consenso del pubblico.
3) Ce ne freghiamo? Tanto noi scriviamo per noi stessi!
4) Fregarsene significa essere consapevoli di non raggiungere il successo, anche minimo, significa, cioè, rinunciare alla speranza che qualcuno legga ciò che scriviamo.
5) Allora accontentiamo chi ci suggerisce questa o quell'altra strada per "arrivare" al lettore.
6) Eppure ci sarà sempre qualcuno che, alla fine, dirà: "ma che roba è questa? Ti preferivo nelle cose che scrivevi prima.
7) Visto che facevo bene a seguire la mia ispirazione?

In pratica chi la vuole cotta e chi cruda e chi ama la via di mezzo.

E noi scrittori? Che tipo di critiche dovremmo ritenere opportune e valide? Quelle di chi non ama il genere, anche se apprezza il nostro modo di scrivere? Quelle di chi ama il nostro genere, ma ritiene che noi non ne siamo all'altezza? Quelle di chi ci suggerisce di cambiare mestiere?

Non mi mette in crisi la critica, ma il valore che devo attribuirle.
Non mi spaventano i "No" e i "Mma!", ma quanto devo farli pesare nella riconsiderazione della mia scrittura.
Temere i giudizi altrui è la reazione più normale dello scrittore dilettante che vorrebbe fare il grande salto, ma non sapersi mettere in gioco è l'errore che proprio lo scrittore coltivatore di sogni non dovrebbe fare: io non ho la presunzione di tirarmi fuori perché mi ritengo immune, né la debolezza di stare sempre in un angolo per paura di chissà quale giudizio negativo.
Ma poi, delle opinioni contrastanti che ricevo quale parte devo assorbire? Da quali critiche devo prendere le distanze perché fuorvianti e da quali, invece, devo trarre preziosi suggerimenti che mi aiutino a migliorare?

Attenzione, forse l'ho dato per scontato, ma sarebbe meglio precisare che gli attori della mia elucubrazione mentale sono i lettori inter pares, parlo dei giudizi dati da non professionisti, non da consulenti letterari, editor e figure "addette ai lavori": in questo caso, anche solo per timore reverenziale, prenderei e porterei a casa con un mare di confusione in testa, ma rassegnata, ciò che hanno da dirmi (che poi, anche lì, devi trovare quelli che sono davvero competenti e accreditati).
Invece, nel caso in questione ho trovato illuminante le parole di un amico che, in privato, mi ha messo in guardia dai facili giudizi elogiativi che spesso nascondono falsità e compiacenze poco veritiere, cose che metto in conto ogni volta che scrivo per essere letta.
Insomma, non possiamo illuderci di piacere a chiunque, ci sarà sempre qualcuno che avrà qualcosa da ridire, chi aggiungerà punti e virgole, chi vorrà eliminare il superfluo, chi consiglierà di aggiustare il tiro, perché "nulla è approvato da tutti"! 
Allora che forse, stanchi di tutte queste voci, non sia più giusto fare come il contadino della favola di Esopo, ritornare, cioè, al nostro modo di essere, punto?

Qual è il vostro atteggiamento nei confronti delle critiche?
Mi aiutate a capire cosa farne?




39 commenti:

  1. Ascoltare tutti, non dar retta a nessuno.

    Come dici? È una frase fatta? Eh...

    A parte gli scherzi, è proprio così. Io, quando scrivo, in testa ho un disegno ben preciso. Voglio un certo effetto, voglio che passi un certo messaggio, voglio raggiungere un certo disegno stilistico o un certo risultato estetico. I commenti e le critiche sono una risposta al mio lavoro, non il giudizio di un maestro. Nessuno tranne me può capire cosa stia sbagliando e cosa debba modificare, non perché io sia meglio degli altri ma perché nessuno è parte, con me, del processo produttivo. Ecco quindi che di tutte le critiche (e di tutti gli elogi!) devo fare la tara, per capire davvero che senso abbiano e in che modo possano contribuire a migliorare il tutto.

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    1. Giusto, anch'io quando scrivo ho un progetto al quale dò un indirizzo preciso e non mi preoccupa pensare che a qualcuno possa non piacere il mio processo produttivo; ma, allora, come capire cosa non va? E dunque, anche nel tuo caso, fai cestino mentale di critiche positive e negative: come ti chiarisci le idee?

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    2. Long story short: lo puoi scoprire solo tu, mettendoti a nudo davanti a te stessa.

      Proviamo a fare un esempio. Limitato, come tutti gli esempi, ma tant'è.

      Siamo in macchina, io e te. Rettilineo, là in fondo c'è una curva a destra. Io accelero, prendo la curva troppo forte e la macchina allarga fino a invadere la corsia opposta; niente incidenti, nessuno si fa male. ;)

      I casi sono due: posso aver sbagliato la curva oppure posso avere fatto apposta; tu non lo sai. Questa è una informazione chiusa nella mia testa.
      Le tue reazioni possono essere due: ti incazzi perché hai passato paura oppure può esserti piaciuto per la botta di adrenalina e ti congratuli per la mia perizia.

      Sono solo io, sapendo nella mia testa come avrei voluto impostare quella curva, a capire dalla tua reazione se sia riuscito nel mio intento oppure se decisamente debba tornare a scuola guida.

      Serve molta consapevolezza per distinguere i vari casi. Poniamo, per esempio, che io tutti i giorni prenda in macchina qualcuno e faccia quel rettilineo e quella curva, sempre allo stesso modo.
      Dopo un po' si sparge la voce e cominciano a presentarsi sempre persone (poche, per la verità) che si divertono a prendere la curva "in allegria". Io, se non sto attento, mi posso convincere di essere un grande pilota di rally; in realtà, sono solo uno che non è capace neppure di fare una curva. Ma non lo so, perché ascolto solo quelli che si divertono.
      Oppure: dopo un paio di volte in cui mi sono preso delle insolenze per aver fatto la curva così, smetto di guidare. Avevo nelle mani la sensibilità di un pilota di rally, ma non se n'è accorto nessuno. Io per primo.

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    3. Sei stato convincente! Mi sono vista dentro la macchina: io non ci sarei più salita! ;)

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  2. Per quel che riguarda la vita in generale, anche io come te ho dato un peso eccessivo ai giudizi, al punto da negarmi qualunque libertà di movimento. Adesso invece il mio atteggiamento è diverso, perché la scrittura ha fatto uscire una nuova parte di me. La sua purezza, mi ha fatto prendere le distanze da alcuni comportamenti che riscontro in molte persone e mi ha fatto capire chi voglio e chi non voglio essere. Io vado bene così, sono fatta così, e chi non è in grado di accettarmi non merita di avermi vicino.

    Per quel che riguarda le critiche letterarie, in questa fase sono consapevole di essere ancora immatura e di aver tanto da imparare. Certo, scrivo bene, ho qualche pregio e non faccio errori di grammatica, però devo migliorare, voglio migliorare: il mio obiettivo principale è diventare molto brava.

    Al momento l'unica che legge i miei testi sei tu. Quando c'è un appunto, ci rifletto e lo pondero. Poi decido autonomamente se accoglierlo o meno, come si fa con gli editor veri.
    In linea di massima, come sai, sono ben pochi i suggerimenti che non ho accolto. Parto sempre dal presupposto che io sono fallibile, e lo possono essere anche gli altri, quindi cerco di ragionare con la mia testa.
    Come diceva Buddha, "non credere a niente, nemmeno se te l'ho detto io, che vada contro al tuo buonsenso..."
    E il buonsenso, in questo caso, è legato a ciò che desidero trasmettere e alla scelta delle parole giuste per veicolare concetti e immagini. :)

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    1. Ragionare con la propria testa e avere buonsenso sono due ottime molle per affrontare i giudizi altrui. Anche avere l'umiltà di sentirsi come dici tu "fallibili", quando questo non porti a coltivare un'insicurezza maggiore (che poi è quella che crea il vero scompenso di fronte a una critica). Credo ci vogliano maturità e consapevolezza, non sempre fattori legati all'età, semmai punti di arrivo di chi ha esperienza. E lì, di strada, ne abbiamo tanta da fare...

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    2. Secondo me, uno dei limiti di un aspirante scrittore insicuro (come sono io) è imparare a non considerare ciò che dicono gli altri come "il verbo assoluto": spesso ci si fida più del beta che di se stessi. Eppure maturità significa anche saper giustificare e argomentare le proprie scelte narrative e stilistiche, dopo averle analizzate e messe in discussione, come ho fatto io con il famoso "rottame". ;)

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    3. Ahah, hai fatto benissimo: ma lì c'era una segreta motivazione personale! ;)

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    4. Io ho la stessa età del personaggio e so cosa si prova! :-D

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    5. A maggior ragione, pensa come sono messa io che ho giusto una decina (per arrotondare!) di anni in più! :D :D :D

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    6. Anche il tuo è un punto di vista interno! :-D

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  3. Una delle frase più vere dell'editoria è che il responsabile di ciò che scrive è sempre e solo lo scrittore. Quindi l'atteggiamento di Michele mi pare quello più economico e razionale. Altrimenti ci si ferma alla prima riga.

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    1. Poi, ahimè, c'è anche chi va oltre la prima riga ma non sente le ragioni di nessuno proprio perché sa di essere l'unico responsabile di ciò che scrive.

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  4. Le critiche, se costruttive, fanno sempre bene.
    Personalmente non mi spaventano, mi aiutano a capire ciò che posso aver sbagliato purché provenienti da un lettore interessato al tipo di racconto che ho scritto.
    Riguardo lo scrivere cercando il consenso dei lettori, beh, ma in fondo "i lettori" sono una massa molto vasta e variegata. Se si sottintende "il consenso dei lettori maggioritari", quindi inseguire il genere più di moda che in un dato momento vende milioni di copie, onestamente non ne sarei capace. Io so scrivere ciò che mi sento di scrivere, non so impormi un genere o una tematica. Se mi proponessero di scrivere una storia di vampiri innamorati non ne sarei capace, punto. Piacere a pochi lettori non mi spaventa, perché il mio scopo non è scrivere un best seller ma scrivere quel che voglio raccontare e scoprire se c'è chi lo condivide con me come lettore.

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    1. Ma allora è l'interesse che ha il lettore verso ciò che scrivi che dà valore e credibilità alla critica?

      Sul consenso legato a ciò che va di moda sono d'accordo con te: tradire uno stile, un genere o un modo di scrivere non è pensabile nemmeno per me: nella scrittura c'è piacere, c'è identificazione, non riuscirei mai a raccontare storie dove manchino questi elementi.

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    2. Rispondo al tuo dubbio: sì, se parliamo di "lettore" in senso stretto, di uno che esprime solo un giudizio di gusto.
      Se parliamo invece di un "critico", o comunque di un lettore che precisa che legge un dato libro anche se non è di suo interesse perché vuole valutarlo oggettivamente (cosa comunque non facile e sempre controversa) allora ovviamente il suo giudizio è (dovrebbe essere) utile anche se lui stesso dichiara di non essere interessato a quel genere.
      Esempio: mi metti in mano un romanzo avventuroso e poco ma sicuro che mi addormento leggendolo. In questo caso il mio giudizio conta zero perché posso pure dire "è noiosissimo", ma detto da me che non amo il genere è poco probante. Se poi provo a diventare "oggettivo" posso esprimere un giudizio sugli aspetti tecnici, comunque restando un lettore che non ama quel genere e quindi non ha il giusto feeling col testo.
      Non so se ho reso l'idea ;-)

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  5. La questione delle critiche è delicata e anche complicata. E' facile dire che le critiche costruttive sono utili, ma come si fa a stabilire se sono costruttive?
    Queste tue riflessioni sono lo specchio di alcuni interrogativi che mi sono posta anche io in questo periodo, per motivi diversi. Penso che sia sbagliato farsi paralizzare dalle critiche, così come accoglierle come oro puro, in modo indiscriminato. Secondo me le critiche (che si tratta di scrittura o no) vanno fatte riposare. Bisogna superare la fase emotiva e andare oltre. Io mi sono accorta per esempio che certe critiche dopo alcuni giorni mi lasciavano del tutto indifferente, altre invece andavano a colpire qualcosa in profondità, come se incrociassero un mio stesso pensiero sepolto. Credo di essermi spiegata malissimo...
    Di sicuro non si può piacere a tutti e la storiella che hai riportato è perfetta per illustrarlo. Comunque ti comporti avrai chi ti approva e chi no, l'ho sperimentato proprio in questi giorni con i miei post. L'importante è che credi in quello che fai.

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    1. Sì, piacere a tutti è impossibile e del resto non sarebbe nemmeno giusto. Rimanere coerenti è una buona risposta alla paura della critica, cioè credere in quello che si fa, senza cedere alle lusinghe e nemmeno allo sconforto di chi non approva.
      Invece ti dico che ti sei spiegata benissimo e ho capito quello che vuoi dire: lo sai che ho sperimentato la fase del "riposo" dopo la critica e mi è stata molto utile? E con la lucidità del "dopo impatto emotivo" ho capito cosa dimenticare e di cosa servirmi per il futuro. Che sia questo il segreto?

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  6. Mentirei se dicessi che mi piace ricevere critiche. A chi piace, del resto? Ci sono comunque critiche e critiche, critiche pacate e critiche aggressive, ad esempio. Critiche dettate solo dal gusto personale "non mi piacciono i libri in cui la gente muore" (caro, non leggermi che fai prima, l'hai letta la quarta di copertina con le parole "efferato delitto"?). Critiche di cui ancora non capisco il senso (la prima classificata, datami tra l'altro da un editore, insieme al rifiuto alla pubblicazione "il protagonista mi sembra un perdente"). Altre invece fanno subito scattare un campanello d'allarme. Questo passaggio non funziona. Mi sono un po' perso. Ahi... Lì qualcosa non va.

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    1. Allora è anche il modo in cui muovi la critica, le parole che usi, il tipo di disappunto mostrato che fanno la differenza. Dire semplicemente "non mi piace" non è una critica costruttiva, perché è un giudizio soggettivo, se poi si aggiunge "non mi piace perché muoiono troppe persone" siamo di fronte a una variabile sempre di un giudizio soggettivo: leggi un giallo e non vorresti troppo spargimento di sangue? beh, non correre il rischio: non leggerlo e basta! In pratica sì, ricevere critiche non fa mai piacere, ma con la tipologia di quelle che hai testimoniato tu, puoi tranquillamente passare oltre a cuor leggero, della serie "non ti curar di loro, ma guarda e passa!"

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  7. Cara Marina
    La favola dell’asinello di Esopo chiarisce senza ombra di dubbio che qualunque decisione si prenda non sarà mai giusta per tutti, ma se ci pensi è impossibile accontentare tutti! Ognuno di noi ha gusti e opinioni diversi.
    Quindi condivido il pensiero di Michele ascoltare tutti ma fare di testa propria.
    Per me questo vale nella vita come nella scrittura.
    Quando scrivo so cosa voglio esprimere e dove voglio arrivare o far arrivare a chi legge, per questo vado avanti per la mia strada. Poi le opinioni degli altri sono importanti, mi fanno riflettere, approfondisco e magari mi sono utili per cambiare in meglio quello che ho scritto se l’opinione mi ha convinto, oppure non cambio nulla perché nonostante le diverse opinioni penso che quello scritto per me va bene così.
    Io mi regolo così, ascolto pareri diversi ma alla fine decido io.
    :-)

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    1. Ecco io mi soffermo sulla tua espressione "se l'opinione mi ha convinto": ma non è facile, in questo modo, superare il disagio di avere ricevuto una critica negativa? Basta "assorbirla" come non convincente per non darle ascolto e magari perdere un'occasione di miglioramento! Intendo dire che la linea è sottile tra il vedere quel giudizio come realmente inadeguato e il "volerlo" vedere così!
      (È come se stessi continuando la mia riflessione!)

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    2. una critica può essere dolorosa, ma bisogna essere onesti con se stessi, per esempio la prima versione del mio primo romanzo conteneva parecchie pecche, qualcuno me lo ha fatto notare e quando sono andata a rileggere il tutto ho capito che c'erano diverse parti da cambiare. Per fortuna l'ho fatto, prima di pubblicarlo. Alcune parti le ho riscritte e credo che alla fine sia venuto fuori un lavoro migliore.

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  8. In generale ti servono un bel numero di lettori beta che siano lettori forti (cinque? sei?). Se parli di ciò che scrivi in senso di stile, quella è una cosa tua, se intendi la trama, anche quella è una cosa tua, anche se qualche consiglio te lo si può dare. Il beta lettore ti dice a livello di parole (refusi) e grammatica cosa c'è di stonato e ti dà qualche indicazione su come fluisce il testo (se rallenta, se c'è qualcosa che manca: non hai spiegato che fine ha fatto quel personaggio tale che, almeno non fino in fondo, ecc...). Il lettore generico ti assicuro che non sa cosa vuole, quindi il problema non te lo devi porre. Ho letto critiche di raccolte di racconti dove chi recensiva diceva solo: ci sono alcuni racconti che mi sono piaciuti e altri no. Null'altro. Cosa piuttosto scontata, non serviva leggersi una raccolta di racconti per capire che alcuni dei racconti sarebbero piaciuti e altri no. Altri potrebbero accusarti di avere troppa fantasia, altri ti potrebbero accusare di non sapere la grammatica quando in realtà sono loro che non la conoscono, insomma, il giudizio lascia il tempo che trova. Se tu in quelle parole di chi ti dice qualcosa ci trovi un senso e una ragione allora puoi migliorare il testo o magari il prossimo scritto, ma se non ti si accende nessuna lucetta in testa, lascia stare. Ho visto fare a pezzi testi classici e di spessore e dare cinque stelle ai nuovi classici del sadomaso-erotico, quindi il giudizio, ti ripeto, ha senso solo se tu in quello che ti dicono vedi verità e possibilità di migliorare. Attenzione anche a non vedere sempre verità nelle parole degli altri.
    Questo se vuoi perseguire la strada dell'autopubblicazione.
    Se invece ti pubblica Einaudi, allora il discorso magari cambia. Stai a sentire l'editor, ma non devi sempre essere della sua stessa opinione. Sii te stessa. E, naturalmente, leggi testi buoni che ti possano aiutare a migliorare la tua prosa e che ti lascino dentro qualcosa, ma questo do per scontato che tu già lo faccia :) .

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    1. Ecco, stai dicendo in altri termini quello che sostiene anche Maria Teresa: se la critica ti accende una lucetta in testa o se incrocia un pensiero apparentemente sepolto (come dice M.Teresa), allora quelle parole vanno valutate con attenzione, su di esse si può riflettere. Vedere verità e possibilità di miglioramento nelle critiche altrui è un approccio corretto. Fermo restando che il giudizio altrui non può e non deve cambiarti!

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    2. Sì. Anche perché il gusto è personale. C'è chi ha il gusto per l'orrido e ti spingerebbe a stravolgere il testo facendoti un danno e chi ha il gusto per le cose buone. :)

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  9. È una bella riflessione. Tuttavia, se parliamo di scrittura, alcune volte possono esserci delle critiche oggettive. Ad esempio, sulla grammatica, la forma (cioè la struttura), l’essere riusciti o meno a sviluppare l’idea in modo completo e autonomo. Quelle critiche non possono che aiutare. Le critiche rivolte, invece, allo stile, al contenuto, al gusto… no; meglio fare a modo proprio, come nella storiella di Esopo.

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    1. Sembrerebbe facile: grammatica, forma, ... Tutte cose che oggettivamente possono essere definite giuste o sbagliate.
      O no?
      C'era uno, una volta, che fece quest'affermazione: "Ho impiegato tutta la vita per imparare a dipingere come un bambino". Faceva quadri che infrangevano la grammatica della pittura. Ma aveva ragione: valgono milioni.

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    2. Dici che le critiche sullo stile e sul contenuto non vadano prese in considerazione?
      Invece ti dico che, secondo me, quelle costruttive passano proprio da questi elementi. Il gusto non si discute, questo è vero, e ogni tanto ho dovuto filtrare giudizi negativi sul mio modo di scrivere perché evidente frutto di gusti soggettivi molto diversi; però se hai uno stile acerbo, se tendi a emulare qualche scrittore famoso, se il contenuto è piatto, è giusto che qualcuno te lo faccia notare. Rimani coerente con le tue scelte stilistiche, certo, però provi a migliorarti.

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  10. Come diceva Chaplin: «Preoccupati più della tua coscienza che della reputazione. Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te. E quello che gli altri pensano di te è problema loro.»

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    1. Sì, se gli altri pensano di me che scrivo cose poco interessanti, che non valgo un tubo come scrittrice, che faccio meglio la pasta al forno che emozionare con un racconto, questo è senz'altro un problema che non mi tange; ma se qualcuno mi fa notare che potrei dire le stesse cose senza usare troppi aggettivi o avverbi, che potrei essere meno farraginosa e meno legata all'uso delle parole, allora, forse, qualche domanda dovrei pormela. Il problema è, semmai, ammettere che quel qualcuno potrebbe avere ragione. Il non farsi influenzare completamente può essere controproducente.

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  11. In relazione alla scrittura faccio una cosa buffa. Pensando ai miei personaggi, per esempio, se vengono criticati ci rimango male, ma poi ci ragiono su e arrivo alla conclusione che se non li avessi raccontati in quel modo forse non li avrei raccontati proprio, dunque non sarebbe mai nato il libro e quindi non avrei mai scritto. Che brutto, vero?
    Credo che la cosa importante sia essere consapevoli delle scelte che si fanno. In questo modo reagire alle critiche dovrebbe essere più facile. Dovrebbe… :D

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    1. Tu hai appena manifestato una tua consapevolezza nella buffa cosa che fai (che poi buffa non è, se è il modo in cui ti rapporti alla tua scrittura). È come armarsi di una bella corazza. Sempre resistente? Chissà!

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  12. Il punto è che non esistono criteri oggettivi di valutazione a parte l'ortografia e la grammatica.
    Ci sono scrittori che fanno descrizioni approfondite e altri che non ne fanno quasi, ma non è che uno ha ragione e l'altro ha torto.
    Per quanto mi riguarda accetto le critiche ma se sono davvero convinto di quello che ho scritto è difficile che mi facciano fare una piega.
    In generale condivido l'atteggiamento di Edward Hopper (non per niente questa frase figura nella colonna di sinistra del mio blog). Ovviamente "dipingo" diventa "scrivo", ecc.:
    "Dipingo solo per me stesso. Mi piacerebbe che i miei quadri comunicassero, ma se non lo fanno va bene lo stesso".
    A lui è andata bene, i suoi quadri hanno comunicato e molto. Spero vada altrettanto bene anche a me ;)

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    1. Per essere veramente convinti di ciò che si è scritto bisogna avere maturato una bella sicurezza, che diventa il dono più prezioso di chi fa esperienza. Tu ne hai tanta alle spalle, è giusto che rivendichi il diritto di rimanere fermo sulle tue idee. E di avere successo (cosa che ti auguro, ovviamente!)
      Avevo letto la frase di Hopper e mi era piaciuta molto, insieme a quella di Miller: anche quest'ultimo dice, mi pare, "farò quello che mi piace, sia esso buono o cattivo". (Ora vado a controllare se ho ricordato bene!) :)

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  13. Sì, la frase è più o meno quella. Manca la prima parte, ma ormai avrai già controllato ;)

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  14. Le critiche che ascolto hanno dentro di me un'eco diversa dalle altre. Qualche volta confermano una vocina che avevo voluto ignorare, altre volte mi sorprendono e mi fanno dire: ma certo, è proprio così! Sulle altre mi interrogo, decido e poi non ci penso più. Non sento il contrasto tra ciò che voglio scrivere e ciò che piace. Forse sono una presuntuosa nata, perciò do per scontato che le due cose coincidano? In ultimo, penso che sì, dobbiamo restare fedeli alla nostra vera natura, che però include il cambiamento e il miglioramento. :)

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    1. Restare fedele alla mia natura è esattamente ciò cui non potrei mai rinunciare, nemmeno se questo volesse dire non piacere a nessuno. Ma statisticamente è impossibile non incontrare almeno il favore di qualcuno e per fortuna la mia esperienza finora è stata positiva. In effetti ci sono voci che aprono come delle parentesi dentro di me e mi portano a riflettere sul serio: sono quelle che mi feriscono di più, ma poi mi fanno realmente migliorare.

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